<%if foto<>"0" then%>
|
|
|
 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
 |
|
|
|
9 novembre 2011
DO SOMETHING
 In tempi in cui l’Italia rischia l’11 novembre dei
conti pubblici a causa dell’impotenza dei suoi timonieri, l’azione in
quanto tale assume connotati rivoluzionari. A guardarci bene il rovescio
di popolarità del premier, sia tra gli elettori che sui mercati
finanziari (oltre che tra le élites cosmopolite che lobbeggiano
sull’economia globale, ma questa non è una novità), è dovuto proprio a
questa percezione d’impotenza. Che per “l’uomo del fare” significa la
pietra tombale sul suo carisma.
Così sono saltato sulla sedia quando ho aperto il sito del Corriere e mi sono imbattuto nell’azione di Giuliano Melani, che ha speso oltre ventimila euro per comprarsi una pagina del Corriere
con un accorato (e molto ben scritto) appello agli italiani perché si
comprino il debito, prendendo esempio dai giapponesi (il doppio del
nostro e tutto in casa). “Io non sono Diego Della Valle, ma voglio
essere uno dei portatori sani della soluzione. Questo appello mi è
costato un botto, per favore non fatene carta da macero!”
“Sono circa 4.500 euro a testa: lo so che le medie ci fanno fessi ma
state sicuri che molte persone dispongono di queste cifre”. Melani non
ha fatto il vago, ma si è messo a fare i conti in tasca agli italiani
entrando nel merito dell’investimento. “Vi giuro che ci conviene, negli
ultimi due anni sono state poste in essere manovre per 200 miliardi,
sono andati tutti perduti perché nel frattempo sono saliti i tassi
d’interesse sul debito”. Impeccabile, e subito ipercitato da politici e
banchieri. Sicché mi son detto: pensa se l’avesse detto Bersani a Piazza
San Giovanni.
Invece la ditta, in compagnia dei soci di Vasto, era impegnata
nell’operazione antipatia contro Renzi, uno che sgomita quando i giovani
dovrebbero stare a cuccia e aspettare il proprio turno. Mettersi a
disposizione. Troppo decisionista/protagonista questo Renzi, sembra
Craxi o Berlusconi (ci è pure andato a cena, l’infingardo) a sentire gli
umori della base del Pd, prontamente riportati dai segugi di Repubblica. Il Fatto l’ha paragonato al Duce, per non sapere né leggere né scrivere. Per la Bindi è un provocatore.
Secondo Bersani
alla manifestazione del Pd “c’è stato solo un battibecco. È stata una
cosa spiacevole. Ma vorrei ricordare che Renzi è uno del Pd e io sono
anche il suo segretario.” E poi, naturalmente, bisogna pensare
all’Italia, non ai destini personali, che non coincidono mai con le
ambizioni di chi sta fuori dal cerchio magico. Poi arriva la rasoiata di
Prodi: “Bersani è una persona eccellente, di grandi capacità, posso
dirlo, è stato un mio ministro, ma non riesce a “uscire”… Non è
confortante leggere che, con quel che succede, nei sondaggi il Pd non
riesce a crescere come ci si aspetterebbe”.
Certo l’inazione snervante e inutilmente parolaia del centrosinistra,
quella sinistra sensazione di “indecisi a tutto” che con il governo
dell’Unione aveva rapidamente raggelato ogni speranza di cambiamento
dell’elettorato, contribuisce non poco ai crucci del Professore. Anche
Prodi non fa il vago e presenta il conto al “manico” della ditta, con
tutta la crudele cortesia di cui un bolognese (acquisito) è capace.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
|
11 maggio 2011
A GAY GIRL IN DAMASCUS
“A otto settimane dall’inizio della
protesta in Siria, esplosa nella località meridionale di Daraa dopo
l’arresto di alcuni adolescenti che avevano scritto sul muro slogan
inneggianti alla primavera araba, le repressione del regime fa il salto
di qualità. Oggi, per la prima volta in un mese e mezzo, non è uscito un
solo video dalle città ribelli assediate dai carri armati del
presidente al Assad: nessun filmato, nessun messaggio, nessuna foto,
come se il paese fosse completamente isolato. E probabilmente lo è.”
Uno degli ultimi
blog rimasti aperti, nei giorni più crudi della censura e del sangue, è
quello di Amina Abdullah, 34 anni, lesbica dichiarata, mamma americana e
papà siriano, icona della protesta contro il regime di Bashar Al Assad. A gay girl in Damascus continua
a raccontare il dramma (“800 morti… 1000?”) insieme a poesie, scampoli
di vita quotidiana ed epigrafi fulminanti che restituiscono, senza
sconti, l’atroce quotidianità dell’esilio in patria. La morte di Osama
Bin Laden ha oscurato per qualche giorno il macello siriano e ora la
mordacchia di regime rischia di isolare del tutto il paese e i
dissidenti. Persino la missione Onu è stata bloccata alle porte di
Daraa, epicentro della protesta.
