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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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12 aprile 2012
GEMONOLOGHI
“Ma non mi fido della tua natura: troppo latte d’umana tenerezza ci
scorre, perché tu sappia seguire la via più breve. Brama d’esser grande
tu l’hai e l’ambizione non ti manca; ma ti manca purtroppo la perfidia
che a quella si dovrebbe accompagnare. Quello che brami tanto
ardentemente tu vorresti ottenerlo santamente: non sei disposto a
giocare di falso, eppur vorresti vincere col torto. [...] Ma affrettati a
tornare, ch’io possa riversarti nelle orecchie i demoni che ho dentro, e
con l’intrepidezza della lingua cacciar via a frustate ogni intralcio
tra te e quel cerchio d’oro onde il destino e un sovrumano aiuto ti
voglion, come sembra, incoronato.”
Lo sbuzzo della citazione del Macbeth, Atto I, scena V, si deve a Flavia Trupia
ed è perfetto per convalidare la vulgata corrente, il “lo sapevano
tutti” della settimana di passione leghista: la Lega Nord era un
matriarcato guerriero. A parte i quattrini pubblici che, secondo il
pullulare d’inchieste, spruzzavano dalle casse del partito come
champagne alle premiazioni delle gare di motociclette e alimentavano una
bulimia di lauree, macchinoni, body-guards e cornicioni d’accomodare,
era il potere il punto.
“Se tu vai sopra alla mansarda, c’è una brandina, ma non sto
scherzando, ci sono le foto. C’è una brandina di quelle che sembrano per
bambini, un comodino e una lampada. Per terra, piena piena, che prende
tutta la stanza, libri di magia nera. Cartomanzia. Astrologia. Tutti eh!
Ma ce ne saranno almeno un centinaio, tutti per terra, non su una
scrivania. Niente, lei vive lì, quando è in casa è lì, con quei libri.”
È Nadia Degrada, amazzone contabile del Carroccio, che intercettata dipinge la tragicommedia
del capo-feticcio usato come una bambola voodoo per far fuori i nemici
interni e inaugurare una dinastia familiare, nutrita dal suo carisma.
“Dopo Bossi, Bossi”. Questo, prima dello showdown pasquale, era
il mantra che serpeggiava tra i pretoriani del “cerchio magico” di
Manuela Marrone e Rosi Mauro, druide-cape e custodi del corpo del
capo-popolo della grande epopea padana, forgiata nel monolocale di sua
moglie.
Bossi è stato il sacerdote officiante di una liturgia, pagana e
popolare, che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone. Il
populista col dito medio sguainato, quello che “la Lega ce l’ha duro”,
s’è persino inventato una discendenza etnica, i Celti, per spiegare
antropologicamente la sua Padania, causa/missione fondata sul nulla.
L’ampolla del Dio Po, Pontida, eccetera sono stati solo interpretati,
dal Bossi, ma sono farina del sacco di qualcun altra. Qualcuna che legge
di magia e/o che non ha fatto altro che un bel copia/incolla, dalla new age neopagana al Dna di un partito senza identità.
“Ma intanto Bossi fu altro, è stato una chiave per la comprensione e
l’incanalamento di grandi e pericolose rabbie nordiste, ha flirtato con i
mostri del secolo, da Milosevic in giù, ha usato una lingua da trivio,
la sua gesticolazione corporale era la volgarità incarnata, ma mostro
non è mai stato. Se chi gli sputa addosso adesso, brutti maramaldi che
non sono altro, avesse fatto un centesimo di quello che ha fatto Bossi
per cercare soluzioni ai problemi veri italiani, avrebbe il diritto di
parlare. Chi ha il diritto di parlare?”
Giuliano Ferrara s’indigna
per l’elettroshock mediatico subito dal vecchio leader. Da garantista,
certo, ma soprattutto come testimone eccellente di una storia che si
ripete: Craxi capro espiatorio di un sistema in panne, Berlusconi
logorato da giudici e cortigiani e un Martelli-Alfano-Maroni sempre
pronto ad approfittarne a suon di appassionate omelie dedicate al capo
carismatico caduto in disgrazia e, contestualmente, affilando le lame in
vista dell’agognato affondo.
