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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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23 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE: PARMAGRAD
 “La radio al buio e sette operai, sette bicchieri che brindano a
Lenin… e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile, vola un
berretto un uomo ride e prepara il suo fucile. Sulla sua strada gelata
la croce uncinata lo sa… d’ora in poi troverà Stalingrado in ogni
città!” Chissà se a Grillo è passato per la testa il pezzo degli Stormy Six, quando ha dichiarato Parma “la nostra Stalingrado”. Ora che punta a Berlino dovrebbe proprio ascoltarla.
“I parmensi sono come i ravanelli: rossi fuori e bianchi dentro.” Mia zia, bolognese trapiantata a Parma in
gioventù, mi aveva avvertito per tempo. La scorsa settimana, quando
davo la caccia ai candidati al ballottaggio, per il Pd di Parma avevo
chiesto a lei. Mi ha dato il cellulare di un funzionario di Partito,
molto cortese e disponibile, che a sua volta mi ha dato l’e-mail del
“comunicatore”. Che non mi ha mai risposto.
Pizzarotti, dopo un po’ di stalking su Facebook e via mail,
quando mi è scesa la catena e gli ho chiesto se, per caso, non cagare
chi chiedeva un’intervista fosse una “scelta di politica aziendale”, mi
ha risposto. “Nessuna strategia ma mi chiamano da tutta Italia ed è un
casino gestire tutto. Domani vedo cosa riesco a fare.” Il giorno dopo ha
ripreso a non rispondermi, nel frattempo a Parma è arrivato il New York Times, Le Monde e la CNN e io mi sono arreso.
Adesso che i ravanelli parmensi hanno votato e che, a
differenza che nel resto d’Italia, l’hanno fatto in massa (solo tre
punti in meno rispetto al primo turno) è possibile tracciare un primo
bilancio della Campagna d’Emilia, che ha portato Grillo (e Pizzarotti,
che ha fatto di tutto per mostrare ai suoi concittadini di essere un
bravo ragazzo lavoratore, persino un po’ moderato, che pensa e decide in
proprio) al primo successo serio, in grado forse di scardinare la pax partitica imposta dal moribondo governo Monti.
Mentana ha aperto il suo pomeriggio tv dedicato ai ballottaggi con il
sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani. Grillo è balzato al
12%, raddoppiando i consensi rispetto a due settimane fa, e si affaccia
come terza forza politica del paese, col Pd al 25 (in calo), il Pdl al
20 (a picco), la Lega sotto il 5 (ai minimi termini) e pure Udc, Idv,
Sel e Fli in discesa. Tutti i partiti giù, in pratica, con altri
sondaggi che gonfiano ancor di più le vele del Movimento 5 Stelle.
Chissà tra un anno, alla partita vera.
Per l’intanto Grillo può mettere in fila, oltre a Parmagrad, altri
tre municipi espugnati. Alla vittoria al primo turno, per venti voti, di
Roberto Castiglion a Sarego (già sede del “Parlamento padano”), si
aggiunge il trionfo di Marco Fabbri (quasi il 70%) a Comacchio e il rush vincente (52,5% e 26 punti rimontati dal primo turno) dello studente universitario di 26 anni Alvise Maniero a Mira, città d’arte di quasi 40000 abitanti sulla Riviera del Brenta (ed ex roccaforte rossa).
Stalingrado, però, rimane Stalingrado. Parma è una città ricca con un
Comune talmente indebitato (si parla di 600 milioni di euro, interessi
esclusi) che rischia di non poter pagare gli stipendi ai dipendenti, a
giugno. Dopo quattordici anni di giunte di centrodestra il candidato del
Pd si aspettava di vincere facile.
“Io rispetto tutti gli avversari, ma il ballottaggio con il candidato
del Movimento 5 Stelle Federico Pizzarotti sarà come giocare la finale
di Coppa Italia contro una squadra di serie B.”
Dev’essere stata questa certezza (o forse la sensazione che le cose
si stavano mettendo male) che ha spinto Vincenzo Bernazzoli ad
avventurarsi, tra lo stupore generale, a un faccia a faccia con
Pizzarotti organizzato dall’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e
Risorse di Parma all’Auditorium Paganini (strapieno, oltre mille
persone). Tema della serata il nuovo inceneritore, piatto forte della
stracittadina elettorale, la cui costruzione è stata approvata dalla
Provincia presieduta proprio da Bernazzoli.
