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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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29 ottobre 2012
CAYMANISTAN
 “La Porsche ha chiamato “Cayman” la sua auto più brutta per fare un dispetto a Renzi”, “#Dalema
va ai giardinetti per mangiare i bambini e dice che l’ha mandato
Renzi”, “E’ stato Renzi a bloccare il treno Italo a Firenze Per
dimostrare che #LucadiMontezemolo
non va”, “Le zanzare ad ottobre sono state mandate da Renzi”, “Matteo
Renzi è il vero autore dei libri di Fabio Volo e Federico Moccia”, “Ma
chi paga la lavanderia per tutte quelle camicie bianche?”, “Renzi svela
sempre il finale delle barzellette di Bersani”, “Ma non è che quell’auto
che secondo la Moratti era stata rubata da Pisapia, invece l’ha presa
@matteorenzi?”, “Salterò la pausa pranzo: ho protestato, il mio capo mi
ha detto: #attaccaRenzi.”
L’hashtag di @AsinoMorto dice già tutto. Vendola,
per cui il pm ha appena chiesto venti mesi di galera per abuso
d’ufficio, e Bersani, la cui storica segretaria è stata appena indagata per truffa aggravata, sono riusciti nell’impresa di mettere
Renzi all’angolo. Chi osa non dico spendere parole apertamente
lusinghiere, ma esprimere qualche moderato dubbio circa lo status di “nemico del popolo” affibbiato al sindaco di Firenze, viene lapidato sulla piazza di Facebook.
Oltre alla staliniana trasfigurazione dell’avversario in “nemico”,
già sperimentata con Craxi e Berlusconi (con evidenti benefici per il
paese, in declino da un quarto di secolo sotto tutti i punti di vista),
la tentata sterilizzazione del pericolo – ché quando un moccioso
impudente annuncia di voler tagliare il finanziamento pubblico ai
partiti entro i primi cento giorni di governo di questo si tratta – si
basa sul boicottaggio della partecipazione.
Le primarie sono il mito fondativo del Pd e del centrosinistra,
l’unico, e il mastice che riesce a tenere insieme un elettorato sempre
più scazzato e disilluso. Negli anni passati si sono sempre rivelate
l’unica vera arma in più rispetto ai soldi, al carisma e alla certezza
della leadership che regnava nel campo avversario. Ma anche questa,
ovvia, considerazione non deve aver fatto breccia.
Così mia nonna, che ha quasi novant’anni e fa fatica a scendere le
scale (ma è sempre andata a votare), gli studenti di sedici e
diciassette anni e quelli fuori sede (i pugliesi poi sono veri ultras
del loro governatore) se ne staranno a casa. Invece che presentarsi al
seggio con la carta d’identità e il certificato elettorale (e una volta
sola), come nel 2005, tocca una babele di puttanate burocratiche che, a
parte le patetiche giustificazioni in politichese, significano solo una
cosa: vade retro Renzi.
Spararsi nelle palle per far dispetto alla moglie: dopo che gli analisti hanno spiegato che più alta è la partecipazione più le chances di
vittoria di Renzi aumentano, le varie staffette partigiane sono partite
ad architettar tagliole. Ma se va a votare meno gente perdono tutti,
perché oltre alle primarie bisognerebbe tentar pure di vincere le
secondarie. Arrivarci dopo un flop, proprio adesso che Berlusconi
spariglia di nuovo e patrocina (forse) le primarie del centrodestra,
sarebbe il massimo.
Il quotidiano lancio degli stracci, inoltre, ha definitivamente
eclissato i contenuti dal dibattito, anche riguardo la cosiddetta “fase
2” della campagna di Renzi (che continua a giocare alla lepre).
“Cambiamo l’Italia” ha affiancato il claim “Adesso!”, riconducendo idealmente il sindaco di Firenze al “Change” di Obama, dopo che la fase uno ne aveva già sussunto e italianizzato l’iconografia sin nel minimo dettaglio.
Il particolare è che stiamo sempre parlando dell’Obama del 2008,
quello trionfale e trionfante. Tutti continuano a citare la campagna, le
strategie, lo stile, i contenuti, lo story telling di quell’Obama là. In quanti conoscono il claim del 2012, quello su cui tra pochi giorni il presidente chiede il voto agli americani per altri quattro anni? “Forward”, dalla speranza visionaria al realismo del buon padre di famiglia in una campagna stile Diesel, con un video che sembra il trailer di una serie tv (alla seconda stagione).
