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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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23 marzo 2012
LA LEGGE DI CAMERON
 “E a chi ha delle riserve, io dico: sì, si tratta di uguaglianza, ma è
anche qualcos’altro: l’impegno. I conservatori credono nei legami, che
la società sia più forte quando c’impegniamo a vicenda e ci sosteniamo
l’un l’altro. Quindi io non appoggio il matrimonio gay a dispetto del
mio essere conservatore. Lo faccio proprio perché sono un conservatore”.
Ci voleva David Cameron per dare uno straccio di ragione valoriale (ma post-ideologica) a una scelta politica?
Con un discorso che resterà nella storia pluricentenaria dei Tories,
il premier britannico ha annunciato che entro il 2015 i matrimoni gay
saranno legge anche in Inghilterra, dopo Olanda, Spagna e Canada. E a
chi gli venisse in mente che possa trattarsi solo del narcisismo nuovista
di un “giovane” rampante ansioso di bruciare le tappe che lo separano,
appunto, dai libri di storia, converrebbe riflettere su quel termine
brandito da Cameron per spiegare il colpo di teatro: conservatore.
Si potrebbe ipotizzare, allora, che le chiese, i media e i circoli old tories
del Regno Unito siano in via di frivolezze progressiste, del tutto
fuori portata nel paese del Vaticano, del Papa, di Alberto Sordi e don
Abbondio. Nemmeno
per sogno. Cameron è intenzionato a tirare diritto e ha una ottima
ragione per farlo: è la scelta politica più genuinamente conservatrice,
per un paese che vuole camminare. La fine delle discriminazioni
significa la disoccupazione per i professionisti delle cause giuste. La
mafia crea l’antimafia, Berlusconi l’antiberlusconismo, il Medioevo
italiano il Gay Pride quotidiano.
La legge di Cameron, invece, chiede responsabilità a fronte di
libertà, diritti contro doveri, anche alle persone dello stesso sesso
che intendono metter su famiglia. Quando per famiglia s’intende una
comunità solidale di affetti e affari, la cellula di ogni società in
buona salute. Conservatoristicamente parlando. Fine del teatrino omofobo
di trogloditi che dal Parlamento esondano su radio, tv e web e stop
all’eterno Gay Pride degli appelli, delle manifestazioni, degli osceni
dibattiti su cosa è o non è contro natura, degli slogan vittimistici e
stantii che ti fanno venir voglia di applaudire Sgarbi.
“Io sono contrario al matrimonio in quanto tale. A tutti i matrimoni!
Che cazzo me ne frega a me di far sposare uno di settant’anni con uno
di trenta? Così quando il vecchio crepa quell’altro si becca la pensione
di reversibilità per tutta la vita… Tutta una questione di soldi, se
davvero c’entrasse l’amore, gay o non gay, quando uno crepa l’altro non
becca un soldo. Arrivederci e grazie…”.
In una puntata della Zanzara di Radio24 più odiosa delle
altre, l’intervento urlante dell’ex sindaco di Salemi è suonato come una
boccata di aria fresca. Il truce conformismo dell’ironia brutale e
giaculatoria del co-conduttore satirico, supportata con furore dal
collega serio (teoricamente il poliziotto buono della ditta), aveva da
poco preso di mira un presunto collaboratore dell’onorevole Scilipoti,
reo di aver dichiarato contro natura il sesso anale (ma solo fra culi
maschili).
Il malcapitato, in palese e servile imbarazzo, era stato brutalizzato
senza pietà né costrutto per tentare di strappare una ghignata
all’indirizzo di Scilipoti, bersaglio dell’ineffabile duo della radio di
Confidustria in quanto simbolo del rococò politicante e castale,
ma parente povero del potere e dei potenti. Forti con i deboli, i due
hanno poi bastonato un ascoltatore che tentava di argomentare in difesa
(“faceva solo il suo mestiere”) dell’oscura voce che aveva risposto al
numero del parlamentare-target.
Legalizzare i matrimoni gay permetterebbe di liberarsi di
trasmissioni così miserabili, dell’inevitabile alleanza di
avanspettacolo fra capre omofobe e cinismo liberal. Di non doversi sorbire più lo squallore dichiaratorio a proposito del funerale di un gay celebre, che aveva osato non esibirsi nel canonico coming out
richiesto dall’etichetta del politicamente corretto, o di quelle che
circondano ogni benedetto Gay Pride, che regolarmente ci regalano
l’istantanea truccata di un’Italia inchiodata sul set di un film anni
‘50.
Ci volevano i giudici per fare politica. C’è voluta una sentenza della Corte di Cassazione, più che lo storico voto
del Parlamento europeo che chiede alla Commissione di trovare il modo
per regolamentare i matrimoni gay tra cittadini di diversi paesi
dell’Unione (l’Europa si fa Stato), per spazzare via il vuoto pneumatico
in cui galleggia il Pd e il centrosinistra dei Pacs e dei Dico. C’è
stato bisogno di leggere le motivazioni di una sentenza con cui l’Alta
Corte ha respinto un ricorso di due omosessuali olandesi, che chiedevano
di vedersi convalidare le nozze contratte regolarmente in patria.
