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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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19 maggio 2011
LA MARCHESA DEL GRILLO
Se fosse venuta la tentazione di considerare quella di Bologna una
mezza vittoria per il Pd, un 50,41% che impallidisce non solo davanti
all’impresa di Pisapia a Milano e al colpo di teatro napoletano di De
Magistris, ma pure di fronte al successo di Fassino a Torino, basti
ricordare che due anni fa a Delbono occorse il secondo turno prima di
piegare Cazzola. E che nel 1999, prima della parata trionfale del commissario del popolo
Sergio Gaetano Cofferati, a salutare l’ingresso di Guazzaloca a Palazzo
D’Accursio come primo e ultimo sindaco di centrodestra c’erano le
bandiere di Ordine Nuovo e diversi gentiluomini con la testa rasata e il
braccio teso.
Il centrosinistra bolognese è stato capace, in mezzo secolo e
passa di governo della città, di mettere in piedi un sistema economico,
produttivo e di potere che ha garantito una qualità della vita, dei
servizi e delle tutele che per lunghi anni ha reso la vecchia signora dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano ed il culo sui colli, come l’ha cantata Guccini, una fra le mete più ambite per studiare, lavorare, metter su famiglia, giocare ai bissanot (in dialetto, letteralmente, “mastica-notte”). Ora il modello mostra la corda.
Le cause prime non sono imputabili alla politica. Globalizzazione dei
gusti e dei problemi, omogeneizzazione tecnologica e culturale,
invecchiamento della popolazione e conseguente gap di
comunicazione con la popolazione studentesca (vera e propria città nella
città), affitti e costo della vita alle stelle hanno congiurato per
trasformare Bologna in una cittadina medioevale fra le tante. Tutta la
mistica che ne ha accompagnato l’immagine, quindi (grassa, tollerante,
solidale, godereccia, ecc.), ha iniziato a sgretolarsi innanzitutto fra i
bolognesi stessi, che hanno cominciato a non crederci più.
Le responsabilità della classe dirigente iniziano qui. L’avere
giocato di rimessa, senza prendere di petto il cambiamento (o declino a
sentire i pessimisti) che avveniva sotto gli occhi dei bolognesi (che
ne parlano fra loro, nei bar e nelle osterie, da vent’anni), si è
trasformato in una sorta di silente complicità. Il cambiamento, si sa, o
lo si governa o lo si subisce e il centrosinistra bolognese ha optato
per la seconda strada, arroccandosi in un autoesilio politico-culturale
fatto di faide continue, personalismi, navigazione a vista che ha
finito per far smarrire il senso del progetto, quell’impostazione
felicemente sovietica (pianificazione) che aveva permesso a Dozza,
Fanti e Zangheri di fare Bologna.
Il Movimento 5 Stelle è stata l’unica forza politica capace
d’interpretare questo sentimento/sensazione di disillusione/disincanto,
diffuso tra i bolognesi ben al di là delle percentuali ottenute dalla
lista di Grillo, e di formulare un’offerta politica conseguente e
vincente. Significativamente i maggiori successi, in Italia, il hanno
ottenuti laddove il centrosinistra è figlio di un passato glorioso,
ininterrottamente al potere da decenni, ma appare fiacco perché privo di
strategia e/o di leadership carismatiche: Bologna, Rimini e Ravenna (tutti e tre tra il 9 e l’11%).
Una sorta di Lega di sinistra, o forse la versione italiana del
successo delle liste ecologiste in tutta Europa (uno dei loro punti di
forza progettuale è quello), una nuova opposizione che si annuncia
sempre più ingombrante e decisiva in vista dei ballottaggi e dei
prossimi appuntamenti elettorali. La sensazione, per quanto riguarda il
centrosinistra, è che l’appeal della sua proposta è
inversamente proporzionale a quello del candidato grilino (come a
Milano). Non a caso Grillo, a Bologna, ha dato del busone (gay in italo-bolognese) a Vendola: si sta già mettendo avanti col lavoro.
"Bologna" di Francesco Guccini è qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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26 aprile 2011
REALITY BOLOGNA
 “Ebbene sì: Teorema, la società di servizi fiscali convenzionata con
il Caaf della Cgil Emilia-Romagna, ha pensato bene di uscire con lo
slogan «Non fidarti degli sconosciuti».
