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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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21 aprile 2012
CACCIA ALLA STREGA
 “Siamo arrivati a dover leggere in un dispaccio di agenzia «se la
‘nera’ non dovesse arretrare dalle sue posizioni…». La Nera è
naturalmente la vicepresidente del Senato Rosy Mauro, coinvolta nel
malaffare che sta travolgendo i vertici della Lega. E se dalla prosa
della cronaca transitiamo ai piani alti del giornalismo, ecco, con
rinnovata passione lombrosiana, corsivisti e grandi firme affondare la
penna non sul reato ma sul corpo, sfregiandolo (la badante, la strega,
la terrona, mamma Ebbe, la virago), fino a insistere sulle sue mani rosse e nodose, come tocco finale di un rogo intellettuale.”
Norma Rangeri sul manifesto inquadra alla perfezione i termini della questione. Il sacerdote pagano, officiante per conto del matriarcato guerriero
della Lega Nord, è stato azzoppato là dove non si può difendere senza
farsi da parte e il lesto salvatore della padana patria s’è fatto sotto.
Si può immaginare pure che, in un classico patto fra maschietti a suon
di puzza di sigaro da circolo della caccia, l’eterno delfino Maroni
abbia concesso clemenza alla family del Capo.
Infatti la direzione leghista, dopo la notte delle scope del
“pulizia! pulizia! pulizia!”, su Bossi jr. ha glissato, cavandosela con
un blando apprezzamento per il senso di responsabilità dimostrato
mollando la cadrega. Belsito, lombrosianamente colpevole per
definizione, andava cacciato di default, e sulla moglie del Bossi,
fondatrice della Lega e negromante in capo, tutti si sono ben guardati
da spiccicar parola.
Rimaneva lei, la goffa e trashissima vicepresidente del Senato dalle
“mani rosse e nodose”, pure terrona di Brindisi. Lei faceva parte della
famiglia solo in quanto “badante”, quindi Maroni & Co. hanno potuto
esigere lo scalpo. Il leghista “buono”, amico di Saviano e del club
dell’antimafia militante, è arrivato ad auspicare la nascita di un
sindacato padano vero, diretto da un padano vero. Un trionfo di
maschilismo e razzismo shakerati insieme, per lisciare il pelo alla
“base”.
“Quando si dice che stiamo assistendo a una Tangentopoli al cubo,
sappiamo che il contraccolpo non sarà un pranzo di gala. E dal lancio
delle monetine siamo passati alla lapidazione.” Probabilmente Maroni,
Tosi e tutta la simpatica compagnia di rinnovatori leghisti credono di
avere a che fare con una manica di rozzi dementi, a cui basta dare in
pasto la donnaccia del Sud e il tesoriere infingardo per potersi
rivendere una catarsi etica talmente rapida da far sorridere anche i più
gonzi.
Maroni ha chiesto e ottenuto il congresso a giugno, perché sa di non
avere rivali con Calderoli mezzo azzoppato dalle inchieste pure lui, ma
per i sondaggi la Lega è in caduta libera e l’ex ministro degli Interni
rischia di fare la fine dell’altro delfino eterno intelligente di
vent’anni fa. Colpisce che la nuova Tangentopoli cali come una mannaia
proprio durante il ventennale delle imprese di Di Pietro e Borrelli. Ma
siamo proprio lì. Con Bossi al posto di Craxi e Maroni-Martelli in fila
da una vita. Intorno a loro, i monatti del mainstream che giocano alla lotta nel fango. Come allora, ma chi è il nuovo Bossi?
“Ma quant’è furbo, da uno a dieci, Beppe Grillo che sta girando
l’Italia per spiegare che lo scandalo della Lega è una trama dei giudici
servi di Monti contro l’opposizione? «Tocca alla Lega, poi a Di Pietro e
quindi a noi!». Quant’è abile a urlare in piazza e su YouTube una tesi
innocentista e complottista a proposito delle porcate della family,
quando perfino Bossi ha dovuto scaricare il figlio e il Cerchio magico.
A corteggiare i leghisti spaesati dagli scandali con il no alla
cittadinanza per i figli d’immigrati, a costo di sfidare le ire dei
blogger, e il ritorno alla parole d’ordine dello sciopero fiscale contro
la corruzione politica.”
L’autorevole monito
ai coscienziosi lettori del giornale-partito di Largo Fochetti di
Curzio Maltese aiuta a mettere le cose nella giusta prospettiva. Il big bang
leghista suona come allarme rosso per tutti, inclusa la bolgia
d’indecisi a tutto del centrosinistra di palude. Nei sondaggi Grillo è
già il terzo partito, 7 per cento e passa, dopo Pd e Pdl poco sopra il
20. Bersani è già lì che ammonisce serio serio, mentre Vendola, che per
un po’ ci aveva pure creduto, dopo la tegola dell’inchiesta sulla nomina
del primario pugliese, ha ancora voglia di tuonare.
