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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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4 febbraio 2012
UP PATRIOTS TO ARTS
“ Monti svègliati: i giovani sono già senza posto fisso. La predica falla alle banche abituate
al posto fisso per dare un mutuo. Ai giovani già non importa nulla del
posto fisso. Si accorgono e rimpiangono il posto fisso quando entrano in
una banca, quando chiedono un mutuo, quando chiedono un prestito. E la
risposta è sempre la solita: “no”. Senza posto fisso il mutuo non si fa.
Quindi, caro Monti, questo discorso è da fare alle banche. Ah, potrebbe
parlarne anche in Consiglio dei ministri, ormai è la stessa cosa.
Grazie.”
In Italia si sente dire spesso che quando uno riesce e mettersi
contro tutti significa che sta lavorando bene. O quantomeno che sta
lavorando. Così su Facebook il blogger filo Pdl Daw
riesce a portare a sintesi la reazione che, da destra a sinistra, hanno
suscitato le parole di Monti sul posto fisso “noioso”. Dopo l’uscita
del sottosegretario meritocratico contro gli sfigati che si laureano dopo i ventott’anni si può dire che l’era della sobrietà è un ricordo remoto, come il global warming sotto mezzo metro di neve.
Secondo i sondaggi Monti continua a godere della fiducia degli italiani, ma anche no. L’altro giorno Repubblica.it titolava
“Gli italiani di lotta e di governo promuovono Monti e le proteste” e
presentava l’italianissimo risultato dell’ultimo sondaggio, che
promuoveva Monti e chi lo contesta con percentuali pressoché identiche
(58% a favore del governo, 56% con le piazze).
Una delle ragioni di questa apparente schizofrenia può essere
ascritta al noto adagio italico “Franza o Spagna purché se magna”, ma
non basta. I desolanti e desolati partiti politici hanno pure la loro
parte di responsabilità in commedia e la recente scoperta della
scomparsa di 13 milioni di euro dal conto corrente della fu Margherita
di certo non aiuta la generosa resistenza contro il mainstream antipolitico, sempre più bipartisan.
Oppositori e sostenitori del governo sono ruoli così palesemente
tattici (come prima la saga pro/contro B.) nella commedia dei partiti,
che nessuno li prende sul serio da tempo. Il dramma è che sotto la
tattica non sembra esserci niente di più del solito basso cabotaggio, i
consueti strumenti per la navigazione a vista in una fase storica che
richiede coraggio visionario. Pure la pantomima sull’articolo 18,
inscenata dal governo con un andirivieni imbarazzante di sparate e
smentite, non aggiunge né risolve granché. Il lavoro non c’è perché non
ci sono soldi che girano, altroché mobilità in uscita.
Cambia il mondo ed è ormai chiaro che globalizzazione significa iPhone, Twitter e Wikipedia ma anche che
“le panchine sono piene di gente che sta male”. Il villaggio globale è
l’Eden della conoscenza svelata e delle infinite opportunità, certo, ma
anche l’era della polarizzazione estrema della ricchezza che spacca il
mondo fra élites cosmopolite e proletariato televisivo, sempre sul ciglio della favela.
Questo mondo, in cui cresceranno i nostri figli, assomiglia sempre
più a una sorta di Medioevo tecnologico, con i templari della finanza a
guardia dell’ortodossia sviluppista che misura la salute di
Stati e famiglie con il termometro unico del Pil. E l’ordine dopo la
crisi si configura ora (o mai più) nelle agende di Bruxelles,
Washington, Pechino, Brasilia e Nuova Delhi, in una mano di poker con le
agenzie di rating, gli organi di governo sovranazionali e gli interessi
economico-finanziari che non hanno certo bisogno di Davos per contare.
Nella trasmissione di Santoro, che ascolto mentre scrivo, hanno
appena intervistato una pensionata greca. Le hanno tagliato l’assegno
mensile di quattrocento euro e non ha i soldi per pagarne novecento di
luce. Così gliel’hanno tagliata. A lei, a suo marito pensionato, a sua
figlia e a suo genero, disoccupati, che vivono lì con la figlia piccola.
