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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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24 novembre 2011
THE DARK SIDE OF THE WEB
 “Ciao, sono Rascatripas e questo mi è successo perché non ho capito
che non avrei dovuto postare cose sui social network”. Lo
“strimpellatore”, Rascatripas, è stato trovato senza testa e con le mani
legate dietro la schiena alla periferia di Nuevo Laredo, città
messicana al confine con il Texas. Sul corpo del blogger
trentacinquenne, che gestiva un sito che denuncia i cartelli della droga messicana, l’intimidazione di massa.
A partire dalla metà di settembre altri tre blogger sono stati uccisi dai narcos-killer riconducibili al cartello di Los Zetas. Una ragazza e un ragazzo sono stati appesi a un ponte mentre Maria Elisabeth Macìas, “La Nena del Laredo”
che moderava il sito insieme a Rascatripas, è stata sequestrata,
decapitata e il corpo è stato fatto trovare sotto la statua di
Cristoforo Colombo, a Nuevo Laredo, dove qualche giorno dopo hanno
trovato quello del suo socio.
I messaggi di rivendicazione sono stati tutti firmati con la “z” di
Los Zetas che fa tanto Zorro. Per non lasciare adito a dubbi, certo, ma
forse anche per ingaggiare una battaglia iconografica con quelli che
stanno tentando di metterli alla berlina, in Rete. Tra cui non potevano
mancare gli Anonymous che, dietro l’effigie altrettanto simbolica di Guy Fawkes (esondata dalla Rete alla realtà nelle piazze di tutto il mondo), hanno dichiarato guerra al narcotraffico lanciando la campagna #OpCartel.
A questo giro però il 5 novembre, data-simbolo per eccellenza
(anniversario dell’arresto di Guy Fawkes sotto la Camera dei Lords, con
la miccia in mano) e giorno delle annunciate rivelazioni sul cartello e
sui suoi fiancheggiatori, non è successo niente. L’attivista di Anonymous sequestrato
da Los Zetas il mese prima era stato liberato e la minaccia di
ammazzare dieci persone della sua famiglia per ogni nome di
narcotrafficante o fiancheggiatore svelato è risultata convincente.
Anonymous, dopo aver passato l’ultimo anno e passa a buttar giù come birilli i siti di corporation, Stati e polizie, aveva cominciato la sua campagna di repulisti della Darknet
(omicidi su commissione, droga, armi, pedofili) col vento in poppa.
“Siamo qui per proteggere gli innocenti. Attenti, pedofili”. Una
quarantina di siti di pornografia infantile sono stati oscurati e
centonovanta indirizzi IP di presunti pedofili sbattuti in chiaro, nella
gogna telematica chiamata #OpDarknet. Poi i giustizieri della Rete oscura hanno alzato troppo la posta.
Cia, Mossad, diaboliche corporation, dittatori sanguinari e malvagi pedofili da una parte, romantici combattenti per la libertà dall’altra: gli Anonymous
erano gli eroi digitali senza macchia e senza paura. Nell’attuale
deriva dei continenti, epoca in cui la percezione d’impotenza delle
strutture del passato (Stati, monete, mercati) si salda alla sfiducia
più assoluta nei confronti del loro futuro, le azioni degli Anonymous hanno avuto sinora ragione dei blabla inconcludenti dei loro detrattori.
