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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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13 aprile 2013
B COME BALLE
“Non ti
ho tradito. Dico sul serio. Ero… rimasto senza benzina. Avevo una gomma a
terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva
portato il tight. C’era il funerale di mia madre! Era crollata la casa!
C’è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è
stata colpa mia! Lo giuro su Dio!”
Chissà perché ma quando mi è capitato per le mani il volantino del Comitato “B come Bologna”, ribattezzato “B come Bambini” dal sindaco Merola con la grazia di una bombarda, mi è venuto in mente John Belushi.
Sporco fino agli occhi, nella fogna, che si butta in ginocchio ai piedi
della sua ex promessa sposa che ha mollato sull’altare (l’indimenticata
Principessa Layla di Guerre Stellari).
“Se voti
A: verrà abolito il contributo economico alle scuole paritarie
convenzionate, circa 600€ a bambino all’anno… I gestori saranno
costretti ad aumentare la retta annuale di almeno 600€… Questo
provocherà un significativo calo degli iscritti, oltre 400 famiglie, da
subito, abbandoneranno le scuole “paritarie non più convenzionate” e
andranno ad infoltire le liste d’attesa delle scuole comunali e statali.
Con i soldi non dati alle scuole convenzionate il Comune non sarà
assolutamente in grado di dare un posto a tutti…”
Esticazzi
se è un referendum consultivo. Il Pd di Bologna da qui al 26 di maggio
pare non abbia di meglio da fare che andarsene in giro per circoli e
periferie a tentare di convincere operai, casalinghe, pensionati, ex
partigiani, studenti, volontari delle Feste dell’Unità e delle Case del
Popolo, gente che ne ha mandate giù parecchie anche qui ultimamente, che
si, alla fine dei conti, sborsare un milione di euro all’anno alle
scuole private è cosa buona, giusta e inevitabile. Sennò arrivano le
cavallette.
E pace se
c’è la crisi, le scuole pubbliche cadono a pezzi, le liste d’attesa ci
sono lo stesso e il milioncino viene gestito ogni anno in toto dalla
misteriosa Federazione Italiana Scuole Materne, che dietro l’asettico
acronimo FISM
è una roba così: “Oltre le necessarie qualità professionali esigite
dalle leggi civili, l’insegnante dovrà: a) possedere una solida
conoscenza della visione cristiana dell’uomo e della dottrina della
fede; b) accogliere con docile ossequio dell’intelligenza e della
volontà l’insegnamento del Magistero della Chiesa; c) vivere
un’esemplare vita cristiana”.
Pazienza,
pure, se 250 euro e passa al mese di retta (in media) non sono
esattamente a buon mercato: più del doppio della scuola pubblica (dove
si pagano solo i pasti). Il gioco deve valere così tanto la candela da
piazzarci il marchietto del Comune (cosa, credo, senza precedenti) sul
sito internet del comitato “B come Bologna” contrapposto a quello dei
cittadini, “Articolo 33”.
Avanti coi carri, dunque, ora che l’unico cavallo rimasto in pista si
chiama Matteo Renzi, è cattolico, e il suo (ex?) spin doctor pare abbia
preso a cuore la madre di tutte le battaglie di ogni Don Camillo.
Eppure di questi tempi
andare a raccontarla ai propri elettori, sempre più sinistramente
simili all’ex fidanzata di Jake Blues, ci vuole un gran bel fegato.
Anche perché c’è la possibilità che molti di loro si siano trovati, come
me, ad avere a che fare con qualcuna di queste scuole paritarie che,
figurarsi, di certo ce n’è delle bellissime. In quella a cinque minuti a
piedi da casa mia però, nella Romagna profonda, fanno pregare i bimbi
di tre anni due volte al giorno e dentro sembra di stare al mausoleo.
Dal sito
Internet abbiamo pure scoperto che, a parità di punteggio, entrano “i
figli o nipoti in linea retta di soci dell’Asilo”. Lo dice il regolamento, non il gossip di paese, c’è da fidarsi. Beccano anche un sacco di soldi
da tutti, Comune, Provincia, Regione, la retta è il triplo di quanto
spendiamo alla statale (dove con quattro soldi si sbattono per mettere
in piedi una didattica ricca e creativa), ma in compenso è pieno di
bagni. Mai visto tante Madonne, santi e cessi tutti in fila: non meno di
un water ogni tre fanciulli.
E mentre
mi rigiravo per le mani “B come Bologna, più scuole per tutti”,
rimuginavo sul rinnovato matrimonio tra il Pd cittadino, la curia, il
baronato e tutti i presunti poteri forti, coronato da due ali di
battimani sincronizzati di Pdl, Lega e Udc. Proprio mentre l’esploratore
Bersani si faceva infilzare come un tordo da Grillo e pur di evitare
l’abbraccio con l’Impresentabile si lasciava corcare in streaming senza
pietà.
In quel
preciso momento il Pd di Bologna ha deciso, a freddo, di tirarsi
un’atomica a sinistra lasciando da lì in avanti una prateria al
Movimento 5 Stelle, che infatti ha già cominciato
a fare quello che gli viene meglio: mettere il cappello sullo
sbattimento di movimenti e associazioni assortiti. Per poi oscurarli (di
solito son litigiosi e disorganizzati, si squagliano in fretta) e
trasformare il conflitto in voti. Che si tengono tutti per loro.
Bologna,
in fin dei conti, è sempre stata un laboratorio politico per la
sinistra. Perché non dovrebbe esserlo pure nell’ora dell’estremo trash?
