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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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19 gennaio 2013
CAYMANISTAN 2 / IL RITORNO
“Diciamo che la politica va vista con attenzione. Ingroia ora è
un’eversione nera che incide nel profondo il movimentismo ormai smarrito
che si definisce di sinistra, ma che poi si innamora di progetti di
ultradestra come Grillo, Ingroia, Di Pietro. Berlusconi è stato comunque
l’ultimo a fare politica estera e per questo l’han fatto fuori. Se non
altro perché i nemici li preferisco davanti piuttosto che di fianco,
butto anche io Ingroia.”
Il mio vecchio compare di occupazione Fabio Zanon, dopo un acceso e
per certi versi tipico dibattito pre-elettorale su Facebook, risponde
così alla questione che avevo posto all’attenzione dei miei amici
virtuali: “Tra Berlusca e Ingroia giù dalla torre ci spedisco Ingroia”.
Zanon conduce in queste ore un’appassionata e incredula campagna, da
sinistra, contro la candidatura del magistrato palermitano.
La sua incredulità si appunta sull’innegabile dato di fatto che il
calderone politico di tutte le sigle, associazioni, movimenti e
collettivi dell’estrema sinistra (Partito Comunista dei Lavoratori
escluso, se non erro) abbia come leader un magistrato, peraltro di nota
propensione “manettara”, accompagnato da due ex colleghi come il
brillante De Magistris e l’ormai spompato Di Pietro (apripista però di
questa sorta di privatizzazione della politica per via giudiziaria).
Ironica sorte, quella dei militanti dei centri sociali, del movimento
No Tav e di tutte le realtà antagoniste per cui, sinora, il magistrato
di turno era stato fondamentalmente stato il capo delle guardie. Quello
che mandava la perquisizione, faceva sequestrare il computer, arrestare i
compagni di lotta. Ora legalità e questione morale (“intrinsecamente
reazionaria” secondo un altro commentatore su Facebook), diventano erga
omnes il mito fondativo della nuova rivoluzione civile e tengono in
scacco gli altri. “Un po’ come se la Juve entrasse in campo dichiarando:
il nostro obiettivo è rispettare il regolamento”. Sintetizza
efficacemente Zanon.
Spostandosi un po’ a destra, poi, non è che il panorama si rallegri
più di tanto. “Benvenuta Sinistra” ricorda con vago struggimento
“Maledetta Primavera” e i sondaggi consegnano
un poeta pugliese sembra sempre più sfiatato, un po’ dalla competition
col magistrato (che si dichiara gagliardamente pronto a ritornarsene in Guatemala,
dovesse girar male) e un po’ dall’inevitabile abbraccio mortale con la
logica di governo (logica a cui peraltro è ben rodato), fatta più di
compromessi e mezze sconfitte che di narrazioni ispirate.
“Il logo di Monti sarebbe perfetto come nuovo logo del Club Alpino
Italiano, è tristissimo, quasi da pompe funebri e con un font vagamente
fascistoide”. “Scelta civica: con Merkel per l’Italia” è senz’altro il fake
più riuscito del nuovo logo del ressemblement centrista che fa capo a
Monti. Che non è brutto, come dice Toscani, se la pubblicità dev’essere
un modo per rappresentare con efficacia il prodotto.
Perché questo è il prodotto. Ormai a seguire anche distrattamente le
cronache, pare evidente che definire elitario o tecnocratico l’approccio
alla politica di Monti sia piuttosto generico e per certi versi
fuorviante. Il premier si comporta, agisce e interagisce come se fosse
né più né meno, tipo, che il responsabile risorse umane per l’Europa del
Sud della Goldman Sachs o di una Spectre qualsiasi e gli fosse toccata
in sorte la rogna di raddrizzare, secondo logiche aziendali immote e
immutabili, la guappa Italia.
Intanto, nei duri fatti, la gente comincia a toccare con mano quanto e
cosa significa la “cura Monti”. Non solo per una questione di
quattrini, che sono più che sacrosanti sia chiaro, ma in termini di
concezione della vita in comunità. Di spazi di libertà e responsabilità.
Il nuovo redditometro, che inverte l’onere della prova tra Stato e
individuo in materia fiscale, rappresenta assai bene la destinazione
poliziesca a cui conduce il carro funebre dell’austerity montiana.
