20 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE: COMACCHIO
 “Beh, a voi elettori di Comacchio la scelta: il rinnovamento oppure
un ritorno al passato con Pierotti, già due volte sindaco, che ha
comunque sempre manovrato dietro le quinte le ultime amministrazioni
comunali. Quindi abbiamo una grossa opportunità: riprenderci tutti
insieme, tutti i cittadini, il governo di questo nostro territorio così
splendido…”.
Quando ho visto il video di Marco Fabbri, candidato del Movimento 5 Stelle, su YouTube
mi è tornato in mente l’esondazione sprezzante e vagamente sconsolata
della mamma di due compagni di musica di mio figlio, sulla classe
politica (senza distinzioni) che ha amministrato Comacchio negli ultimi
quindici anni. “Poi hanno pure la faccia tosta di presentarsi adesso
come quelli che vogliono cambiare tutto.”
Il Comune di Comacchio (Cmâc’
nel dialetto locale) conta poco più di ventitremila abitanti
sparpagliati su un territorio che comprende i sette lidi (Lido degli
Estensi, delle Nazioni, di Pomposa, degli Scacchi, di Spina, di Volano e
Porto Garibaldi) che si allargano su spiagge californiane lungo la
costa che congiunge la foce del Reno e il Po di Volano, tocca il Parco
regionale del Delta del Po e fa capo all’antico borgo, le cui vestigia
risalgono ad oltre duemila anni fa.
Il simbolo architettonico della piccola Venezia, “sorta
sull’unione di tredici piccole isole (cordoni dunosi litoranei)
formatisi dall’intersecarsi della foce del Po di Primaro col mare”, è il
Trepponti (nella foto), creato nel 1694 dall’architetto Luca
Danesi e costituito da cinque ampie scalinate (tre anteriori e due
posteriori), culminanti in un piano in pietra d’Istria. Un simbolo
perfetto anche per il barocco politico cittadino (velenoso, invelenito
ma grondante speranza), una girandola di parole che lunedì sera
condurrà, comunque, a un unico “piano in pietra d’Istria”: una e una
sola faccia al timone di Comacchio.
Quella di Alessandro Pierotti, avvocato navigato che corre con una
coalizione formata da Pd, Udc, Lista Civica Futura Comacchio e Lista
Civica l’Onda e ha ottenuto l’appoggio di Fli al Bagno Ippopotamus di Porto Garibaldi, è una faccia spavalda. Al comizio
di chiusura, dopo quindici giorni a testa bassa contro Fabbri e Grillo
(“è lui il primo a non essere incensurato”), anziché parlare del suo
programma “ormai già sentito in tutte le salse” ha preferito bastonare
“Fantomas Fabbri”, che “negli ultimi quindici giorni non si è mai
presentato ad un confronto con me”, e quello che liquida come “un
programma invisibile, un copia-incolla scaricabile da internet”.
Poi passa alle blandizie di vecchia scuola e addita tutto il grillume
che potrebbe urtare note sensibilità. Sostiene che quelli del M5S non
parlano delle vongole che “danno da lavorare a trecentocinquanta
persone” e, con un crescendo berlusconiano quasi epico, che con i loro
canoni sbandierati di legalità diventerebbe fuorilegge l’80% delle
seconde case (che i comacchiesi affittano ai lidi). Alla fine si dice
certo che “se si vorrà votare con la benda sugli occhi è certo che si
ritornerà al voto tra sei mesi”. O Pierotti o il diluvio.
Marco Fabbri è un giovanotto col gel e la faccia da alieno (almeno
rispetto ai canoni lombrosiani del giovane politico contemporaneo).
“Sono nato a Comacchio, dove vivo tutt’ora nella frazione di Lido
Estensi, ho 29 anni, sono laureato presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell’Università di Bologna e sono un dipendente pubblico (ma
non un fannullone!)”. Scrive di sé stesso sulla sua pagina del sito “Comacchio a 5 Stelle”, dove compare con casco e sorriso in groppa a una Ducati.
Nel video su YouTube rilancia i temi-bandiera della sua campagna
elettorale col botto (oltre il 22% dietro a Pierotti che supera di poco
il 36, con quasi l’intero arco costituzionale dietro), primo fra tutti
il “no alla chiusura dell’Ospedale San Camillo deciso da Provincia e
Regione.” La mamma di Comacchio che ho intervistato al posto di
Fabbri-Pierotti è stata la prima cosa che mi ha detto. Poi c’è il
rilancio del turismo declinante su cui anche lui, come tutti, ha la sua
ricetta.
“Una delle prime lotte sarà quella contro la cementificazione del
territorio. In questi anni si è costruito troppo e male: quasi 30000
case, molte delle quali invendute e sfitte… Occorre valorizzare questo
splendido territorio che non è fatto solo di mare, ma anche di valli, di
saline. Siamo nel Delta del Po, i comacchiesi hanno un’occasione unica
per ridare dignità e fiducia a questo posto, che negli ultimi anni ha
perso presenze turistiche nell’ordine di oltre un milione.”
Via libera di fatto a
Fabbri (“oggi l’inesperienza è necessaria”) arriva anche dal candidato
del “Centrosinistra per Comacchio”, che sul Delta del Po evidentemente
non comprende il Pd ma solo Rifondazione, Sel e l’Idv. Fabio Cavallari,
trentadue anni, allenatore di pallavolo e “responsabile postvendita
estero per una multinazionale”, ha superato l’undici per cento dei
consensi al primo turno, arrivando di poco quarto dopo il neanche il 15%
di Antonio Di Munno e il suo Pdl in caduta libera (il sindaco uscente
di centrodestra, Paolo Carli, aveva preso quasi il 60% due anni fa).