Quindi delle due una: o Bersani bluffa e la via crucis con Grillo è
stata una tragicomica gag alla Crozza, buona per andare a veder le carte
del compare astrologico e tentar poi insieme l’omicidio bipartisan di Renzi. Oppure no: in entrambi i casi al Pd tira aria di estinzione. E dare in pasto la scuola pubblica non li salverà. Né dagli altri né, soprattutto, da sé stessi.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. "Mi sono rotto il cazzo" degli Stato Sociale è qui.
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23 ottobre 2012
LOMBARDIA CANAGLIA
 Dopo Er Batman, la Polverini in contromano con l’auto blu per andare a
comprare le scarpe, la fine ingloriosa del Formigoni V, ora potrebbe toccare a Errani.
Il 2012, pur non accogliendo le astronavi aliene sul Viale dei Morti
di Teotihuacan, sembra proprio l’anno del piazza pulita congiunto di
governo e parlamento italiano, Lazio, Emilia-Romagna e Lombardia. Oltre
alla Sicilia, che va al voto a fine mese. Il tutto in uno scenario
politico vagamente apocalittico.
Grillo, che ha l’età di D’Alema anno più anno meno, si fa lo Stretto
di Messina a nuoto per lanciare la campagna elettorale “separatista” del
M5S per le regionali della Sicilia. I sondaggi
dicono che rischia di ritrovarsi primo partito dell’isola e secondo a
livello nazionale, al 21 per cento e passa. Il Pdl è poco sopra il 14 e
il Pd è quasi al 26, l’Idv torna intorno al 4, l’Udc verso il 5 mentre
Lega e Sel si attestano sul 6. Si votasse domani tornerebbe Monti.
Naturalmente non è indifferente, in termini politici e/o elettorali,
il risultato delle primarie del centrosinistra. La coalizione del Pd con
Sel e il Psi in caso di vittoria di Renzi potrebbe andare in pezzi:
Vendola, col suo classico cinismo gabellato da coerenza, si smarcherebbe
per incassare da sinistra i cocci dell’ex Pd (o del più probabile esodo
di funzionari e attendenti).
A sentire Renzi, invece, il Pd a trazione renziana vale il 40%, come neanche nei sogni più bagnati del neo autorottamato
Veltroni, già teorico della vocazione maggioritaria (e arrivato a onore
del vero all’ineguagliato 33%). E quindi forse avrebbe i numeri per
riuscire a vincere e a governare, senza bisogno di supplenti o
parenti-serpenti. Certo, se gli ultimi sondaggi sulle primarie si confermeranno sarà dura verificare.
Secondo il più incazzato il Bersani neo-rottamatore
che mette D’Alema alla porta senza troppi complimenti sta giocando una
partita “gesuitico-stalinoide” e mostra che “una famiglia politica che
non sa rispettare se stessa, la propria storia e dignità, è condannata
alla dissoluzione.” Secondo i bersaniani (che i botteghini danno in
aumento, a prescindere dalle polemiche miserabili sulle Cayman e i
giardinetti) il vero rinnovatore è lui, lo smacchia-giaguari che ha passato gli ultimi anni in Tv a sganasciarsi con Crozza.
Una buona occasione per dimostrare che è vero, che il rinnovatore è
lui, è la scelta del candidato governatore della Lombardia, nel caso in
cui il Celeste riesca a mandare tutti a spendere prima di Natale (e
sotto profezia Maya). Ad oggi il nome più papabile, fra quelli che
circolano (Ambrosoli ha declinato), è quello di Bruno “prezzemolo”
Tabacci (senza offesa, s’intende, l’uomo è intelligente). Lo score –
deputato e assessore a Milano in contemporanea, presidente della
Lombardia cinque lustri fa sotto il segno di Ciriaco De Mita – non ne fa
proprio il frontman ideale per l’assalto dei grillini.
Non è un dettaglio da poco, il nome, nelle elezioni della Lombardia.
Se c’è una cosa che il ventennio celestiale ha lasciato è l’enorme
aspettativa per il dopo. Per chi verrà dopo, perché gli elettori capita
che siano più avanti dei politici (specie di quelli di centrosinistra) e
che gli importi fino a un certo punto di salamelecchi programmatici e
guazzabugli organizzativi. Quando si tratta di governare una regione che
è uno stato di dieci milioni di abitanti, tra i più avanzati d’Europa,
il manico fa la sua brava differenza.
Naturalmente per fare un nome che funzioni bisogna avere un’idea di
che cosa si vuol fare e, prima ancora, di chi ci si crede (o
modestamente si vorrebbe) essere. La celebre e celebrata “soggettività
politica collettiva” che, nel bene e nel male, a Milano ha espresso un
sindaco di sinistra dopo un altro ventennio, ora preme per il bis.
Quindi delle due una: o si fanno le primarie o il nome che esce dal
conclave deve essere all’altezza di quest’aspettativa. Dello zeitgeist, fotografato dall’immancabile sondaggio sul giornalone dell’editore-tessera numero uno del Pd (e main sponsor dell’usato sicuro Bersani alle primarie nazionali), che ha permesso la presa di Palazzo Marino.
Poi bisogna mettersi d’accordo su cosa s’intenda per “avanzato” e
forse le primarie sono uno dei ring migliori per uscire con una risposta
condivisa. La Lombardia di Formigoni, tra un arresto e l’altro, ha pure
trovato il tempo di mandare nel panico per quasi un mese i malati di
epilessia, mettendo a pagamento
due farmaci di largo consumo. Poter essere presi in ostaggio, senza
nessuna ragione, dal pensiero di 150 euro al mese di più, che possono
significare l’addio alle ferie del 2013 o alla settimana bianca, alla
camera del figlio, o alla pizza e alla palestra: questo significa essere
malati.
