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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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27 aprile 2012
FAR WEB
“Oh figurati… per me tutte le scuse sono buone pur di avere la
sensazione di cavalcare l’onda del futuro, qua è arrivato questo nuovo
assunto, si chiama Sparky, deve telefonare alla mamma se fa tardi a
cena, solo, pensa un po’… siamo noi i suoi apprendisti! Louis
si intrippa con ARPAnet, e ti giuro che è come l’acido, tutt’un altro
mondo, stranissimo… tempo, spazio, e tutta quella roba là…”.
Doc, detective hippy nella Los Angeles psichedelica di Vizio di Forma,
aiuta a mettere in prospettiva la portata rivoluzionaria dell’Internet
Era in cui siamo immersi sino al collo. Niente sarà mai come prima,
oltre a essere lo slogan di chissà quante campagne pubblicitarie, è il
corollario ai limiti della banalità che costella ogni riflessione
sull’argomento, dentro e fuori la Rete.
Di certo c’è solo un prima, mentre il dopo è avvolto da nebbie
futuristiche intrecciate con paranoie neo-millenaristiche e profezie cyber punk, che allignano nei sobborghi della cultura globale, e globalmente massificata, che dall’interattività “social”
trae la propria linfa vitale. Con le debite differenze (la rivoluzione
tecnologica non ha precedenti nella storia, forse bisogna arrivare alla
ruota perché Gutemberg alla fine era un prodotto di nicchia) si tratta
della narrazione inevitabile di un’era di passaggio fra due mondi. E,
quindi, di crisi.
Oltre ai cambiamenti “oggettivi”, infatti, sono i soggetti che stanno
cominciando a mutare pelle e anima, come se l’innovazione tecnologica
scrosciante producesse un sisma genetico analogo a quello degli X-Man. È
l’antropologia il campo di battaglia vero su cui si misurano le truppe
digitali e analogiche, e l’evoluzione (e conseguente selezione) della
specie la posta in palio.
La gente cambia, spesso senza rendersene conto e senza rendersi conto
della velocità con cui sta cambiando. Ma l’amico del fricchettone
protagonista del romanzo di Thomas Pynchon aveva già colpito nel segno: è
la percezione allargata di tempo, spazio e tutta quella roba là il
punto. Il tempo reale s’è incoronato sovrano assoluto, spodestando con
un sol colpo il passato (buono giusto per nostalgie feisbukabili o mode vintage) e il futuro. E basta un click su Google per bypassare qualunque limite geografico.
Gli effetti sulla politica e sull’informazione sono tanto traumatici
quanto, a volte, rasenti la comicità. Alle ultime elezioni in Francia,
stante il gap tra i primi exit polls (pronti alle 18) e la chiusura dei seggi (ore 20), è stata nominata una task force
di dieci (dieci!) persone per vigilare che in Rete venisse rispettato
il locale gioco del silenzio che, in una versione un po’ meno demenziale
che in Italia, impedisce a chiunque di parlare di sondaggi o previsioni
di voto (multe salate per chi contravviene, blogger inclusi).
Risultato: sono usciti in Belgio e in un amen ogni francese sapeva
tutto.
L’overdose quotidiana di informazioni e notizie che ti inseguono
letteralmente in ogni attimo dell’esistenza, con gli smart phone
l’effetto è più che psichedelico, rende la gente decisamente più
esigente e intraprendente. Sempre in Francia, sono state diffuse
in Rete diverse foto di donne che hanno scelto di usare il proprio
corpo come arma di seduzione politica o per convincere la gente ad
andare a votare o per fare propaganda a questo o a quel candidato. Pare
senza nulla in cambio, solo perché possono farlo.
L’adagio popolare secondo cui in Italia sono tutti commissari tecnici
della nazionale di calcio bene si attaglia alla politica, in tempi in
cui le decisioni dei politici possono cambiare radicalmente il tenore di
vita di una famiglia e di una comunità e/o il grado di libertà delle
persone. Di conseguenza suonano pateticamente urticanti le lacrime di
coccodrillo versate di
fronte ai sondaggi arrembanti che consacrano Grillo e il suo movimento
come il temibile asso pigliatutto della prossima tornata elettorale.