Renzi, come gli altri ma col rischio di pagare un prezzo più alto, è
rimasto al 2008, l’epoca del “Se po’ fa’” con cui Veltroni rastrellò il
33% alle politiche. Nel frattempo però è cambiato tutto, diverse volte.
L’altra sera Santoro gli ha chiesto conto a modo suo della “fase due”,
citandogli l’ultimo libro
di Paul Krugman “che si chiama proprio come il suo slogan, adesso!”
(col punto esclamativo pure) e argomenta il fallimento delle politiche
di austerity in Europa e in Italia. “Lei che ne pensa?”
Renzi ha abbassato un po’ gli occhi, ha ripetuto un paio di volte che gli editoriali di Krugman sul New York Times
sono un prezioso contributo all’analisi, ha dato l’impressione di non
averne mai neanche sentito parlare (del libro titolato come il suo claim).
Ora, si può essere d’accordo e meno con Krugman, ma è il caso di avere
un’opinione su quello che scrive, visto quello che scrive, se si ambisce
così tanto a governare un paese (uno qualunque).
Invece la cosa più politica che Renzi ha tirato su fuori sul tema è
che “è una questione di qualità della spesa pubblica” certo “a saldi
invariati”. Spiccicato a Bersani, a Monti, a tutti. Poi nient’altro,
nulla che a poche ore dalla fine della trasmissione potesse rimanermi
impresso, al netto delle gag rottamatorie. Unico guizzo,
vagamente cimiteriale: nei primi cento giorni di governo la mitologica
legge sul conflitto d’interesse. Per dimostrare che non è l’Ambra del vecchio Caimano. Poca roba.
All’ora del conto, infine, la Sicilia non poteva mancare. I primi exit polls
sulle elezioni erano fischiati in rete come ghigliottine al vento.
Anche se i risultati ufficiali sembrano ridimensionare l’uragano,
Caymanistan trema. Più della metà dei siciliani è rimasta a casa e
l’altra ha incoronato campione del caos il “D’Annunzio a Fiume, un
situazionista fuori situazione, un estroso beato nel posto tipico delle
stramberie”. Come aveva predetto Buttafuoco, con bella prosa.
“Non è stato elegante manco in acqua, eppure ha fatto evento. Una
nuotata come quella può farla uno svelto atleta scolpito da Fidia, non
un Satiro attempato e tutta la bellezza di quella traversata s’è
confermata nell’essere lui – l’uomo che viene da fuori – tutto il
contrario di ciò che ha fatto, il più improbabile dei Colapesce. Nessuno
ci credeva che potesse arrivare a nuoto, tutti cominciano a credere che
lunedì possa sfasciare finalmente la regione siciliana.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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23 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE: PARMAGRAD
 “La radio al buio e sette operai, sette bicchieri che brindano a
Lenin… e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile, vola un
berretto un uomo ride e prepara il suo fucile. Sulla sua strada gelata
la croce uncinata lo sa… d’ora in poi troverà Stalingrado in ogni
città!” Chissà se a Grillo è passato per la testa il pezzo degli Stormy Six, quando ha dichiarato Parma “la nostra Stalingrado”. Ora che punta a Berlino dovrebbe proprio ascoltarla.
“I parmensi sono come i ravanelli: rossi fuori e bianchi dentro.” Mia zia, bolognese trapiantata a Parma in
gioventù, mi aveva avvertito per tempo. La scorsa settimana, quando
davo la caccia ai candidati al ballottaggio, per il Pd di Parma avevo
chiesto a lei. Mi ha dato il cellulare di un funzionario di Partito,
molto cortese e disponibile, che a sua volta mi ha dato l’e-mail del
“comunicatore”. Che non mi ha mai risposto.