Disgraziatamente per loro, però, in ultima istanza aveva ragione Tibor Fischer e “avere in mano una pistola è come essere dalla parte giusta in un dialogo socratico”. Anonymous dunque
ha perso per abbandono la partita contro Los Zetas (e forse, si spera,
qualcuno ci ha guadagnato la pelle). Ci si dovrebbe guardare dal
dichiarare le guerre che non si possono vincere, specialmente se si ha
fama di Batman e il proprio film preferito si chiama V per Vendetta. Chi la scampa (la vendetta) ha vinto due volte.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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15 novembre 2011
MONTI PARTY
“Noi siamo tornati ad essere una house divided, una casa
divisa al suo interno, come l’America ferita dalla schiavitù nel Sud e
dall’abolizionismo nel Nord, come la Francia legittimista di Vichy e
quella libera di De Gaulle. Mai gli americani, i britannici e altre
nazioni civili sospenderebbero la regola della democrazia per
fronteggiare i mercati. L’Italia con il governo Monti, che nasce dalle
ottime intenzioni e dai riflessi condizionati di Napolitano, e dal getto
della spugna di Berlusconi (umanamente comprensibile, politicamente
dolorosissimo), si condanna a una condizione paurosa di minorità
costituzionale, una democrazia in braccio agli ottimati.”
Il Ferrara indignato ha
tutte le ragioni per esserlo. Le stesse di Ferrero, dei ragazzi di
Occupy Wall Street e delle “casalinghe inquiete” del Tea Party, come lui
stesso si premura di puntualizzare nell’editoriale quotidiano a suon di citazioni di Paul Krugman (babau liberal
sino a pochi mesi fa e teorico del fallimento della Bce oggi). La
plutocrazia ha commissariato la democrazia, il complotto s’è avverato,
Casa Pound e gli anarchici avrebbero tutte le ragioni per manifestare
insieme.
Bisogna chiedersi, a questo punto, se c’era un’alternativa. Ferrara,
Ferrero, Sallusti, Feltri, Santanché, insieme a Susanna Camusso, hanno
chiesto fino all’ultimo le elezioni per difendere la sovranità popolare e
il bipolarismo. Non è però che siano mancate le occasioni, alla
sovranità bipolare, per tentare di combinare qualcosa, ma per
diciassette anni la politica è stata al cinema a vedere lo stesso film.
A parte annunci e mezze riforme (sempre grandi in conferenza stampa)
tutti i tentativi di correggere i noti vizi della ditta-Italia – spesa
pubblica fuori controllo, parassitismi pullulanti, baronie voraci e
inefficienti, ignavia tecnologica – sono sempre naufragati miseramente.
Prima che i poteri forti la commissariassero, l’Italia era comunque
ostaggio di micro-poteri che l’hanno spolpata e condannata alla
paralisi.
Qualche anno fa, a Bologna, al bar “il Gatto & la Volpe” (il mio salotto radical-chic
di riferimento), si parlava del neo-commissario della città, la pugnace
signora Cancellieri (data per papabile come nuovo ministro). Un
vecchietto, ex vigilante all’annuale Festa dell’Unità
provinciale, a un certo punto mi ha apostrofato così: “E tota c’la zant
là, consiglieri, assessori e compagnia cantante, i van tot a cà?… A’m
piès la Cancellieri!”
Prima ancora di alzare un pollice, il Monti non-politico è già il salvatore della patria.
Ora verrà restituito lo scettro, gli elettori avranno ancora qualche
decisione da prendere oppure se l’Italia sarà del tutto una provincia.
Io spero nella seconda ipotesi: lo spazio politico è quello europeo e in
quella dimensione va ritarata una qualche forma di autogoverno (non
solo formalmente) democratico.
L’elezione diretta del presidente degli Stati Uniti d’Europa è solo
la proposta più notiziabile, ma nell’epoca della rivoluzione tecnologica
forse bastano i cittadini. Claudia Bettiol, ingegnere ambientale e
mamma, si è inventata un manifesto per promuovere la costituzione di un’authority europea
che s’intesti i beni culturali del continente, anziché svenderli per
pagare i debiti. A partire dal Partenone. Migliaia di cittadini degli
Stati membri stanno traducendo la proposta e raccolgono le firme.