“Avanzato”, per i malati (ma anche non), coincide con il contrario
della paranoia gratuita procurata dall’incuria politica di un Titanic
incastrato fra le nuvole del Pirellone. Essere liberi di curarsi come si
crede, dovendo risponderne solo a sé stessi, ai propri medici e alla
propria famiglia, senza moralismi puntati. La Toscana del bersaniano
Rossi ha scelto la
strada della libertà di cura, disciplinando l’uso farmacologico dei
derivati della canapa indiana, in modo da evitare ai malati
l’umiliazione del bavero alzato e del centone che sguscia in cambio del
pacchettino furtivo. Col rischio di perdere il lavoro e/o la custodia
dei figli, farsi ritirare il passaporto o magari qualche giorno di
galera.
L’avanzato centrosinistra lombardo può permettersi un’Agenda Rossi? La rottamazione bettoliana
è davvero una posa tattica un po’ meschina (e col fiato corto) o sotto
lo stanco termine “rinnovamento” c’è qualcosa di politico? Se il tenore
della tenzone sarà Albertini (o Lupi) vs Tabacci, in assenza di
primarie, è facile che certi contenuti diventino un’esclusiva del
Movimento 5 Stelle. Che in più ha il vantaggio di non aver bisogno di
spiegare, di sottilizzare, di specificare. E ha tutto da vincere, anche
perché se succede davvero, poi, non si sa come va a finire.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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23 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE: PARMAGRAD
 “La radio al buio e sette operai, sette bicchieri che brindano a
Lenin… e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile, vola un
berretto un uomo ride e prepara il suo fucile. Sulla sua strada gelata
la croce uncinata lo sa… d’ora in poi troverà Stalingrado in ogni
città!” Chissà se a Grillo è passato per la testa il pezzo degli Stormy Six, quando ha dichiarato Parma “la nostra Stalingrado”. Ora che punta a Berlino dovrebbe proprio ascoltarla.
“I parmensi sono come i ravanelli: rossi fuori e bianchi dentro.” Mia zia, bolognese trapiantata a Parma in
gioventù, mi aveva avvertito per tempo. La scorsa settimana, quando
davo la caccia ai candidati al ballottaggio, per il Pd di Parma avevo
chiesto a lei. Mi ha dato il cellulare di un funzionario di Partito,
molto cortese e disponibile, che a sua volta mi ha dato l’e-mail del
“comunicatore”. Che non mi ha mai risposto.
Pizzarotti, dopo un po’ di stalking su Facebook e via mail,
quando mi è scesa la catena e gli ho chiesto se, per caso, non cagare
chi chiedeva un’intervista fosse una “scelta di politica aziendale”, mi
ha risposto. “Nessuna strategia ma mi chiamano da tutta Italia ed è un
casino gestire tutto. Domani vedo cosa riesco a fare.” Il giorno dopo ha
ripreso a non rispondermi, nel frattempo a Parma è arrivato il New York Times, Le Monde e la CNN e io mi sono arreso.
Adesso che i ravanelli parmensi hanno votato e che, a
differenza che nel resto d’Italia, l’hanno fatto in massa (solo tre
punti in meno rispetto al primo turno) è possibile tracciare un primo
bilancio della Campagna d’Emilia, che ha portato Grillo (e Pizzarotti,
che ha fatto di tutto per mostrare ai suoi concittadini di essere un
bravo ragazzo lavoratore, persino un po’ moderato, che pensa e decide in
proprio) al primo successo serio, in grado forse di scardinare la pax partitica imposta dal moribondo governo Monti.
Mentana ha aperto il suo pomeriggio tv dedicato ai ballottaggi con il
sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani. Grillo è balzato al
12%, raddoppiando i consensi rispetto a due settimane fa, e si affaccia
come terza forza politica del paese, col Pd al 25 (in calo), il Pdl al
20 (a picco), la Lega sotto il 5 (ai minimi termini) e pure Udc, Idv,
Sel e Fli in discesa. Tutti i partiti giù, in pratica, con altri
sondaggi che gonfiano ancor di più le vele del Movimento 5 Stelle.
Chissà tra un anno, alla partita vera.
Per l’intanto Grillo può mettere in fila, oltre a Parmagrad, altri
tre municipi espugnati. Alla vittoria al primo turno, per venti voti, di
Roberto Castiglion a Sarego (già sede del “Parlamento padano”), si
aggiunge il trionfo di Marco Fabbri (quasi il 70%) a Comacchio e il rush vincente (52,5% e 26 punti rimontati dal primo turno) dello studente universitario di 26 anni Alvise Maniero a Mira, città d’arte di quasi 40000 abitanti sulla Riviera del Brenta (ed ex roccaforte rossa).
Stalingrado, però, rimane Stalingrado. Parma è una città ricca con un
Comune talmente indebitato (si parla di 600 milioni di euro, interessi
esclusi) che rischia di non poter pagare gli stipendi ai dipendenti, a
giugno. Dopo quattordici anni di giunte di centrodestra il candidato del
Pd si aspettava di vincere facile.
“Io rispetto tutti gli avversari, ma il ballottaggio con il candidato
del Movimento 5 Stelle Federico Pizzarotti sarà come giocare la finale
di Coppa Italia contro una squadra di serie B.”