Non è una questione di moralità o mani pulite, che alla fine solo solo il package del
Movimento 5 Stelle, ma di efficacia e immediatezza. La generazione
politicante al potere (a corrente alternata, in ossequio al totem
bipolare) da vent’anni è bollita. È un dato di fatto e nemmeno loro
provano a smentire (al massimo, a domanda diretta, divagano). La Rete
(che Grillo ha capito, studiato e utilizzato per primo) è solo
un’accelerazione all’eutanasia inevitabile per chi si ostina a negare la
propria, evidente, necrosi progettuale.
Un po’ com’è accaduto in Tunisia, Egitto e Libia che peraltro distano
poche centinaia di miglia dalle italiche coste. Ma in tutto il mondo è
sempre e comunque un formidabile strumento di stress dal basso nei
confronti di gestisce la cosa pubblica (ergo i soldi delle tasse dei
cittadini, gli stessi che chiedono il conto, sempre più spesso e con
sempre più cognizione di causa). Internet, dunque, è davvero la prima
utopia libertaria dei fricchettoni anni ’60 ad essersi realizzata?
“Ti ricordi quando hanno messo fuori legge l’acido appena hanno
scoperto che era un canale verso qualcosa che non volevano farci vedere?
Perché dovrebbero comportarsi diversamente nei confronti
dell’informazione?” Pynchon mette in bocca a Doc la più ovvia delle
verità. Perché non hanno fermato Internet se era così pericoloso? La
risposta è: chi? Chi ha il potere di farlo, se non al riparo di
caduchi confini nazionali e sotto minaccia di torture e vessazioni? È
la solita storia della mela, della conoscenza che fa male e del Lucifero
tentatore. Che, stavolta, pare abbia in pugno la mano (e forse la
partita).
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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21 aprile 2012
CACCIA ALLA STREGA
 “Siamo arrivati a dover leggere in un dispaccio di agenzia «se la
‘nera’ non dovesse arretrare dalle sue posizioni…». La Nera è
naturalmente la vicepresidente del Senato Rosy Mauro, coinvolta nel
malaffare che sta travolgendo i vertici della Lega. E se dalla prosa
della cronaca transitiamo ai piani alti del giornalismo, ecco, con
rinnovata passione lombrosiana, corsivisti e grandi firme affondare la
penna non sul reato ma sul corpo, sfregiandolo (la badante, la strega,
la terrona, mamma Ebbe, la virago), fino a insistere sulle sue mani rosse e nodose, come tocco finale di un rogo intellettuale.”
Norma Rangeri sul manifesto inquadra alla perfezione i termini della questione. Il sacerdote pagano, officiante per conto del matriarcato guerriero
della Lega Nord, è stato azzoppato là dove non si può difendere senza
farsi da parte e il lesto salvatore della padana patria s’è fatto sotto.
Si può immaginare pure che, in un classico patto fra maschietti a suon
di puzza di sigaro da circolo della caccia, l’eterno delfino Maroni
abbia concesso clemenza alla family del Capo.
Infatti la direzione leghista, dopo la notte delle scope del
“pulizia! pulizia! pulizia!”, su Bossi jr. ha glissato, cavandosela con
un blando apprezzamento per il senso di responsabilità dimostrato
mollando la cadrega. Belsito, lombrosianamente colpevole per
definizione, andava cacciato di default, e sulla moglie del Bossi,
fondatrice della Lega e negromante in capo, tutti si sono ben guardati
da spiccicar parola.
Rimaneva lei, la goffa e trashissima vicepresidente del Senato dalle
“mani rosse e nodose”, pure terrona di Brindisi. Lei faceva parte della
famiglia solo in quanto “badante”, quindi Maroni & Co. hanno potuto
esigere lo scalpo. Il leghista “buono”, amico di Saviano e del club
dell’antimafia militante, è arrivato ad auspicare la nascita di un
sindacato padano vero, diretto da un padano vero. Un trionfo di
maschilismo e razzismo shakerati insieme, per lisciare il pelo alla
“base”.