Pizzarotti, dopo un po’ di stalking su Facebook e via mail,
quando mi è scesa la catena e gli ho chiesto se, per caso, non cagare
chi chiedeva un’intervista fosse una “scelta di politica aziendale”, mi
ha risposto. “Nessuna strategia ma mi chiamano da tutta Italia ed è un
casino gestire tutto. Domani vedo cosa riesco a fare.” Il giorno dopo ha
ripreso a non rispondermi, nel frattempo a Parma è arrivato il New York Times, Le Monde e la CNN e io mi sono arreso.
Adesso che i ravanelli parmensi hanno votato e che, a
differenza che nel resto d’Italia, l’hanno fatto in massa (solo tre
punti in meno rispetto al primo turno) è possibile tracciare un primo
bilancio della Campagna d’Emilia, che ha portato Grillo (e Pizzarotti,
che ha fatto di tutto per mostrare ai suoi concittadini di essere un
bravo ragazzo lavoratore, persino un po’ moderato, che pensa e decide in
proprio) al primo successo serio, in grado forse di scardinare la pax partitica imposta dal moribondo governo Monti.
Mentana ha aperto il suo pomeriggio tv dedicato ai ballottaggi con il
sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani. Grillo è balzato al
12%, raddoppiando i consensi rispetto a due settimane fa, e si affaccia
come terza forza politica del paese, col Pd al 25 (in calo), il Pdl al
20 (a picco), la Lega sotto il 5 (ai minimi termini) e pure Udc, Idv,
Sel e Fli in discesa. Tutti i partiti giù, in pratica, con altri
sondaggi che gonfiano ancor di più le vele del Movimento 5 Stelle.
Chissà tra un anno, alla partita vera.
Per l’intanto Grillo può mettere in fila, oltre a Parmagrad, altri
tre municipi espugnati. Alla vittoria al primo turno, per venti voti, di
Roberto Castiglion a Sarego (già sede del “Parlamento padano”), si
aggiunge il trionfo di Marco Fabbri (quasi il 70%) a Comacchio e il rush vincente (52,5% e 26 punti rimontati dal primo turno) dello studente universitario di 26 anni Alvise Maniero a Mira, città d’arte di quasi 40000 abitanti sulla Riviera del Brenta (ed ex roccaforte rossa).
Stalingrado, però, rimane Stalingrado. Parma è una città ricca con un
Comune talmente indebitato (si parla di 600 milioni di euro, interessi
esclusi) che rischia di non poter pagare gli stipendi ai dipendenti, a
giugno. Dopo quattordici anni di giunte di centrodestra il candidato del
Pd si aspettava di vincere facile.
“Io rispetto tutti gli avversari, ma il ballottaggio con il candidato
del Movimento 5 Stelle Federico Pizzarotti sarà come giocare la finale
di Coppa Italia contro una squadra di serie B.”
Dev’essere stata questa certezza (o forse la sensazione che le cose
si stavano mettendo male) che ha spinto Vincenzo Bernazzoli ad
avventurarsi, tra lo stupore generale, a un faccia a faccia con
Pizzarotti organizzato dall’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e
Risorse di Parma all’Auditorium Paganini (strapieno, oltre mille
persone). Tema della serata il nuovo inceneritore, piatto forte della
stracittadina elettorale, la cui costruzione è stata approvata dalla
Provincia presieduta proprio da Bernazzoli.
“In Italia si sta andando verso la soluzione senza
inceneritore: Reggio Emilia, la Sicilia, la Provincia di Lucca. L’Europa
prevede dal 2020 il divieto di bruciare materiali riciclabili o compostabili. Ma a Parma vige la “Legge Vincenzo“. Bernazzoli nemmeno risponde alle domande scomode: “Dove metterà le ceneri tossiche dell’inceneritore?“. Non si sa.” La lettera dell’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse, pubblicata sul blog di Beppe Grillo, suona come un epitaffio.