In Grecia si stanno moltiplicando gli episodi di malnutrizione
infantile, come nei paesi poveri, e neanche i bilanci stanno così bene.
L’inviato le chiede come fanno: “Con le candele.”
Bisogna che tecnici e/o politici, italiani e/o europei, siano in
grado, adesso, di indicare una direzione di marcia, un approdo
credibile, una speranza comune. È l’unica alternativa ai forconi che,
come in Grecia, passeranno sempre più spesso alle vie di fatto, una
volta constatato che il tempo delle parole è passato. Oltre che della
povertà bisogna avere paura delle sue conseguenze, ora che con l’iPhone e
Twitter chiunque è in grado di mostrarle al mondo in tempo reale.
L'articolo (con foto) è statp pubblicato su The FrontPage.
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11 gennaio 2011
LA TASSA DELL'APOCALISSE
 I primi giorni del 2011, in poco meno di una settimana, in Arkansas e Lousiana sono piombati
dal cielo migliaia di merli stecchiti, in Svezia è toccato ai corvi
mentre in Romagna migliaia di tortore hanno fatto la stessa,
apparentemente misteriosa, fine. Stesso copione
per i pesci-tamburo dell’Arkansas e del Maryland, per le ombrine, i
pesci-gatto e sardine brasiliane e per i ‘Pagro Rosa’ della Nuova
Zelanda, buona parte dei quali, giallo nel giallo, non avevano più gli
occhi quando sono stati trovati.
Appena hanno cominciato a strillare le fanfare
dell’apocalisse sul web, gli esperti si sono mobilitati per
tranquillizzare la gente, sostenendo che è normale, che è sempre
successo e che ognuno degli episodi singoli ha una spiegazione ben
precisa (fuochi d’artificio per i merli dell’Arkansas e poi pure per i
corvi svedesi, indigestione di semi di una fabbrica del faentino per le
tortore, ecc.), ma piazzando tutto nel frullatore mediatico si è creato
il solito panico ingiustificato (anche se confinato agli appassionati
del genere apocalittico). Colpa dei media e dei blogger untori, insomma,
tempo una settimana e la notizia sarà sparita dai titoli di testa delle
portaerei del media-mainstrseam.
Il brivido di paura, intuitivo e
irrazionale, forse ha fatto vibrare un nervo scoperto dell’opinione
pubblica, già frustrata dalle continue notizie circa lo stato
dell’economia, dell’ambiente, della salute, dell’ordine pubblico,
squassato da periodiche esplosioni di violenza che mettono a ferro e
fuoco intere città (Atene, Parigi, Roma) o sparano ai nemici
politici. L’incertezza del futuro si sta mutando in vero e proprio,
sordo, terrore e la paranoia sulla fine del mondo sembra inventata
apposta per canalizzare tutta la potenza autodistruttiva di una civiltà
che ha paura della sua ombra. Gli esperti, poi, riescono quasi sempre ad
essere ancora più inquietanti delle news. Secondo LeAnn White,
specialista di malattie che colpiscono la fauna selvatica: “A volte si
capisce che il fenomeno è legato ad eventi particolari, altre volte
all’inquinamento e altre volte ancora il fatto è rimasto misterioso”.
Ironia della sorte, nelle stesse ore le streghe della Romania annunciavano una originale protesta anti-tasse:
“La maga ha detto che guiderà un gruppo di “colleghe” intonando un
maleficio accompagnato da una pozione ricavata da escrementi di gatto e
un cane morto. Altre fattucchiere si riuniranno sulle rive del Danubio
per gettare in acqua velenose piante di mandragora al grido di “affinché
il male li colga”, come ha potuto precisare una di loro, Alisia.” Pare
che la riforma salterà, il presidente Basescu e i suoi principali
collaboratori d’altronde sono soliti vestirsi di viola, in alcuni giorni
della settimana, proprio per scacciare il malocchio.
Un minuto prima di spedire l’articolo scopro
che anche nel modenese sono state trovate decine di tortore morte. Come
a Faenza, sempre tortore. Mi sa che da qui al 2012, almeno, bisognerà
farci l’abitudine all’Apocalisse.