Dev’essere stata questa certezza (o forse la sensazione che le cose
si stavano mettendo male) che ha spinto Vincenzo Bernazzoli ad
avventurarsi, tra lo stupore generale, a un faccia a faccia con
Pizzarotti organizzato dall’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e
Risorse di Parma all’Auditorium Paganini (strapieno, oltre mille
persone). Tema della serata il nuovo inceneritore, piatto forte della
stracittadina elettorale, la cui costruzione è stata approvata dalla
Provincia presieduta proprio da Bernazzoli.
“In Italia si sta andando verso la soluzione senza
inceneritore: Reggio Emilia, la Sicilia, la Provincia di Lucca. L’Europa
prevede dal 2020 il divieto di bruciare materiali riciclabili o compostabili. Ma a Parma vige la “Legge Vincenzo“. Bernazzoli nemmeno risponde alle domande scomode: “Dove metterà le ceneri tossiche dell’inceneritore?“. Non si sa.” La lettera dell’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse, pubblicata sul blog di Beppe Grillo, suona come un epitaffio.
Secondo alcuni,
tra cui anche Pizzarotti (che in un attacco di sincerità ha confidato
alle telecamere che se quelli del Pd mettevano un altro, “magari giovane
e fuori dai giochi”, forse avrebbero vinto al primo turno), è stato un
problema di manico. Bernazzoli si è dovuto difendere per tutta la
campagna elettorale dall’accusa (che a Parma vale triplo) di non voler
mollare la poltrona di Presidente della Provincia. Oltre all’ineleganza
ha dato anche l’impressione di crederci il giusto, alla vittoria. E se
non ci crede lui…
Adesso Grillo e i suoi festeggiano l’avvento col botto (si fa presto a
fare i fatalisti ora, ma il 60% a Parma non se l’aspettava nessuno)
della Terza Repubblica e Bersani la sua vittoria “senza se e senza ma”
ché, se non c’era la “non-vittoria” (spettacolare neologismo) di Parma
sarebbe stato un trionfo. Il mio piccolo viaggio nel Partitone emiliano
assediato finisce così con un due a uno per i barbari e la sensazione
che, sui suoi temi (Casta, ecologia, ecc.), Grillo continuerà a far
male.
(… fine)
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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20 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE: COMACCHIO
 “Beh, a voi elettori di Comacchio la scelta: il rinnovamento oppure
un ritorno al passato con Pierotti, già due volte sindaco, che ha
comunque sempre manovrato dietro le quinte le ultime amministrazioni
comunali. Quindi abbiamo una grossa opportunità: riprenderci tutti
insieme, tutti i cittadini, il governo di questo nostro territorio così
splendido…”.
Quando ho visto il video di Marco Fabbri, candidato del Movimento 5 Stelle, su YouTube
mi è tornato in mente l’esondazione sprezzante e vagamente sconsolata
della mamma di due compagni di musica di mio figlio, sulla classe
politica (senza distinzioni) che ha amministrato Comacchio negli ultimi
quindici anni. “Poi hanno pure la faccia tosta di presentarsi adesso
come quelli che vogliono cambiare tutto.”
Il Comune di Comacchio (Cmâc’
nel dialetto locale) conta poco più di ventitremila abitanti
sparpagliati su un territorio che comprende i sette lidi (Lido degli
Estensi, delle Nazioni, di Pomposa, degli Scacchi, di Spina, di Volano e
Porto Garibaldi) che si allargano su spiagge californiane lungo la
costa che congiunge la foce del Reno e il Po di Volano, tocca il Parco
regionale del Delta del Po e fa capo all’antico borgo, le cui vestigia
risalgono ad oltre duemila anni fa.
Il simbolo architettonico della piccola Venezia, “sorta
sull’unione di tredici piccole isole (cordoni dunosi litoranei)
formatisi dall’intersecarsi della foce del Po di Primaro col mare”, è il
Trepponti (nella foto), creato nel 1694 dall’architetto Luca
Danesi e costituito da cinque ampie scalinate (tre anteriori e due
posteriori), culminanti in un piano in pietra d’Istria. Un simbolo
perfetto anche per il barocco politico cittadino (velenoso, invelenito
ma grondante speranza), una girandola di parole che lunedì sera
condurrà, comunque, a un unico “piano in pietra d’Istria”: una e una
sola faccia al timone di Comacchio.
Quella di Alessandro Pierotti, avvocato navigato che corre con una
coalizione formata da Pd, Udc, Lista Civica Futura Comacchio e Lista
Civica l’Onda e ha ottenuto l’appoggio di Fli al Bagno Ippopotamus di Porto Garibaldi, è una faccia spavalda. Al comizio
di chiusura, dopo quindici giorni a testa bassa contro Fabbri e Grillo
(“è lui il primo a non essere incensurato”), anziché parlare del suo
programma “ormai già sentito in tutte le salse” ha preferito bastonare
“Fantomas Fabbri”, che “negli ultimi quindici giorni non si è mai
presentato ad un confronto con me”, e quello che liquida come “un
programma invisibile, un copia-incolla scaricabile da internet”.
Poi passa alle blandizie di vecchia scuola e addita tutto il grillume
che potrebbe urtare note sensibilità. Sostiene che quelli del M5S non
parlano delle vongole che “danno da lavorare a trecentocinquanta
persone” e, con un crescendo berlusconiano quasi epico, che con i loro
canoni sbandierati di legalità diventerebbe fuorilegge l’80% delle
seconde case (che i comacchiesi affittano ai lidi). Alla fine si dice
certo che “se si vorrà votare con la benda sugli occhi è certo che si
ritornerà al voto tra sei mesi”. O Pierotti o il diluvio.
