23 marzo 2012
LA LEGGE DI CAMERON
 “E a chi ha delle riserve, io dico: sì, si tratta di uguaglianza, ma è
anche qualcos’altro: l’impegno. I conservatori credono nei legami, che
la società sia più forte quando c’impegniamo a vicenda e ci sosteniamo
l’un l’altro. Quindi io non appoggio il matrimonio gay a dispetto del
mio essere conservatore. Lo faccio proprio perché sono un conservatore”.
Ci voleva David Cameron per dare uno straccio di ragione valoriale (ma post-ideologica) a una scelta politica?
Con un discorso che resterà nella storia pluricentenaria dei Tories,
il premier britannico ha annunciato che entro il 2015 i matrimoni gay
saranno legge anche in Inghilterra, dopo Olanda, Spagna e Canada. E a
chi gli venisse in mente che possa trattarsi solo del narcisismo nuovista
di un “giovane” rampante ansioso di bruciare le tappe che lo separano,
appunto, dai libri di storia, converrebbe riflettere su quel termine
brandito da Cameron per spiegare il colpo di teatro: conservatore.
Si potrebbe ipotizzare, allora, che le chiese, i media e i circoli old tories
del Regno Unito siano in via di frivolezze progressiste, del tutto
fuori portata nel paese del Vaticano, del Papa, di Alberto Sordi e don
Abbondio. Nemmeno
per sogno. Cameron è intenzionato a tirare diritto e ha una ottima
ragione per farlo: è la scelta politica più genuinamente conservatrice,
per un paese che vuole camminare. La fine delle discriminazioni
significa la disoccupazione per i professionisti delle cause giuste. La
mafia crea l’antimafia, Berlusconi l’antiberlusconismo, il Medioevo
italiano il Gay Pride quotidiano.
La legge di Cameron, invece, chiede responsabilità a fronte di
libertà, diritti contro doveri, anche alle persone dello stesso sesso
che intendono metter su famiglia. Quando per famiglia s’intende una
comunità solidale di affetti e affari, la cellula di ogni società in
buona salute. Conservatoristicamente parlando. Fine del teatrino omofobo
di trogloditi che dal Parlamento esondano su radio, tv e web e stop
all’eterno Gay Pride degli appelli, delle manifestazioni, degli osceni
dibattiti su cosa è o non è contro natura, degli slogan vittimistici e
stantii che ti fanno venir voglia di applaudire Sgarbi.
“Io sono contrario al matrimonio in quanto tale. A tutti i matrimoni!
Che cazzo me ne frega a me di far sposare uno di settant’anni con uno
di trenta? Così quando il vecchio crepa quell’altro si becca la pensione
di reversibilità per tutta la vita… Tutta una questione di soldi, se
davvero c’entrasse l’amore, gay o non gay, quando uno crepa l’altro non
becca un soldo. Arrivederci e grazie…”.
In una puntata della Zanzara di Radio24 più odiosa delle
altre, l’intervento urlante dell’ex sindaco di Salemi è suonato come una
boccata di aria fresca. Il truce conformismo dell’ironia brutale e
giaculatoria del co-conduttore satirico, supportata con furore dal
collega serio (teoricamente il poliziotto buono della ditta), aveva da
poco preso di mira un presunto collaboratore dell’onorevole Scilipoti,
reo di aver dichiarato contro natura il sesso anale (ma solo fra culi
maschili).
Il malcapitato, in palese e servile imbarazzo, era stato brutalizzato
senza pietà né costrutto per tentare di strappare una ghignata
all’indirizzo di Scilipoti, bersaglio dell’ineffabile duo della radio di
Confidustria in quanto simbolo del rococò politicante e castale,
ma parente povero del potere e dei potenti. Forti con i deboli, i due
hanno poi bastonato un ascoltatore che tentava di argomentare in difesa
(“faceva solo il suo mestiere”) dell’oscura voce che aveva risposto al
numero del parlamentare-target.
Legalizzare i matrimoni gay permetterebbe di liberarsi di
trasmissioni così miserabili, dell’inevitabile alleanza di
avanspettacolo fra capre omofobe e cinismo liberal. Di non doversi sorbire più lo squallore dichiaratorio a proposito del funerale di un gay celebre, che aveva osato non esibirsi nel canonico coming out
richiesto dall’etichetta del politicamente corretto, o di quelle che
circondano ogni benedetto Gay Pride, che regolarmente ci regalano
l’istantanea truccata di un’Italia inchiodata sul set di un film anni
‘50.
Ci volevano i giudici per fare politica. C’è voluta una sentenza della Corte di Cassazione, più che lo storico voto
del Parlamento europeo che chiede alla Commissione di trovare il modo
per regolamentare i matrimoni gay tra cittadini di diversi paesi
dell’Unione (l’Europa si fa Stato), per spazzare via il vuoto pneumatico
in cui galleggia il Pd e il centrosinistra dei Pacs e dei Dico. C’è
stato bisogno di leggere le motivazioni di una sentenza con cui l’Alta
Corte ha respinto un ricorso di due omosessuali olandesi, che chiedevano
di vedersi convalidare le nozze contratte regolarmente in patria.
È bastato dire che la coppia ha diritto legale a “un trattamento
omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”, anche
se la legge italiana impedisce di “far valere il diritto a contrarre
matrimonio, né il diritto alla trascrizione del matrimonio celebrato
all’estero”. Per i giudici, però, le coppie gay hanno il diritto alla
famiglia come quelle etero. È bastato dire questo e sono andati tutti in
crisi, a parte i conservatori seri che hanno ancora in testa una
società da conservare.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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