“Quando si dice che stiamo assistendo a una Tangentopoli al cubo,
sappiamo che il contraccolpo non sarà un pranzo di gala. E dal lancio
delle monetine siamo passati alla lapidazione.” Probabilmente Maroni,
Tosi e tutta la simpatica compagnia di rinnovatori leghisti credono di
avere a che fare con una manica di rozzi dementi, a cui basta dare in
pasto la donnaccia del Sud e il tesoriere infingardo per potersi
rivendere una catarsi etica talmente rapida da far sorridere anche i più
gonzi.
Maroni ha chiesto e ottenuto il congresso a giugno, perché sa di non
avere rivali con Calderoli mezzo azzoppato dalle inchieste pure lui, ma
per i sondaggi la Lega è in caduta libera e l’ex ministro degli Interni
rischia di fare la fine dell’altro delfino eterno intelligente di
vent’anni fa. Colpisce che la nuova Tangentopoli cali come una mannaia
proprio durante il ventennale delle imprese di Di Pietro e Borrelli. Ma
siamo proprio lì. Con Bossi al posto di Craxi e Maroni-Martelli in fila
da una vita. Intorno a loro, i monatti del mainstream che giocano alla lotta nel fango. Come allora, ma chi è il nuovo Bossi?
“Ma quant’è furbo, da uno a dieci, Beppe Grillo che sta girando
l’Italia per spiegare che lo scandalo della Lega è una trama dei giudici
servi di Monti contro l’opposizione? «Tocca alla Lega, poi a Di Pietro e
quindi a noi!». Quant’è abile a urlare in piazza e su YouTube una tesi
innocentista e complottista a proposito delle porcate della family,
quando perfino Bossi ha dovuto scaricare il figlio e il Cerchio magico.
A corteggiare i leghisti spaesati dagli scandali con il no alla
cittadinanza per i figli d’immigrati, a costo di sfidare le ire dei
blogger, e il ritorno alla parole d’ordine dello sciopero fiscale contro
la corruzione politica.”
L’autorevole monito
ai coscienziosi lettori del giornale-partito di Largo Fochetti di
Curzio Maltese aiuta a mettere le cose nella giusta prospettiva. Il big bang
leghista suona come allarme rosso per tutti, inclusa la bolgia
d’indecisi a tutto del centrosinistra di palude. Nei sondaggi Grillo è
già il terzo partito, 7 per cento e passa, dopo Pd e Pdl poco sopra il
20. Bersani è già lì che ammonisce serio serio, mentre Vendola, che per
un po’ ci aveva pure creduto, dopo la tegola dell’inchiesta sulla nomina
del primario pugliese, ha ancora voglia di tuonare.
“Il rischio è che i voti della Lega vadano nel fiume sporco
dell’antipolitica perché o il centrosinistra sarà in grado di mettere al
centro della sua battaglia la questione sociale e quella morale nel
loro intreccio, oppure il rischio è che possa prevalere il peggio, come
nelle più brutte stagioni della nostra storia. Dopo la crisi dei partiti
nel ’92 è venuto fuori Berlusconi”. Ci vuole un bel coraggio.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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12 aprile 2012
GEMONOLOGHI
“Ma non mi fido della tua natura: troppo latte d’umana tenerezza ci
scorre, perché tu sappia seguire la via più breve. Brama d’esser grande
tu l’hai e l’ambizione non ti manca; ma ti manca purtroppo la perfidia
che a quella si dovrebbe accompagnare. Quello che brami tanto
ardentemente tu vorresti ottenerlo santamente: non sei disposto a
giocare di falso, eppur vorresti vincere col torto. [...] Ma affrettati a
tornare, ch’io possa riversarti nelle orecchie i demoni che ho dentro, e
con l’intrepidezza della lingua cacciar via a frustate ogni intralcio
tra te e quel cerchio d’oro onde il destino e un sovrumano aiuto ti
voglion, come sembra, incoronato.”