Secondo alcuni,
tra cui anche Pizzarotti (che in un attacco di sincerità ha confidato
alle telecamere che se quelli del Pd mettevano un altro, “magari giovane
e fuori dai giochi”, forse avrebbero vinto al primo turno), è stato un
problema di manico. Bernazzoli si è dovuto difendere per tutta la
campagna elettorale dall’accusa (che a Parma vale triplo) di non voler
mollare la poltrona di Presidente della Provincia. Oltre all’ineleganza
ha dato anche l’impressione di crederci il giusto, alla vittoria. E se
non ci crede lui…
Adesso Grillo e i suoi festeggiano l’avvento col botto (si fa presto a
fare i fatalisti ora, ma il 60% a Parma non se l’aspettava nessuno)
della Terza Repubblica e Bersani la sua vittoria “senza se e senza ma”
ché, se non c’era la “non-vittoria” (spettacolare neologismo) di Parma
sarebbe stato un trionfo. Il mio piccolo viaggio nel Partitone emiliano
assediato finisce così con un due a uno per i barbari e la sensazione
che, sui suoi temi (Casta, ecologia, ecc.), Grillo continuerà a far
male.
(… fine)
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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19 dicembre 2011
NON È UN PAESE PER TECNICI
 “La verità è che l’Italia è stata fondata su basi marce e ci abbiamo
mangiato tutti: evasori, statali che non facevano un cazzo e con il
doppio lavoro magari si potevano permettere di cambiare una volta in più
la macchina, così allo Stato tornava comunque indietro almeno l’Iva…”.
Secondo Claudio il Tappezziere, economista di riferimento oltre che asso
del tressette nel circolo radical chic bolognese che frequento, c’è poco da fare.
L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro degli altri, quelli che
“alla mattina escono di casa per tirar su la serranda, andare in
fabbrica o fare qualunque cosa”. Quelli che tutte le volte che il Paese
si trova nella merda, gira e rigira alla fine si trovano il conto da
pagare. È successo nel 1992 con la mitica finanziaria di Amato, poi coi
sacrifici per entrare nell’Euro, ora col salasso per tentare di tenerlo
in vita.
Bonanni buca i media dicendo che la manovra finanziaria poteva
scriverla anche suo zio perché coglie lo spirito dei tempi, che aleggia
maggioritario in tutti i Bildenberg di basso borgo del Belpaese. La
consueta ingiustizia sommaria che si salda all’impotenza atavica di un
potere spuntato, anche se ammantato per l’occasione di sobrietà
professorale, per mettere qualche toppa. L’Italia è sempre quella del
Marchese del Grillo.
Presumibilmente il “sadismo professorale” del “bullo intellettuale” diventato premier a furor di Twitter, ritratto
da Annalena Benini con impeccabile perfidia, ha contribuito ma non è
stata la causa scatenante. Il duce in loden, senza amici nel Palazzo, è
parso un toccasana proprio a causa del disprezzo manifesto con cui ha
trattato l’odiata casta. Non è neppure colpa della stangata, alla fine
se l’aspettavano un po’ tutti.
È stata quella raggelante sensazione di déjà vu, schiaffoni
ai soliti noti mentre i furbi si squagliano, unita all’italianissima
vigliaccheria del non ammettere la Caporetto delle sempiterne riforme
perennemente annunciate. Il Commissario Monti, lo stesso che ha
inchiodato Microsoft, è stato messo sotto scacco da tassisti e
farmacisti di casa nostra, oltre che dal veto sull’asta delle frequenze
televisive. Per ora, a sentir Passera, ma gli altri non hanno goduto del privilegio di tale dilazione.
“Poi anche questo ‘contributo di solidarietà’ per le pensioni d’oro…
Se prendi centonovantanovemila euro l’anno niente, con duecentomila te
ne fan fuori trentamila. Non potevano tassare in modo progressivo?” Il
diavolo si nasconde nei dettagli, Claudio il Tappezziere mette di nuovo
il dito nella piaga e s’infervora: “Posso dire una cosa? Voi che siete
giovani perché non andate in piazza a protestare?”
Nel clima surreale di questo Natale 2011 in odore di austerity,
anche la piazza è un’arma spuntata. L’hanno capito bene gli anarchici
che hanno spedito la bomba a Equitalia: a memoria d’uomo non ricordo un
attentato, peraltro così vile e meschino, che abbia goduto di tale
popolarità. Non solo i social network ma pure i bar con la birra sono un tripudio di “hanno fatto bene, quelli sono proprio il peggio”.