Per mostrare attenzione verso le donne, suppongo (vedi l’immagine),
ma in realtà sfruttando – e confermando, e rinforzando – la paura degli
«sconosciuti». Che sotto sotto c’è in tutti, donne e
uomini. Di destra e sinistra. Di qui alla paura dell’altro, dello
straniero, del diverso, il passo è più che breve, è lo stesso identico
passo: quello della Lega. Ma la Cgil non era di sinistra?”
Se Giovanna Cosenza, allieva di Umberto Eco e docente di semiotica
all’Università di Bologna, fosse stata leghista probabilmente avrebbe tuonato contro
il Caaf della Cgil che tappezza Bologna di messaggi subliminali pro-Pd.
Nella città di Dozza e Fanti le elezioni sono alle porte e gli
sconosciuti, gli stranieri, sono i barbari leghisti più che i migranti
nordafricani. L’eventualità che la bandiera di Alberto da Giussano possa
sventolare a Palazzo d’Accursio, dopo il ballottaggio che gli ultimi sondaggi danno
per probabile per quanto difficile, non è più così remota. Di qui,
forse, lo stato confusionale della sinistra e l’analisi un po’ fantasy
della professoressa Cosenza sulla campagna delle Lance Libere.
A Bologna la Lega, al 3% fino a due anni fa, candida Manes
Bernardini, avvocato di trentotto anni sostenuto da un Pdl mugugnante,
bella presenza e “leghista dal volto umano”, secondo il sin troppo lusinghiero ritratto che ne fa Michele Brambilla su La Stampa.
I sondaggi lo accreditano tra il 24 e il 33 per cento ed è l’unico ad
essersi presentato, il 21 aprile, alla festa per la Liberazione della
città (forse per far dimenticare di aver dichiarato che era avvenuta a
“ottobre del 1945”). Non c’era Aldrovandi, il terzopolista sostenuto dall’unico ex sindaco di centrodestra Giorgio Guazzaloca e accreditato dell’8-9 per cento dei consensi né Bugani, il grillino che rischia di andare in doppia cifra e alla domanda “chi era Dossetti?” ha risposto mesto “non lo so”, né Merola.
“Atos Solieri contesta: «Uno scivolone può passare, due mica tanto,
ora siamo alle comiche! Se uno si dimentica questi appuntamenti qui, a
sem a post!»”. Virginio Merola, fresco trionfatore delle primarie del
centrosinistra con venti punti di scarto sulla candidata di Sinistra e
Libertà, è impegnato in una sorta di guerra alla comunicazione
contemporanea. Il claim della sua campagna “Se
vi va tutto bene, io non vado bene” è diventato un
tormentone-scioglilingua cittadino e le sue spettacolari gaffes (“spero
che il Bologna torni in serie A”) hanno già fatto storia, entrando di
diritto nella narrativa da bar di cui Bologna, alla faccia di chi le
vuole male, è ancora capitale morale. Per i sondaggi è in bilico. Tra il
45 e il 51 per cento significa rischio ballottaggio e l’incubo del ’99,
diserzione elettorale della sinistra e vittoria dei cattivi, si profila
nuovamente all’orizzonte.
Bologna, reduce da un anno e mezzo di commissariamento (record
italiano) a causa delle repentine dimissioni di Delbono dopo le accuse
di Cinzia Cracchi (ora capolista di una lista civica), non è solo “la
città dei rancori”, come l’ha ritratta la puntata di Report dell’illustre
cittadina Milena Gabanelli, ma nel dibattito pubblico prevale
quell’aria da reality un po’ sfigato che la trasmissione ha catturato
impietosamente nelle interviste sempre più sconsolate (da parte del
giornalista visibilmente provato) agli aspiranti primo cittadino e agli
esponenti della claustrofobica classe dirigente locale. Quando a
Maurizio Cevenini, record man di matrimoni celebrati, quasi-candidato sindaco
e capolista del Pd alle elezioni, è stato chiesto con qualche imbarazzo
(“non sono riuscito a trovarli da nessuna parte”) che programmi avesse,
lui ha risposto con un sorriso disarmante, da tronista in castigo, “eh
lo so, è un mio difetto”.