Lo sbuzzo della citazione del Macbeth, Atto I, scena V, si deve a Flavia Trupia
ed è perfetto per convalidare la vulgata corrente, il “lo sapevano
tutti” della settimana di passione leghista: la Lega Nord era un
matriarcato guerriero. A parte i quattrini pubblici che, secondo il
pullulare d’inchieste, spruzzavano dalle casse del partito come
champagne alle premiazioni delle gare di motociclette e alimentavano una
bulimia di lauree, macchinoni, body-guards e cornicioni d’accomodare,
era il potere il punto.
“Se tu vai sopra alla mansarda, c’è una brandina, ma non sto
scherzando, ci sono le foto. C’è una brandina di quelle che sembrano per
bambini, un comodino e una lampada. Per terra, piena piena, che prende
tutta la stanza, libri di magia nera. Cartomanzia. Astrologia. Tutti eh!
Ma ce ne saranno almeno un centinaio, tutti per terra, non su una
scrivania. Niente, lei vive lì, quando è in casa è lì, con quei libri.”
È Nadia Degrada, amazzone contabile del Carroccio, che intercettata dipinge la tragicommedia
del capo-feticcio usato come una bambola voodoo per far fuori i nemici
interni e inaugurare una dinastia familiare, nutrita dal suo carisma.
“Dopo Bossi, Bossi”. Questo, prima dello showdown pasquale, era
il mantra che serpeggiava tra i pretoriani del “cerchio magico” di
Manuela Marrone e Rosi Mauro, druide-cape e custodi del corpo del
capo-popolo della grande epopea padana, forgiata nel monolocale di sua
moglie.
Bossi è stato il sacerdote officiante di una liturgia, pagana e
popolare, che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone. Il
populista col dito medio sguainato, quello che “la Lega ce l’ha duro”,
s’è persino inventato una discendenza etnica, i Celti, per spiegare
antropologicamente la sua Padania, causa/missione fondata sul nulla.
L’ampolla del Dio Po, Pontida, eccetera sono stati solo interpretati,
dal Bossi, ma sono farina del sacco di qualcun altra. Qualcuna che legge
di magia e/o che non ha fatto altro che un bel copia/incolla, dalla new age neopagana al Dna di un partito senza identità.
“Ma intanto Bossi fu altro, è stato una chiave per la comprensione e
l’incanalamento di grandi e pericolose rabbie nordiste, ha flirtato con i
mostri del secolo, da Milosevic in giù, ha usato una lingua da trivio,
la sua gesticolazione corporale era la volgarità incarnata, ma mostro
non è mai stato. Se chi gli sputa addosso adesso, brutti maramaldi che
non sono altro, avesse fatto un centesimo di quello che ha fatto Bossi
per cercare soluzioni ai problemi veri italiani, avrebbe il diritto di
parlare. Chi ha il diritto di parlare?”
Giuliano Ferrara s’indigna
per l’elettroshock mediatico subito dal vecchio leader. Da garantista,
certo, ma soprattutto come testimone eccellente di una storia che si
ripete: Craxi capro espiatorio di un sistema in panne, Berlusconi
logorato da giudici e cortigiani e un Martelli-Alfano-Maroni sempre
pronto ad approfittarne a suon di appassionate omelie dedicate al capo
carismatico caduto in disgrazia e, contestualmente, affilando le lame in
vista dell’agognato affondo.
“Io penso che queste cose non capitino per caso a Pasqua. Quando ci
presenteremo davanti al Padreterno ci chiederà quante volte sei stato
capace di ripartire: questo vuol dire Pasqua, ripartenza.” Dal palco di “Orgoglio leghista”, day after
della crocifissione pasquale, Bossi ha chiesto scusa ai militanti per
suo figlio, ha tentato di giustificarsi un po’ (tra i fischi), ha
tuonato contro il solito complotto (ancora fischi) e si è arreso
all’avvento dell’eterno delfino in un cortocircuito retorico vagamente
psicanalitico: “Non è vero che Maroni è Macbeth”.