La coincidenza di analisi, poi, tra opposti estremismi rende il clima
ancora più sinistro e cupo. Anarchici e Boghezio, leghisti vestiti da
operai in Parlamento e rifondatori del Pci che gridano al complotto
delle banche, insieme a Ferrara, Feltri, Bossi, Vendola, Tremonti e Di
Pietro e agli editorialisti del manifesto, i sindacati e la Mussolini. Come stupirsi, in un clima del genere, dei proiettili ai politici recapitati da nuovi brand terroristici che sgomitano per il loro posticino nel Tg delle otto?
E mentre anche il New York Times getta la spugna e ammette la sua delusione per la manovra di Monti, nel Belpaese la fiction
post-berlusconiana in crisi d’identità si va a sovrapporre a una realtà
sempre più recessiva e deprimente. Così può accadere che l’onorevole
Scilipoti si metta in combutta situazionista con l’avvocato Alfonso Marra, esperto di signoraggio e leader del Partito d’azione per lo sviluppo, e con la show-girl Sara Tommasi per inscenare una campagna contro le banche.
Le immagini di Sara Tommasi, a braccetto con Scilipoti, che accenna allo striptease in mezzo alla strada e si fa ritrarre come mamma l’ha fatta per promuovere il pamphlet del Marra (onore condiviso con Lele Mora, Manuela Arcuri e Ruby Rubacuori) contro le banche affamatrici, acuiscono l’ésprit de décadence
che esala dalle cronache. Come se il teatrino del vecchio impresario
più amato dagli italiani avesse deciso di sopravvivergli e stesse
progressivamente esondando nella realtà.
Il 2012 incombe…
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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5 dicembre 2011
LACRIME, SANGUE E MERDA
 Così come tra uomini e donne, anche per gli Stati essere deboli o
forti non è una questione di genere ma di capacità/possibilità di
decidere in proprio. L’Italia del commissario Monti è l’esempio perfetto
di uno Stato storicamente giovane, costituzionalmente promiscuo e
politicamente abbastanza debole da avere accettato, in
centocinquant’anni di storia, praticamente tutto.
Da Mussolini al compromesso storico, dal partito dell’ampolla del Dio
Po al governo a quello di Mastella, Diliberto e Pecoraro Scanio,
passando per un’incredibile sequenza di aspirazioni golpiste (almeno
quattro, solo dal 1963 al 1985), esecutivi balneari di ogni razza e
l’eliminazione giudiziaria a mezzo stampa dei partiti che hanno scritto
la Costituzione. Fino al Drive-in di massa degli ultimi anni
con intercettazioni, escort e chiacchiere che hanno finito per eclissare
la crisi e alla fine il governo stesso.
Poi, dopo qualche ora di festa per l’auto-deposizione del Caimano e
dopo la selva di tripudi di loden e di alleluia per la ritrovata
sobrietà al governo, ecco che la annunciatissima scure di Monti cala in
tutta la sua crudezza, alle otto della sera, e le chiacchiere arrivano a
zero. Con grande sobrietà, in un sol colpo il professore reintroduce
l’Ici (rivalutando gli estimi), aumenta l’Iva e (agghiacciante) blocca
la rivalutazione Istat per le pensioni oltre i 1000 euro.
La super-stangata prevede anche l’annunciata riforma delle pensioni,
la reintroduzione della tracciabilità e un ulteriore taglio agli enti
locali. Ferrara potrà lustrarsi gli artigli (dopo giorni e giorni di
apologie di Paul Krugman), Calderoli rilancia già la secessione
(“consensuale, sul modello Cecoslovacchia”), Ferrero annuncia lo
sciopero generale, a Di Pietro prudono le mani, i sindacati si preparano
alla battaglia e il Pd e il Pdl (al solito) non sanno che pesci
pigliare.
Mi sa che non basteranno le tasse sui beni di lusso e i (presunti)
tagli alla politica per decretare la fine anticipata della luna di miele
fra il commissario Monti e gli italiani, che fino a ieri sera gli hanno
tributato una fiducia quasi unanime. Né basterà il carisma
istituzionale di Re Giorgio (come l’ha ribattezzato il New York Times), che forse ha salvato l’Italia dal default
finanziario ingaggiando Monti con un’operazione di rara abilità, ma
difficilmente potrà qualcosa contro le probabili ricadute recessive di
questa manovra.
