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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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23 febbraio 2011
TECNOBRIGATE
 “Alcuni sono insegnanti, impiegati,
studenti, ingegneri, dottori (per darti un’idea). Quindi, penso che non
siamo stati capiti. Noi non siamo reietti della società. Noi siamo te e
tu sei noi. Siamo uniti, uniti per i nostri scopi comuni, ma non so… se
siamo le nuove Nazioni Unite. Ma mi piace come suona, e sono certo che a
molti piacerebbe questo titolo. Ma non siamo…”. È il Corriere
che s’incarica di offrire una strepitosa tribuna a “uno degli attivisti
internet” di Anonymous, il gruppo diventato celebre per gli attacchi ai
siti di Visa, Mastercard e PayPal in difesa di WikiLeaks e,
recentemente, a quello del governo italiano ritenuto “una minaccia alla
libera espressione”.
“Anonymous combatte per la libertà. Vediamo
l’oppressione dei popoli come un attacco contro i diritti umani e la
loro libertà. Perciò combattiamo per tutti loro. Non importa se si
tratta di Wikileaks, l’Egitto, l’Iran, l’Algeria, eccetera. Siamo qui
per difendere i diritti umani e la libertà di parola in tutto il mondo.
Perché Anonymous non ha radici solo in un Paese, ma veniamo da tutto il
mondo e combattiamo per una causa comune.” Qualunque nodo della rete può
proporre un obiettivo al resto del gruppo, disseminato ai quattro
angoli del pianeta. Se la causa viene adottata tutti gli attivisti, come
l’intervistato @Anony_Ops, si muoveranno insieme per colpire il bersaglio, indipendentemente dalle opinioni “perché lavoriamo per il popolo.”
Dopo OpItaly, l’anonimo attivista di
Anonymous ha recensito OpIran. “Vogliamo mostrare agli iraniani che la
gente all’estero si preoccupa per loro e condivide i loro sentimenti.
Attaccando i siti del governo iraniano, stiamo protestando al fianco dei
nostri fratelli e sorelle iraniani.” E quando Viviana Mazzi, che ha
realizzato l’intervista sul Corriere via Twitter, gli ha
chiesto se la Rete non gli va un po’ stretta risponde che “sì,
personalmente sento che quello che sto facendo non è abbastanza e che
devo scendere in strada con altre persone per mettere in atto una vera
protesta, ma penso che non sia molto pratico andare ovunque queste
proteste stiano avvenendo.”
Anno di grazia 2011 (meno di ventidue mesi
all’apocalisse Maya): un pugno di anarchici smanettoni tiene in scacco a
mesi alterni le cancellerie del media-mainstream
internazionale (che anzi li vezzeggiano come vere rock star), seminando
il panico fra legioni di dignitari con la piuma sul cappello. Intanto la
polveriera del Medio Oriente sta saltando per aria davvero e il Maghreb
è in fiamme al grido di “libertà” e nel vuoto politico, tra il muto
terrore dell’Occidente. Orde di disperati si apprestano a varcare i
sacri bastioni di Lepanto come l’incubo realizzato di ogni Borghezio
d’Europa, a sentire gli apocalittici sermoni di tutti i Borghezio
d’Italia.
A leggere l’intervista all’anonimo attivista internet mi è venuto in mente Per chi suona la campana e le Brigate Internazionali,
attivisti di mezzo mondo che misero sul piatto la pelle per salvare la
democrazia spagnola dal colpo di Stato fascista del generale Franco.
Senza neppure l’aiuto di Facebook.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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9 febbraio 2011
CACCIA AL PREMIER
“La situazione politica ed economica
italiana è diventata insostenibile. Troppi sono stati i soprusi
perpetrati dall’intera classe politica agli italiani che hanno visto un
progressivo e costante degrado dei diritti e della loro dignità”.
Anonymous, gruppo hacker giunto agli onori delle cronache per alcune
azioni pro WikiLeaks, ha lanciato
per domenica scorsa alle ore 15 l’Operazione Italia, un attacco Ddos
(Distributed denial of service), cioè un massiccio invio di finte
richieste ai server con lo scopo di bloccare l’accesso al sito del
governo.