Il teatrino di paese non riesce a nascondere la realtà di una città
ferma, incapace di prendere decisioni, con 49 filobus su gomma Civis figli di nessuno costati
oltre 150 milioni di euro (per ora) e parcheggiati al Caab, la stazione
in eterno cantiere e deliranti progetti alla Blade Runner (people mover
e altri dadaismi ingegneristici) sulla rampa di lancio. Una
metropolitana in una città da 400.000 abitanti, per dire, fa un po’
ridere eppure se ne parla da due lustri, anche se non c’è verso di
decidere. Invece la chiusura del centro storico alle auto, votata dal
70% dei bolognesi nel referendum del 1985, non è mai stata fatta. Forse
basterebbe partire da quello che c’è, una città medioevale colma di
tesori architettonici, dove si mangia bene e si sa vivere, valorizzarlo,
e magari cominciare a dirlo un po’ in giro.
L'articolo è stato pubblicato (insieme con la foto) su The FrontPage.
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5 aprile 2011
AI CONFINI CON LA REALTÀ. E OLTRE.
 “Sono pazzi. Hanno fatto una campagna epitaffica, in bianco e nero, tombale: più che Oltre, direi Oltre-tomba.
Il Pd così è morto, e Bersani è il Caro Estinto”. Oliviero Toscani ha
le idee chiare sulla campagna milionaria del Pd (è un esperto di tappezzamenti nonsense su larga scala, come dimostra la campagna per il ministero della salute di Livia Turco, con berrettino da sexy-infermierina come surplus di sadismo creativo), talmente chiare che il Fatto Quotidiano si è sentito in dovere di ospitare, poco dopo, un’intervista ai creativi annunciata come una sorta di surreale par condicio
postuma. Fatto sta che il segretario del Pd, nelle ormai celebri
maniche di camicia, incombe in stazioni, bus e tangenziali, in metro e
per strada accompagnato dal monumentale “oltre”, che si staglia
oltremare contro l’orizzonte.

A parte la campagna, colpisce la
sproporzione tra i quattrini spesi e la modestia dei risultati (sia in
termini di sondaggi che d’immagine percepita). Non è un problema solo di
Bersani, ovviamente, ma il confino della politica su manifesti di tutte
le stazze prima di essere una cosa stupida è un errore. Il calcolo
della redemption a seguito di una campagna di affissioni è un
esercizio divinatorio meramente quantitativo (quanta gente passa in
macchina davanti ad un 6×3, quanti passeggeri leggono una locandina in
treno, ecc.) che non fornisce alcuna indicazione realmente utile circa
l’efficacia del messaggio e la sua capacità di generare consenso, che
dovrebbero essere le ragioni per cui si spende.
In rete e sui social network, invece, è possibile misurare il feedback
degli utenti con millimetrica precisione e comunicare con l’intera
società a partire da micro-target ben precisi. Nonostante
l’analfabetismo tecnologico di massa, che inchioda l’Italia agli ultimi
posti di ogni classifica, i numeri sono tali da rendere internet un
mass-media a tutti gli effetti. Misteriosamente, però, i partiti
continuano a svenarsi per invadere periferie e centri storici di facce e
scritte, solitamente brutte a vedersi, e a farsi massacrare in rete dal
primo popolo viola che passa. Come se Obama non fosse mai esistito.
Poi c’è un problema politico di
appiattimento dei contenuti, che a forza di essere compressi in format
concepiti per vendere pomodori in scatola o bibite gassate, rischiano di
risultare afoni se privi di un’identità precisa. Buona parte delle
parole della politica ormai non significano più niente, tanto sono
inflazionate, se non sono associate a qualcosa (o qualcuno) di
riconoscibile e, almeno, verosimile. Le generiche affermazioni di
principio, frullate da creativi e personale politico fino a diventare
inodore e insapore, come quelle della campagna di Bersani (“oltre la
crisi c’è il coraggio delle imprese” e via stupendo), servono solo a
passare un velo di tristezza sulle gesta di un partito che appare
esausto nonostante abbia appena iniziato la scuola materna.