Gli alleati inevitabili, apparentati coi fratellini di sinistra di
Vendola, sono allo stato attuale l’unico partito in campo. Il Maya di Bettola, confortato dai potenti fiati del destino, ha sparigliato le carte nella sua metà campo (e soprattutto in ditta),
ma ora si trova coi sondaggi che lo inchiodano (di già) alla quasi
ingovernabilità del Senato. Se Ingroia non desiste (e non mi pare il
tipo, visti i precedenti) nelle regioni in bilico (Lombardia, Veneto,
Campania e Sicilia) si fa dura.
Così, dopo le Cayman e il fuoco amico, è partita la corte a Renzi a cui pare stiano cominciando a piovere profferte
di poltrone e primizie. Si dice che il Sindaco di Firenze aspetti il
prossimo giro, il cadavere sul fiume, scommettendo da pokerista sulla
fragilità del sempre più probabile Bersani-Monti-Vendola, per poi
ripresentarsi in camicia bianca col sorrisetto sornione come a dire:
avete visto? Di certo se avesse vinto lui, non si sarebbe assistito al
Ritorno.
L’ennesimo Ritorno, nella partita ventennale tra Berlusconi e il
resto del mondo, la solita incredibile telenovela che inchioda l’Italia a
un’epoca in cui Internet era conosciuto solo da quattro scienziati
occhialuti e il Muro di Berlino era caduto da qualche anno appena. L’Era
televisiva, il passato che non passa, e che giovedì scorso è andato in
onda in prima serata, da Santoro, e ha fatto lo stesso share della
finale del Festival di Sanremo o dei Mondiali.
“Lasciate che vi spieghi com’è questo paese: questo paese non è
governabile” ha esordito Berlusconi nella fossa dei leoni, con un
sorriso smagliante. Chi, come i bagarini inglesi, credeva che
sbroccasse, si mettesse a urlare paonazzo in volto, lasciasse lo studio,
si è dovuto ricredere. “Santoro siamo da lei o siamo a Zelig?” Ha
esclamato a un certo punto in un vertice creativo, quando ormai
l’intrattenimento aveva definitivamente sussunto la politica, prima di
giustiziare il giustiziere: “Lascialo qua, Travaglio, lo voglio guardare
in faccia”. Dopo, come da copione, sono (ri)cominciati i cazzi amari.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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4 febbraio 2012
UP PATRIOTS TO ARTS
“ Monti svègliati: i giovani sono già senza posto fisso. La predica falla alle banche abituate
al posto fisso per dare un mutuo. Ai giovani già non importa nulla del
posto fisso. Si accorgono e rimpiangono il posto fisso quando entrano in
una banca, quando chiedono un mutuo, quando chiedono un prestito. E la
risposta è sempre la solita: “no”. Senza posto fisso il mutuo non si fa.
Quindi, caro Monti, questo discorso è da fare alle banche. Ah, potrebbe
parlarne anche in Consiglio dei ministri, ormai è la stessa cosa.
Grazie.”
In Italia si sente dire spesso che quando uno riesce e mettersi
contro tutti significa che sta lavorando bene. O quantomeno che sta
lavorando. Così su Facebook il blogger filo Pdl Daw
riesce a portare a sintesi la reazione che, da destra a sinistra, hanno
suscitato le parole di Monti sul posto fisso “noioso”. Dopo l’uscita
del sottosegretario meritocratico contro gli sfigati che si laureano dopo i ventott’anni si può dire che l’era della sobrietà è un ricordo remoto, come il global warming sotto mezzo metro di neve.
Secondo i sondaggi Monti continua a godere della fiducia degli italiani, ma anche no. L’altro giorno Repubblica.it titolava
“Gli italiani di lotta e di governo promuovono Monti e le proteste” e
presentava l’italianissimo risultato dell’ultimo sondaggio, che
promuoveva Monti e chi lo contesta con percentuali pressoché identiche
(58% a favore del governo, 56% con le piazze).
Una delle ragioni di questa apparente schizofrenia può essere
ascritta al noto adagio italico “Franza o Spagna purché se magna”, ma
non basta. I desolanti e desolati partiti politici hanno pure la loro
parte di responsabilità in commedia e la recente scoperta della
scomparsa di 13 milioni di euro dal conto corrente della fu Margherita
di certo non aiuta la generosa resistenza contro il mainstream antipolitico, sempre più bipartisan.