“In Italia si sta andando verso la soluzione senza
inceneritore: Reggio Emilia, la Sicilia, la Provincia di Lucca. L’Europa
prevede dal 2020 il divieto di bruciare materiali riciclabili o compostabili. Ma a Parma vige la “Legge Vincenzo“. Bernazzoli nemmeno risponde alle domande scomode: “Dove metterà le ceneri tossiche dell’inceneritore?“. Non si sa.” La lettera dell’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse, pubblicata sul blog di Beppe Grillo, suona come un epitaffio.
Secondo alcuni,
tra cui anche Pizzarotti (che in un attacco di sincerità ha confidato
alle telecamere che se quelli del Pd mettevano un altro, “magari giovane
e fuori dai giochi”, forse avrebbero vinto al primo turno), è stato un
problema di manico. Bernazzoli si è dovuto difendere per tutta la
campagna elettorale dall’accusa (che a Parma vale triplo) di non voler
mollare la poltrona di Presidente della Provincia. Oltre all’ineleganza
ha dato anche l’impressione di crederci il giusto, alla vittoria. E se
non ci crede lui…
Adesso Grillo e i suoi festeggiano l’avvento col botto (si fa presto a
fare i fatalisti ora, ma il 60% a Parma non se l’aspettava nessuno)
della Terza Repubblica e Bersani la sua vittoria “senza se e senza ma”
ché, se non c’era la “non-vittoria” (spettacolare neologismo) di Parma
sarebbe stato un trionfo. Il mio piccolo viaggio nel Partitone emiliano
assediato finisce così con un due a uno per i barbari e la sensazione
che, sui suoi temi (Casta, ecologia, ecc.), Grillo continuerà a far
male.
(… fine)
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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20 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE: COMACCHIO
 “Beh, a voi elettori di Comacchio la scelta: il rinnovamento oppure
un ritorno al passato con Pierotti, già due volte sindaco, che ha
comunque sempre manovrato dietro le quinte le ultime amministrazioni
comunali. Quindi abbiamo una grossa opportunità: riprenderci tutti
insieme, tutti i cittadini, il governo di questo nostro territorio così
splendido…”.
Quando ho visto il video di Marco Fabbri, candidato del Movimento 5 Stelle, su YouTube
mi è tornato in mente l’esondazione sprezzante e vagamente sconsolata
della mamma di due compagni di musica di mio figlio, sulla classe
politica (senza distinzioni) che ha amministrato Comacchio negli ultimi
quindici anni. “Poi hanno pure la faccia tosta di presentarsi adesso
come quelli che vogliono cambiare tutto.”
Il Comune di Comacchio (Cmâc’
nel dialetto locale) conta poco più di ventitremila abitanti
sparpagliati su un territorio che comprende i sette lidi (Lido degli
Estensi, delle Nazioni, di Pomposa, degli Scacchi, di Spina, di Volano e
Porto Garibaldi) che si allargano su spiagge californiane lungo la
costa che congiunge la foce del Reno e il Po di Volano, tocca il Parco
regionale del Delta del Po e fa capo all’antico borgo, le cui vestigia
risalgono ad oltre duemila anni fa.
Il simbolo architettonico della piccola Venezia, “sorta
sull’unione di tredici piccole isole (cordoni dunosi litoranei)
formatisi dall’intersecarsi della foce del Po di Primaro col mare”, è il
Trepponti (nella foto), creato nel 1694 dall’architetto Luca
Danesi e costituito da cinque ampie scalinate (tre anteriori e due
posteriori), culminanti in un piano in pietra d’Istria. Un simbolo
perfetto anche per il barocco politico cittadino (velenoso, invelenito
ma grondante speranza), una girandola di parole che lunedì sera
condurrà, comunque, a un unico “piano in pietra d’Istria”: una e una
sola faccia al timone di Comacchio.
Quella di Alessandro Pierotti, avvocato navigato che corre con una
coalizione formata da Pd, Udc, Lista Civica Futura Comacchio e Lista
Civica l’Onda e ha ottenuto l’appoggio di Fli al Bagno Ippopotamus di Porto Garibaldi, è una faccia spavalda. Al comizio
di chiusura, dopo quindici giorni a testa bassa contro Fabbri e Grillo
(“è lui il primo a non essere incensurato”), anziché parlare del suo
programma “ormai già sentito in tutte le salse” ha preferito bastonare
“Fantomas Fabbri”, che “negli ultimi quindici giorni non si è mai
presentato ad un confronto con me”, e quello che liquida come “un
programma invisibile, un copia-incolla scaricabile da internet”.