Marco Fabbri è un giovanotto col gel e la faccia da alieno (almeno
rispetto ai canoni lombrosiani del giovane politico contemporaneo).
“Sono nato a Comacchio, dove vivo tutt’ora nella frazione di Lido
Estensi, ho 29 anni, sono laureato presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell’Università di Bologna e sono un dipendente pubblico (ma
non un fannullone!)”. Scrive di sé stesso sulla sua pagina del sito “Comacchio a 5 Stelle”, dove compare con casco e sorriso in groppa a una Ducati.
Nel video su YouTube rilancia i temi-bandiera della sua campagna
elettorale col botto (oltre il 22% dietro a Pierotti che supera di poco
il 36, con quasi l’intero arco costituzionale dietro), primo fra tutti
il “no alla chiusura dell’Ospedale San Camillo deciso da Provincia e
Regione.” La mamma di Comacchio che ho intervistato al posto di
Fabbri-Pierotti è stata la prima cosa che mi ha detto. Poi c’è il
rilancio del turismo declinante su cui anche lui, come tutti, ha la sua
ricetta.
“Una delle prime lotte sarà quella contro la cementificazione del
territorio. In questi anni si è costruito troppo e male: quasi 30000
case, molte delle quali invendute e sfitte… Occorre valorizzare questo
splendido territorio che non è fatto solo di mare, ma anche di valli, di
saline. Siamo nel Delta del Po, i comacchiesi hanno un’occasione unica
per ridare dignità e fiducia a questo posto, che negli ultimi anni ha
perso presenze turistiche nell’ordine di oltre un milione.”
Via libera di fatto a
Fabbri (“oggi l’inesperienza è necessaria”) arriva anche dal candidato
del “Centrosinistra per Comacchio”, che sul Delta del Po evidentemente
non comprende il Pd ma solo Rifondazione, Sel e l’Idv. Fabio Cavallari,
trentadue anni, allenatore di pallavolo e “responsabile postvendita
estero per una multinazionale”, ha superato l’undici per cento dei
consensi al primo turno, arrivando di poco quarto dopo il neanche il 15%
di Antonio Di Munno e il suo Pdl in caduta libera (il sindaco uscente
di centrodestra, Paolo Carli, aveva preso quasi il 60% due anni fa).
Il terzo candidato “giovane” al primo turno, Alberto Lealini della
lista “Voce giovane per Comacchio”, ha sfiorato il dieci per cento dei
voti e si è classificato al quarto posto, davanti alla Lega Nord (poco
sopra il sei). Per qualche giorno è circolata la voce, poi smentita, di
un apparentamento suo con Fabbri e i grillini ma se si sommano i
consensi ottenuti dai “trepponti” della nuova Comacchio (Fabbri,
Cavallari e Lealini) si arriva al 43%.
Forse davvero “la Terza Repubblica nascerà da Comacchio”, come ha profetizzato
Grillo con usuale sobrietà all’ultimo, gettonatissimo, comizio in città
o semplicemente gli elettori stanno prendendo a schiaffoni i partiti
che hanno gestito la baracca fino ad ora. Di certo essere giovani e/o
fuori dai giochi sembra essere la carta vincente per aspirare a fare il
sindaco della piccola Venezia. E Grillo lo ha capito per primo. Staremo a vedere.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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15 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE
Dalle mie parti il Pd si chiama ancora Partito, con la “p”
maiuscola”. Al di là degli aspetti folk (tortellini e cappelletti fatti a
mano alle feste dell’Unità, volontari che distribuiscono il giornale al
mattino, ecc.), la presenza dell’organizzazione erede del più grande
partito comunista d’Occidente si fa sentire in pressoché tutti gli
ambiti della società e della vita biologica di chiunque ne faccia parte,
a qualunque livello.
L’intreccio fra Partito, Sindacato e Lega (che da queste parti
significa ancora Lega delle cooperative) è la cifra distintiva del
sistema emiliano, che nel corso degli anni ha definito comunità omogenee
sotto il profilo politico, economico e culturale. Per lavorare, fare
impresa, aprire una scuola di yoga o di tango argentino, farsi una
partita a tressette con gli amici, presentare la dichiarazione dei
redditi o farsi controllore i contributi per la pensione, andare a
ballare o a sentire un concerto rock, in una maniera o nell’altra
s’incoccia quasi sempre un qualche nipotino di Gramsci e Togliatti.
Quasi ogni paese, città, Provincia, oltre che la Regione, sono stati
governati per sessant’anni dalla stessa famiglia politica e dalle
filiazioni che da essa sono scaturite, al punto che quando queste
stagioni sono state interrotte bruscamente dalla vittoria degli “altri”
(Parma nel 1998 e Bologna nel 1999, i casi più celebri) sulle gazzette
locali (ma anche nazionali ed estere) si è gridato all’evento.
Intendiamoci: mediamente la qualità amministrativa è alta e gli asili
nido della regione, per citare un esempio noto, hanno fatto scuola in
tutto il mondo.
L’altra faccia della medaglia è l’aria da regime che, soprattutto in
provincia, tira più o meno forte a seconda dei personaggi che si trovano
al timone. Sarà banale dirlo ma la fine dell’ideologia, intese come
religione civile che tutto teneva (non solo la grinta per tirare la
pasta sfoglia dei tortellini o le ferie prese per fare volontariato allo
stand della pesca gigante, ma anche l’omertà pietosa rispetto ad abusi e
ruberie in nome del partito o del proprio conto corrente), ha fatto
tracimare sovente ambizioni e appetiti.