“Io penso che queste cose non capitino per caso a Pasqua. Quando ci
presenteremo davanti al Padreterno ci chiederà quante volte sei stato
capace di ripartire: questo vuol dire Pasqua, ripartenza.” Dal palco di “Orgoglio leghista”, day after
della crocifissione pasquale, Bossi ha chiesto scusa ai militanti per
suo figlio, ha tentato di giustificarsi un po’ (tra i fischi), ha
tuonato contro il solito complotto (ancora fischi) e si è arreso
all’avvento dell’eterno delfino in un cortocircuito retorico vagamente
psicanalitico: “Non è vero che Maroni è Macbeth”.
“La partitocrazia e Roma vogliono annientare la Lega perché la Lega è
l’unica risposta. È per questo che tenteranno ancora di dividerci… è
la storia della Lega, i tentativi che ci sono stati di dividerci, di
dividere la Lombardia dal Veneto, di spezzare quella magica operazione che fece Umberto Bossi nel 1991 creando la Lega Nord, la potentissima…”. E “basta con i cerchi”, però: secondo Maroni
la magia è di Bossi, non delle fattucchiere della soffitta di via
Gemonio. Per loro e per i loro accoliti sono pronte le epurazioni, roghi
rituali e staliniani di un partito-tribù che ha esordito sventolando il
cappio in Parlamento.
“Ce la faremo a risorgere? Certamente sì, ma non ci basta: noi
abbiamo un sogno nel cuore, quello di diventare alle prossime elezioni
politiche il primo partito della Padania… è il progetto egemonico di cui
ha sempre parlato Umberto Bossi. Possiamo farcela se facciamo quello
che ho detto: pulizia, nuove regole e unità. Senza polemiche fra di noi,
chi rompe le palle fuori dalle palle! È un sogno? Certo, è un bel
sogno. Il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei
propri sogni.”
La Lega è stato l’ultimo partito di massa all’antica, modellato sul
centralismo democratico del Pci e sulla democrazia progressiva di
togliattiana memoria, e il suo capo assoluto (come lo erano i segretari
del Pci) ha cominciato strimpellando canzoni alla chitarra con piglio
belmondiano, come il suo amico-nemico Berlusconi. Il tramonto della sua
avventura (mai termine fu più appropriato) coincide con quello
dell’altra B che ha dominato la scena politica negli ultimi vent’anni.
È un terremoto vero, per la destra, molto simile a quel fatidico 1992
in cui la magistratura e i media spazzarono via, nel disonore, i
partiti che avevano costruito la Repubblica dalle macerie. Occhetto e il
Pds, allora, tentarono di approfittarne con miope cinismo e infatti
arrivò Berlusconi, per vent’anni. La stessa latitanza politica di oggi
con il rischio che, stavolta, “l’uomo nuovo” non abbia neppure un
qualche conflitto d’interessi con cui tentare di ricattarlo. E che ci
seppellirà, sì, ma con grande onestà.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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3 dicembre 2010
"MEGLIO IL FUOCO DELLA BATTAGLIA"
“Due canaglie votate al male. Concentrato di malefica intelligenza.
Subodoro una trappola. D’accordo. In chat su fb.” Mauro Zani non ha
dubbi e, brusco e bonario come l’archetipo di emiliano che incarna,
accetta su due piedi la mia intervista per tFP. “È il blog
diretto da Velardi&Rondolino che mi dicono di salutarti (consapevoli
del rischio di essere mandati a cagare per interposta persona) e mi
piacerebbe sapere il tuo parere su Pd, Bologna, rapporto con la Rete. Se
ti piace l’idea possiamo anche fare in chat, qui su Facebook, su Skype o
dove credi.” Dopo un paio di giorni, a sera tarda, abbiamo combinato.
Ecco il copia e incolla di com’è andata.
Zani (Z): “Forza”
Orione
(O): “Dunque, Mauro Zani: consigliere comunale, consigliere
provinciale, presidente della provincia di Bologna, segretario del Pci…”
Z: “Già, eccomi”
O:
“Poi segretario regionale, consigliere regionale, deputato, eurodeputato
e coordinatore della segreteria nazionale Pds-Ds, adesso blogger. Lei
fa il blogger a tempo pieno? Ha smesso di fare politica attiva per
davvero? Come si sente?”
Z:
“Fermo lì. Una cosa per volta. Faccio il blogger certo. La politica la
osservo e se del caso la critico. Son come quei pensionati che
s’aggirano intorno agli operai al lavoro e… mugugnano, e… avanzano
rilievi critici…”
O:
“Ci tiene a rimarcare che ha smesso con la politica attiva, l’ho letto
più volte. Dal distacco etereo del blog com’è, la politica?”