Poi passa alle blandizie di vecchia scuola e addita tutto il grillume
che potrebbe urtare note sensibilità. Sostiene che quelli del M5S non
parlano delle vongole che “danno da lavorare a trecentocinquanta
persone” e, con un crescendo berlusconiano quasi epico, che con i loro
canoni sbandierati di legalità diventerebbe fuorilegge l’80% delle
seconde case (che i comacchiesi affittano ai lidi). Alla fine si dice
certo che “se si vorrà votare con la benda sugli occhi è certo che si
ritornerà al voto tra sei mesi”. O Pierotti o il diluvio.
Marco Fabbri è un giovanotto col gel e la faccia da alieno (almeno
rispetto ai canoni lombrosiani del giovane politico contemporaneo).
“Sono nato a Comacchio, dove vivo tutt’ora nella frazione di Lido
Estensi, ho 29 anni, sono laureato presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell’Università di Bologna e sono un dipendente pubblico (ma
non un fannullone!)”. Scrive di sé stesso sulla sua pagina del sito “Comacchio a 5 Stelle”, dove compare con casco e sorriso in groppa a una Ducati.
Nel video su YouTube rilancia i temi-bandiera della sua campagna
elettorale col botto (oltre il 22% dietro a Pierotti che supera di poco
il 36, con quasi l’intero arco costituzionale dietro), primo fra tutti
il “no alla chiusura dell’Ospedale San Camillo deciso da Provincia e
Regione.” La mamma di Comacchio che ho intervistato al posto di
Fabbri-Pierotti è stata la prima cosa che mi ha detto. Poi c’è il
rilancio del turismo declinante su cui anche lui, come tutti, ha la sua
ricetta.
“Una delle prime lotte sarà quella contro la cementificazione del
territorio. In questi anni si è costruito troppo e male: quasi 30000
case, molte delle quali invendute e sfitte… Occorre valorizzare questo
splendido territorio che non è fatto solo di mare, ma anche di valli, di
saline. Siamo nel Delta del Po, i comacchiesi hanno un’occasione unica
per ridare dignità e fiducia a questo posto, che negli ultimi anni ha
perso presenze turistiche nell’ordine di oltre un milione.”
Via libera di fatto a
Fabbri (“oggi l’inesperienza è necessaria”) arriva anche dal candidato
del “Centrosinistra per Comacchio”, che sul Delta del Po evidentemente
non comprende il Pd ma solo Rifondazione, Sel e l’Idv. Fabio Cavallari,
trentadue anni, allenatore di pallavolo e “responsabile postvendita
estero per una multinazionale”, ha superato l’undici per cento dei
consensi al primo turno, arrivando di poco quarto dopo il neanche il 15%
di Antonio Di Munno e il suo Pdl in caduta libera (il sindaco uscente
di centrodestra, Paolo Carli, aveva preso quasi il 60% due anni fa).
Il terzo candidato “giovane” al primo turno, Alberto Lealini della
lista “Voce giovane per Comacchio”, ha sfiorato il dieci per cento dei
voti e si è classificato al quarto posto, davanti alla Lega Nord (poco
sopra il sei). Per qualche giorno è circolata la voce, poi smentita, di
un apparentamento suo con Fabbri e i grillini ma se si sommano i
consensi ottenuti dai “trepponti” della nuova Comacchio (Fabbri,
Cavallari e Lealini) si arriva al 43%.
Forse davvero “la Terza Repubblica nascerà da Comacchio”, come ha profetizzato
Grillo con usuale sobrietà all’ultimo, gettonatissimo, comizio in città
o semplicemente gli elettori stanno prendendo a schiaffoni i partiti
che hanno gestito la baracca fino ad ora. Di certo essere giovani e/o
fuori dai giochi sembra essere la carta vincente per aspirare a fare il
sindaco della piccola Venezia. E Grillo lo ha capito per primo. Staremo a vedere.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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18 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE: BUDRIO
“Piccolo motto conclusivo per i dirigenti nazionali del Pd: quando i
gatti han lo stesso colore scorazzano le volpi. E non son solo grilline.
Occhio ragazzi!” Mauro Zani, ex leader comunista (e per un po’ pure
post), chiudeva così la sua intervista a FrontPage.
È passato un anno e mezzo, sembra cambiato ancora una volta il mondo e
le volpi (solo) grilline scorrazzano nell’intera regione
all’inseguimento del Pd.
A parte Piacenza, dove la Seconda Repubblica tiene e centrosinistra e
centrodestra si misurano nella classica bipolar tenzone, a Parma,
Comacchio e Budrio Pd & soci (a formazioni variabili) se la devono
vedere con i candidati del Movimento 5 Stelle. Il centrodestra e la Lega
Nord, esclusi dai ballottaggi e prosciugati elettoralmente, si
attestano su una schizofrenia politica che fa propendere i caporioni
locali per Grillo, per l’astensione o (senza dichiararlo a chiare
lettere) per il centrosinistra.