Oppositori e sostenitori del governo sono ruoli così palesemente
tattici (come prima la saga pro/contro B.) nella commedia dei partiti,
che nessuno li prende sul serio da tempo. Il dramma è che sotto la
tattica non sembra esserci niente di più del solito basso cabotaggio, i
consueti strumenti per la navigazione a vista in una fase storica che
richiede coraggio visionario. Pure la pantomima sull’articolo 18,
inscenata dal governo con un andirivieni imbarazzante di sparate e
smentite, non aggiunge né risolve granché. Il lavoro non c’è perché non
ci sono soldi che girano, altroché mobilità in uscita.
Cambia il mondo ed è ormai chiaro che globalizzazione significa iPhone, Twitter e Wikipedia ma anche che
“le panchine sono piene di gente che sta male”. Il villaggio globale è
l’Eden della conoscenza svelata e delle infinite opportunità, certo, ma
anche l’era della polarizzazione estrema della ricchezza che spacca il
mondo fra élites cosmopolite e proletariato televisivo, sempre sul ciglio della favela.
Questo mondo, in cui cresceranno i nostri figli, assomiglia sempre
più a una sorta di Medioevo tecnologico, con i templari della finanza a
guardia dell’ortodossia sviluppista che misura la salute di
Stati e famiglie con il termometro unico del Pil. E l’ordine dopo la
crisi si configura ora (o mai più) nelle agende di Bruxelles,
Washington, Pechino, Brasilia e Nuova Delhi, in una mano di poker con le
agenzie di rating, gli organi di governo sovranazionali e gli interessi
economico-finanziari che non hanno certo bisogno di Davos per contare.
Nella trasmissione di Santoro, che ascolto mentre scrivo, hanno
appena intervistato una pensionata greca. Le hanno tagliato l’assegno
mensile di quattrocento euro e non ha i soldi per pagarne novecento di
luce. Così gliel’hanno tagliata. A lei, a suo marito pensionato, a sua
figlia e a suo genero, disoccupati, che vivono lì con la figlia piccola.
In Grecia si stanno moltiplicando gli episodi di malnutrizione
infantile, come nei paesi poveri, e neanche i bilanci stanno così bene.
L’inviato le chiede come fanno: “Con le candele.”
Bisogna che tecnici e/o politici, italiani e/o europei, siano in
grado, adesso, di indicare una direzione di marcia, un approdo
credibile, una speranza comune. È l’unica alternativa ai forconi che,
come in Grecia, passeranno sempre più spesso alle vie di fatto, una
volta constatato che il tempo delle parole è passato. Oltre che della
povertà bisogna avere paura delle sue conseguenze, ora che con l’iPhone e
Twitter chiunque è in grado di mostrarle al mondo in tempo reale.
L'articolo (con foto) è statp pubblicato su The FrontPage.
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6 giugno 2011
ATTENTATO ALLA NEGROMANZIA
“A Nichi Vendola voglio bene. Ma quando va in una città che non
conosce dovrebbe ascoltare più che parlare”. Promette proprio bene il
sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che non ha digerito il
comizietto al solito tempestoso e appassionato con cui il leader di
Sinistra e Libertà ha salutato la sua storica vittoria, in Piazza del
Duomo. Il carisma da trasferta del governatore della Puglia, aspirante
Pisapia nazionale, è stato giudicato inelegante e inopportuno dal
“sindaco di tutti”, che ha puntualizzato stizzito che “a Milano si è
vinto perché abbiamo parlato dei problemi di Milano”.
Il negromante Vendola,
a regola, se la deve guadagnare anche e soprattutto in casa propria e
non basteranno i “comizi d’amore” e l’ispirazione poetica per ottenere
lo scettro di candidato premier del centrosinistra. Anche il carisma
popolano (supponendo che il cosiddetto popolo si disinteressi del tutto
ai congiuntivi) di Antonio Di Pietro sembra essere offuscato dalla nuova
pop star manettara che, fresco dell’immunità concessa dal
Parlamento Europeo nella causa per diffamazione intentatagli da
Mastella, ha sbancato l’elezione a sindaco di Napoli con oltre trenta
punti di scarto sul candidato del Pdl e senza apparentarsi col Pd.