L'immagine è stata presa qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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4 gennaio 2011
LETTERA AGLI STUDENTI
Sperando di svicolare dignitosamente tra
paternalismo senescente e cinismo distaccato, mi prendo queste righe
d’inizio anno per rivolgermi ai militanti del Movimento Studentesco
Nazionale, con tutte e tre le maiuscole proprio come ho trovato in giro
per il web, manco fosse una citazione di un ciclostilato degli anni ’70.
Per la prima volta, dopo gli anni settanta
infatti, si parla di Movimento Studentesco e non di Onda, Pantera, Udu,
Cl, collettivi, Sinistra Giovanile, Azione Giovani e via citando. E
questo fatto, di per sé, è già un evento. Nell’immaginario collettivo è
passato che gli studenti in quanto tali esprimono un disagio vero, che
in qualche modo mostra un nervo scoperto dell’Italia del 2010: quello
dei giovani e del furto di futuro che si sta compiendo ai loro danni.
Con sfumature diverse, naturalmente, è
opinione diffusa (confortata dall’esperienza quotidiana) che un disagio
generazionale esista e valichi ampiamente le sensibilità politiche e le
classi sociali. Il presidente Napolitano ha in qualche modo raccolto
questo disagio, la sensazione che qualcuno o qualcosa abbia cambiato le
carte del futuro, ma gli altri – politici, giornalisti e parolai vari –
si sono limitati a dividersi, con diverse sfumature, in opposte
tifoserie. Come a Genova.
E il fatto che non ci sia stato un altro
Carlo Giuliani, alla manifestazione di Roma, è un miracolo, un caso
fortuito di un destino che andrebbe accuratamente assecondato, evitando
di fare della violenza un totem (ancorché simbolico) che alla fine dei
conti ottunde la ragione e mena comunque rogna. Ma questo è scontato, a
parole son buoni tutti. Meno scontato è capire in che modo capitalizzare
quel credito di visibilità acquisito, l’essere percepiti da buona parte
dell’opinione pubblica – nonostante le auto e le teste fracassate –
come una buona causa. Quella di chi si batte per un’università migliore.
“ADOZIONE DI UN CODICE ETICO per evitare
incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. LIMITE
MASSIMO AL MANDATO DEI RETTORI di complessivi 6 anni, inclusi quelli già
trascorsi prima della riforma. Un rettore potrà rimanere in carica un
solo mandato e sarà sfiduciabile. NUCLEO DI VALUTAZIONE D’ATENEO A
MAGGIORANZA ESTERNA per garantire una valutazione oggettiva e
imparziale. GLI STUDENTI VALUTERANNO I PROFESSORI e questa valutazione
sarà determinante per l’attribuzione dei fondi dal ministero.
VALUTAZIONE DEGLI ATENEI: Le risorse saranno trasferite dal ministero in
base alla qualità della ricerca e della didattica. OBBLIGO PRESENZA
DOCENTI A LEZIONE: avranno l’obbligo di certificare la loro presenza a
lezione.”
Alcuni di questi punti della riforma Gelmini
sono da almeno quindici anni bandiere dell’associazionismo di
centrosinistra (oggetto ossessivo di quella vasta letteratura minore che
pullula fra i documenti politico-programmatici redatti nottetempo da
comitati fumanti) e, anche se bisogna vedere cosa c’è sotto i titoli (e
nei decreti attuativi), prima o poi bisognerà prenderne atto. Perché non
accettare, quindi, la proposta del ministro
e chiedere di discutere nel merito, fare controproposte puntuali e
obbligare i parlamentari di riferimento a presentarle? Che senso ha
lasciare la riforma dello status giuridico dei docenti-baroni, la cui
legge era stata palleggiata tra Camera e Senato per due-tre lustri, al
solo governo Berlusconi e rifugiarsi nell’aventino mediatico della
piazza tout-court? Perché non stupire con effetti speciali, tipo
l’intelligenza?
L'articolo è stato pubblicato (con un altro titolo) su The FrontPage.
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