Se a parole si cantano le lodi del libero mercato e del partito
aperto e contendibile, nel profondo rosso padano si affilano i coltelli
per scannare chiunque si avvicini al bandolo della matassa di potere,
che tutto avvinghia. Il gap ideale e progettuale con un passato
in cui, altro che Facebook, nel bene e nel male si faceva notte in
sezione per determinare la “linea” fa il resto. Così la fedeltà è
reclamata non più sulla base di notti trascorsi a sputar fumo e
presentar mozioni, ma sempre più spesso sul terrore di non lavorare più o
di essere esclusi, in una maniera o nell’altra, dai giochi.
Far finta che l’Italia non sia, da sempre, una congrega di congreghe
(chiuse come ricci ad ogni minacciosa novità) è una della ribalderie più
ricorrenti degli osanna al libero mercato, che tutti i mali spazza via.
Ma c’è un momento in cui ogni congrega omogenea (pace sociale mixata
con omologazione e conformismo) va in crisi: quando non è più in grado
di assicurare benessere e qualità della vita (seppur minima) alla
maggior parte di chi ci vive e, magari, i suoi capitani non si stanno
dimostrando abbastanza coraggiosi.
In Emilia-Romagna, prima un po’ la Lega (Nord) poi Grillo hanno preso
a scavare come talpe sotto i piedi del consenso consolidato del
Partitone, apparentemente inossidabile. Ma mentre le sparate contro le
moschee o altre bizzarrie tipo la Romagna indipendente (“Nazione
Romagna” era lo slogan leghista, se non ricordo male) lasciano il tempo
(e i voti) che trovano, la guerra per la salute (effetto collaterale di
partite di business già chiuse in partenza) del Movimento a 5 Stelle comincia a pagare.
Acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo sono le cinque
stelle polari che orientano l’azione del movimento sul territorio,
mentre la democrazia diretta (assemblee pubbliche e forum online
al posto delle riunioni nelle sezioni di partito) è lo strumento di
partecipazione, sedicente rivoluzionario. Naturalmente il web già
pullula di leggende metropolitane circa lo stalinismo di Grillo e le mire occulte dei suoi spin doctor
di Casaleggio&Associati, veri registi occulti di tutta la baracca
(secondo l’inevitabile vulgata complottarda) e assertori di un nuovo ordine mondiale, vagamente orwelliano. Stiamo alla politica.
“Parma è una città indebitata, con un grave dissesto economico. Il
MoVimento 5 Stelle è un salto nell’ignoto, nel domani. Gli altri sono la
continuità con il passato, la certezza del suicidio assistito. Vincenzo Bernazzoli,
il candidato del Pdmenoelle è presidente della Provincia di Parma (ma
le Province non dovrebbero essere abolite?) in carica (così se perde
conserva il posto di lavoro) e sostenitore dell’inceneritore (che causa
neoplasie), ha spiegato che il futuro di Parma è nel maggiore
indebitamento bancario e che (nessuna paura) i suoi uomini sanno come
trattare con i banchieri.”
Oltre che con Federico Pizzarotti a Parma (amministrata dal centrodestra da quasi quindici anni), definita nello stesso post da Grillo “la nostra piccola Stalingrado”, il M5S è al ballottaggio a Budrio (in provincia di Bologna) con Antonio Giacon vs Giulio Pierini (Pd) e a Comacchio (in provincia di Ferrara) con Marco Fabbri vs Alessandro Pieroni
(centrosinistra allargato all’Udc). In tutti e tre i comuni della
Regione in cui si vota lo scontro è tra il Partitone e i nuovi barbari
di Grillo.
Da qui a domenica cercherò di raccontare le disfide elettorali, i
protagonisti e le ragioni del contendere. Proverò a tracciare piccoli
affreschi di paese in grado di sgombrare il campo dalla fuga nello
stereotipo che caratterizza il mainstream nostrano e di capirci qualcosa
nel piccolo terremoto in corso.
Per ora l’unico che ha accettato di parlare con tFP, il
candidato sindaco del Pd a Budrio, mi ha stupito lamentando una
strumentalizzazione “tutta nazionale” di un voto locale. E io che
pensavo che fossero proprio i temi locali il cavallo di battaglia delle
liste legate al brand Grillo. Spero che i candidati del M5S,
contattati su Facebook nei giorni scorsi, sappiano far luce su questo
piccolo mistero e sul resto. Diversamente dovrò affidarmi solo alla
ricerca e il racconto sarà inevitabilmente più sfuocato.
(1 – continua)
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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8 maggio 2012
È NATA UNA STALLA
Un’altra volta. A vent’anni di distanza, tutto si ripete nella
stessa, identica, maniera. Per filo e per segno, le elezioni hanno
scandito il penultimo atto del big bang dei partiti, nel ben
noto copione mediatizzato di mazzette, manette, assalto alla spesa
pubblica e alla moneta corrente (ma senza la lira da svalutare) unito
alla disperante incapacità di fare politica. Vent’anni passati a non
decidere che cosa l’Italia avrebbe dovuto essere e ora, dopo che anche
l’ultimo dei fessi li ha sgamati, tutti a gridare all’antipolitica dei
bruti che minacciano le virtù repubblicane.
Così, come nel 1994 è arrivato il marziano antipolitico magnate dei
media, adesso ce n’è un altro, che conosce quelli nuovi (di media). E sa
(e lo scrive da anni a chiare lettere) che per vincere le elezioni
contro quei morti di sonno da cui è circondato non servono congressi,
tessere o sezioni né rimborsi milionari, che i partiti si spartiscono
come gangster al saloon. Meglio usarli contro di loro,
adesso che la gente fa davvero fatica ad arrivare alla fine del mese e
che il bollettino dei suicidi per debiti se la gioca con quello dei
caduti sul lavoro. Adesso, la gente, ai soldi ci guarda proprio.