Monti ha tenuto fede alla promessa di non guardare in faccia a
nessuno e continua a ripetere che tutti i riflettori sono puntati
sull’Italia. Allo Stato debole per eccellenza l’altro ieri è stato
lasciato il cerino in mano dalla Merkel davanti al Bundestag riunito:
“Dai cambiamenti dell’Italia dipende il futuro dell’Eurozona”. E i
cambiamenti sono arrivati per decreto legge, sobriamente denominato
“salva-Italia”, e con un appello ai cittadini centrato sul rischio di
“macchiarsi del fallimento dell’intera Eurozona”, perché “il debito
pubblico italiano è colpa di chi ha governato l’Italia, non
dell’Europa”.
“I sacrifici devono essere visti alla luce di un risveglio a favore
del merito e contro i privilegi, i nepotismi, le rendite”. Per Monti
“noi italiani siamo considerati delle individualità di spicco,
simpatici”, e sembra di sentire la conferenza stampa di un commissario
europeo tedesco o lussemburghese, di un consulente di una banca d’affari
o dell’Fmi.
Essere uno Stato debole significa ciclicamente abdicare dalla
democrazia e quando Monti annuncia “ho riflettuto in questi giorni che,
visti i sacrifici che devo chiedere ai cittadini italiani, ho deciso di
rinunciare ad ogni compenso come presidente del Consiglio e ministro del
Tesoro e delle Finanze”, ho pensato che forse hanno davvero ragione
Ferrara&Ferrero e questo è un tecno-golpe a tutti gli effetti.
Non è detto che sia un male. Non c’è dubbio, per esempio, che in
termini metodologici questo governo è un altro mondo e Passera che
annuncia report costanti, con gli stati di avanzamento delle
riforme in programma, ne è l’emblema. Poi, quando l’algida ministra
Fornero scoppia in lacrime annunciando il blocco delle pensioni e non
riesce a terminare la relazione, metto a fuoco l’unica verità: siamo
nella merda, mi sa che c’è poco da fare gli schizzinosi.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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26 gennaio 2011
L'AVATAR DI CALIGOLA
 “Since the Roman Empire, politics here has
been seen as a means to power and money. Even today, Italy remains a
land where complex networks of connections and family ties can still, as
in feudal times, count more than merit or position, whether in getting a
job or a bank loan.” Rachel Donandio sul New York Times ha raccontato
il reality-show Italia alla luce delle gesta del solito unico,
celeberrimo, protagonista indiscusso “Surreal: a soap opera starring
Berlusconi”.
Non c’è solo Caligola, l’avatar impazzito del presidente del Consiglio che sbraita
contro Gad Lerner alle undici sera mentre gli italiani normali davanti
alla tv (tutti quelli che potrebbero votare per lui) guardano il Grande Fratello, nell’articolo del Nyt “Prisoner of this world that he created”, ma anche “I invented a parallel life”, Ruby heart-stealer
canonizzata in fascia protetta tv dall’avatar Berja-chic di Signorini, e
soprattutto gli altri protagonisti del virtuality-show: gli italiani a
casa. Quelli del televoto, che hanno già mandato tre volte Berlusconi a
Palazzo Chigi e adesso lo metterebbero pure in nomination, ma non vedono alternative.
Il fatalismo italiano è il vero alleato di Berlusconi, secondo il Nyt.
Niente di nuovo sotto il sole. Italiani brava gente, Franza e Spagna
purché se magna, fascisti con il Duce e antifascisti dopo il 25 aprile e
neanche nel ’92 andò diversamente. Tangentopoli (oltre l’incredibile
percentuale di assoluzioni e lo spropositato numero di anni trascorsi
preventivamente dietro le sbarre dagli imputati) non ha cambiato una
virgola nella società, a parte la decapitazione dei partiti che avevano
fatto la Repubblica, se non in peggio. Oggi il copione si ripete ma gli
italiani hanno ancora meno voglia di sbattersi e, al massimo,
s’indignano periodicamente a qualche festa comandata di piazza, su
Facebook o davanti a Santoro e Floris. Insomma, a differenza che dal nonno di Ruby, la “rivolta non scatta”.
