9 novembre 2011
DO SOMETHING
 In tempi in cui l’Italia rischia l’11 novembre dei
conti pubblici a causa dell’impotenza dei suoi timonieri, l’azione in
quanto tale assume connotati rivoluzionari. A guardarci bene il rovescio
di popolarità del premier, sia tra gli elettori che sui mercati
finanziari (oltre che tra le élites cosmopolite che lobbeggiano
sull’economia globale, ma questa non è una novità), è dovuto proprio a
questa percezione d’impotenza. Che per “l’uomo del fare” significa la
pietra tombale sul suo carisma.
Così sono saltato sulla sedia quando ho aperto il sito del Corriere e mi sono imbattuto nell’azione di Giuliano Melani, che ha speso oltre ventimila euro per comprarsi una pagina del Corriere
con un accorato (e molto ben scritto) appello agli italiani perché si
comprino il debito, prendendo esempio dai giapponesi (il doppio del
nostro e tutto in casa). “Io non sono Diego Della Valle, ma voglio
essere uno dei portatori sani della soluzione. Questo appello mi è
costato un botto, per favore non fatene carta da macero!”
“Sono circa 4.500 euro a testa: lo so che le medie ci fanno fessi ma
state sicuri che molte persone dispongono di queste cifre”. Melani non
ha fatto il vago, ma si è messo a fare i conti in tasca agli italiani
entrando nel merito dell’investimento. “Vi giuro che ci conviene, negli
ultimi due anni sono state poste in essere manovre per 200 miliardi,
sono andati tutti perduti perché nel frattempo sono saliti i tassi
d’interesse sul debito”. Impeccabile, e subito ipercitato da politici e
banchieri. Sicché mi son detto: pensa se l’avesse detto Bersani a Piazza
San Giovanni.
Invece la ditta, in compagnia dei soci di Vasto, era impegnata
nell’operazione antipatia contro Renzi, uno che sgomita quando i giovani
dovrebbero stare a cuccia e aspettare il proprio turno. Mettersi a
disposizione. Troppo decisionista/protagonista questo Renzi, sembra
Craxi o Berlusconi (ci è pure andato a cena, l’infingardo) a sentire gli
umori della base del Pd, prontamente riportati dai segugi di Repubblica. Il Fatto l’ha paragonato al Duce, per non sapere né leggere né scrivere. Per la Bindi è un provocatore.
Secondo Bersani
alla manifestazione del Pd “c’è stato solo un battibecco. È stata una
cosa spiacevole. Ma vorrei ricordare che Renzi è uno del Pd e io sono
anche il suo segretario.” E poi, naturalmente, bisogna pensare
all’Italia, non ai destini personali, che non coincidono mai con le
ambizioni di chi sta fuori dal cerchio magico. Poi arriva la rasoiata di
Prodi: “Bersani è una persona eccellente, di grandi capacità, posso
dirlo, è stato un mio ministro, ma non riesce a “uscire”… Non è
confortante leggere che, con quel che succede, nei sondaggi il Pd non
riesce a crescere come ci si aspetterebbe”.
Certo l’inazione snervante e inutilmente parolaia del centrosinistra,
quella sinistra sensazione di “indecisi a tutto” che con il governo
dell’Unione aveva rapidamente raggelato ogni speranza di cambiamento
dell’elettorato, contribuisce non poco ai crucci del Professore. Anche
Prodi non fa il vago e presenta il conto al “manico” della ditta, con
tutta la crudele cortesia di cui un bolognese (acquisito) è capace.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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