“La piccola comunità di Budrio, con eroico coraggio e indomito
spirito patriottico, contribuiva alla lotta di Liberazione, dando
ospitalità e rifugio a gruppi di partigiani. Subiva una feroce e cieca
rappresaglia da parte delle truppe tedesche che trucidarono civili
inermi, tra cui donne e giovani adolescenti e incendiarono alcuni
edifici. Ammirevole esempio di spirito di sacrificio ed amor patrio.”
Budrio,
medaglia d’argento al valor civile, è un paese di quasi 18000 abitanti
in provincia di Bologna, sulla strada per il mare, le cui più antiche
vestigia risalgono ai temi dei romani. La cittadina sulla San Vitale è
celebre in tutto il mondo per l’ocarina, uno strumento musicale
inventato dal budriese Giuseppe Donati e il candidato sindaco del Pd,
Giulio Pierini, suona la sesta ocarina nell’Ocarina Ensemble Budrio.
Pierini lo conosco da dieci anni, da quando faceva il segretario
della Sinistra Giovanile (i giovani dei Ds) di Bologna e gli curavo le
campagne di comunicazione. Ora di anni ne ha quasi trentaquattro e dopo
aver fatto il responsabile comunicazione per il Pd bolognese e
l’assessore alla cultura e al bilancio di Budrio è stato scelto come
candidato unico a sindaco, senza primarie (“non c’erano sfidanti”).
Ha accettato di confrontarsi sui temi più spinosi della sua campagna
elettorale: centrali a biomasse di Mezzolara, centro commerciale e Imu
(il “super-Imu” di Budrio, secondo le gazzette locali). Contro le
centrali è sorto un comitato di cittadini capitanato dal magistrato Enzo
Roi e si è cementato il consenso della lista di Grillo il cui
candidato, Antonio Giacon, non ha risposto alla richiesta d’intervista
via e-mail né ai messaggi su Facebook.
Giulio Pierini, reduce da una campagna particolarmente dura (“con
attacchi personali gratuiti e offensivi”), ha accettato di raccontarsi
sulla chat di Facebook e quello che segue è il copia e incolla di com’è
andata.
Giulio Pierini, candidato sindaco di Budrio, ti aspettavi il ballottaggio?
“Eravamo sette candidati a sindaco; il ballottaggio poteva starci. Con
il M5S al 20% e la lista “Noi per Budrio” al 14% arrivare così vicini al
50% è stato un bel risultato. Ci poteva stare…”
La lista Noi per Budrio è frutto di una scissione del centrosinistra, o sbaglio? “Non è esattamente una scissione. È una lista politica
formata da cittadini ma soprattutto da ex amministratori, che negli
anni scorsi erano all’interno del centrosinistra.”
Quali sono le differenze fondamentali fra il centrosinistra,
diciamo così, storico, la lista Noi Budrio e il Movimento 5 Stelle?
Perché a occhio parte del 62% preso dal sindaco uscente, Castelli, è
andato lì…
“Con coloro che hanno formato la lista Noi per Budrio non ci siamo
trovati d’accordo sul giudizio sull’amministrazione uscente. Nonostante
ne abbiano fatto parte per dieci anni, hanno deciso di esprimere un
giudizio negativo sul Sindaco Castelli. Per noi questo era semplicemente
sbagliato. Con il Movimento 5 Stelle, invece, non abbiamo mai avuto
nessun confronto. Se escludiamo idee diverse sui temi dello spostamento
dello stabilimento Pizzoli, la nascita di un centro commerciale e la
strumentalizzazione delle biomasse a Mezzolara, il M5S ha un programma
in buona parte condivisibile e su molti punti già realizzato o in via di
realizzazione.”
Perché dici “strumentalizzazione delle biomasse a Mezzolara?” Io ho letto che sono contrari al progetto, ho visto il video dell’area
che dovrebbe ospitare il sito delle quattro (?) centrali e assistito a
progetti di questo genere, un po’ in tutta la regione… Qual è l’idea del
Pd e del suo candidato? Mi spiego meglio: a cosa serve? Chi ci
guadagna? Ci sono rischi per la salute? Cosa cambia per l’ambiente? Per
la Valle dei Benni?