È chiaro anche ai sassi che a suon di stangate forse si risanano i
bilanci ma di certo si diventa poveri e che l’Europa della Bce, dei
burocrati di Bruxelles e degli aiuti all’agricoltura ha fatto il suo
tempo. L’euro stesso paga la sua intrinseca debolezza, senza un prestatore di ultima istanza ma
con ventisette politiche economiche sul collo. La cosiddetta
speculazione non può che andarci a nozze e sarà sempre così, specie in
tempi di vacche magre. Per cui, è proprio il caso di dirlo, o si fa
l’Europa o si muore.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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9 novembre 2011
DO SOMETHING
 In tempi in cui l’Italia rischia l’11 novembre dei
conti pubblici a causa dell’impotenza dei suoi timonieri, l’azione in
quanto tale assume connotati rivoluzionari. A guardarci bene il rovescio
di popolarità del premier, sia tra gli elettori che sui mercati
finanziari (oltre che tra le élites cosmopolite che lobbeggiano
sull’economia globale, ma questa non è una novità), è dovuto proprio a
questa percezione d’impotenza. Che per “l’uomo del fare” significa la
pietra tombale sul suo carisma.
Così sono saltato sulla sedia quando ho aperto il sito del Corriere e mi sono imbattuto nell’azione di Giuliano Melani, che ha speso oltre ventimila euro per comprarsi una pagina del Corriere
con un accorato (e molto ben scritto) appello agli italiani perché si
comprino il debito, prendendo esempio dai giapponesi (il doppio del
nostro e tutto in casa). “Io non sono Diego Della Valle, ma voglio
essere uno dei portatori sani della soluzione. Questo appello mi è
costato un botto, per favore non fatene carta da macero!”
“Sono circa 4.500 euro a testa: lo so che le medie ci fanno fessi ma
state sicuri che molte persone dispongono di queste cifre”. Melani non
ha fatto il vago, ma si è messo a fare i conti in tasca agli italiani
entrando nel merito dell’investimento. “Vi giuro che ci conviene, negli
ultimi due anni sono state poste in essere manovre per 200 miliardi,
sono andati tutti perduti perché nel frattempo sono saliti i tassi
d’interesse sul debito”. Impeccabile, e subito ipercitato da politici e
banchieri. Sicché mi son detto: pensa se l’avesse detto Bersani a Piazza
San Giovanni.
Invece la ditta, in compagnia dei soci di Vasto, era impegnata
nell’operazione antipatia contro Renzi, uno che sgomita quando i giovani
dovrebbero stare a cuccia e aspettare il proprio turno. Mettersi a
disposizione. Troppo decisionista/protagonista questo Renzi, sembra
Craxi o Berlusconi (ci è pure andato a cena, l’infingardo) a sentire gli
umori della base del Pd, prontamente riportati dai segugi di Repubblica. Il Fatto l’ha paragonato al Duce, per non sapere né leggere né scrivere. Per la Bindi è un provocatore.
Secondo Bersani
alla manifestazione del Pd “c’è stato solo un battibecco. È stata una
cosa spiacevole. Ma vorrei ricordare che Renzi è uno del Pd e io sono
anche il suo segretario.” E poi, naturalmente, bisogna pensare
all’Italia, non ai destini personali, che non coincidono mai con le
ambizioni di chi sta fuori dal cerchio magico. Poi arriva la rasoiata di
Prodi: “Bersani è una persona eccellente, di grandi capacità, posso
dirlo, è stato un mio ministro, ma non riesce a “uscire”… Non è
confortante leggere che, con quel che succede, nei sondaggi il Pd non
riesce a crescere come ci si aspetterebbe”.
Certo l’inazione snervante e inutilmente parolaia del centrosinistra,
quella sinistra sensazione di “indecisi a tutto” che con il governo
dell’Unione aveva rapidamente raggelato ogni speranza di cambiamento
dell’elettorato, contribuisce non poco ai crucci del Professore. Anche
Prodi non fa il vago e presenta il conto al “manico” della ditta, con
tutta la crudele cortesia di cui un bolognese (acquisito) è capace.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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7 novembre 2011
OCCUPY HALLOWEEN
 C’è una consolidata tradizione di tentativo di occupazione del Samhain.