Poi
ci sono gli originali. A Bologna il candidato sindaco del Pd è Virginio
Merola, ex assessore della giunta di Cofferati, un tipo abbastanza
pimpante da mettere la faccia alle primarie per la seconda volta in due
anni, nonostante alle consultazioni che incoronarono Delbono (dimessosi
pochi mesi dopo per il Cinzia-Gate) fosse arrivato terzo su quattro.
Dopo aver vinto le primarie di quest’anno (con la bizzarra idea di
scopiazzare la stella Virgin per il logo) ha deciso di affidare la comunicazione per le secondarie a un’agenzia bolognese. Non è dato sapere quale fosse l’obiettivo di Merola, ma l’esito è un nuovo e stupefacente vertice surrealista: “se vi va tutto bene, io non vado bene”. Con il “non” sottolineato. Verso l’infinito e oltre, direbbe Buzz Lightyears.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage, da cui sono state tratte anche le immagini.
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19 novembre 2010
BOLOGNA LA ROTTA
“Le primarie si chiamano così perché il Pd
le perde prima?” Dopo Milano, va a finire che anche a Bologna ha ragione
Crozza. Di certo sembra che il Pd stia facendo tutto il possibile per
perdere: l’ex sindaco Flavio Delbono (che aveva sconfitto, nell’ordine,
Cevenini, Merola e Forlani alle ultime primarie) si è dimesso a seguito
dell’ormai celebre Cinziagate (sordida vicenda di piccoli vantaggi che
l’ex vice-presidente dell’Emilia-Romagna si autoassegnava insieme alla
sua compagna, prima della separazione e della conseguente retrocessione
professionale di lei), e da quel momento sono iniziati i dolori.
Al coma semivigile del partito hanno fatto
da contraltare l’iperattivismo dei suoi dirigenti, fiancheggiatori e
amici, tutti proiettati a tentare la scalata allo scranno più importante
dell’amministrazione cittadina, costi quel che costi. E le primarie,
nate come strumento di selezione democratica, a Bologna si sono
trasformate nell’arma perfetta per un redde rationem vorticoso che dura da diversi mesi tra capi e capetti, civici e politici.
Sembrava che il tipo adatto a “pacificare” fosse Maurizio Cevenini, già mister preferenze alle ultime regionali (quasi ventimila voto raggranellati), sindaco dello stadio (con lo striscione personale che sventola dalla tribuna e la Smart rossoblu che lo scarrozza in giro per la città) e recordman dei matrimoni (ha da poco superato il tetto delle 4000 cerimonie celebrate). Il “popolo della Festa dell’Unità”
lo amava (scrivevano le gazzette cittadine), i volontari che friggono
salsicce, impastano tortellini e passano le serate a servire montagne di
friggione e di tagliatelle al ragù, l’avevano già incoronato sul campo
della pesca gigante della festa provinciale, prima che un attacco
ischemico gli facesse cambiare idea.
Prima di lui aveva abbandonato, a sorpresa,
Duccio Campagnoli (ex segretario della Camera del Lavoro di Bologna, ex
assessore alle Attività produttive della Regione), che era sembrato
sino a quel momento l’avversario più solido del Cev. e aveva addotto
motivazioni parapolitiche al suo gesto promettendo, poi, di farsi
sentire all’interno del partito. Anche l’italianista Anselmi gliel’aveva
già data su, a molti era sfuggito anche che s’era candidato,
annunciando il proprio sostegno a Cevenini, che non aveva mancato di
ricompensare il prof con il prestigioso incarico di “ambasciatore del
Cev. presso l’ateneo”.
Chi non si è tirato indietro è Benedetto Zacchiroli,
38 anni, ex collaboratore del sindaco Cofferati (ha curato le relazioni
internazionali di Bologna), consulente della città di Fortaleza (in
Brasile) e dell’Unesco, incoronato “nuovo Renzi bolognese” da Lucio
Dalla dopo l’azione virale con cui è stata lanciata la sua candidatura,
che è stata in grado di cortocircuitare a proprio vantaggio la fame di
news delle gazzette cittadine e la debolezza del fu partitone. Con lui
in pista c’è Amelia Frascaroli, direttore della Caritas, sostenuta da
Sinistra e Libertà e da ambienti prodiani. Dopo l’exploit di Milano del
partito di Vendola, anche sotto le due torri è arrivata la nuova
paranoia novembrina e i dirigenti del Pd stanno cominciando a temere
che, in mezzo alla ressa, sia la canuta rappresentante del cattolicesimo
più impegnato nel sociale a farcela (il leader della Caritas, Don
Nicolini, è stato uno dei principali antagonisti della politica degli
sgomberi di Cofferati).
