19 maggio 2011
LA MARCHESA DEL GRILLO
Se fosse venuta la tentazione di considerare quella di Bologna una
mezza vittoria per il Pd, un 50,41% che impallidisce non solo davanti
all’impresa di Pisapia a Milano e al colpo di teatro napoletano di De
Magistris, ma pure di fronte al successo di Fassino a Torino, basti
ricordare che due anni fa a Delbono occorse il secondo turno prima di
piegare Cazzola. E che nel 1999, prima della parata trionfale del commissario del popolo
Sergio Gaetano Cofferati, a salutare l’ingresso di Guazzaloca a Palazzo
D’Accursio come primo e ultimo sindaco di centrodestra c’erano le
bandiere di Ordine Nuovo e diversi gentiluomini con la testa rasata e il
braccio teso.
Il centrosinistra bolognese è stato capace, in mezzo secolo e
passa di governo della città, di mettere in piedi un sistema economico,
produttivo e di potere che ha garantito una qualità della vita, dei
servizi e delle tutele che per lunghi anni ha reso la vecchia signora dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano ed il culo sui colli, come l’ha cantata Guccini, una fra le mete più ambite per studiare, lavorare, metter su famiglia, giocare ai bissanot (in dialetto, letteralmente, “mastica-notte”). Ora il modello mostra la corda.
Le cause prime non sono imputabili alla politica. Globalizzazione dei
gusti e dei problemi, omogeneizzazione tecnologica e culturale,
invecchiamento della popolazione e conseguente gap di
comunicazione con la popolazione studentesca (vera e propria città nella
città), affitti e costo della vita alle stelle hanno congiurato per
trasformare Bologna in una cittadina medioevale fra le tante. Tutta la
mistica che ne ha accompagnato l’immagine, quindi (grassa, tollerante,
solidale, godereccia, ecc.), ha iniziato a sgretolarsi innanzitutto fra i
bolognesi stessi, che hanno cominciato a non crederci più.
Le responsabilità della classe dirigente iniziano qui. L’avere
giocato di rimessa, senza prendere di petto il cambiamento (o declino a
sentire i pessimisti) che avveniva sotto gli occhi dei bolognesi (che
ne parlano fra loro, nei bar e nelle osterie, da vent’anni), si è
trasformato in una sorta di silente complicità. Il cambiamento, si sa, o
lo si governa o lo si subisce e il centrosinistra bolognese ha optato
per la seconda strada, arroccandosi in un autoesilio politico-culturale
fatto di faide continue, personalismi, navigazione a vista che ha
finito per far smarrire il senso del progetto, quell’impostazione
felicemente sovietica (pianificazione) che aveva permesso a Dozza,
Fanti e Zangheri di fare Bologna.
Il Movimento 5 Stelle è stata l’unica forza politica capace
d’interpretare questo sentimento/sensazione di disillusione/disincanto,
diffuso tra i bolognesi ben al di là delle percentuali ottenute dalla
lista di Grillo, e di formulare un’offerta politica conseguente e
vincente. Significativamente i maggiori successi, in Italia, il hanno
ottenuti laddove il centrosinistra è figlio di un passato glorioso,
ininterrottamente al potere da decenni, ma appare fiacco perché privo di
strategia e/o di leadership carismatiche: Bologna, Rimini e Ravenna (tutti e tre tra il 9 e l’11%).
Una sorta di Lega di sinistra, o forse la versione italiana del
successo delle liste ecologiste in tutta Europa (uno dei loro punti di
forza progettuale è quello), una nuova opposizione che si annuncia
sempre più ingombrante e decisiva in vista dei ballottaggi e dei
prossimi appuntamenti elettorali. La sensazione, per quanto riguarda il
centrosinistra, è che l’appeal della sua proposta è
inversamente proporzionale a quello del candidato grilino (come a
Milano). Non a caso Grillo, a Bologna, ha dato del busone (gay in italo-bolognese) a Vendola: si sta già mettendo avanti col lavoro.
"Bologna" di Francesco Guccini è qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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