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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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27 aprile 2012
FAR WEB
“Oh figurati… per me tutte le scuse sono buone pur di avere la
sensazione di cavalcare l’onda del futuro, qua è arrivato questo nuovo
assunto, si chiama Sparky, deve telefonare alla mamma se fa tardi a
cena, solo, pensa un po’… siamo noi i suoi apprendisti! Louis
si intrippa con ARPAnet, e ti giuro che è come l’acido, tutt’un altro
mondo, stranissimo… tempo, spazio, e tutta quella roba là…”.
Doc, detective hippy nella Los Angeles psichedelica di Vizio di Forma,
aiuta a mettere in prospettiva la portata rivoluzionaria dell’Internet
Era in cui siamo immersi sino al collo. Niente sarà mai come prima,
oltre a essere lo slogan di chissà quante campagne pubblicitarie, è il
corollario ai limiti della banalità che costella ogni riflessione
sull’argomento, dentro e fuori la Rete.
Di certo c’è solo un prima, mentre il dopo è avvolto da nebbie
futuristiche intrecciate con paranoie neo-millenaristiche e profezie cyber punk, che allignano nei sobborghi della cultura globale, e globalmente massificata, che dall’interattività “social”
trae la propria linfa vitale. Con le debite differenze (la rivoluzione
tecnologica non ha precedenti nella storia, forse bisogna arrivare alla
ruota perché Gutemberg alla fine era un prodotto di nicchia) si tratta
della narrazione inevitabile di un’era di passaggio fra due mondi. E,
quindi, di crisi.
Oltre ai cambiamenti “oggettivi”, infatti, sono i soggetti che stanno
cominciando a mutare pelle e anima, come se l’innovazione tecnologica
scrosciante producesse un sisma genetico analogo a quello degli X-Man. È
l’antropologia il campo di battaglia vero su cui si misurano le truppe
digitali e analogiche, e l’evoluzione (e conseguente selezione) della
specie la posta in palio.
La gente cambia, spesso senza rendersene conto e senza rendersi conto
della velocità con cui sta cambiando. Ma l’amico del fricchettone
protagonista del romanzo di Thomas Pynchon aveva già colpito nel segno: è
la percezione allargata di tempo, spazio e tutta quella roba là il
punto. Il tempo reale s’è incoronato sovrano assoluto, spodestando con
un sol colpo il passato (buono giusto per nostalgie feisbukabili o mode vintage) e il futuro. E basta un click su Google per bypassare qualunque limite geografico.
Gli effetti sulla politica e sull’informazione sono tanto traumatici
quanto, a volte, rasenti la comicità. Alle ultime elezioni in Francia,
stante il gap tra i primi exit polls (pronti alle 18) e la chiusura dei seggi (ore 20), è stata nominata una task force
di dieci (dieci!) persone per vigilare che in Rete venisse rispettato
il locale gioco del silenzio che, in una versione un po’ meno demenziale
che in Italia, impedisce a chiunque di parlare di sondaggi o previsioni
di voto (multe salate per chi contravviene, blogger inclusi).
Risultato: sono usciti in Belgio e in un amen ogni francese sapeva
tutto.
L’overdose quotidiana di informazioni e notizie che ti inseguono
letteralmente in ogni attimo dell’esistenza, con gli smart phone
l’effetto è più che psichedelico, rende la gente decisamente più
esigente e intraprendente. Sempre in Francia, sono state diffuse
in Rete diverse foto di donne che hanno scelto di usare il proprio
corpo come arma di seduzione politica o per convincere la gente ad
andare a votare o per fare propaganda a questo o a quel candidato. Pare
senza nulla in cambio, solo perché possono farlo.
L’adagio popolare secondo cui in Italia sono tutti commissari tecnici
della nazionale di calcio bene si attaglia alla politica, in tempi in
cui le decisioni dei politici possono cambiare radicalmente il tenore di
vita di una famiglia e di una comunità e/o il grado di libertà delle
persone. Di conseguenza suonano pateticamente urticanti le lacrime di
coccodrillo versate di
fronte ai sondaggi arrembanti che consacrano Grillo e il suo movimento
come il temibile asso pigliatutto della prossima tornata elettorale.
Non è una questione di moralità o mani pulite, che alla fine solo solo il package del
Movimento 5 Stelle, ma di efficacia e immediatezza. La generazione
politicante al potere (a corrente alternata, in ossequio al totem
bipolare) da vent’anni è bollita. È un dato di fatto e nemmeno loro
provano a smentire (al massimo, a domanda diretta, divagano). La Rete
(che Grillo ha capito, studiato e utilizzato per primo) è solo
un’accelerazione all’eutanasia inevitabile per chi si ostina a negare la
propria, evidente, necrosi progettuale.