“La partitocrazia e Roma vogliono annientare la Lega perché la Lega è
l’unica risposta. È per questo che tenteranno ancora di dividerci… è
la storia della Lega, i tentativi che ci sono stati di dividerci, di
dividere la Lombardia dal Veneto, di spezzare quella magica operazione che fece Umberto Bossi nel 1991 creando la Lega Nord, la potentissima…”. E “basta con i cerchi”, però: secondo Maroni
la magia è di Bossi, non delle fattucchiere della soffitta di via
Gemonio. Per loro e per i loro accoliti sono pronte le epurazioni, roghi
rituali e staliniani di un partito-tribù che ha esordito sventolando il
cappio in Parlamento.
“Ce la faremo a risorgere? Certamente sì, ma non ci basta: noi
abbiamo un sogno nel cuore, quello di diventare alle prossime elezioni
politiche il primo partito della Padania… è il progetto egemonico di cui
ha sempre parlato Umberto Bossi. Possiamo farcela se facciamo quello
che ho detto: pulizia, nuove regole e unità. Senza polemiche fra di noi,
chi rompe le palle fuori dalle palle! È un sogno? Certo, è un bel
sogno. Il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei
propri sogni.”
La Lega è stato l’ultimo partito di massa all’antica, modellato sul
centralismo democratico del Pci e sulla democrazia progressiva di
togliattiana memoria, e il suo capo assoluto (come lo erano i segretari
del Pci) ha cominciato strimpellando canzoni alla chitarra con piglio
belmondiano, come il suo amico-nemico Berlusconi. Il tramonto della sua
avventura (mai termine fu più appropriato) coincide con quello
dell’altra B che ha dominato la scena politica negli ultimi vent’anni.
È un terremoto vero, per la destra, molto simile a quel fatidico 1992
in cui la magistratura e i media spazzarono via, nel disonore, i
partiti che avevano costruito la Repubblica dalle macerie. Occhetto e il
Pds, allora, tentarono di approfittarne con miope cinismo e infatti
arrivò Berlusconi, per vent’anni. La stessa latitanza politica di oggi
con il rischio che, stavolta, “l’uomo nuovo” non abbia neppure un
qualche conflitto d’interessi con cui tentare di ricattarlo. E che ci
seppellirà, sì, ma con grande onestà.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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4 aprile 2012
DROGARSI MENO, DROGARSI TUTTI
“Io oggi ho cambiato idea, nel senso che penso che dopo i
cinquant’anni dev’essere lecito fumare la marijuana…”. Un po’ come i
preti dell’Anno che verrà di Dalla che “potranno sposarsi ma
soltanto a una certa età”, per Giuliano Ferrara l’età giusta (e lecita)
per cominciare a farsi le canne è dai cinquanta in avanti. La battuta,
ennesimo siparietto di un interminabile duello con Pannella a Radio Radicale, ha il suo perché.
Forse per il conservatore Ferrara, che da studente comunista ha fatto
una tesi su Leo Strauss e si è trovato così avvantaggiato rispetto ai
neoconservatori arrembanti “che dovevano comprarlo su Internet perché in
libreria non si trovava” (rievoca durante la tenzone l’arbitro Bordin),
non sono i giovani che hanno bisogno di sedativi naturali, ma i vecchi.
E visto che è noto – alle persone di buon senso – che psicofarmaci e
alcol siano una consolazione anche peggiore, meglio le canne.
Sulla marijuana il dibattito si è riaperto dopo la pubblicazione, lo scorso anno, del rapporto della Global Commission on Drug Policy delle
Nazioni Unite. “La guerra mondiale alla droga ha fallito con devastanti
conseguenze per gli individui e le comunità di tutto il mondo. Le
politiche di criminalizzazione e le misure repressive – rivolte ai
produttori, ai trafficanti e ai consumatori – hanno chiaramente fallito
nello sradicarla. Le apparenti vittorie nell’eliminazione di una fonte
di traffico organizzato sono annullate quasi istantaneamente
dall’emergenza di altre fonti e trafficanti”.