Il braccio di ferro tra Fiom e Fiat, anzi, ha spostato molti più consensi
del Ruby-gate. La solita metà degli italiani per una ragione o per
l’altra non si sconvolge troppo con la storia del puttaniere prestato
alla politica (e/o sospetta che sia in buona compagnia). L’altra è in
ostaggio dello speculare psicodramma di un’opposizione scompaginata che
senza l’avatar di Caligola non esiste, un brusio indistinto fra uno
strepito e l’altro del tiranno virtuale. Ormai si definisce solo per sua
nemesi e, per questo, dovrà necessariamente arrivare fino alla fine
dello show. Costi quel che costi. Si lustrino le baionette, dunque, e si
olino le ghigliottine. Tanto poi arriva sempre la pubblicità. Chissà
stavolta che programmi ci sono dopo.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. L'immagine è stata presa qui.
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1 novembre 2010
BUNGA VIRUS
“Bravo, ha fatto bene a telefonare, a fottersene delle convenzioni, a
mandare la Nicole a prendere Ruby in questura, e a spacciarla per la
nipote di Mubarak, ciò che solo la sua fantasia e il suo senso del
grottesco da commedia all’italiana potevano ideare per cavare d’impiccio
quella ragazza di strada che era capitata chissà come a una delle sue
feste, a uno dei suoi legittimi e barocchetti intrattenimenti domestici a
base di Sanbittèr, la bevanda che solo un maturo Ganimede, coppiere
degli dèi, può offrire a una festa.”
Come si fa a non essere d’accordo
con Giuliano Ferrara che (con consueta sobrietà) solidarizza con
l’amico-premier “quel che si dice bonariamente un puttaniere, un womanizer,
un libertino giocoso e gaudente” di 74 anni, che ha il fegato di dire
“sono orgoglioso del mio stile di vita”, a cui D’Alema vorrebbe
sguinzagliare contro mute di preti (tanto alla prossima battuta di
caccia vaticana contro una qualche libertà peccaminosa basterà fare
scena muta come al solito)?
“I’m a playful person, full of life. I love life, I love women.” Gli è bastata una frase (che in ingleseRepubblica conferma la propria snella e implacabile
autorevolezza e continua intrepida nel solco tracciato da Eugenio
Scalfari nel 1976”, graffia Annalena Benini a proposito di un giornale che arriva a scrivere
“ecco: da adesso si sa pure che, varcata una certa soglia, al rituale
del dopocena era assegnata la denominazione invero esotica di bunga
bunga. Assimilabile, quanto a strizzatine d’occhio, ma più potente, a
consimili espressioni quali gnacca gnacca, tuca tuca e bingo bongo,
quest’ultima nell’accezione non necessariamente leghista, ma
sadico-anale chissà se ancora in voga nella scuola dell’obbligo.”
suona anche meglio) per schiacciare un’altra volta i questurini della
questione morale, decisi a non occuparsi più di politica neanche per
sbaglio. “
Il copione è sempre lo stesso, rodato, delle campagne di
comunicazione virale: il messaggio-choc, sparato dall’ammiraglia liberal
italiana con un format che ne supporta adeguatamente il carattere di
“scoop” (le ‘dieci domande’ l’altra volta, la doppia paginata di D’Avanzo
questa), in poche ore deborda in Rete, invade radio e tv, intasa sms e
chiacchiere, raggiunge le testate estere che erigono, a loro volta,
totem festanti del nuovo sputtanamento di stato. Il bunga bunga, oltre
che il classico tormentone su Facebook, è un nuovo pezzo di Elio e Le Storie Tese e un bolognese ha già registrato il dominio web (www.bungabunga.it), ma come al solito i cinesi sono più avanti e Apple Daily, il quotidiano di Hong Kong ne ha tratto una clip in 3d.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. Il pezzo di Elio l'ho preso qui.
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17 novembre 2009
INSIDER TRAINING
 “Siamo due vecchi arnesi della politica e della comunicazione; ne abbiamo viste tante e qualcuna l’abbiamo anche fatta. Quando ci siamo ritrovati, ci siamo chiesti come mai in Italia l’informazione politica sia diventata (quasi solo) pettegolezzo e propaganda. tFP nasce dalla convinzione che una buona informazione politica faccia bene non soltanto ai cittadini, ma prima di tutto alla politica.”
