26 luglio 2011
TERRORISTA CHI?
 “Per poter attuare con successo la censura dei media culturali
marxisti e multiculturalisti saremo obbligati ad attuare operazioni
significativamente più brutali e mozzafiato che porteranno a vittime”. È
in questo passaggio del memoriale
preventivo del ‘folle solitario’ norvegese, apparso in rete diversi
mesi prima della strage, la chiave psico-politica che ha attivato Anders
Behring Breivik. Sapeva che “l’uso del terrorismo come mezzo per far
risvegliare le masse” lo avrebbe fatto passare alla storia “come il più
grande mostro dopo la Seconda Guerra Mondiale” e si è calato nella parte
che si era autoassegnato.
Si tratta dello stesso salto di qualità che ha compiuto a suo tempo il Jihad
islamista, con la mediatizzazione meticolosa di ogni impresa
terroristica e di ciò che le stava dietro. Non solo, dunque, bombe e
kamikaze pianificati apposta per bucare i riflettori (durante le feste, i
pellegrinaggi, l’alta stagione turistica delle località frequentate
degli occidentali), ma anche video-preghiere di aspiranti martiri,
interviste alle madri: tutto ciò che ha potuto contribuire a costruire
casi mediatici, intorno alla morte di persone innocenti e alla causa per
cui sono state vittime e/o carnefici.
Fare entrare la morte nelle case degli spettatori del circo globale è
anche l’obiettivo dichiarato dello stragista norvegese e ogni parola
spesa dai media sulle sue gesta contribuisce a monetizzare
mediaticamente il sangue innocente che ha versato. Il grottesco riflesso
condizionato, che ha spinto le testate occidentali (il Foglio.it
titolava “Al Qaida dichiara guerra alla Norvegia”) ad attribuire la
paternità dell’attentato alle infide barbe maomettane, restituisce il
quadro surreale di una realtà capovolta in cui il carnefice, arrestato
dopo ventiquattr’ore ed esposto alla gogna feisbukiana in tempo reale, ostenta la calma fermezza di chi ha fatto il suo sporco dovere. Missione compiuta.
Il moralista adesso dirà: te l’avevo detto, la Rete produce mostri.
Ad Anders Behring Breivik ha spianato le porte del palcoscenico della
comunicazione globale, entro il quale ha potuto pianificare una strage,
pubblicarne con largo anticipo la rivendicazione ‘dotta’ (una sorta di
appello neogotico al sangue e alle radici, shakerando Templari,
mitologia celtica e guerra preventiva di bushiana memoria) sui siti in target
e assumersene pubblicamente la responsabilità per il bene dei cittadini
europei, ormai narcotizzati dai “media culturali marxisti e
multiculturalisti”.
Ed è un’email spedita al sito norvegese Document.no che rivela la sua ammirazione per i compagni di delirio dell’English Defense League
e il suo sogno d’importarla in patria. “L’Edl è un esempio e una
versione norvegese è l’unico modo per combattere le molestie nei
confronti dei conservatori della cultura norvegese.” Il collegamento con
la strage di Oklahoma City (168
morti, riflesso condizionato dei media, analogo delirio del killer, uno
sfigato come il norvegese) viene automatico ed è stato più volte
riportato in queste ore. Ma il contagio virale sul web, all’epoca, non
era un’opzione.
Se ha ragione il moralista bisognerebbe mettere i lucchetti ai server,
più che alle frontiere, perché quello che stanno passando le famiglie
dei ragazzi di Utoya non giustifica alcuna libertà, né il lusso
post-moderno (e “multiculturalista”, direbbero il killer e i suoi amici nerds
ariani, annidati nelle periferie del web) della condivisone della
conoscenza fra i cittadini del mondo. L’alternativa è usarla, la Rete,
anche per tenere sotto controllo gli Anders Behring Breivik che ci
sguazzano dentro. Biondi, alti e senza un pelo in faccia.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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