La festa di fine raccolto, l’inizio dell’inverno per gli antichi Celti,
è stata importata negli Stati Uniti dai coloni europei che tentavano di
portarsi dietro gli antichi dèi e i riti della loro Europa ancestrale.
Poi, insieme a Babbo Natale (made in Coke), il sogno americano ha rispedito al mittente la festa infiocchettata di pop, seppur nella sua sfumatura più dark.
Sempre più persone, festeggiando Dracula e Scary Movie,
rendono onore agli antichi dèi del lungo autunno pagano e alla loro
mitografia. È comprensibile quindi che alla chiesa cattolica girino le
palle e che le invettive dei suoi rappresentanti più sanguigni assumano a
ogni Halloween i toni trucemente grotteschi della crociata a mezzo
stampa. Negli ultimi anni, come da copione, i contenuti delle prediche
si sono concentrati sul carattere relativista dei festeggiamenti, che annacqua il valore religioso con frizzi e lazzi.
È buffo che sia proprio la chiesa cattolica a denunciare il furto di
fede (frizzi e lazzi contro autentica preghiera), quando la data di ogni
sua festa (a partire dal Natale) è stata minuziosamente tarata in modo
da coprire quella che c’era prima (in onore degli antichi dèi, appunto),
ereditandone fede e abitudine. La denuncia del carattere oziosamente
consumistico di Halloween, in Italia trova nell’elettorato ex-Pci il suo
alleato naturale, dando al termine “cattocomunista” un altro giorno di
splendore.
Quest’anno però l’occupazione più riuscita è venuta da chi, l’occupazione, l’ha fatta diventare il fenomeno politico più cool
del 2011. Le annuali parate di Halloween sono state occupate
mediaticamente dai cartelli di protesta contro la dittatura finanziaria
globale che hanno fatto il giro della Rete in poche ore. Secondo i
sondaggi, d’altronde, per i campeggiatori anti-sistema di Occupy Wall Street, la sezione Usa più celebre degli indignados, simpatizzano i due terzi dell’intero elettorato americano.
“A confermare la popolarità mondiale di Occupy Wall Street,
le agenzie turistiche ormai hanno inserito Zuccotti Park nei giri
organizzati dei torpedoni, alla pari con l’Empire State Building e Times
Square. I manifestanti hanno dovuto mettere dei cartelli “I turisti per
favore si fermino qui” per evitare che il via vai dei gruppi, insieme
con quello delle troupe televisive, finisse per invadere la privacy di chi dorme in sacco a pelo sotto le tende.”
E mentre a Zuccotti Park va in scena la parata delle star politically correct (and very glamour), in Ucraina s’indignano
pensionati e reduci della Caporetto afghana dell’Armata Rossa, in Cile
si ribellano gli studenti e la primavera araba, la miccia, si fa autunno
e consegna la Tunisia alla democrazia islamica (la gente vota un po’
chi gli pare, bisogna farsene una ragione).
“Le immagini si sovrappongono alla homepage, disturbando la lettura. C’è Batman che cerca un lavoro (Lost my job, found an occupation), uno dei protagonisti dei film di Austin Power, Mini-Me, che chiede soldi, un robot che ricorda il potere popolare del «Movimento 99%» (1% rich, 99% poor), un dinosauro che regge un cartello con la scritta «People, not profits» e un’infinità di altre figure prese in prestito dalla politica o dal cinema.”
Occupazioni e sit-in sono sbarcati anche in Rete, con soluzioni molto creative, sui siti di banche e finanziarie brutte e cattive, prima, e con un contest di
quattro giorni per creare icone di manifestanti da mettere a
disposizione di chiunque, in qualunque parte del mondo, per azioni
online. Tutto questo fermento, nell’epoca in cui con una app si calcola l’esatto numero di “schiavi” che mantengono il nostro stile di vita, di certo è un sollievo per il business della comunicazione che ha modo così di testare nuovi talenti. Gratis.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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