È bastato dire che la coppia ha diritto legale a “un trattamento
omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”, anche
se la legge italiana impedisce di “far valere il diritto a contrarre
matrimonio, né il diritto alla trascrizione del matrimonio celebrato
all’estero”. Per i giudici, però, le coppie gay hanno il diritto alla
famiglia come quelle etero. È bastato dire questo e sono andati tutti in
crisi, a parte i conservatori seri che hanno ancora in testa una
società da conservare.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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2 marzo 2011
IL CORPO È MIO
“Incontro riservato tra il presidente del Consiglio e il cardinale
che ha chiesto e ottenuto garanzie su biotestamento, scuole cattoliche e
adozioni. Gli spauracchi delle gerarchie: «Fini ha nominato Della
Vedova capogruppo, Casini è troppo debole, «il Pd premia i gay e pensa
ai Pacs»”. Considerata la coincidenza tra dietrologie
e recenti dichiarazioni pubbliche, suona tristemente plausibile che il
premier pensi di risolvere il gap d’immagine presso l’elettorato più
benpensante, causato dalle note vicissitudini politico-gossippare, con
un classico do ut des. Tolleranza privata in cambio di intolleranza pubblica.
Niente di nuovo o di particolarmente scandaloso, specie se a
scandalizzarsi è un’opposizione che su questi temi ha visto morire sul
nascere partiti, coalizioni e programmi di governo. La legge sulle
coppie di fatto dell’ex governo Prodi (poi abortita) ha cambiato
talmente tanti nomi, loghi e contenuti da diventare una delle
barzellette più macabre della precedente legislatura, assieme alle
imprese di Mastella & De Magistris, alle manifestazioni dei ministri
contro lo stesso loro governo e alle piantine di marijuana piantate da
Caruso sul terrazzo della Camera dei Deputati (l’unico atto politico
degno di questo nome di Caruso che si ricordi).
Una cosa però è fare il tifo per il ritorno dell’Elefantino in tv (è
buona norma parteggiare per le persone intelligenti per partito preso,
indipendentemente dal loro, finché si parla di tv), altra è non rendersi
conto che se al Berlusconi bollito
resta soltanto la sponda clericale nuda e cruda, per giunta senza
margini di trattativa su nulla, è un problema per questa Italia. Il
rischio è di due tipi: prosecuzione dello stato yemenita in tema di
diritti civili delle persone di orientamento sessuale diverso da quello
maggioritario, restrizione della libertà di cura e ricerca e
dell’arbitrio sul proprio corpo. Dell’ultima parola.
In sostanza la posta in gioco, per l’ennesima volta da qualche secolo in qua, è l’habeas corpus.
Ferrara e la sua truppa di teo-dadaisti di belle lettere possono
infiorettare paginate intere di artifici retorici e minuetti linguistici
ma la faccenda non cambia. Chi decide, in ultima istanza, sul proprio
corpo? Chi decide che, in base al sesso che preferisco fare, posso
ereditare la casa dal mio compagno/a oppure andarlo a trovare
all’ospedale senza sperare nella clemenza del medico di guardia? Chi
decide come e quando devo morire?
Se la risposta a queste domande è lo Stato (per conto di Dio, della
Ragione, della Pachamama, di Maometto o Visnù poco importa) significa
che io non sono padrone fino in fondo del mio corpo. La rivoluzione
sessuale ha reso scontato un concetto che prima non lo era affatto,
l’affermazione del dominio individuale sul corpo, e l’ha fatto
rileggendo Wilhelm Reich,
un genio del Novecento che dava scandalo sostenendo, contro il fascismo
rosso e nero, che non si poteva essere liberi del tutto se non lo si
era sessualmente.
Reich si scagliava anche contro la pornografia seriamente indiziata
della “peste emozionale” che pian piano trasforma le persone nelle
corazze che si sono costruite a partire dalle proprie ossessioni,
sessuofobia inclusa. Su di lui non ci sono più dibattiti alle
occupazioni come nel ’68 e invece che di liberazione sessuale la
sinistra si occupa del lettone di Putin, ma per qualcuno
l’allievo di Freud, morto in carcere negli USA nel 1957 dopo che la
Food & Drugs Administration gli aveva bruciato i libri in piazza
(come i nazisti e l’Inquisizione), è ancora il totem della propria
ossessione. “La pornografia moderna è figlia di Reich il quale afferma
che tutti i mali della storia derivano dalla repressione sessuale, la
cui massima responsabile ovviamente sarebbe la Chiesa Cattolica.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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