La polizia postale si è affrettata a far
sapere che tutto era sotto controllo, che nessun dato sensibile è stato
rubato dai server anche se ha ammesso che questo genere di attacchi è
difficile da fermare in tempi brevi. Infatti il sito
è stato a tratti irraggiungibile, oppure talmente lento da rendere la
navigazione quasi impossibile per tutto il pomeriggio. Come previsto da
un attacco Ddos, che non mira a sottrarre nessun file o documento ma
solo a bloccare il sito colpito per mettere il proprio messaggio al
centro del dibattito.
Vista la quantità di agenzie e articoli
usciti su tema, che riportavano fedelmente la preoccupazione di
Anonymous per l’Italia democrazia a rischio, si può dire che l’obiettivo
è stato raggiunto. In più sulla home del governo è comparsa a più
riprese una frase beffardamente imposta (in gergo defacement,
seconda azione riuscita): “Se il documento che state cercando è
precedente all’8 maggio 2008 vi invitiamo a cercarlo nell’area “Siti
archeologici” di Governo.it”.
Nelle stesse ore si consumava la
scampagnata a villa San Martino. ”Come cittadini Viola ci dissociamo
dall’iniziativa di una decina di facinorosi che hanno tentato di formare
un corteo non autorizzato. Durante tutta la manifestazione la Rete
Viola e il Popolo Viola di Milano hanno chiesto di mantenere la
mobilitazione allegra, pacifica e colorata, seguendo lo spirito
nonviolento dei Viola”. Il puntuale comunicato serale del portavoce
Gianfranco Mascia non cancella certo le immagini della giornata.
L’ennesimo girotondo antiberlusconiano è
degenerato nella caccia all’uomo, alla sua casa, alla sua domenica. Dopo
tanto tam tam su Facebook e indignazione digitale la villa del satrapo,
con tutta la sua immorale opulenza, dev’essere sembrata troppo vicina
per non farci un salto. Com’è possibile stupirsene, in buona fede, dopo?
Il pomeriggio prima era andata in scena la
versione vip del girotondo, con il solito convegno di intellettuali-star
contro il cattivo da fumetto al governo. Repubblica.it è arrivata a
vendere la battuta (un po’ goffa) di Umberto Eco su Berlusconi che “in comune con Mubarak
non ha solo la nipote ma anche il vizio di non dimettersi” come
stilettata ironica figlia di cotanto acume intellettuale (mentre la
creatività antiberlusconiana sta tutta da un’altra parte).
Invece che per la cazzata pericolosa che è: paragonare uno che magari è
un tipaccio ma ha vinto le elezioni tre volte a Mubarak, di questi
tempi, significa giocare all’Egitto con il culo degli altri (di solito
gente con il culo meno caldo di quello di Eco).
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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21 dicembre 2010
NEMICO DELL'ANNO

“Sono due facce della stessa medaglia,
entrambi esprimono un desiderio di trasparenza. Ma mentre WikiLeaks
attacca le grandi istituzioni attraverso una trasparenza involontaria
con l’obiettivo di depotenziarle, Facebook dà la possibilità agli
individui di condividere volontariamente informazione. Con l’idea di
dare loro più potere.” È stato Richard Stengel, direttore di Time,
a spiegare perché è la faccia di Mark Zuckerberg, miliardario imberbe
fondatore di Facebook, a campeggiare in copertina come ”Person of the
year 2010”. Nel sondaggio online promosso dalla prestigiosa testata
statunitense i lettori avevano votato in massa per Julian Assange (che
ha staccato Lady Gaga).