Z:
“Già. Niente politica attiva. Altrimenti mi pensano in agguato dietro
una siepe… il lupo cattivo… La politica non sta tanto bene”
O:
“Lo stato di salute di Pd e Pdl sembrano darle ragione… Perché, secondo
lei, dal ‘92 ad oggi il grado di consunzione di partiti e leader
politici è così alto? A sinistra, in particolare, è un’ecatombe”
Z: “M’interessa più stare a ridosso del Pd naturalmente. E… son così annoiato d’aver sempre ragione”
O: “Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, Cofferati, Franceschini, Bersani, Prodi… ne ho perso qualcuno?”
Z:
“Beh, consunzione dei leaders? Forse, resta che s’avvicendano più o
meno gli stessi. Li conosco, a memoria… Appunto son quelli”
O:
“Ma perché nessuno molla, come lei? Non lo capisco. Voglio dire, ha una
bella pensione, un sacco di amici sparsi per il mondo, parecchi libri da
leggere in sospeso…”
Z:
“Questione egoica. Hanno poco rispetto per le loro persone… e poi in
pensione non si sta tanto bene. Meglio il fuoco della battaglia. Per
mollare basta andare per cinque anni nel Parlamento Europeo. E non vedi
l’ora che finisca! In sostanza per mollare bisogna fare un apposito
training… io modestamente lo feci”
O: “Si vede… Devo confessarle che all’inizio non ci credeva nessuno…”
Z: “Già. Poi però non mi va di starmene zitto e buonino…”
O: “Nono, intendo che nessuno credeva che fosse lei”
Z: “Prego?”
O: “Alcuni hanno insinuato che fosse un vero e proprio furto d’identità… un gesto dadaista”
Z: “Fantastico, è un mondo pieno di matti!”
O:
“Un erede di Guy Debord si era impadronito del brand ‘Mauro Zani’ e le
stava suonando a tutti di brutto… beh, non era una tesi tanto campata in
aria. C’era una discreta differenza tra il prima e il dopo di Mauro
Zani”
Z: “In verità c’è chi sa bene che io ho sempre suonato, adesso ho semplicemente cambiato strumento. E non mi dispiace”
O:
“Comunque, sono felice che quello che diceva che Zani era morto e il
blogger era uno sciacallo identitario si fosse sbagliato…”
Z: “Comunque quello vero è il blogger, seppur in erba”
O: “Bene: da bolognese chiedo al blogger, che dal cv mi pare informato dei fatti, che sta succedendo a Bologna?”
Z: “Sono informato anche dei misfatti”
O: “Immagino… lo spettacolo penoso che la riportò in città nel ‘99 si sta ripetendo o è una mia idea?”
Z: “A Bologna assistiamo con ogni probabilità all’ultimo atto di una
lunga storia. Quella di una sinistra al governo per mezzo secolo e che
dopo la nascita del Pd s’appresta a passare il testimone ad altri.
Difficile dire adesso come andranno le cose, ma può persin darsi che,
con l’aiuto di Vendola, Dossetti si prenda una rivincita post-mortem.
Naturalmente non ho nulla contro gli eredi di Dossetti, tanto più che
fino a qualche mese addietro, era persin possibile che la rivincita la
prendessero i legittimi inquilini di Via Altabella. Sì, insomma, per i
non bolognesi la Curia. In sostanza non si sta ripetendo semplicemente
lo ‘spettacolo’ del ‘99. Con la meravigliosa idea che ha fatto
frettolosamente nascere il Pd tutto lo scenario è cambiato. Non son
sicuro che a Bologna e a Roma se ne abbia contezza”
O: “Lo
scenario è cambiato, non solo a Bologna e in Italia. Non mi pare che il
Pse goda di ottima salute… I socialisti stanno perdendo ovunque in
Europa, mentre la sinistra conquista il Sudamerica stato dopo stato,
facendo la sinistra per davvero… Qual è la lezione?”
Z:
“Infatti. Perciò, modestamente, a suo tempo spiegai che si trattava di
cercare una nuova (parolone antico) sintesi. Un progetto demosocialista.
L’idea, semplice, che siamo tutti democratici dopo l’89, e che quindi
definirsi semplicemente tali è come cercar d’afferrare il nulla. Calci
al vento. Perché la sinistra in America del sud vince? Semplice: perché
critica la liberaldemocrazia nei fatti e non con la semplice ideologia,
della serie siamo socialisti, punto. O siamo democratici, punto. Morale.
Ci vuole un’identità definita. Per me basterebbe definirsi come democraticiesocialisti tutt’attaccato. Insomma ripartire bisogna, a costo d’attraversare il deserto.”