Comunque la si pensi, quella di The Front Page sembra proprio una buona notizia. Velardi e Rondolino in versione western (l’autoironia compiaciuta diverte, se è divertita) firmano il nuovo blog collettivo d’informazione politica, che tenta di far debuttare anche in Italia il giornalismo d’assalto stile “off the records” che negli States sta cambiando i connotati al panorama mediatico di pluricentenaria tradizione.
Il fatto che l’Huffington Post (il blog molto beninformato di Arianna Huffington) abbia superato il sito del Washington Post in termini di “click” significa qualcosa. “The Politico” (un blog anch’esso) che diventa all’improvviso una delle più influenti fonti, capace di “dare la linea” alle vacche sacre del giornalismo USA, testate-portaerei vecchie come la Guerra di Secessione, vorrà pur dire qualcosa. Se poi in Italia le vendite dei giornali calano mentre le visite sui loro portali aumentano e la pubblicità va migrando in Rete, forse significa che anche qui qualcosa sta cambiando.
I due ex consulenti di D’Alema devono averlo fiutato e infatti si sono inventati, lesti, The Front Page. La formula è semplice e un po’ carognesca: ci scrivono illustri firme del giornalismo italiano sotto pseudonimo, che (in questo modo) possono bastonare a piacere oppure semplicemente dire le cose papali papali (si deduce quindi che non godono della stessa libertà nelle testate che gli pagano lo stipendio). Anche e solo per questo (ammesso che sia vero) quella di The Fronte Page è una good news.
La veste grafica richiama un po’ il New York Times (il font scelto per il “The” è lo stesso) e un po’ l’estetica western (il posizionamento corsaro ne giova) e dal sito si può saltellare sulle varie Front Pages sparse sui principali social network della Rete (Facebook, Twitter, ecc.).
Dalla videopresentazione dei due front men (che dopo un po’ di ingessatura iniziale si rivela schietta e un po’ inconsueta, almeno rispetto all’attitudine cimiteriale o palesemente marchettara a cui siamo abituati da iniziative analoghe) e dai primi giorni di attività emerge un profilo editoriale netto: attenzione all’analisi, ai dettagli e ai “backstage” della scena politica italiana, poca (o divertita) partigianeria. Certo, l’inflazione dell’aggettivo “serio”, di cui sia Velardi che Rondolino abusano in presentazione, tradisce forse l’ansia (a mio modo di vedere immotivata e un po’ dalemistica) di non posizionare il blog come una versione colta di Dagospia, ma come un think tank per nulla accidentale e molto (appunto) “serio”. O forse è un’altra gag.
Da quello che ho letto, comunque, mi sembra che il pop prevalga, almeno nella scelta di un tono di voce informalmente complice, che da al lettore la sensazione di partecipare alla denudazione di reucci e reginette in prima persona. Per ora, quello che manca è la “notizia”. Anche se “l’entusiastica collaborazione di un gruppo di amici e colleghi non pagati” dovrebbe garantirne in abbondanza. I collaboratori spediranno i “post” durante la giornata per incrociare giornalisti e comunicatori proprio quando scrivono i loro pezzi e le macchine si stanno scaldando. Sono gli addetti ai lavori il target primario di The Front Page.
Anche le rubriche fisse promettono bene. In “Lie to me”, ispirata al telefilm, un neurofisiologo italoamericano analizza il linguaggio non verbale dei politici, mentre in “Pagine rosa” c’è la rassegna stampa – appunto – “rosa”. “Se un tempo, per informarsi sulla politica, si leggeva Rinascita, oggi si legge Chi, e noi selezioneremo articoli provenienti da Chi e da giornali affini con la massima considerazione” chiosa serissimo Rondolino.
Speriamo che poi arrivino anche le inchieste, corsare e trasversali certo, ma abbastanza “serie” da scrollare un po’ il quadretto di mummie del ’992, che seguita a farsi chiamare “Seconda Repubblica”.
Fonti: “The Front Page” il blog “The Front Page” la videopresentazione di Rondolino / Velardi “Huffington a Trastevere: nasce The Front Page” dal blog di Zambardino su Repubblica.it “Qui si spiega come dare le non notizie con stile” di Marianna Rizzini sul Foglio.it
Nell'immagine sopra la testata del blog. L'articolo è tratto dal blog di Aprile.
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