Ma il grande sconfitto, celebrato da tutti i giornali, che s’è
candidato al consiglio comunale di Milano e ha preso la metà dei voti
dell’altra volta, è il negromante-capo. L’attuale (e spesso deprecata a
vuoto) personalizzazione della politica è una sua creatura, così come la
cultura di massa che ha segnato nel bene e nel male l’Italia a colori e
ha preparato il terreno. Ora forse gli è sfuggita di mano. L’era
televisiva è agli sgoccioli e il solo fatto di dare la colpa della sua
sconfitta a Santoro & Co. la dice lunga sulla consapevolezza
dell’uomo circa la contemporaneità e i suoi crucci. Berlusconi è
invecchiato davvero.
Fini, Casini e Rutelli, aspiranti negromanti da una vita, non se la
passano molto meglio. Certo, possono consolarsi con il solito balsamo
della rendita di posizione che, un po’ qui un po’ là, garantisce al
cosiddetto Terzo polo (che al pari degli altri due è diviso su tutto ciò
che in politica è fondamentale: valori, opzioni etiche, visoni del
mondo) qualche scampolo di esistenza che solo l’Italia delle eterne
signorie non rende del tutto effimera. Niente a che spartire con il
sogno finiano della destra legalitaria e liberale che scaldava i cuori
anche a sinistra (non sembra passato un secolo?) o con l’improbabile
riscossa neo-democristiana dai capelli ormai quasi tutti bianchi, ma
ancora abbastanza George Clooney per seguitare a prendere voti in
parrocchia (Casini e Rutelli sono interscambiabili a tale proposito).
Chi pare non avere di questi problemi è il segretario del Pd. Bersani
è unanimemente considerato l’anti-carisma per antonomasia e, di
conseguenza, la nemesi antropologica di negromanti e arruffa-popolo. Di
certo l’insperato trionfo elettorale della sua parte politica si deve a
una nuova leva di negromanti che, per consolidare il potere acchiappato,
si vede costretta ad ammazzare i padri, spesso vecchi e ingombranti. Il
rabdomante Grillo l’ha capito al volo con De Magistris (ogm scoperto
dal comico genovese e impiantato nell’Idv) e ha tentato di azzannare per primo tirando su il solito teatrino all’italiana.
Con la negromanzia berlusconiana al tramonto e i leader “usato
sicuro” di centro, destra e sinistra in potenziale affanno, a Bersani
tocca la scelta. Giocare in proprio, puntando sulla sua immagine di
“affidabile riformista con la testa sulle spalle”, o puntare su un
negromante di partito (c’è?) in grado sia di scaldare i cuori che di
governare l’Italia? Non si sa contro chi correrà ma vista la posta in
gioco conviene puntare sul migliore, anche se significa sacrificare un
po’ di ego. Siam mica qui a smacchiare i giaguari, o no?
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26 gennaio 2011
L'AVATAR DI CALIGOLA
 “Since the Roman Empire, politics here has
been seen as a means to power and money. Even today, Italy remains a
land where complex networks of connections and family ties can still, as
in feudal times, count more than merit or position, whether in getting a
job or a bank loan.” Rachel Donandio sul New York Times ha raccontato
il reality-show Italia alla luce delle gesta del solito unico,
celeberrimo, protagonista indiscusso “Surreal: a soap opera starring
Berlusconi”.
Non c’è solo Caligola, l’avatar impazzito del presidente del Consiglio che sbraita
contro Gad Lerner alle undici sera mentre gli italiani normali davanti
alla tv (tutti quelli che potrebbero votare per lui) guardano il Grande Fratello, nell’articolo del Nyt “Prisoner of this world that he created”, ma anche “I invented a parallel life”, Ruby heart-stealer
canonizzata in fascia protetta tv dall’avatar Berja-chic di Signorini, e
soprattutto gli altri protagonisti del virtuality-show: gli italiani a
casa. Quelli del televoto, che hanno già mandato tre volte Berlusconi a
Palazzo Chigi e adesso lo metterebbero pure in nomination, ma non vedono alternative.
Il fatalismo italiano è il vero alleato di Berlusconi, secondo il Nyt.
Niente di nuovo sotto il sole. Italiani brava gente, Franza e Spagna
purché se magna, fascisti con il Duce e antifascisti dopo il 25 aprile e
neanche nel ’92 andò diversamente. Tangentopoli (oltre l’incredibile
percentuale di assoluzioni e lo spropositato numero di anni trascorsi
preventivamente dietro le sbarre dagli imputati) non ha cambiato una
virgola nella società, a parte la decapitazione dei partiti che avevano
fatto la Repubblica, se non in peggio. Oggi il copione si ripete ma gli
italiani hanno ancora meno voglia di sbattersi e, al massimo,
s’indignano periodicamente a qualche festa comandata di piazza, su
Facebook o davanti a Santoro e Floris. Insomma, a differenza che dal nonno di Ruby, la “rivolta non scatta”.