O: “Ok, e cosa significa, con un esempio, essere democisalisti? Demosocialisti, faccio fatica a scriverlo…”
Z:
“Capire che tutte le democrazie sono alla prova della globalizzazione
dell’economia e dei mercati, ad esempio, e di conseguenza imprimere
efficacia alla democrazia chiudendo la fase (novecentesca) della
liberaldemocrazia. Come? Recuperando e facendo circolare ideali, valori
di giustizia sociale nella democrazia. Ed è chiaro che ciò significa
promuovere taluni interessi contro taluni altri. Se son bigi tutti i
gatti allora le persone stanno a casa. A guardare (quando va bene) la
politica dallo schermo”
O:
“Ultima domanda: perché non si è candidato lei sindaco di Bologna? Lo
sa, vero, che con una buona campagna, lei poteva vincere…?”
Z:
“Per la ragione che avrei avuto contro prima di tutto il Pd. E anche
per il solito egotismo. Della serie: se non mi vogliono peggio per loro.
In più io non son adatto per le autocandidature. Proprio per niente:
all’ego s’aggiunge, paradossalmente, una ritrosia innata. Insomma siam
mal fatti!”
E’ mezzanotte passata, l’intervista è agli sgoccioli e Zani si concede un’ultima zampata.
“Piccolo motto conclusivo per i dirigenti nazionali del Pd: quando i
gatti han lo stesso colore scorazzano le volpi. E non son solo grilline.
Occhio ragazzi!”
Il blog di Mauro Zani è qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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23 luglio 2008
MAX E UÒLTER
 La politica deve saper dire ad ogni cittadina e ad ogni cittadino: “C’è
bisogno di te per costruire un’Italia migliore”. Per questo nasce ReD.
L'ultima puntata della saga NemiciAmici di casa nostra è ReD, un'associazione di donne e uomini che amano la politica fondata da D'Alema in persona. Per i malevoli è un correntone neodoroteo per condizionare Uòlter, per i benevoli (di solito interessati) è un utile contributo al dibattito e alla riflessione. In un modo o nell'altro, infatti, quella di ReD è una strategia per sottrarre tempo e energie al Piddì di Toby (altra tessera, statuto, dirigenti, relazioni) e per prendere tempo in attesa di (ri)posizionarsi.
Naturalmente ognuno ha le proprie perversioni, c'è chi colleziona farfalle o francobolli chi associazioni e fondazioni per riposizionarsi all'infinito su uno scacchiere politico sempre medesimo a sé stesso, la cosa curiosa (e un po' patetica) è che questo teatrino va avanti da un numero incredibile di anni (mi sembra 14) e che c'è ancora gente che ne parla e che ne scrive (io lo sto facendo ad esempio).
14 anni fa Internet non c'era e fu il cosiddetto popolo dei fax a chiedere Uòlter segretario del neonato Pds, dopo l'addio del fondatore Occhetto. Era una trappola della Pravda, naturalmente, che quando la direzione del partito scelse D'Alema titolò marziale Il pugno del Partito.
In 14 anni è successa parecchia roba: negli USA ci sono stati tre presidenti (due Bush e un Clinton) e cinque mandati, Mandela è diventato presidente del Sudafrica (dopo 26 anni di carcere e la fine dell'apartheid) e in Bolivia è stato eletto il primo presidente indigeno, Morales. Internet ha cambiato il mondo, grazie ai (cosiddetti) no-global la gente ha imparato il termine globalizzazione (mentre i no-global hanno conosciuto Bolzaneto e la DIaz, le Guantanamo d'Italia) e l'Italia ha continuato a perdere colpi nella competizione mondiale sia coi paesi emergenti (India, Cina, Brasile diventati i motori del pianeta) che con quelli europei.
Mitterand e Arafat sono morti di vecchiaia mentre Rabin è morto ammazzato, la nazionale ha perso ai rigori col Brasile i mondiali del 2000 e in quel periodo è esplosa la new economy, che per qualche mese ci ha fatto credere che tutti sarebbero diventati broker di sé stessi. Il global warming è diventato una minaccia più temuta delle guerre d'Iraq e Afghanistan e il Grande Fratello in Italia è già arrivato alla sua ottava edizione.