Il vero affollamento, infatti, è dentro al
Pd. Dopo la rinuncia di Cevenini sono riaffiorati pesantemente gli
appetiti di partito. Virginio Merola, ex presidente di quartiere, ex
assessore all’urbanistica di Cofferati, è stato il primo a rompere gli
indugi, poche ore dopo l’annuncio del Cev., ma non è una gran novità
visto che già alle scorse primarie aveva corso (e si era classificato al
terzo posto, su quattro). Andrea De Maria, ex segretario della
federazione di Bologna e storico antipatizzante di Merola gli è andato
dietro al volo.
Anche la deputata Donata Lenzi per cinque giorni è stata
candidata, poi ha annunciato il ritiro con una serie di dichiarazioni
polemiche nei confronti del partito (sparare sulla croce rossa è sport
diffuso) di cui quasi nessuno ha capito bene le ragioni. È finita,
intanto, la telenovela-Segrè, iniziata dopo l’abbandono di Cevenini. Il
preside della facoltà di Agraria (e fondatore di last minute market)
voleva il sostegno unitario del fu partitone. Dopo Milano ha pensato
bene di togliersi d’impaccio annunciando il sostegno alla Frascaroli (e
l’arrivederci al Pd).
Last but not least, nelle ultime ore è spuntato il 36enne Ernesto Carbone,
cosentino naturalizzato bolognese e direttore di Red. ”Mi piacerebbe
candidarmi alle primarie ed è per questo che chiedo al segretario del Pd
di Bologna, a questo punto, di rendere la partita aperta a tutti. Sono
orgoglioso di fare parte del Pd e mi arrabbio con tutti quelli che
parlano di società civile, ma non capisco perché io debba essere figlio
di un dio minore e debba raccogliere il doppio delle firme rispetto agli
altri. Se Donini non comprende questo, vorrà dire che dovrò
restituirgli la tessera per raccogliere le 1500 firme come tutti gli
altri“. Non ci sono più i dalemiani di una volta e Bersani alla fine ha
spedito il non-commissario Davide Zoggia, a vigilare sull’anarco-Pd bolognese e sui suoi ultimi colpi di coda.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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11 novembre 2008
SERIE B / LE ORIGINI
Che ci stai a fare a Bologna se non le vuoi più bene? “Notti pericolose” “Pratello, guerra tra nottambuli e residenti” “Svegliano il Pratello con “la guerra del pane”. “Comitati sul piede di guerra. Chiesto il ritiro di due locali fracassoni” “Il Pratello è ormai fuori da ogni controllo” “Pratello, guerra tra nottambuli e residenti”. “Al Pratello guerra del pane tra i fracassoni della notte” “Mistero in via del Pratello “nessuna guerra del pane” Baghdad, Gotham City? No, Bologna. Striscia di Gaza? Macché, via del Pratello. Kamikaze? No, no baristi, camerieri, precariato vario e persone a passeggio (più o meno alcolico). Forze di occupazione? No, bottegai notturni (e botteghe culturali). Resistenti? No, solo comitati. Questa è la Bologna che ci hanno raccontato i giornali con il solerte aiuto di taluni bravi cittadini, talmente coscienziosi da sentirsi in obbligo di farsi chiamare “comitato” per immaginare e far immaginare all’opinione pubblica di rappresentare anche quelli, ahimè, meno sensibili di loro al “bene comune” (nelle caratteristiche da loro fornite). Non tutti i comitati sono centrali, è vero, però bisogna tenere conto delle loro gesta (e di quelle dei loro trombettieri) prima di scrivere a Babbo Natale una letterina piena di speranza e di empatica fiducia nel futuro delle magnifiche sorti e progressive di questa sazia e disgraziata città. Per ora quindi: BENVENUTI IN SERIE B. Benvenuti in una città che ha paura della propria ombra. Che non crede nella propria forza, non ha più voglia di ascoltare e non sente più chi ha voglia di vivere, bisogno di lavorare, chi rischia di tasca