9 dicembre 2009
PUNKAPITALISM

"C'è una leggenda popolare secondo la quale, se l'Inghilterra fosse
mai in pericolo, battendo sul tamburo di Francis Drake, lo si farebbe
ritornare in tempo per salvare la patria".
Tutte le volte che lacci
e lacciuoli soffocano l'economia ci pensa la pirateria. Questa è
l'opinione originale (ma non troppo) che Matt Mason enuncia in «Punk
capitalismo. Come e perché la pirateria crea innovazione» (edito da
Feltrinelli). D'altronde è andata così ai tempi di Drake,
nominato sir e viceammiraglio della flotta britannica - quella he
sconfisse l'Invincibile Armada di Filippo II - dalla Regina Elisabetta
per i servigi resi alla corona e - soprattutto - alle sue finanze. Si
stima infatti che la metà (la parte che spettava all'Inghilterra) del
carico di spezie e tesori catturati agli spagnoli dal corsaro del
Devon, fosse superiore alle entrate della corona di un intero anno. Un
secolo dopo toccò al corsaro Henry Morgan, che per la sua fedeltà alla
corona arrivò ad essere nominato governatore della Giamaica. L'istinto
pirata, ribelle e arraffone, sembra essere la radice antropologica del
capitalismo stesso, della sua brama di conquista, di ricchezza, di
potere. L'epica della nuova frontiera, perlustrata in lungo e in
largo da centinaia di film western, la corsa all'oro,
all'industrializzazione, al progresso scientifico e tecnologico e
l'approdo alla società dell'informazione, in quest'ottica sembrano
tutti atti della stessa commedia. È curioso, quindi, sentire
prediche contro la "pirateria informatica" (con questo slogan passa
tutto ciò che è libera condivisione di conoscenza in Rete) sulla
moralità e le buone ragioni del mercato "in chiaro", sciorinate da
monopolisti, tycoon ai limiti del brigantaggio, finanzieri senza
scrupoli e pseudoindustriali con le pezze al culo. Secondo Mason
si tratta semplicemente di un grossolano abbaglio, poiché le fortune
del mercato del domani le decidono i pirati in azione oggi. Dinamiche,
tendenze e direzione di marcia del capitalismo che verrà vanno quindi
ricercati nell'attuale cono d'ombra dell'illegalità, nelle "Libertatia"
dove operano i Francis Drake e gli Henry Morgan contemporanei. Mason,
che ha cominciato come dj in una radio pirata londinese, sostiene che
la pirateria è destinata - nell'informatica, dell'informazione, nella
cultura, nell'arte, nei videogame - a essere vincente. Per questo ha
scritto la "nuova Bibbia per manager e uomini d'affari", premiata da
BusinessWeek e tradotta in dieci paesi. La tesi è semplice: il
copyright non è giusto o sbagliato, ma semplicemente vecchio. Quando
lacci e lacciuoli soffocano l'ansia predatoria del business la
pirateria arriva in suo soccorso. Già nel XIX secolo i Padri fondatori
negli USA fecero spallucce davanti ai brevetti depositati regolarmente
e si accaparrarono senza vergogna le invenzioni europee, alla base
della rivoluzione industriale che ha cambiato il corso della storia. Perché oggi dovrebbe andare diversamente? Intanto
gli ingegneri dell'università di Bath, in Gran Bretagna, stanno
sperimentando da qualche anno alcune innovazioni destinate ad avere un
impatto dirompente, non solo da un punto di vista commerciale, come la
stampante tridimensionale già usata da aziende come Adidas, Timberland,
Bmw e Sony. A breve i ragazzini saranno in grado di autoprodursi
prodotti come le All Star, personalizzandone del tutto il look con
pochi euro di spesa. Fino a quando stati e corporation si ostineranno a fare muro contro muro? Quand'è che si metteranno - una buona volta - a studiare dove e come gli conviene partecipare? L'articolo è tratto dal blog di Aprile. L'immagine di Francis Drake l'ho presa qui.
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