Pierini: “Strumentalizzazione perché, se il progetto è ben fatto, i
comuni hanno pochissimi poteri in merito: è un impianto privato su area
privata autorizzato dalla Conferenza dei Servizi provinciale sulla base
di una legge nazionale. In Italia, tutti i ricorsi dei comuni e dei
comitati hanno avuto esito negativo. Il Comune di Budrio, con il dialogo
e il confronto serrato nel merito dei problemi, ha convinto il privato a
modificare il progetto: spostamento del sito in una zona lontana dal
centro abitato, riduzione dell’impianto a 2 MW; trasporto delle materie
prime fuori dei centri abitati; controllo continuo delle emissioni
prodotte da parte dei cittadini e degli enti preposti… Deve cambiare la
legislazione nazionale per ridare agli enti locali il potere di
individuare i siti e le modalità di alimentazione degli impianti, in
modo da premiare gli impianti piccoli che utilizzano scarti della
produzione agricola e zootecnica. Gli impianti a biomasse possono
rappresentare così un’integrazione al reddito degli agricoltori,
contribuendo a sviluppare fonti energetiche alternative, senza
sacrificare il paesaggio né la vocazione agricola del territorio, sennò
chi ci guadagna sono grandi investitori. Se ci sono rischi per la salute
gli enti preposti in Conferenza dei Servizi bloccano il progetto
rigettandolo. Sulla Valle Benni, poi, conviene sfatare un mito: l’area
umida non verrà intaccata per nulla e comunque anche quella è un’area
privata attualmente inaccessibile ai cittadini e utilizzata per la
caccia.”
Quindi se tu diventi sindaco e decidi che la campagna deve
rimanere campagna e che nessun mega-impianto dev’essere costruito, a
parte quelli piccoli di produzione del biogas, non hai il potere di
farlo?
Pierini: “Nessun sindaco ha il potere di farlo, se i progetti sono ben
fatti sulla base della legge nazionale e delle prescrizioni regionali.
In assenza di una vera autonomia dei comuni su questa materia, quello
che si può fare è una sorta di “moral suasion” che permetta di difendere il territorio e rispondere alle preoccupazioni di cittadini e agricoltori.”
Sono previsti sconti sulle bollette dell’energia per chi abita nei pressi della centrale?
“La legge non prevede compensazioni di questo tipo. Gli impianti a
biomasse in realtà producono una certa quantità di calore che in gran
parte viene dispersa: con il teleriscaldamento si potrebbe
riutilizzarlo, ma nel caso di Mezzolara è impossibile, con
l’allontanamento dell’impianto che anche il Comune ha chiesto.”
Ma perché il M5S è contrario al centro commerciale?
“Non hanno compreso che senza un investimento come quello di un centro
commerciale (che va poi a utilizzare una potenzialità prevista dal 1997)
l’azienda Pizzoli se ne sarebbe andata da Budrio in un’altra regione o
all’estero. In questo modo invece siamo riusciti ad avere la mole
adeguata di investimenti per realizzare la prima APEA (area produttiva
ecologicamente attrezzata) della provincia di Bologna. Perché nel 1997
gli amministratori decisero per un possibile centro commerciale? Io ero
minorenne, ma probabilmente già allora era chiaro che senza strutture
medio-grandi i budriesi facevano le loro spese in gran parte fuori dal
loro Comune.”
Ultima domanda, forse la più spinosa: il super-Imu di cui
parlano i giornali? A parte le ragioni di bilancio, quasi tutti i comuni
sono messi male dopo dieci anni di tagli e di aumento della spesa di
stato e regioni… Ma proprio adesso? A un mese dal voto?
“L’Imu è una tassa ingiusta, soprattutto sulla prima casa, ed è pesante
anche da spiegare e gestire in piena campagna elettorale. La cosa più
brutta, insieme all’esborso per i cittadini, è che non c’è ancora nulla
di chiaro e certo. I comuni hanno poca autonomia e sono praticamente
esattori dello Stato. Bisogna insistere per rendere l’Imu più equa e
meno pesante: servono ulteriori detrazioni prima casa per le famiglie a
basso reddito, agevolazioni alle persone in difficoltà (per esempio chi
ha perso il lavoro, anziani soli); riduzioni per i comodati gratuiti a
familiari e per la proprietà indivisa; aliquote più basse per le
imprese, per il commercio e per i terreni coltivati direttamente dai
proprietari.”
Vabbè, ma Budrio ha applicato quasi l’aliquota massima, sia
per terreni che per seconde case… e pure sulla prima casa ha picchiato
duro. O no?