Nonostante l’esibita tecnofilia del Time
si tratta del secondo ribaltamento del giudizio digitale nel giro di
pochi anni. “La persona dell’anno 2006 sei tu. Sì tu. Tu controlli l’età
dell’informazione. Benvenuto nel tuo mondo”. Peccato che i controllori
dell’età dell’informazione, i lettori 2.0, forse meno creativamente
della direzione avessero indicato
a grande maggioranza il presidente della Repubblica bolivariana del
Venezuela Hugo Chàvez, che poche settimane prima alle Nazioni Unite
aveva scagliato l’ennesimo anatema contro il neoliberismo e gli Usa.
“È impressionante leggere come nel giugno
2009 l’ambasciatore statunitense in Honduras considerasse “totalmente
illegittimo” in privato il golpe che in pubblico difendeva a spada
tratta. Colpisce leggere che si chieda un rapporto sulla salute mentale
di un presidente, quella argentina, colpevole di resistere a lusinghe
lobbistiche.” Il blog Giornalismo partecipativo informa circa lo stato di avanzamento della pubblicazione dei cabli sull’America Latina integrazionista di cui Chàvez, bestia nera di Washington, è stato il frontman più plateale.
Chàvez e Assange, nemici degli Usa, hanno vinto online tra i lettori del Time ma sono stati esclusi dalla sua prestigiosa copertina che in altri tempi aveva incoronato
Hitler (1938), Stalin (1939) e Khomeini (1979). Le rivelazioni del
cable-gate di WikiLeaks, oltre al gossip diplomatico a uso e consumo
della politica interna dei vari stati coinvolti (l’ultimo,
in Italia, riguarda il presunto insabbiamento del caso-Calipari da
parte del precedente governo Berlusconi), stanno mettendo
definitivamente in chiaro il prezzo della ragion di Stato, in America
Latina e non solo.
E mentre Hitler, Stalin e Khomeini sono
veri e propri cattivi da fumetto, nemici conclamati dell’Occidente
tutto, l’etichetta di terrorista appiccicata in fretta e furia al
fondatore di WikiLeaks non tiene “perché il terrore, casomai, è solo
nelle diplomazie”, come ha commentato John Doe su FrontPage. La gente normale, anzi, ha a disposizione un gioco per contribuire all’intera catalogazione
dei cabli, dopo le prime anticipazioni diffuse dai media. Assange è un
tarlo tutto interno all’Occidente, il contrappasso mediatico dei suoi
valori, e il trailer del suo futuro prossimo. Roba che scotta.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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30 novembre 2010
È LA RETE, BELLEZZA
“È altissimo il costo delle utopie regressive, quei ghirigori
tracciati sull’ordito della storia umana allo scopo di restaurare uno
stato edenico, riaprendo le porte del paradiso terrestre per ricondurre
il nostro ceppo a prima del morso della mela e a prima della cacciata.
Wikileaks, ambigua e affascinante associazione bloggistica che scherza
con il fuoco ormai da anni, nella pretesa di tutelare il mondo
dall’oscurità di motivazioni e comportamenti dei governi (“we open
governments” il loro slogan), è l’ultima incarnazione di questa idea che
la politica possa essere comunionale e paciosa, priva di contraddizioni
e conflitti, esente dal dovere del segreto e del doppio linguaggio
(soprattutto in diplomazia e nei sistemi di difesa e di attacco).”
Il limite del consueto ragionar politico è tutto qui. Come se il fenomeno WikiLeaks
condividesse anche solo una frazione delle categorie concettuali con
cui solitamente s’incasellano movimenti, tendenze e rivoluzioni. Nessuno
strumento di decodifica a disposizione, al contrario, è stato in grado
di fornire a politici, cattedratici e giornalisti la chiave
interpretativa per capire fino in fondo “l’11 settembre della
diplomazia”, com’è stato definito il mega-scoop planetario messo a segno
dal sito di Julian Assange.
Non c’è nessun Afghanistan da invadere/liberare, nessuna guerra santa
contro l’Occidente e, soprattutto, nessuna trattativa in corso.