Il braccio di ferro tra Fiom e Fiat, anzi, ha spostato molti più consensi
del Ruby-gate. La solita metà degli italiani per una ragione o per
l’altra non si sconvolge troppo con la storia del puttaniere prestato
alla politica (e/o sospetta che sia in buona compagnia). L’altra è in
ostaggio dello speculare psicodramma di un’opposizione scompaginata che
senza l’avatar di Caligola non esiste, un brusio indistinto fra uno
strepito e l’altro del tiranno virtuale. Ormai si definisce solo per sua
nemesi e, per questo, dovrà necessariamente arrivare fino alla fine
dello show. Costi quel che costi. Si lustrino le baionette, dunque, e si
olino le ghigliottine. Tanto poi arriva sempre la pubblicità. Chissà
stavolta che programmi ci sono dopo.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. L'immagine è stata presa qui.
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29 marzo 2010
ALL STAR WEB
 Durante
“la più brutta campagna elettorale della storia della Repubblica", secondo
Sorgi sulla Stampa, pare che nessuno si sia accorto delle corse clandestine di Right Nation (o forse tutti le sbirciano in
silenzio), ovvero dell’escamotage creativo adottato da Andrea Mancia per la
terza (o quarta?) campagna elettorale consecutiva. A onor di cronaca la
domenica delle elezioni gli ultimi pronostici annunciavano un Gran Prix del
Lazio in bilico tra Polverenne (49,2)
e Fan Bonin (49,8), quello della
Puglia quasi saldamente alla briglia di Fan Vendol, 46,8 contro il 43 di Palenne e il 9.5 di Ipson de Borton. In Piemonte Fan Bressol conduceva di misura (49,1 a 48,1) su Cotenne, mentre in Campania Caldenne (49,1) sopravanzava nettamente Fan De Luc (45,3) e General Ferrer (3). Il resto come da sondaggi “ufficiali”.
Tv
senza politica, sotto elezioni: non esiste in nessun paese del mondo libero (e
semilibero). Si può dire, come ha fatto Santoro, che in questo c’è puzza di
fascismo, ma è indubbio che quello che è riuscito a combinare con
“Raiperunanotte” non se lo sarebbe mai nemmeno sognato senza la censura del
Caimano. Idem per “Mentana Condicio” sul sito del Corriere. “Mentana e Santoro
hanno avuto il merito di sperimentare la sinergia tra nuovi media e vecchi
contenuti. Hanno avuto il merito di proporre prodotti professionalmente
ineccepibili, anche dal punto di vista tecnico.” Sentenzia
Grasso.
“Raiperunanotte”
però ha fatto di più. Piaccia o no, quello che è successo giovedì a Bologna ha
segnato un punto di svolta. Un po’ come se le famose “piazze televisive”,
inventate da Angelo Guglielmi negli anni ’80, fossero uscite dallo schermo e
avessero dato vita a un’immensa piazza relazionale, a cui hanno partecipato i
pensionati di Tele Lombardia, i fans stipati davanti ai maxischermi sparsi per
l’Italia, gli studenti col portatile. Santoro parla del 13% e rotti di share (facendo la somma degli ascolti delle
45 tv collegate) e di 120.000 utenti unici in Rete, a cui va aggiunta la gente
in strada e chi s’è visto qualche pezzo su YouTube. Difficili da calcolare, ma
davvero tanti.
Certo,
le solite “storie da raccontare” di Santoro (i problemi veri della gente
normale) a “Raiperunanotte” sono parse ancor di più degli spot fra le
passerelle delle star della libera informazione, tutte impeccabili (a parte
Morgan) e al gran completo. “In fondo si può essere felici anche da poveri,
basta avere tanti soldi” (diceva Pozzetto nel “Povero ricco").
L'articolo è stato pubblicato, con un altro titolo, oggi su "The Front Page". L'immagine l'ho presa qui.
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15 marzo 2010
SUPERTAR
"In
qualche modo è una data storica, che verrà ricordata nei libri di comunicazione".
