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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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13 luglio 2011
EUTANASIA POLITICA
 “Lo Stato non può sostituirsi ai genitori nel decidere a quali
contenuti i propri figli possono accedere e a quali no.” A proposito di
libertà dallo Stato, la sentenza della Corte Suprema degli
Stati Uniti d’America ha vietato il divieto di vendere videogiochi
violenti ai minorenni, stabilito dallo Stato della California. Nel farlo
ha equiparato, per la prima volta, i videogames alle altre
opere della creatività: film, libri, fumetti sono sconsigliabili a
seconda dei contenuti e dell’età, ma il Primo Emendamento li tiene alla
larga dai fans dei prontuari contro il Maligno.
L’Italia non è l’America, okay, e la nuova micro-polemica su “Euthanasia”, l’ennesimo videogioco finto nuovo (è in rete da un anno, ma nessuno di quelli che ne parla lo sa), innescata dall’intervista di Paola Binetti
a KlausCondicio si è incaricata di dimostrarlo un’altra volta. Secondo
Binetti “sono videogiochi violenti che hanno come obiettivo quello di
introdurre la cultura della morte facendo leva sui consumatori sempre
più giovani di videogiochi”, roba da tirar via al più presto dagli
scaffali e quindi dalle grinfie dei nostri frugoletti, tanto più che “Il
settore non è regolamentato”.
Il mercato dei videogiochi in Italia è regolamentato dal Pegi, il
codice europeo che definisce la fascia d’età a cui consigliati (come per
i film, i libri, ecc.) “Euthanasia” però si scarica gratis in
rete (che, si sa, è il covo del Maligno). Pensare di fermarne la
commercializzazione non ha alcun senso: non è mai stato in vendita. In
più nel gioco (classico sparatutto senza sfumature) il protagonista è
una “vittima” della propria scelta di suicidio assistito. Binetti,
Gasbarra, Roccella, genitori cattolici & company dovrebbero fargli un monumento a Serygala, lo sviluppatore indipendente che l’ha messo online.
D’altronde è sempre lo stesso paese in cui il Parlamento “lascia i cittadini liberi dalle macchine solo da morti”, per dirla con Bersani,
pochi giorni dopo che il non voto del suo partito è stato decisivo per
non abolire le province. La mordacchia alla Rete per via parlamentare
sembra che non si riesca proprio a mettere, così ci prova l’Antitrust, che invece di combattere i trust
(Mediaset-Rai e Sipra-Publitalia per dirne uno) prova ad azzoppare
quelli che non ne fanno parte. Poi, tutti insieme, parlano di
antipolitica.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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11 maggio 2011
A GAY GIRL IN DAMASCUS
“A otto settimane dall’inizio della
protesta in Siria, esplosa nella località meridionale di Daraa dopo
l’arresto di alcuni adolescenti che avevano scritto sul muro slogan
inneggianti alla primavera araba, le repressione del regime fa il salto
di qualità. Oggi, per la prima volta in un mese e mezzo, non è uscito un
solo video dalle città ribelli assediate dai carri armati del
presidente al Assad: nessun filmato, nessun messaggio, nessuna foto,
come se il paese fosse completamente isolato. E probabilmente lo è.”
Uno degli ultimi
blog rimasti aperti, nei giorni più crudi della censura e del sangue, è
quello di Amina Abdullah, 34 anni, lesbica dichiarata, mamma americana e
papà siriano, icona della protesta contro il regime di Bashar Al Assad. A gay girl in Damascus continua
a raccontare il dramma (“800 morti… 1000?”) insieme a poesie, scampoli
di vita quotidiana ed epigrafi fulminanti che restituiscono, senza
sconti, l’atroce quotidianità dell’esilio in patria. La morte di Osama
Bin Laden ha oscurato per qualche giorno il macello siriano e ora la
mordacchia di regime rischia di isolare del tutto il paese e i
dissidenti. Persino la missione Onu è stata bloccata alle porte di
Daraa, epicentro della protesta.
“Essere lesbica in Siria è molto duro, ma
sempre più facile che essere un oppositore politico”. Amina ha il dono
brutalmente creativo della sintesi e nell’ultimo post del
9 maggio chiede una mano a trovare un editore, per trasformare il blog
in un libro e consegnare le prodezze del regime siriano agli scaffali
delle librerie di tutto il mondo. In poche ore sono arrivate diverse
proposte (dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dall’Italia) che fanno
chiarezza una volta di più sul potere del mezzo.
Con tutti i solipsismi letterari sfornati
ogni mattino, buoni giusto per placare per qualche tempo gli
ego-appetiti di chi li scrive, il libro di Amina sarà una salutare
frustata di realtà. Alberi abbattuti per una giusta causa: illuminare il
cono d’ombra della ferocia repressiva, denudare ipocrisie diplomatiche e
doppiopesismo politico. Usa e Ue, dopo oltre due mesi di sangue, hanno annunciato sanzioni economiche e embarghi di armi, ben sapendo che non serviranno a un bel niente. Come già con l’Iran.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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