“Ti offro la verità, niente di più”, diceva il Morpheus di Matrix
a un Keanu Reeves piuttosto accigliato e così Assange. Forse la
percezione che sia stato varcato un punto di non ritorno sta cominciando
a serpeggiare e i tradizionali bastioni del potere, che si reggono da
sempre sull’asimmetria di verità rispetto alla gente normale,
devono aver passato proprio un brutto quarto d’ora. E se lo status
continuasse ad assottigliarsi? E se l’asimmetria si finisse per
ribaltare?
Ironia della sorte, il colpo di WikiLeaks avviene negli stessi giorni in cui uno dei padri della Rete, Vinton G. Cerf ha annunciato che, di qui a otto mesi, su Internet ci sarà il tutto esaurito (4,3 miliardi di varchi d’accesso raggiunti) e durante il primo suicidio virtuale
di star a scopo benefico. Justin Timberlake, Serena Williams, Lady Gaga
staccheranno la spina ai propri avatar su Facebook e Twitter e solo le
donazioni per i bimbi malati di Aids riusciranno a farli tornare in
vita. Ci vuole del coraggio, di questi tempi, a pensare di essere più
potenti della Rete o forse è solo la metrica della potenza a essere
cambiata e le rock star dei social network e gli hacker rivoltosi
contano più di legioni di dignitari, con la piuma sul cappello.
Così nel sondaggio
di Corriere.it, nonostante la domanda “La Casa Bianca scrive ad
Assange: ‘Le rivelazioni di WikiLeaks mettono in pericolo vite umane.
Non pubblicatele’. Sei d’accordo?”, il 45,6% dei lettori riesce a
rispondere “no”. L'articolo è stato pubblicato su The FronPage.
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15 giugno 2010
NON C'È BAVAGLIO CHE TENGA

“L’uomo più pericoloso d’Islanda” secondo l’Economist è Julian Assange, hacker islandese e fondatore di Wikileaks, il sito stile Wikipedia che ha da poco messo in grave imbarazzo
il Pentagono. Ha pubblicato un video militare top secret che mostra un
elicottero Usa aprire il fuoco su civili iracheni, un attacco in cui
sono morti anche due giornalisti della Reuters. Naturalmente l’ennesimo
sputtanamento dell’esercito USA in Iraq ha fatto il giro della Rete in
un batter d’occhio e Assange è diventato il nemico pubblico numero uno.
Wikileaks sembra avere tutte le caratteristiche per essere il fumo negli occhi delle intelligence
di mezzo mondo: pubblica documenti di interesse pubblico secretati dai
governi, lo fa in diverse lingue (tra cui arabo e cinese, e cinesi sono
alcuni dei fondatori-sviluppatori, matematici e crittografi), utilizza
la struttura multindividuale di Wikipedia (quindi coinvolge
potenzialmente una gran massa di persone) e diverse tecniche di
download tra cui i torrent (già largamente diffusi per il classico p2p
di film e canzoni). Il tutto garantendo la non tracciabilità e
l’anonimato, mediante versioni ad hoc di alcune Privacy Enhancing
Technologies (Freenet, The Onion Routing e PGP). Forse per questo
Assange ostenta sicurezza: “Per censurarci, dovrebbero smantellare
l’intera Internet”.
La
parte italiana contiene ancora poche “crepe”, segnalate dagli anonimi
vendicatori dell’informazione censurata del Belpaese. Curiosamente ci
sono diversi documenti riguardanti Scientology, tra cui il modulo
“di adesione per servizi maggiori”, la “richiesta d’iscrizione ai
servizi religiosi” e il “Scientology cult Italy billion year
contract” che termina così: “perciò, impegno me stesso con l’Organizzazione del Mare per il prossimo miliardo di anni”.
A parte il viral marketing di Scientology, Wikileaks Italia
si potrebbe presto arricchire di nuovi contenuti, ben più appetitosi
degli svolazzi grafico-teologici dei format di reclutamento della
chiesa di Tom Cruise. Basta che la Camera approvi la cosiddetta
legge-bavaglio e tutti i piccoli Travaglio avranno un piccolo
sputtanificio personale a disposizione, in barba a tutte le tavole
rotonde su garantismo e giustizialismo.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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