Aldo Grasso colpisce nel segno perché,
al di là degli annunci epocali (un po’ ovvi considerata la location), la
“Mentana Condicio” è una bella idea già diventata evento. Il blackout dei talk
show “politici” (“basta teatrini!”) aveva aperto una breccia, creato
d’improvviso un mercato: quei 5 milioni di italiani, consumatori assidui
(quando non veri e propri tossici) di informazione. “Vietati in tv, liberi sul
web” è il claim della trasmissione che il disoccupato di lusso Mentana ha
inaugurato sul sito del Corriere della Sera (che a ogni puntata invia legioni
delle sue penne migliori).
“Allora
eccoci qua… è inutile che vi faccia qualsiasi pistolotto perché se avete
cominciato a seguire queste immagini sapete già di che si tratta… facciamo qui
quello che non si può più fare sulle televisioni nazionali…”. Nella prima puntata un La Russa in gran spolvero
(era reduce dalla performance fascio-dadaista
alla conferenza stampa del premier, il mattino) si è misurato con il vice
segretario del Pd, apostrofato da Mentana con un bel “ma lei parla proprio come
un libro stampato” (lui non ha battuto palpebra, per tutta risposta). Per quasi
un’ora, in un clima semidomestico, i due se le sono date (cioè: La Russa ci
provava ma Letta era come Mister Fantastic) incalzati dalle pop star “castiste”
Stella-Izzo. Il comizio della seconda puntata,
invece, è stato usato da Di Pietro per annunciare la fine delle ostilità nei confronti
del Quirinale, in vista della réunion unionista di sabato 13 marzo.
Per
un paio di giorni la Rete ha preso il posto della tv, Santoro pure ha
annunciato la versione online di “Annozero”, rendendo l’elettrodomestico del
Novecento ancora più antico. Poi SuperTar ha mollato un altro ceffone a
Berlusconi (dopo la sentenza che ha cassato la lista del Pdl a Roma,
sbertucciando con un tratto di penna il famigerato decreto-colpo di stato) e ha
dato ragione a Sky e La Sette, che avevano fatto causa contro il provvedimento
che vietava i loro talk show (e le loro entrate pubblicitarie). Quella di
Mentana rischia di rimanere una talentuosa parentesi.
L'articolo è tratto da The Front Page, dov'è stato pubblicato con un altro titolo.
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1 ottobre 2009
IL TRAVAGLIO QUOTIDIANO
 "E' una sorta di "Travaglio della Sera" questo primo numero: a)
pubblicità di un libro di Marco Travaglio vicino alla testata; b)
commento di Marco Travaglio intitolato "De Villepin e de Minzolin"; c)
notizia a centro pagina: "Editto su Travaglio. Mannaia su Anno Zero";
d) a pagina due ci sono quattro articoli, e in ben tre si parla di
Travaglio; e) rubrica dello stesso Travaglio a pagina 6, "M'illumino
d'incenso", dedicata a Piero Chiambretti alias Pierino Slurpetti; f)
intera paginata, la 21, a firma Travaglio su "Come nasce un giornale.
Il giro d'Italia lettore per lettore"".
Dopo l'articolo di Stefano Di Michele sul Foglio
mi sono incuriosito e sabato (terzo numero) ho tentato di comprare una
copia del "Fatto Quotidiano", il nuovo giornale diretto da Antonio
Padellaro, in un'edicola di Ravenna intorno alle 11 di mattina. Finito.
"Ma si può anche ordinare il primo numero" mi ha informato
l'edicolante. Ci ho riprovato domenica 27, ieri, nell'edicola di Piazza
Farini, a Russi. Bingo. Arrivato al bar mi sono messo a controllare. Tutto l'articolo, il Bianconiglio pubblicato questa settimana sul blog di Aprile, è qui. L'immagine è stata presa in prestito qui.
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18 aprile 2009
TELESCIACALLI
 "Stavolta lo Stato c'è"
Lucia Annunziata in
prima pagina sulla Stampa non ha dubbi. E interpreta con una forzatura
un po' goffa il senso comune - direi il bisogno impellente - di
smetterla con le polemiche e di rimboccarsi le maniche. Tanto tutti
sanno come girano le cose in Italia e gli scoop di Santoro lasciano il
tempo che trovano perché, disgraziatamente, non sorprendono più
nessuno. Non sarà un'altra scazzottata mediatica tra destra e sinistra
a guarire i feriti, a ridare una casa a chi non ce l'ha più (Vera, ti
abbraccio forte!), a consolare chi è sopravvissuto. L'articolo, il Bianconiglio della settimana, si trova qui. L'immagine l'ho presa in prestito qui.