Un po’ com’è accaduto in Tunisia, Egitto e Libia che peraltro distano
poche centinaia di miglia dalle italiche coste. Ma in tutto il mondo è
sempre e comunque un formidabile strumento di stress dal basso nei
confronti di gestisce la cosa pubblica (ergo i soldi delle tasse dei
cittadini, gli stessi che chiedono il conto, sempre più spesso e con
sempre più cognizione di causa). Internet, dunque, è davvero la prima
utopia libertaria dei fricchettoni anni ’60 ad essersi realizzata?
“Ti ricordi quando hanno messo fuori legge l’acido appena hanno
scoperto che era un canale verso qualcosa che non volevano farci vedere?
Perché dovrebbero comportarsi diversamente nei confronti
dell’informazione?” Pynchon mette in bocca a Doc la più ovvia delle
verità. Perché non hanno fermato Internet se era così pericoloso? La
risposta è: chi? Chi ha il potere di farlo, se non al riparo di
caduchi confini nazionali e sotto minaccia di torture e vessazioni? È
la solita storia della mela, della conoscenza che fa male e del Lucifero
tentatore. Che, stavolta, pare abbia in pugno la mano (e forse la
partita).
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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3 gennaio 2012
MAYA O NON MAYA
 Il 2012 è l’anno dei Maya e della loro presunta profezia
sull’Armageddon. Il “presunta” è d’obbligo poiché l’unica cosa che ci
assomiglia è l’interpretazione dei disegni dell’ultima pagina del Codice di Dresda
(uno dei pochi documenti lasciati integri dalla furia evangelizzatrice)
effettuata dall’antropologo Arlen F. Chase: una serie di gravi
inondazioni della superficie terrestre e un periodo di oscuramento del
Sole.
Per il resto l’unica certezza è che per i Maya il 21 dicembre 2012 (al volgere del baktun
12) finisce l’Età dell’Oro, la loro quinta era e la fine del Lungo
computo di 5125 anni iniziato nel 3113 a.C. Quello che succederà,
quindi, è oggetto di speculazione filosofica e/o commerciale esattamente
come il resto delle previsioni e preveggenze in circolazione e la
stessa comunità Maya contemporanea tenta di dissociarsi da anni da
interpretazioni hollywoodiane dell’evento.
Di certo non è possibile prendere troppo alla leggera la capacità previsionale di tipo scientifico o, come direbbe Odifreddi
(ateista militante), aristotelico degli antichi sciamani Maya: rispetto
all’eclissi solare dell’11 agosto 1999 hanno sbagliato di una manciata
di secondi. Ma per sancire il fatto che questa era umana stia volgendo
al crepuscolo non c’è bisogno di abbuffarsi di tempeste solari, comete,
sbarchi di alieni e/o inversioni dei poli magnetici. Basta accendere il
focolare novecentesco all’ora del tg.
Crisi economica, politica, ambientale, tracollo energetico, guerre,
odio, razzismo, intolleranza, fame e miseria possono ben essere
interpretate come piaghe apocalittiche inferte a un’umanità indegna e
disperata, mentre la storia e il tempo sembrano esser stati messi in
pausa dall’atemporalità dell’artista creativo,
collettivo e sociale, che demolisce certezze e memoria nel baluginare
ipnotico di un futuro già presente. Al dio progresso si è sostituito un
senso di precarietà esistenziale che diventa causa prima di ogni scelta
individuale e collettiva e della via tecnologica alla salvezza.
In questo scenario l’ipotesi normalmente esotica dello showdown Maya (con tutte le analogie del caso con l’Apocalisse
di San Giovanni e le profezie di santi e mistici di ogni tempo) sta
creando gli ovvi cortocircuiti mediatici in grado di sbancare il
botteghino. Sette e sabba, meditazioni e kolossal, bunker
che spuntano come funghi, centinaia di migliaia di siti internet aperti
e di copie di libri di genere venduti, cinquanta milioni di visitatori
previsti nei più importanti siti archeologici latinoamericani da qui al
Solstizio della verità.
Anche l’accanimento dei vari Cicap va al di là della comprensibile ubbia per lo scacco matto inferto dal disprezzato culturame new-age, che alligna nelle periferie della Rete ma grazie al brand 2012 esonda quotidianamente sul mainstream,
e rivela l’ansia di ogni monoteismo sfidato sullo scivoloso terreno
della metafisica. La Chiesa è in crisi, il mercato pure, la politica non
ne parliamo, l’ortodossia misuratrice della scienza positivista
potrebbe uscire con le ossa rotte da una stagione di ricerca spirituale,
libera, metafisica e, pertanto, non ascrivibile ai soliti steccati.
Nessuno è in grado di predire il futuro, ma un po’ può aiutare il
passato. Anche senza scomodare quello arcaico e lacunoso degli indigeni
mesoamericani, la storia (personale e collettiva) insegna che ogni fase
di profonda trasformazione porta con sé fatica e dolore. Non è detto,
poi, che andrà meglio (come sostengono i santoni new-age), ma di certo nulla sarà più come prima. Per una semplice ragione: non lo è già più.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. "As above, so below" mimato sulla cover di "Pussy", singolo dei Rammstein uscito nel 2009, l'ho preso qui.
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