“Assolutamente no. Innanzitutto non abbiamo ancora applicato niente
perché con le modifiche alla legge “Salva-Italia” bisogna rifare i
conti. Noi abbiamo trovato un equilibrio, in un quadro comunque pesante:
lo 0,48% per la prima casa (il massimo è 0,6) e lo 0,92 sulle seconde
(il massimo è 1,06) con riduzioni per artigianato e commercio allo 0,84 e
forti agevolazioni per i comodati gratuiti e la proprietà indivisa. Sui
terreni agricoli, quando abbiamo approvato la nostra variazione di
bilancio, non erano ancora possibili riduzioni specifiche, ma adesso
sulla modalità di conteggio in agricoltura cambierà tutto e confidiamo
in un alleggerimento del prelievo perché c’è il rischio concreto che
molte aziende agricole chiudano perché non possono pagare l’Imu.”
Meglio l’usato sicuro del buon vecchio Partitone, quindi… Perché, in una battuta? “Qui non c’è la Casta e non ci sono privilegi: gli
amministratori sono cittadini che si impegnano per il bene della loro
comunità. Continuiamo con le buone politiche dell’amministrazione
uscente, ma insieme a questo innoviamo e riformiamo profondamente il
welfare che oggi non regge più di fronte ai nuovi bisogni, investiamo in
politiche ambientali, energetiche e della mobilità sostenibile,
valorizziamo il nostro patrimonio di eccellenze produttive e culturali.”
(2 – continua)
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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15 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE
Dalle mie parti il Pd si chiama ancora Partito, con la “p”
maiuscola”. Al di là degli aspetti folk (tortellini e cappelletti fatti a
mano alle feste dell’Unità, volontari che distribuiscono il giornale al
mattino, ecc.), la presenza dell’organizzazione erede del più grande
partito comunista d’Occidente si fa sentire in pressoché tutti gli
ambiti della società e della vita biologica di chiunque ne faccia parte,
a qualunque livello.
L’intreccio fra Partito, Sindacato e Lega (che da queste parti
significa ancora Lega delle cooperative) è la cifra distintiva del
sistema emiliano, che nel corso degli anni ha definito comunità omogenee
sotto il profilo politico, economico e culturale. Per lavorare, fare
impresa, aprire una scuola di yoga o di tango argentino, farsi una
partita a tressette con gli amici, presentare la dichiarazione dei
redditi o farsi controllore i contributi per la pensione, andare a
ballare o a sentire un concerto rock, in una maniera o nell’altra
s’incoccia quasi sempre un qualche nipotino di Gramsci e Togliatti.
Quasi ogni paese, città, Provincia, oltre che la Regione, sono stati
governati per sessant’anni dalla stessa famiglia politica e dalle
filiazioni che da essa sono scaturite, al punto che quando queste
stagioni sono state interrotte bruscamente dalla vittoria degli “altri”
(Parma nel 1998 e Bologna nel 1999, i casi più celebri) sulle gazzette
locali (ma anche nazionali ed estere) si è gridato all’evento.
Intendiamoci: mediamente la qualità amministrativa è alta e gli asili
nido della regione, per citare un esempio noto, hanno fatto scuola in
tutto il mondo.
L’altra faccia della medaglia è l’aria da regime che, soprattutto in
provincia, tira più o meno forte a seconda dei personaggi che si trovano
al timone. Sarà banale dirlo ma la fine dell’ideologia, intese come
religione civile che tutto teneva (non solo la grinta per tirare la
pasta sfoglia dei tortellini o le ferie prese per fare volontariato allo
stand della pesca gigante, ma anche l’omertà pietosa rispetto ad abusi e
ruberie in nome del partito o del proprio conto corrente), ha fatto
tracimare sovente ambizioni e appetiti.
Se a parole si cantano le lodi del libero mercato e del partito
aperto e contendibile, nel profondo rosso padano si affilano i coltelli
per scannare chiunque si avvicini al bandolo della matassa di potere,
che tutto avvinghia. Il gap ideale e progettuale con un passato
in cui, altro che Facebook, nel bene e nel male si faceva notte in
sezione per determinare la “linea” fa il resto. Così la fedeltà è
reclamata non più sulla base di notti trascorsi a sputar fumo e
presentar mozioni, ma sempre più spesso sul terrore di non lavorare più o
di essere esclusi, in una maniera o nell’altra, dai giochi.
Far finta che l’Italia non sia, da sempre, una congrega di congreghe
(chiuse come ricci ad ogni minacciosa novità) è una della ribalderie più
ricorrenti degli osanna al libero mercato, che tutti i mali spazza via.
Ma c’è un momento in cui ogni congrega omogenea (pace sociale mixata
con omologazione e conformismo) va in crisi: quando non è più in grado
di assicurare benessere e qualità della vita (seppur minima) alla
maggior parte di chi ci vive e, magari, i suoi capitani non si stanno
dimostrando abbastanza coraggiosi.