propria. Benvenuti nei garage a 50000 euro, in un posto in “doppia” a 300 euro, nelle cantine affittate in nero a migranti (a tanti euro). Benvenuti nella città turistica con gli alberghi a prezzi bloccati “perché c’è la fiera”. Con i bar chiusi la domenica, se non ci sono le partite e i bottegai diurni che ti chiedono “altro?” nell’istante preciso in cui hai finito di ordinare. E benvenuti nella città delle pisciate contro il muro, della sporcizia (fisica e intellettuale) contrabbandata per controcultura, del poco amore. Fuori dalle residenze cintate miliardarie è terreno di guerra, lo dicono i giornali, quindi non vale la pena raccogliere la carta buttata dal frugoletto di mamma o la merda dell’adorato cagnolino, vero? Ecco a voi la SERIE B. Ci volete rimanere a vita, scendere in C, o le volete ancora un po’ di bene a questa dannata città? Sembrano passati duecento anni, ma era il 2005. Stessa spiaggia, stesso mare: Bologna, Via del Pratello. All'epoca ero uno dei soci del circolo - il Black B - che firmava questo foglio, affisso davanti a tutti i pericolosi sovvertitori della pubblica quiete a cui il Sindaco uscente venerdì scorso ha imposto di chiudere bottega tutte le sere alle 10, per un anno. Pena l'arresto.
Forse per questo si è premurato di avvertire i Carabinieri prima del Vicesindaco e la Guardia di Finanza prima dell'Assessore alla cultura. Il povero Guglielmi ci è rimasto male e forse sono stati i suoi quasi 80 anni che gli hanno permesso di sospirare con candore "Ci vivevo bene e mi sentivo a mio agio, anzi l'unico momento di
ottimismo me lo procurava il Pratello con la sua vivacità e gioventù".
Al passato, come si parla dei cari estinti. La Scaramuzzino invece l'ha buttata in politica e ha denunciato il "metodo insopportabile" usato in contrasto con "un lavoro portato avanti con commercianti e residenti". Apriti cielo "La Scaramuzzino è libera di non condividerle... ora è un problema suo cosa fare
di fronte a queste ordinanze, se non
le condivide, decida se il suo ruolo in giunta è compatibile con questa
linea o no". Qui comando io sennò fuori dalle palle, in estrema sintesi.
L'assessore Merola, colpevole di essersi candidato alle primarie senza la sua benedizione era già stato avvisato della chiusura in bellezza, i fuochi d'artificio che il signor Sindaco ha preparato per festeggiare a suo modo la liberazione da questa fottuta città. Bisogna capirlo, d'altronde, c'è cascato anche lui.
Cinque anni fa era una popstar. Un sacco di gente credeva che fosse il Leader della sinistra italiana. L'avevano incoronato sul campo (mediatico) Moretti e girotondisti vari, sinistrati disperati e lavoratori incazzati, ma lui aveva esitato. Aveva esitato un momento di troppo (o forse non gli sarebbe bastata una vita intera) e aveva bisogno di una piazza per rilanciarsi. Non Palermo o Milano, troppo rischioso. Ci voleva una città-laboratorio, culturalmente e politicamente al centro del palcoscenico. Lui poi doveva essere l'eroe indiscusso, l'unica parte in commedia. "Riconquistare Bologna", suonava come una mitragliata ed era una missione possibile (e molto mediatizzabile).
Poi magari ha pensato "si mangia pure bene, c'è gnocca, belle mostre", come le matricole che arrivano dai paesini della Puglia tutte speranzose. Che delusione dev'essere stata. Adesso che finalmente leva le tende si toglie i sassolini dalle scarpe. Tanto che gli frega?
Quegli scassacazzi del Pratello, cinque anni sui giornali? Tutti affanculo. Creo un casino incredibile a Delbono, Merola & Co? Cazzi loro. I miei assessori? S'inculino. A chi non piacerebbe fare una festa così a una città che si odia?
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