21 aprile 2012
CACCIA ALLA STREGA
 “Siamo arrivati a dover leggere in un dispaccio di agenzia «se la
‘nera’ non dovesse arretrare dalle sue posizioni…». La Nera è
naturalmente la vicepresidente del Senato Rosy Mauro, coinvolta nel
malaffare che sta travolgendo i vertici della Lega. E se dalla prosa
della cronaca transitiamo ai piani alti del giornalismo, ecco, con
rinnovata passione lombrosiana, corsivisti e grandi firme affondare la
penna non sul reato ma sul corpo, sfregiandolo (la badante, la strega,
la terrona, mamma Ebbe, la virago), fino a insistere sulle sue mani rosse e nodose, come tocco finale di un rogo intellettuale.”
Norma Rangeri sul manifesto inquadra alla perfezione i termini della questione. Il sacerdote pagano, officiante per conto del matriarcato guerriero
della Lega Nord, è stato azzoppato là dove non si può difendere senza
farsi da parte e il lesto salvatore della padana patria s’è fatto sotto.
Si può immaginare pure che, in un classico patto fra maschietti a suon
di puzza di sigaro da circolo della caccia, l’eterno delfino Maroni
abbia concesso clemenza alla family del Capo.
Infatti la direzione leghista, dopo la notte delle scope del
“pulizia! pulizia! pulizia!”, su Bossi jr. ha glissato, cavandosela con
un blando apprezzamento per il senso di responsabilità dimostrato
mollando la cadrega. Belsito, lombrosianamente colpevole per
definizione, andava cacciato di default, e sulla moglie del Bossi,
fondatrice della Lega e negromante in capo, tutti si sono ben guardati
da spiccicar parola.
Rimaneva lei, la goffa e trashissima vicepresidente del Senato dalle
“mani rosse e nodose”, pure terrona di Brindisi. Lei faceva parte della
famiglia solo in quanto “badante”, quindi Maroni & Co. hanno potuto
esigere lo scalpo. Il leghista “buono”, amico di Saviano e del club
dell’antimafia militante, è arrivato ad auspicare la nascita di un
sindacato padano vero, diretto da un padano vero. Un trionfo di
maschilismo e razzismo shakerati insieme, per lisciare il pelo alla
“base”.
“Quando si dice che stiamo assistendo a una Tangentopoli al cubo,
sappiamo che il contraccolpo non sarà un pranzo di gala. E dal lancio
delle monetine siamo passati alla lapidazione.” Probabilmente Maroni,
Tosi e tutta la simpatica compagnia di rinnovatori leghisti credono di
avere a che fare con una manica di rozzi dementi, a cui basta dare in
pasto la donnaccia del Sud e il tesoriere infingardo per potersi
rivendere una catarsi etica talmente rapida da far sorridere anche i più
gonzi.
Maroni ha chiesto e ottenuto il congresso a giugno, perché sa di non
avere rivali con Calderoli mezzo azzoppato dalle inchieste pure lui, ma
per i sondaggi la Lega è in caduta libera e l’ex ministro degli Interni
rischia di fare la fine dell’altro delfino eterno intelligente di
vent’anni fa. Colpisce che la nuova Tangentopoli cali come una mannaia
proprio durante il ventennale delle imprese di Di Pietro e Borrelli. Ma
siamo proprio lì. Con Bossi al posto di Craxi e Maroni-Martelli in fila
da una vita. Intorno a loro, i monatti del mainstream che giocano alla lotta nel fango. Come allora, ma chi è il nuovo Bossi?
“Ma quant’è furbo, da uno a dieci, Beppe Grillo che sta girando
l’Italia per spiegare che lo scandalo della Lega è una trama dei giudici
servi di Monti contro l’opposizione? «Tocca alla Lega, poi a Di Pietro e
quindi a noi!». Quant’è abile a urlare in piazza e su YouTube una tesi
innocentista e complottista a proposito delle porcate della family,
quando perfino Bossi ha dovuto scaricare il figlio e il Cerchio magico.
A corteggiare i leghisti spaesati dagli scandali con il no alla
cittadinanza per i figli d’immigrati, a costo di sfidare le ire dei
blogger, e il ritorno alla parole d’ordine dello sciopero fiscale contro
la corruzione politica.”