In Emilia-Romagna, prima un po’ la Lega (Nord) poi Grillo hanno preso
a scavare come talpe sotto i piedi del consenso consolidato del
Partitone, apparentemente inossidabile. Ma mentre le sparate contro le
moschee o altre bizzarrie tipo la Romagna indipendente (“Nazione
Romagna” era lo slogan leghista, se non ricordo male) lasciano il tempo
(e i voti) che trovano, la guerra per la salute (effetto collaterale di
partite di business già chiuse in partenza) del Movimento a 5 Stelle comincia a pagare.
Acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo sono le cinque
stelle polari che orientano l’azione del movimento sul territorio,
mentre la democrazia diretta (assemblee pubbliche e forum online
al posto delle riunioni nelle sezioni di partito) è lo strumento di
partecipazione, sedicente rivoluzionario. Naturalmente il web già
pullula di leggende metropolitane circa lo stalinismo di Grillo e le mire occulte dei suoi spin doctor
di Casaleggio&Associati, veri registi occulti di tutta la baracca
(secondo l’inevitabile vulgata complottarda) e assertori di un nuovo ordine mondiale, vagamente orwelliano. Stiamo alla politica.
“Parma è una città indebitata, con un grave dissesto economico. Il
MoVimento 5 Stelle è un salto nell’ignoto, nel domani. Gli altri sono la
continuità con il passato, la certezza del suicidio assistito. Vincenzo Bernazzoli,
il candidato del Pdmenoelle è presidente della Provincia di Parma (ma
le Province non dovrebbero essere abolite?) in carica (così se perde
conserva il posto di lavoro) e sostenitore dell’inceneritore (che causa
neoplasie), ha spiegato che il futuro di Parma è nel maggiore
indebitamento bancario e che (nessuna paura) i suoi uomini sanno come
trattare con i banchieri.”
Oltre che con Federico Pizzarotti a Parma (amministrata dal centrodestra da quasi quindici anni), definita nello stesso post da Grillo “la nostra piccola Stalingrado”, il M5S è al ballottaggio a Budrio (in provincia di Bologna) con Antonio Giacon vs Giulio Pierini (Pd) e a Comacchio (in provincia di Ferrara) con Marco Fabbri vs Alessandro Pieroni
(centrosinistra allargato all’Udc). In tutti e tre i comuni della
Regione in cui si vota lo scontro è tra il Partitone e i nuovi barbari
di Grillo.
Da qui a domenica cercherò di raccontare le disfide elettorali, i
protagonisti e le ragioni del contendere. Proverò a tracciare piccoli
affreschi di paese in grado di sgombrare il campo dalla fuga nello
stereotipo che caratterizza il mainstream nostrano e di capirci qualcosa
nel piccolo terremoto in corso.
Per ora l’unico che ha accettato di parlare con tFP, il
candidato sindaco del Pd a Budrio, mi ha stupito lamentando una
strumentalizzazione “tutta nazionale” di un voto locale. E io che
pensavo che fossero proprio i temi locali il cavallo di battaglia delle
liste legate al brand Grillo. Spero che i candidati del M5S,
contattati su Facebook nei giorni scorsi, sappiano far luce su questo
piccolo mistero e sul resto. Diversamente dovrò affidarmi solo alla
ricerca e il racconto sarà inevitabilmente più sfuocato.
(1 – continua)
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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8 maggio 2012
È NATA UNA STALLA
Un’altra volta. A vent’anni di distanza, tutto si ripete nella
stessa, identica, maniera. Per filo e per segno, le elezioni hanno
scandito il penultimo atto del big bang dei partiti, nel ben
noto copione mediatizzato di mazzette, manette, assalto alla spesa
pubblica e alla moneta corrente (ma senza la lira da svalutare) unito
alla disperante incapacità di fare politica. Vent’anni passati a non
decidere che cosa l’Italia avrebbe dovuto essere e ora, dopo che anche
l’ultimo dei fessi li ha sgamati, tutti a gridare all’antipolitica dei
bruti che minacciano le virtù repubblicane.
Così, come nel 1994 è arrivato il marziano antipolitico magnate dei
media, adesso ce n’è un altro, che conosce quelli nuovi (di media). E sa
(e lo scrive da anni a chiare lettere) che per vincere le elezioni
contro quei morti di sonno da cui è circondato non servono congressi,
tessere o sezioni né rimborsi milionari, che i partiti si spartiscono
come gangster al saloon. Meglio usarli contro di loro,
adesso che la gente fa davvero fatica ad arrivare alla fine del mese e
che il bollettino dei suicidi per debiti se la gioca con quello dei
caduti sul lavoro. Adesso, la gente, ai soldi ci guarda proprio.