Qualcuno potrà pensare di assistere all’esibizionismo post moderno di
una qualche bislacca adunata di fricchettoni lautamente stipendiati
dall’Onu: sbagliato. Ai lavori della Commissione hanno partecipato
alcuni tra i protagonisti della fallimentare politica proibizionista su
scala globale: l’ex presidente dell’Onu Kofi Annan, Ferdinando Cardoso,
George Schultz, George Papandreu, Paul Volcker, Mario Varga Llosa,
Branson.
Ora, secondo loro, bisogna “sostituire la criminalizzazione e la
punizione della gente che usa droga con l’offerta di trattamento
sanitario, incoraggiando la sperimentazione di modelli di legalizzazione
e rompere il tabù sul dibattito e sulla riforma”. Nientemeno. Un po’
come ha fatto, qui al bar senza birra,
Alfonso Papa nel suo coraggioso articolo sull’antiproibizionismo,
forgiato nei giorni della privazione della sua libertà per motivi
politico-giudiziari a me francamente incomprensibili.
“Mi sono rotto il cazzo che se vince la sinistra vince la droga e mai
che mi invitino a un festino. Mi sono rotto il cazzo del più grande
partito riformista d’Europa, dal facciamo quadrato nel grande centro,
dei girotondi, del partito dell’amore, del governo ombra…”.
Per fortuna che c’è Lo Stato Sociale, scoperto su FrontPage
come karma comanda (avevo appena finito di maledire i cinquantenni
quando questi maledetti giovani, usciti a mia insaputa dalla “mia” radio
bolognese, hanno fatto irruzione nella mia tardo-trentennale
quotidianità). Tocca ai ventenni come loro trovare le parole.
“Il Partito negli ultimi vent’anni è andato a puttane come il re, e
come il re ha iniziato ha sparare, e con il re tornerà sifilitico col
colpo sempre in canna per la gioia di ogni massaia drogata.” Anche per
le canne dev’essere la Cassazione o
un Alfonso Papa di passaggio, o il solito Pannella o Ferrara “ma
soltanto a una certa età” e non, mai, un cazzo di leader del Pd a
mettere nero su bianco che coltivare una pianta di marijuana “non mette
in pericolo il bene della salute pubblica o della sicurezza pubblica”.
Non più di un tavor o del nocino della nonna.
E in California, Svizzera o Israele dove con una ricetta del medico
ti danno la marijuana in farmacia, perché è noto che funziona per le
terapie contro il dolore, l’anoressia, le malattie neurodegenerative
come il Parkinson, l’epilessia? Dice, ma qui c’è la Chiesa, il Papa, la
Dc, le cavallette e allora ciccia, lasciamo stare: facciamo un bel
dibattito sulla legge elettorale. Sarà meglio maggioritaria o
proporzionale, o magari tutte e due? C’è da fare quadrato nel grande
centro, bisogna dirlo ai giovani.
“Abbiamo vinto la guerra e non era mica facile e già che avanzavano
cartucce siamo rimasti per vincere anche la pace, ma lei si è arresa a
tavolino e siccome che c’era il tavolino poi sono arrivate le bottiglie:
quelle le han portate gli amici del sindacato.”
Precari o disoccupati, eterni studenti senza pensione, condannati al
fancazzismo dal futuro nebuloso, senza famiglia se gay, in galera per
una canna. Su internet, all’estero, in campagna o con una canzone: la soluzione è la diserzione.
“E meno male che c’è la salute che se non ci fosse bisognerebbe
inventarla. D’altronde che c’è di più bello della vita e io l’ho vista
da struccata appena sveglia. Ma non perdere la speranza di andare in
vacanza senza mai lavorare… possibili code su raccordi stradali,
riunioni aziendali, fanculo, a cui non andare.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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