21 febbraio 2013
UNA RICETTA PER L'ITALIA / Lettera aperta a tutti i candidati
 Se il diavolo si nasconde nei dettagli, tra le tante schifezze che si
possono annoverare nella funestata penisola pre-elettorale c’è
un’ingiustizia particolarmente odiosa e forse troppo piccola per trovare
spazio tra i cubitali delle grandi testate, pancia a terra a celebrare
il Grande Addio e/o il wrestling elettorale. Riguarda i malati di alcune
patologie e la loro sfiga di aver incrociato, oltre la malattia, anche
una cura fuorilegge.
Per chi soffre di diversi tumori particolarmente dolorosi, di
malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, di epilessia, anoressia e
di tante altre patologie, i derivati della cannabis possono essere una
soluzione. I suoi effetti analgesici, calmanti, di stimolo all’appetito,
al buonumore (per chi soffre di depressione non è un dettaglio) da
tempo ormai sono oggetto di studi, ricerche e pubblicazioni da parte
della comunità scientifica di tutto il mondo.
Così come, in mezzo mondo, si fanno strada sperimentazioni
legislative che rompono l’assedio psico-culturale del proibizionismo: i
referendum, contemporanei all’elezione di Obama, che hanno reso legale
la sostanza negli stati di Washington e del Colorado sono solo l’ultimo
esempio. D’altronde era stato l’ONU, oltre un anno fa, a pubblicare uno
storico rapporto in cui decretava il fallimento della repressione e
l’urgenza del cambio di rotta a livello planetario, dopo decenni di
manganello.
Anche in Italia si muove qualcosa. Oltre alle sentenze della Corte di Cassazione, che hanno prima ammesso la coltivazione a uso “domestico” e poi, pochi giorni fa,
decretato non punibile il consumo di gruppo, si stanno muovendo le
regioni, in rigoroso ordine sparso (anche politico). Sono partite la Toscana e la Puglia, in cui è nata la prima associazione di malati-consumatori raccontata da FrontPage, seguite da Liguria e Veneto. L’Emilia-Romagna dovrebbe accodarsi a breve.
Nonostante ci si possa rallegrare per i malati di queste regioni
l’assurdità del federalismo all’italiana, che garantisce un diritto alla
salute sostanzialmente diverso a seconda del comune di residenza, è
evidente. L’inanità di un Parlamento che non è riuscito a decidere nulla
che prevedesse un dibattito tra persone libere è la causa dell’inferno
legislativo, in cui la legge Fini-Giovanardi ha precipitato migliaia di
malati e circa cinque milioni di consumatori di cannabis.
Il bavero alzato e la banconota stiracchiata, allungata allo
spacciatore nel vicolo buio, sono a tutt’oggi l’unica ricetta per chi
intenda mettere la propria salute prima della legge (peraltro differente
a seconda di latitudini e giurisdizioni). Col rischio, o il semplice
terrore (che poi sono un po’ la stessa cosa) di vedersi ritirare il
passaporto, la patente, la custodia dei figli. O magari di farsi qualche
giorno in gattabuia, a discrezione.
Ora, tra le tante sbandierate come tali, questa è un’emergenza. Lo è
per chi vive la malattia sulla propria pelle, ogni giorno, ed è
costretto dallo Stato a considerare la propria cura come qualcosa di cui
vergognarsi, da fare di nascosto dai vicini, dagli amici, dai parenti.
Quando invece scienza e coscienza, da che mondo è mondo, sanciscono che
solo il medico e il paziente hanno il diritto-dovere di condividere la
cura. In libertà.
Per queste ragioni si chiede a tutti i candidati, di ogni ordine e
grado come si suol dire (a Palazzo Chigi, alla Camera, al Senato, nel
Lazio, in Lombardia e nel Molise), di impegnarsi pubblicamente ad
approvare entro i mitici primi cento giorni – quelli appunto delle
emergenze – una legge molto semplice che stabilisca:
- la legalizzazione dei farmaci a base di cannabis
- la liberalizzazione delle associazioni di consumatori di cannabis ad uso medico
- la liberalizzazione delle piantagioni di cannabis ad uso
medico destinate ai nuovi mercati (farmacie, parafarmacie, associazioni
di consumatori)
- l’equiparazione della cannabis ad uso medico da terrazzo al basilico.
Naturalmente questo non significa far west. Al contrario è interesse
anche dei malati che gli altri, tutti, rispettino norme di buon senso
(che già esistono) per evitare di mettersi alla guida o di svolgere
mestieri delicati dopo aver assunto farmaci a base di cannabis. Ma vale
anche per il Tavor e per tutti gli altri analgesici che inibiscono le
normali funzioni neurologiche di cui ci si serve per guidare o lavorare.
Non è una news.
In Italia ci sono tante associazioni di malati che si battono per la
libertà di cura e il prossimo Parlamento, nel bene o nel male, sarà
comunque una rivoluzione. Politica e anagrafica. Questa battaglia è una
battaglia giusta che potrebbe materializzare una maggioranza di
parlamentari ragionevoli, indipendentemente dalla loro collocazione
politica all’interno dell’emiciclo: prima di decidere se votare e per
chi, scrivete ai candidati del vostro collegio e chiedete loro se
intendono o meno prescrivere una ricetta per l’Italia. La vostra. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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