Il terzo candidato “giovane” al primo turno, Alberto Lealini della
lista “Voce giovane per Comacchio”, ha sfiorato il dieci per cento dei
voti e si è classificato al quarto posto, davanti alla Lega Nord (poco
sopra il sei). Per qualche giorno è circolata la voce, poi smentita, di
un apparentamento suo con Fabbri e i grillini ma se si sommano i
consensi ottenuti dai “trepponti” della nuova Comacchio (Fabbri,
Cavallari e Lealini) si arriva al 43%.
Forse davvero “la Terza Repubblica nascerà da Comacchio”, come ha profetizzato
Grillo con usuale sobrietà all’ultimo, gettonatissimo, comizio in città
o semplicemente gli elettori stanno prendendo a schiaffoni i partiti
che hanno gestito la baracca fino ad ora. Di certo essere giovani e/o
fuori dai giochi sembra essere la carta vincente per aspirare a fare il
sindaco della piccola Venezia. E Grillo lo ha capito per primo. Staremo a vedere.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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27 luglio 2008
L'ALTRA FACCIA DELLA PLEBAGLIA
 "A me i braccianti analfabeti hanno insegnato la battaglia contro il
plebeismo culturale, ma questa comunità sta scegliendo un'altra strada".
C'è
una ragione per cui se Nichi Vendola fosse stato il candidato leader di
Sinistra Arcobaleno io l'avrei votato, nonostante l'evidente miserabilità del progetto (e le facce dei promotori): è un tipo sincero.
Non
credo sia solo lo smacco di una sconfitta annunciata (tutte le correnti
di Rifondazione - stalinisti e trotzkisti insieme - contro la sua
mozione maggioritaria che raccoglieva il 47% dei delegati) che gli fa
dire "questo congresso è il compimento della sconfitta della sinistra" ma
quella puzza di miserabile caccia al traditore che ha segnato il clima
di un miserabile congresso, preceduto da vere e proprie rese dei conti
a livello locale, a suon di ricorsi, avvocati, giudici, carabinieri.
La comunità (così la chiama Nichi con la sua consueta magnanimità) di Rifondazione è riuscita nel capolavoro di apparire sui media
come un guazzabuglio di bande che si odiano e si accapigliano per
qualche strapuntino di potere o (peggio) per idee vecchie come Bakunin,
ma non esitano a tramestare insieme come i più brutti ceffi democristiani (e
sotto le telecamere per giunta) pur di bruciare le ambizioni dell'unico
leader in grado di far votare per loro gente come me, che di norma
farebbe fatica ad ascoltare anche un solo minuto dei loro deliri
passatisti.
Non è una novità, comunque, anche Marx in persona decise le convocazioni del Quinto congresso dell'Aia della Prima internazionale socialista per mettere in minoranza i traditori anarchici. E poterli cacciare a calci nel culo. Ferrero
&C più modestamente si sono vendicati del Berty perdente e hanno
deciso di rimettere indietro le lancette del partito, costruendo una
trincea immaginaria per difendere l'ortodossia dal nulla che li
circonda. Forse Vendola dovrebbe riflettere sull'ipotesi di fare come Proudhon e Bakunin nel 1872: levare le tende e mettersi in proprio. Qualche mazziniano lo seguirebbe di sicuro.
Ma come si dice, piove sul bagnato. Oppure, più prosaicamente, è la merda che si rivolta al badile. Infatti mentre i compagni sono chiusi in assise permanente ad elaborare il lutto, regolare i conti in sospeso e scervellarsi sul perché gli operai iscritti alla Fiom al nord votano per la Lega (come ha fatto notare cupo il Berty), il Diavolo ha già deciso chi li rappresenterà quest'autunno, e come: Vladimir Luxuria all'Isola dei Famosi.
Così mentre la nuova e gagliarda classe dirigente di Rifondazione (gente della levatura di Ramon Mantovani, Riccardo Grassi e naturalmente dell'indimenticato exministro / neosegretario Paolo Ferrero, che nella testata del suo blog compare dalla fronte in giù per evitare la pelata) si affaccenderà a costruire l'unità dei comunisti
(wow!) insieme ad altre brillanti teste d'uovo come Diliberto, Rizzo
(la testa precedente a quella dell'homo sapiens-sapiens in un grafico darwiniano) e Ferrando, Luxuria apparirà davanti a 8/10 milioni di
telespettatori una volta la settimana in prima serata e gli altri
giorni nelle strisce quotidiane dell'Isola.
Il dibattito (è
giusto o no che la compagna Luxuria guadagni quanto un operaio
in 300 anni si chiedono i mentecatti) è già iniziato ma (a parte nella
miserabile discussione interna di quell'ormai ex-partito) è anche già
finito: chi sarà infatti il simbolo di Rifondazione d'ora in poi? Il pretino valdese amico degli stalinisti (senza parlamentari né charme) o la transtar che ha ottenuto da Simona Ventura di poter parlare liberamente?
Evidentemente i compagni che continuano a sbagliare fanno una brutta fine, come sanno benissimo nel resto d'Europa dove i residuati bellici del novecento sono stati cancellati nelle urne. A parte Die Linke in Germania: lì la sinistra ha lasciato da parte le pugnette ideologiche e si è messa insieme per inventarsi qualcosa di nuovo, l'idea di Vendola.
L'immagine l'ho presa in prestito qui.
Piesse L'altro giorno ho letto su un giornale di carta (La Stampa?) che gli uomini di D'Alema stavano lavorando per Nichi. Avrei dovuto capire al volo che era un brutto segno. Tutti quei pelati vestiti di nero mi sa che menano un po' rogna.
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