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5 dicembre 2008
LA PENISOLA DEI FAMOSI
 "In un paese con una tv da quindicesimo mondo come l'Italia è normale
quindi che Michele Santoro faccia una puntata dal titolo "L'Isola di
Obama", in cui si discute in modo semiserio se la vittoria di Luxuria
significa qualcosa di politico, se dice qualcosa di sinistra."
Questo è l'occhiello del mio Bianconiglio settimanale su Aprile. Ieri sera ho acceso la tv (pessima idea) e mi sono imbattito nel programma di Santoro su Luxuria, sinistra e realtà (bel salto eh?!). Sansonetti continuava a strillare "Vladi!!!" - come un eterosessuale isterico e un po' coglione che scimiotta Ugo Tognazzi nel "Vizietto" - allora mi sono incazzato come una bestia, ho pensato a Pozzetto nella "Patata Bollente" e ho scritto il pezzo per Aprile da capo.
L'unica persona normale mi è sembrata Fabrizio Rondolino, che parlava di canne e di sceneggiatori fricchettoni che sono capaci di cambiare il costume e lo stile di vita più della Ventura e della sua nuova amichetta politicamente impeccabile.
L'immagine l'ho presa in prestito qui. Tutto l'articolo è qui.
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6 ottobre 2008
REGRESSIONE DELLA SPECIE
Anche ieri sera ho guardato la tivù. Ultimamente ho ripreso ad accenderla, per friggermi un po' il cervello dopo troppe ore passate sul mac a scrivere / navigare / cazzeggiare - dico io. Come faccio tutte le volte che vince le elezioni l'Avanzo di Balera - secondo Vanessa. Il fatto che mi soffermi sempre sui vari Santoro / Floris / Lerner / Mentana mi fa venire il sospetto che abbia ragione lei.
Ieri pomeriggio, al bar di Corso Farini (qui a Russi) sfogliavo la Stampa, quando ho visto uno speciale sulla decadenza della TV. Ascolti, qualità, investimenti pubblicitari: tutto in picchiata verticale, inesorabile. L'articolo centrale diceva che finalmente l'adagio popolare "in tivù non c'è mai niente da vedere" ha trovato conferma nei dati di ascolto e nel parere di massmediologi e esperti vari (tra cui Enzo Bettiza - mitico - che diceva che l'unica cosa che riesce a guardare sono gli spot).
Forse per questo la sera ho acceso il vecchio Grundig (ereditato dalla nonna Venusta), con l'intenzione di vedere il programma di Fazio su Raitre - l'unica cosa guardabile per la guida tv - a cui danno con insistenza dell'intelligente. Boh. Vedere Tronchetti Provera paladino dei consumatori contro gli speculatori - interrotto da scrosci di applausi - è stato già di per sé allucinante, la Littizzetto però forse è riuscita a fare peggio.
Dopo aver sruffianato senza vergogna il capo di Telecom, l'ex cabarettista ora testimonial di Tre - i peggiori cialtroni telefonici in circolazione a parere di chi le ha provate tutte (io) - si è lanciata in uno sproloquio contro "quei pirla che ogni estate invece di andare a Punta Ala si ostinano a scegliere posti rischiosi e quando vengono salvati non chiedono neanche scusa". E quale sarebbe un paese non a rischio? L'Italia magari?
"Se due turisti vengono a Roma in bicicletta e si vanno ad accampare in
un posto abbandonato da Dio e dagli uomini dopo aver chiesto consiglio
su dove mettere la tenda a un branco di pastori immigrati, ebbene è
difficile garantire loro la sicurezza: la loro è stata una grave
imprudenza" Per questa intervista il povero Alemanno neanche due mesi fa è stato crocifisso. Certo, lui è il sindaco di Roma "law and order" e lei la modella gracchiante della Tre, ciò non toglie che la gente - gli spettatori - è sempre la stessa. Che s'indigna contro il sindaco-balilla e sghignazza con la Littizzetto.
Fortuna che - se ha ragione la Stampa - tra un po' finiscono le trasmissioni, del tutto. Lo spot per tecnodementi di Tre / Littizzetto è stato preso in prestito qui.
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