La chiamano antipolitica, col riflesso condizionato di chi considera tout court la politica una cosa sporca e prende poco l’autobus. Forse perché, semplicemente, non credono possibile un mondo in cui un consulente informatico
di una banca (che deve prendere le ferie per fare campagna elettorale)
possa realisticamente arrivare al ballottaggio per diventare sindaco di
una città come Parma. E non sono tanto i politici di professione (che si
difendono alla meno peggio) ma la pletora di opinionisti che, eterni
interpreti dell’arte del disincanto, adesso spalancano gli occhioni e
sparano a caratteri cubitali.
La notizia più scioccante di queste elezioni non è l’affermazione di
Grillo, su cui il solito Giuliano Ferrara contro tutti ha sentenziato, a
una smagliante Bianca Berlinguer: “è il vero sconfitto della giornata,
con questo clima mi aspettavo il 20/30 per cento”. La sorpresa vera è
stata la botta d’arresto subita da Casini, Fini & Co. Come alle
amministrative del 1993, al centro si è spalancata una voragine,
considerata la caduta libera del Pdl (con Berlusconi in gita da Putin,
per non saper né leggere né scrivere).
Il Pd dicono che tiene. A regola è il primo partito d’Italia (visto
che il Pdl è via di scioglimento) e, nonostante non riesca a esprimere
candidati nelle grandi città (a Genova è in testa Doria, indipendente, a
Palermo Orlando, Idv, contro Ferrandelli, ex Idv), in termini di lista,
appunto, tiene. Sarà per questo che D’Alema va predicando la fine delle
leadership populiste e di certo, passata (se passerà) la paura dei
ballottaggi, Bersani penserà (forse a ragione) di potersi giovare per un
po’ dell’effetto-Hollande (segretario pacioso, senza grilli per la
testa, vince le elezioni mettendoci la faccia).
Ma c’è un ma. Quel famoso effetto ’94 non c’è alcuna ragione per cui
non debba ripresentarsi, con le stimmate dei giorni nostri. Non è che
gli elettori del Pdl e della Lega (bombardata ma non del tutto
affondata, anche se in via di mutazione grillina) siano scomparsi coi
loro partiti. E se, putacaso, possono bastonare gli odiati post
comunisti, magari votando una giovane faccia pulita senza partito,
perché non dovrebbero farlo? Per paura dell’antipolitica?
Oltre a Parma, dove il candidato è al ballottaggio con quello del
centrosinistra (Pdl quarto, tipo) in Emilia-Romagna la cartina politica
diventa interessante, se letta in controluce. Il Movimento 5 Stelle va
al ballottaggio a Budrio (in provincia di Bologna, roccaforte Pd) e a Comacchio
(in provincia di Ferrara) con risultati sopra il 20 per cento.
Tendenzialmente in regione non scende mai sotto il dieci e sfonda quando
ci sono questioni in grado di dividere la cittadinanza, sul merito
delle proposte politiche (inceneritore, centrale a biomasse, storici
cavalli di battaglia).
Come nel 1993 oggi il centrosinistra tira a festeggiare, occhieggia
speranzosa a Parigi e teme Atene come la peste, mentre Grillo sta
organizzando l’opposizione nelle sue roccaforti (di voti, potere, spina
dorsale), sui contenuti che scaldano davvero il cuore dei suoi, famosi,
militanti di base come fa contro Lega e Pdl dalle loro parti (rivolta
fiscale, nisba cittadinanza agli immigrati nati in Italia). Quando poi i
suoi candidati si dimostrano intelligenti e preparati e i vecchi ras
del villaggio sono troppo bolliti per correre (e/o per piazzare rampolli
presentabili) rischia pure di vincere.
A occhio, a Bersani converrebbe davvero mandare tutti a spendere e
andare a votare con questa legge elettorale. Tra un anno forse è troppo
tardi (anche per l’effetto-Hollande). E a chi, quando sarà il momento,
venisse in mente (Ferrara l’ha già esplicitato prima su Rai Tre, con
evidente sadismo) di proporre qualcosa che assomiglia al governo di
unità nazionale (non c’è bisogno di dichiararlo esplicitamente in via
preventiva, dopo aver approvato una legge elettorale proporzionale, la
gente capisce) perché “c’è bisogno di senso di responsabilità”, si tenga
bene a mente la lezione di Avigliana.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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16 maggio 2011
MI ASSENTO
Per la prima volta in
vita mia oggi non vado a votare. Non per snobismo rancido o cinismo
disarmato, solo non sono più disponibile a subire il ricatto.
Dell’emergenza democratica, del momento storico delicato, della
chiamata alle armi, del richiamo della foresta. Sempre la stessa
storia, sempre lo stesso ricatto che pesa come un macigno su chi ha una
coscienza politica (o l’avatar spolpato che ne rimane) a cui rendere
conto. Oggi smetto.
Se vivessi a Milano sceglierei
Pisapia, se stessi a Torino Fassino, a Napoli sarei disperato e a
Bologna almeno mi rimarrebbe Willie. Invece dovrei andare a votare per
la Provincia di Ravenna e intendo illustrare qui le ragioni per cui non
ho intenzione di farlo. Non per espiazione anticipata né (spero) per
esibizionismo da blogger, è che mi pare giusto illuminare quella
parolina che chiude un po’ mestamente le tabelle della tv: astenuti.