La chiamano antipolitica, col riflesso condizionato di chi considera tout court la politica una cosa sporca e prende poco l’autobus. Forse perché, semplicemente, non credono possibile un mondo in cui un consulente informatico
di una banca (che deve prendere le ferie per fare campagna elettorale)
possa realisticamente arrivare al ballottaggio per diventare sindaco di
una città come Parma. E non sono tanto i politici di professione (che si
difendono alla meno peggio) ma la pletora di opinionisti che, eterni
interpreti dell’arte del disincanto, adesso spalancano gli occhioni e
sparano a caratteri cubitali.
La notizia più scioccante di queste elezioni non è l’affermazione di
Grillo, su cui il solito Giuliano Ferrara contro tutti ha sentenziato, a
una smagliante Bianca Berlinguer: “è il vero sconfitto della giornata,
con questo clima mi aspettavo il 20/30 per cento”. La sorpresa vera è
stata la botta d’arresto subita da Casini, Fini & Co. Come alle
amministrative del 1993, al centro si è spalancata una voragine,
considerata la caduta libera del Pdl (con Berlusconi in gita da Putin,
per non saper né leggere né scrivere).
Il Pd dicono che tiene. A regola è il primo partito d’Italia (visto
che il Pdl è via di scioglimento) e, nonostante non riesca a esprimere
candidati nelle grandi città (a Genova è in testa Doria, indipendente, a
Palermo Orlando, Idv, contro Ferrandelli, ex Idv), in termini di lista,
appunto, tiene. Sarà per questo che D’Alema va predicando la fine delle
leadership populiste e di certo, passata (se passerà) la paura dei
ballottaggi, Bersani penserà (forse a ragione) di potersi giovare per un
po’ dell’effetto-Hollande (segretario pacioso, senza grilli per la
testa, vince le elezioni mettendoci la faccia).
Ma c’è un ma. Quel famoso effetto ’94 non c’è alcuna ragione per cui
non debba ripresentarsi, con le stimmate dei giorni nostri. Non è che
gli elettori del Pdl e della Lega (bombardata ma non del tutto
affondata, anche se in via di mutazione grillina) siano scomparsi coi
loro partiti. E se, putacaso, possono bastonare gli odiati post
comunisti, magari votando una giovane faccia pulita senza partito,
perché non dovrebbero farlo? Per paura dell’antipolitica?
Oltre a Parma, dove il candidato è al ballottaggio con quello del
centrosinistra (Pdl quarto, tipo) in Emilia-Romagna la cartina politica
diventa interessante, se letta in controluce. Il Movimento 5 Stelle va
al ballottaggio a Budrio (in provincia di Bologna, roccaforte Pd) e a Comacchio
(in provincia di Ferrara) con risultati sopra il 20 per cento.
Tendenzialmente in regione non scende mai sotto il dieci e sfonda quando
ci sono questioni in grado di dividere la cittadinanza, sul merito
delle proposte politiche (inceneritore, centrale a biomasse, storici
cavalli di battaglia).
Come nel 1993 oggi il centrosinistra tira a festeggiare, occhieggia
speranzosa a Parigi e teme Atene come la peste, mentre Grillo sta
organizzando l’opposizione nelle sue roccaforti (di voti, potere, spina
dorsale), sui contenuti che scaldano davvero il cuore dei suoi, famosi,
militanti di base come fa contro Lega e Pdl dalle loro parti (rivolta
fiscale, nisba cittadinanza agli immigrati nati in Italia). Quando poi i
suoi candidati si dimostrano intelligenti e preparati e i vecchi ras
del villaggio sono troppo bolliti per correre (e/o per piazzare rampolli
presentabili) rischia pure di vincere.
A occhio, a Bersani converrebbe davvero mandare tutti a spendere e
andare a votare con questa legge elettorale. Tra un anno forse è troppo
tardi (anche per l’effetto-Hollande). E a chi, quando sarà il momento,
venisse in mente (Ferrara l’ha già esplicitato prima su Rai Tre, con
evidente sadismo) di proporre qualcosa che assomiglia al governo di
unità nazionale (non c’è bisogno di dichiararlo esplicitamente in via
preventiva, dopo aver approvato una legge elettorale proporzionale, la
gente capisce) perché “c’è bisogno di senso di responsabilità”, si tenga
bene a mente la lezione di Avigliana.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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