“Il rischio è che i voti della Lega vadano nel fiume sporco
dell’antipolitica perché o il centrosinistra sarà in grado di mettere al
centro della sua battaglia la questione sociale e quella morale nel
loro intreccio, oppure il rischio è che possa prevalere il peggio, come
nelle più brutte stagioni della nostra storia. Dopo la crisi dei partiti
nel ’92 è venuto fuori Berlusconi”. Ci vuole un bel coraggio.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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3 gennaio 2012
MAYA O NON MAYA
 Il 2012 è l’anno dei Maya e della loro presunta profezia
sull’Armageddon. Il “presunta” è d’obbligo poiché l’unica cosa che ci
assomiglia è l’interpretazione dei disegni dell’ultima pagina del Codice di Dresda
(uno dei pochi documenti lasciati integri dalla furia evangelizzatrice)
effettuata dall’antropologo Arlen F. Chase: una serie di gravi
inondazioni della superficie terrestre e un periodo di oscuramento del
Sole.
Per il resto l’unica certezza è che per i Maya il 21 dicembre 2012 (al volgere del baktun
12) finisce l’Età dell’Oro, la loro quinta era e la fine del Lungo
computo di 5125 anni iniziato nel 3113 a.C. Quello che succederà,
quindi, è oggetto di speculazione filosofica e/o commerciale esattamente
come il resto delle previsioni e preveggenze in circolazione e la
stessa comunità Maya contemporanea tenta di dissociarsi da anni da
interpretazioni hollywoodiane dell’evento.
Di certo non è possibile prendere troppo alla leggera la capacità previsionale di tipo scientifico o, come direbbe Odifreddi
(ateista militante), aristotelico degli antichi sciamani Maya: rispetto
all’eclissi solare dell’11 agosto 1999 hanno sbagliato di una manciata
di secondi. Ma per sancire il fatto che questa era umana stia volgendo
al crepuscolo non c’è bisogno di abbuffarsi di tempeste solari, comete,
sbarchi di alieni e/o inversioni dei poli magnetici. Basta accendere il
focolare novecentesco all’ora del tg.
Crisi economica, politica, ambientale, tracollo energetico, guerre,
odio, razzismo, intolleranza, fame e miseria possono ben essere
interpretate come piaghe apocalittiche inferte a un’umanità indegna e
disperata, mentre la storia e il tempo sembrano esser stati messi in
pausa dall’atemporalità dell’artista creativo,
collettivo e sociale, che demolisce certezze e memoria nel baluginare
ipnotico di un futuro già presente. Al dio progresso si è sostituito un
senso di precarietà esistenziale che diventa causa prima di ogni scelta
individuale e collettiva e della via tecnologica alla salvezza.
In questo scenario l’ipotesi normalmente esotica dello showdown Maya (con tutte le analogie del caso con l’Apocalisse
di San Giovanni e le profezie di santi e mistici di ogni tempo) sta
creando gli ovvi cortocircuiti mediatici in grado di sbancare il
botteghino. Sette e sabba, meditazioni e kolossal, bunker
che spuntano come funghi, centinaia di migliaia di siti internet aperti
e di copie di libri di genere venduti, cinquanta milioni di visitatori
previsti nei più importanti siti archeologici latinoamericani da qui al
Solstizio della verità.
Anche l’accanimento dei vari Cicap va al di là della comprensibile ubbia per lo scacco matto inferto dal disprezzato culturame new-age, che alligna nelle periferie della Rete ma grazie al brand 2012 esonda quotidianamente sul mainstream,
e rivela l’ansia di ogni monoteismo sfidato sullo scivoloso terreno
della metafisica. La Chiesa è in crisi, il mercato pure, la politica non
ne parliamo, l’ortodossia misuratrice della scienza positivista
potrebbe uscire con le ossa rotte da una stagione di ricerca spirituale,
libera, metafisica e, pertanto, non ascrivibile ai soliti steccati.
Nessuno è in grado di predire il futuro, ma un po’ può aiutare il
passato. Anche senza scomodare quello arcaico e lacunoso degli indigeni
mesoamericani, la storia (personale e collettiva) insegna che ogni fase
di profonda trasformazione porta con sé fatica e dolore. Non è detto,
poi, che andrà meglio (come sostengono i santoni new-age), ma di certo nulla sarà più come prima. Per una semplice ragione: non lo è già più.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. "As above, so below" mimato sulla cover di "Pussy", singolo dei Rammstein uscito nel 2009, l'ho preso qui.
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