Forse
tutti gli astenuti anonimi hanno una ragione valida per accettare di
buon grado di finire così in basso nella gerarchia civica, proprio il
giorno della festa della democrazia. Non più al calduccio di uno dei
loghetti colorati che ornano (contornati da numeri e percentuali) le
prime serate dell’Italia al voto, ma nel gelido e anaffettivo
“astenuti” esclamato dallo speaker in tono ospedaliero a margine dei
piatti forti del match politico di giornata. Chi legge penserà:
ecchissenefrega di che fa Orione domenica? Non ha tutti i torti, ma in
fondo leggere è come votare: si può smettere in ogni momento.
Dicevo:
Ravenna, provincia. Il paese dove vivo da qualche anno è piccolo e
privo di grossi problemi/opportunità. La dialettica politica di solito
si risolve in saghe strapaesane dove maggiorenti, rampanti e famiglie
che contano incrociano le lame per definire il perimetro del proprio
potere. Lo dico senza astio né alcuna sfumatura moralista, sia ben
chiaro, mi pare semplicemente la trasposizione contemporanea delle
disfide tra famiglie ai tempi dei Comuni, delle Signorie, del Papato
temporale e del Sacro Romano Impero. Nulla di male, niente di nuovo.
Il
tema politico locale che interessa me è la costruzione della centrale a
biomasse al posto dell’ex zuccherificio Eridania: un chilometro da
casa, mezzo dall’asilo di mio figlio. Non starò a tediare sui dettagli
(è tutto in Rete, come al solito), basti sapere che: a) in zona non ci
sono biomasse; b) non sono previsti risparmi economici per i residenti;
c) l’impatto ambientale mi preoccupa e le spiegazioni delle
amministrazioni di centrosinistra non mi hanno convinto; d) la
devastazione di Palazzo San Giacomo, perla del barocco italiano che ha
la sfiga di essere stato costruito (quasi quattro secoli fa) affianco, è
quasi certa; e) “riqualificare il territorio” a suon di camion e
asfalto mi pare una roba barbarica e antistorica.
Naturalmente
non c’è solo la centrale a biomasse di Russi nelle elezioni di
domenica ma nella mia lista di priorità è al primo posto. Quindi gli
sponsor, Pd, Pri (e mi sarebbe piaciuto votarla, l’Edera romagnola)
& company, sono out: tutta la parte sinistra della scheda.
Rimarrebbero quelli di Di Pietro (contrari e intruppati, come al
solito), ma piuttosto voto per Berlusconi. Poi, tolti Storace e Forza
Nuova, rimangono Lega-Pdl (contrari alla costruzione della moschea di
Ravenna, vero e proprio spartiacque ideologico tra buoni e cattivi),
Udc e Fli (pro-centrale) e l’appassita lista civica dei comitati
anti-centrale di cui ho rimosso il nome, crudelmente cacofonico.
Di
certo è colpa mia, non mi va mai bene niente / sono un bastian
contrario (o un anarchico bolognese in trasferta, come me la racconto
io), ma alla Provincia di Ravenna non so per chi votare. Quindi passo e
cito La profezia dei Celestini di Stefano Benni, per darmi un contegno (che non ho) e portare un po’ di conforto ai compagni dell’anonima astenuti “negli angoli delle città e della storia”.
“Il
Grande Bastardo disse ai suoi discepoli Pantamelo e Algopedante: ‘È
proprio dei giovani come voi essere affascinati da stregoni e
sortilegi, e pensare che a essi sia riservato il privilegio di donare la
fortuna e cambiare la vita. Ma esistono altre persone che compiono
miracoli e prodigi, nascoste negli angoli delle città e della storia. Se
vedi uno stregone con un copricapo di piume di orokoko che cammina
sopra i tetti, fa volare le edicole e fa cadere polvere d’oro sui
passanti, può darsi che la tua vita stia per cambiare, ma molto più
probabilmente stai vedendo un video musicale. Se vedi una
persona che non si rassegna alle cerimonie dei tempi, che prezioso e
invisibile aiuta gli altri anche se questo non verrà raccontato in
pubbliche manifestazioni, che non percorre i campi di battaglia sul
bianco cavallo dell’indignazione, ma con pietà e vergogna cammina tra i
feriti, ecco uno stregone. Quando non c’è più niente da imparare, vai
via dalla scuola. Quando non c’è più nulla da sentire, non ascoltare
più. Se ti dicono: è troppo facile starne fuori, vuol dire che ci sono
dentro fino al collo. Vai lontano, con un passo solo’.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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28 aprile 2009
MANIFESTIVAL 2009
 "UDC: Un Divorziato Cattolico"
L'occasione fa l'uomo creativo. Basta
un generatore automatico di manifesti - messo a disposizione degli
aspiranti copywriter da Paul The Wine Guy - e le contraddizioni, le
ruffianerie e le involontarie comicità dei nuovi manifesti dei partiti
per le elezioni europee saltano fuori in tutta la loro creatività.
La
moda "virale" di taroccare i faccioni degli eterni candidati a
qualcosa, che incombono seriali da tangenziali e vicoli medioevali in
quella campagna elettorale permanente in cui si è definitivamente
trasformata la politica italiana, non è certo una novità. Solo, si
vanno affinando gli strumenti tecnologici per permettere a chiunque -
anche a chi non è in grado di photoshoppare le foto - di scoprire la
propria vena creativa e magari di sfogarsi pure un po'. L'articolo completo, l'ultimo Bianconiglio pubblicato su Aprile, si trova qui. L'immagine l'ho presa in prestito qui.
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