L’autorevole monito
ai coscienziosi lettori del giornale-partito di Largo Fochetti di
Curzio Maltese aiuta a mettere le cose nella giusta prospettiva. Il big bang
leghista suona come allarme rosso per tutti, inclusa la bolgia
d’indecisi a tutto del centrosinistra di palude. Nei sondaggi Grillo è
già il terzo partito, 7 per cento e passa, dopo Pd e Pdl poco sopra il
20. Bersani è già lì che ammonisce serio serio, mentre Vendola, che per
un po’ ci aveva pure creduto, dopo la tegola dell’inchiesta sulla nomina
del primario pugliese, ha ancora voglia di tuonare.
“Il rischio è che i voti della Lega vadano nel fiume sporco
dell’antipolitica perché o il centrosinistra sarà in grado di mettere al
centro della sua battaglia la questione sociale e quella morale nel
loro intreccio, oppure il rischio è che possa prevalere il peggio, come
nelle più brutte stagioni della nostra storia. Dopo la crisi dei partiti
nel ’92 è venuto fuori Berlusconi”. Ci vuole un bel coraggio.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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12 aprile 2012
GEMONOLOGHI
“Ma non mi fido della tua natura: troppo latte d’umana tenerezza ci
scorre, perché tu sappia seguire la via più breve. Brama d’esser grande
tu l’hai e l’ambizione non ti manca; ma ti manca purtroppo la perfidia
che a quella si dovrebbe accompagnare. Quello che brami tanto
ardentemente tu vorresti ottenerlo santamente: non sei disposto a
giocare di falso, eppur vorresti vincere col torto. [...] Ma affrettati a
tornare, ch’io possa riversarti nelle orecchie i demoni che ho dentro, e
con l’intrepidezza della lingua cacciar via a frustate ogni intralcio
tra te e quel cerchio d’oro onde il destino e un sovrumano aiuto ti
voglion, come sembra, incoronato.”
Lo sbuzzo della citazione del Macbeth, Atto I, scena V, si deve a Flavia Trupia
ed è perfetto per convalidare la vulgata corrente, il “lo sapevano
tutti” della settimana di passione leghista: la Lega Nord era un
matriarcato guerriero. A parte i quattrini pubblici che, secondo il
pullulare d’inchieste, spruzzavano dalle casse del partito come
champagne alle premiazioni delle gare di motociclette e alimentavano una
bulimia di lauree, macchinoni, body-guards e cornicioni d’accomodare,
era il potere il punto.
“Se tu vai sopra alla mansarda, c’è una brandina, ma non sto
scherzando, ci sono le foto. C’è una brandina di quelle che sembrano per
bambini, un comodino e una lampada. Per terra, piena piena, che prende
tutta la stanza, libri di magia nera. Cartomanzia. Astrologia. Tutti eh!
Ma ce ne saranno almeno un centinaio, tutti per terra, non su una
scrivania. Niente, lei vive lì, quando è in casa è lì, con quei libri.”
È Nadia Degrada, amazzone contabile del Carroccio, che intercettata dipinge la tragicommedia
del capo-feticcio usato come una bambola voodoo per far fuori i nemici
interni e inaugurare una dinastia familiare, nutrita dal suo carisma.
“Dopo Bossi, Bossi”. Questo, prima dello showdown pasquale, era
il mantra che serpeggiava tra i pretoriani del “cerchio magico” di
Manuela Marrone e Rosi Mauro, druide-cape e custodi del corpo del
capo-popolo della grande epopea padana, forgiata nel monolocale di sua
moglie.
Bossi è stato il sacerdote officiante di una liturgia, pagana e
popolare, che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone. Il
populista col dito medio sguainato, quello che “la Lega ce l’ha duro”,
s’è persino inventato una discendenza etnica, i Celti, per spiegare
antropologicamente la sua Padania, causa/missione fondata sul nulla.
L’ampolla del Dio Po, Pontida, eccetera sono stati solo interpretati,
dal Bossi, ma sono farina del sacco di qualcun altra. Qualcuna che legge
di magia e/o che non ha fatto altro che un bel copia/incolla, dalla new age neopagana al Dna di un partito senza identità.