Woytila è morto e tutto il mondo ha pianto insieme, poi è arrivato Ratzinger e la Chiesa si è rimessa l'elmetto ed è partita lancia in resta contro la modernità, Muccino è diventato una star, il cellulare una protesi del nostro orecchio e il gay-set una delle lobby più influenti (ma i gay normali non hanno diritto a volersi bene davanti alla legge). La fecondazione artificiale si fa all'estero, il cinema italiano è in crisi e gli stipendi sono i più bassi d'Europa. Prima leggevo che il 62 per cento dei poliziotti vive con meno di 1200 euro al mese (poi parlano di sicurezza, ci vuole un bel coraggio).
Dopo aver perso la terza volta contro l'Avanzo di Balera (tra grasse risate globalizzate), dopo che le uniche cose che sono cambiate in 14 anni erano quelle che funzionavano (tipo la Sip/Telecom era in attivo prima delle privatizzazioni) in un paese dove se emetti 20 licenze i taxisti menano i ministri (è successo a Mussi) e gli ordini professionali sono trincee medioevali inespugnabili, dopo tutto questo non credevo che Max e Uòlter rimettessero in scena un'altra replica di Red e Toby NemiciAmici.
Ma sono sempre stato un ottimista (dall'aria vagamente socialista).
L'immagine l'ho presa in prestito qui.
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8 aprile 2008
DISGIUNGO?
 Per votare voto, ma come sempre vado per esclusione. A destra no, il mio background familiare me lo vieta (il nonno Giorgio è sepolto nel Sacrario di Marzabotto, il bisnonno Augusto, Conte Arcelli, ha fatto la fame e la galera per non prendere la tessera del pnf, tutta la mia famiglia è antifascista), quindi non posso votare per la Santanché anche se è un'icona trash. E neppure per Fini perché non esiste più.
L'Avanzo di Balera, poi, mi ha tolto ogni residuo dubbio con l'ultima minchiata dello stop ai condoni: se devo pure pagare le tasse e impazzire dietro i deliri della nostra burocrazia kafkiana per spostare una finestra, non si vede per quale altra ragione potrei votarlo. Non mi pare che il vecchio palpaculi riservi qualche altra brillante sorpresa. Meglio il fucilatore Bossi (non è neanche troppo fascista e le ampolle con l'acqua del Po e i riti celtici mi sono sempre piaciuti), ma il mio darwinismo me lo impedisce.
Casini e compagnia sono invotabili per un laicista-relativista della mia risma. Dicono qualcosa di interessante sul quoziente familiare (ma di che famiglia stiamo parlando, per le coppie gay niente quazionte?) e l'intelligente Tabacci ha idee condivisibili sulla politica fiscale e sulle liberalizzazioni. Pezzotta però è troppo brutto e ha una voce terribile. Bisognerebbe porre un limite alla bruttezza in politica, una sorta di modica quantità, come per le droghe.
Rimane l'altra metà del campo. Boselli l'ho votato due anni fa quando si è presentato con i Radicali nella Rosa nel Pugno. Due mesi dopo a New York apro il Corriere della Sera e trovo la sua intervista in cui fa a pezzi tutto e tutti. A 'sto giro s'incula col suo zero virgola. Bertinotti lo disprezzo personalmente, è un fighetto di merda peggio di Obama, quindi ho delle difficoltà a votarlo. Per non parlare di Diliberto, Pecoraro, Giordano e Rizzo (che è una testa prima di tutti noi sull'ideale grafico darwiniano dell'evoluzione della specie). Va detto che Sinistra Arcobaleno è pur sempre lo stesso brand politico di Nichi Vendola (che avrei votato come candidato premier) e che la campagna di comunicazione è efficace. Però si sono tirati dietro pure Occhetto che mena rogna peggio di Ciubecca. Uòlter alla fine è il meno peggio. Si è preso la pattuglia di Radicali (a partire da Emma Bonino) e sta mettendo in pratica quell'evoluzione bipartitica e presidenziale (di fatto) che è l'unica via d'uscita al tunnel in cui si è ficcata l'Italia. C'è Di Pietro, è vero, ma non dovrebbe nuocere più di tanto.
Di certo la cosa di cui sento meno il bisogno in questo momento è l'inevitabile festival medievalista che segue la vittoria della destra, con i proibizionismi folli che ne derivano. La Bossi-Fini sull'immigrazione, la legge sulla procreazione assistita e quelle che hanno reso il consumo di (qualunque) droga e la condivisione di files reati da perseguire penalmente sono il bilancio della gestione 2001/2006. E dovrebbero bastare.
Per questo, forse, disgiungo.
L'opera di Pomodoro, uno dei suoi disgiunti, l'ho presa in prestito qui.
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