“Ma intanto Bossi fu altro, è stato una chiave per la comprensione e
l’incanalamento di grandi e pericolose rabbie nordiste, ha flirtato con i
mostri del secolo, da Milosevic in giù, ha usato una lingua da trivio,
la sua gesticolazione corporale era la volgarità incarnata, ma mostro
non è mai stato. Se chi gli sputa addosso adesso, brutti maramaldi che
non sono altro, avesse fatto un centesimo di quello che ha fatto Bossi
per cercare soluzioni ai problemi veri italiani, avrebbe il diritto di
parlare. Chi ha il diritto di parlare?”
Giuliano Ferrara s’indigna
per l’elettroshock mediatico subito dal vecchio leader. Da garantista,
certo, ma soprattutto come testimone eccellente di una storia che si
ripete: Craxi capro espiatorio di un sistema in panne, Berlusconi
logorato da giudici e cortigiani e un Martelli-Alfano-Maroni sempre
pronto ad approfittarne a suon di appassionate omelie dedicate al capo
carismatico caduto in disgrazia e, contestualmente, affilando le lame in
vista dell’agognato affondo.
“Io penso che queste cose non capitino per caso a Pasqua. Quando ci
presenteremo davanti al Padreterno ci chiederà quante volte sei stato
capace di ripartire: questo vuol dire Pasqua, ripartenza.” Dal palco di “Orgoglio leghista”, day after
della crocifissione pasquale, Bossi ha chiesto scusa ai militanti per
suo figlio, ha tentato di giustificarsi un po’ (tra i fischi), ha
tuonato contro il solito complotto (ancora fischi) e si è arreso
all’avvento dell’eterno delfino in un cortocircuito retorico vagamente
psicanalitico: “Non è vero che Maroni è Macbeth”.
“La partitocrazia e Roma vogliono annientare la Lega perché la Lega è
l’unica risposta. È per questo che tenteranno ancora di dividerci… è
la storia della Lega, i tentativi che ci sono stati di dividerci, di
dividere la Lombardia dal Veneto, di spezzare quella magica operazione che fece Umberto Bossi nel 1991 creando la Lega Nord, la potentissima…”. E “basta con i cerchi”, però: secondo Maroni
la magia è di Bossi, non delle fattucchiere della soffitta di via
Gemonio. Per loro e per i loro accoliti sono pronte le epurazioni, roghi
rituali e staliniani di un partito-tribù che ha esordito sventolando il
cappio in Parlamento.
“Ce la faremo a risorgere? Certamente sì, ma non ci basta: noi
abbiamo un sogno nel cuore, quello di diventare alle prossime elezioni
politiche il primo partito della Padania… è il progetto egemonico di cui
ha sempre parlato Umberto Bossi. Possiamo farcela se facciamo quello
che ho detto: pulizia, nuove regole e unità. Senza polemiche fra di noi,
chi rompe le palle fuori dalle palle! È un sogno? Certo, è un bel
sogno. Il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei
propri sogni.”
La Lega è stato l’ultimo partito di massa all’antica, modellato sul
centralismo democratico del Pci e sulla democrazia progressiva di
togliattiana memoria, e il suo capo assoluto (come lo erano i segretari
del Pci) ha cominciato strimpellando canzoni alla chitarra con piglio
belmondiano, come il suo amico-nemico Berlusconi. Il tramonto della sua
avventura (mai termine fu più appropriato) coincide con quello
dell’altra B che ha dominato la scena politica negli ultimi vent’anni.
È un terremoto vero, per la destra, molto simile a quel fatidico 1992
in cui la magistratura e i media spazzarono via, nel disonore, i
partiti che avevano costruito la Repubblica dalle macerie. Occhetto e il
Pds, allora, tentarono di approfittarne con miope cinismo e infatti
arrivò Berlusconi, per vent’anni. La stessa latitanza politica di oggi
con il rischio che, stavolta, “l’uomo nuovo” non abbia neppure un
qualche conflitto d’interessi con cui tentare di ricattarlo. E che ci
seppellirà, sì, ma con grande onestà.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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