“Essere lesbica in Siria è molto duro, ma
sempre più facile che essere un oppositore politico”. Amina ha il dono
brutalmente creativo della sintesi e nell’ultimo post del
9 maggio chiede una mano a trovare un editore, per trasformare il blog
in un libro e consegnare le prodezze del regime siriano agli scaffali
delle librerie di tutto il mondo. In poche ore sono arrivate diverse
proposte (dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dall’Italia) che fanno
chiarezza una volta di più sul potere del mezzo.
Con tutti i solipsismi letterari sfornati
ogni mattino, buoni giusto per placare per qualche tempo gli
ego-appetiti di chi li scrive, il libro di Amina sarà una salutare
frustata di realtà. Alberi abbattuti per una giusta causa: illuminare il
cono d’ombra della ferocia repressiva, denudare ipocrisie diplomatiche e
doppiopesismo politico. Usa e Ue, dopo oltre due mesi di sangue, hanno annunciato sanzioni economiche e embarghi di armi, ben sapendo che non serviranno a un bel niente. Come già con l’Iran.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
1 febbraio 2011
L'ILLUMINISMO ARABO
“Il chierico Ahmad Kathemi è stupido quanto
il suo capo, Ahmadinejad. Nella preghiera del venerdì ha detto che le
rivolte in Tunisia e in Egitto sono parte del riflesso della rivoluzione
islamica in Iran. Qualcuno gli dica che non c’era un solo islamico o
slogan islamico in Tunisia o in Egitto o in Yemen. Continui pure a
sognare”. Il blogger libanese As’ad AbuKhalil mette subito in chiaro il significato dell’Illuminismo arabo in cui si comincia a sperare anche in Occidente, stavolta del tutto snobbato dalle piazze d’Egitto e della Tunisia in fiamme.
Quello che è stato definito “il contagio”,
il prurito rivoltoso che già pregusta il piazza pulita dei vecchi
sultani logorati da decenni di potere, si sta propagando a grande
velocità. Algeria, Tunisia, Egitto, Yemen (al debutto assoluto) sono
stati scossi alle fondamenta da manifestazioni, scioperi, disobbedienza
civile, saccheggi e guerriglia online. Non ci sono solo le avanguardie
politicizzate della Rete, la massa di giovani politicamente irrilevanti,
spesso acculturati e sospettati, sinora,
d’intelligenza col Nemico sia dai regimi che dall’Occidente (a cui i
regimi hanno parato il culo in funzione anti-islamista), c’è anche la blasfemia
barbarica dei saccheggiatori di templi e l’impagabile risposta delle
ronde dei cittadini egiziani a difesa di luoghi e oggetti sacri
all’intera umanità.
Eccita e commuove lo slancio di questi
ragazzi rivoluzionari, in tutto e per tutto simili ai loro coetanei
nostrani, che rischiano tutto per cambiare tutto. Eccita, commuove e fa
riflettere la lucidità e l’apparente facilità con cui le scarmigliate
truppe di blogger e utenti di Twitter e Facebook stanno mettendo in scacco
uno dopo l’altro gli apparati di censura e repressione affinati dai
regimi nel tentativo di evitare proprio quello che sta accadendo: la
consapevolezza di massa come anticamera di uno sbrigativo congedo con
disonore, in tutta fretta per non rimetterci la pelle. E tutto grazie
all’accesso in massa alla Rete (+45% in Egitto sono l’ultimo anno).
L’Illuminismo arabo e la décadence
italiana si contendono da un paio di settimane i titoli di apertura
delle testate di tutto il mondo. Naturalmente è scontato, ma mai banale,
segnalare l’enormità del baratro che separa una sponda del Mediterraneo
dalle altre (anche solo come monito per i prossimi leghismi da sbarco
estivo). Di là si fa la rivoluzione o si muore, di qua si sputtana il
sultano, ci s’indigna, lo s’invidia di nascosto a suon di battutine
davanti alla macchinetta del caffè, si finisce in mutandine e non cambia mai niente.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
16 novembre 2010
LARGO AI VECCHI
 “I giovani residenti in Italia tra i 18 e i
30 anni (nati tra il 1980 – anno della storica rivendicazione dei
quadri Fiat – e il 1992) sono 8 milioni 605 mila 654 (fonte Istat). E
solo poco più di 728 mila (secondo i dati forniti dalla Cgil, Cisl, Uil e
Ugl), per una percentuale inferiore al 10%, sono iscritti a una di
queste quattro sigle sindacali.”.
I numeri
non lasciano spazio a equivoci: di questo passo, oltre all’Inps, anche
il sindacato rischia di chiudere i battenti, al massimo entro due
generazioni. Forse per questo, nelle stesse ore in cui sono stati
diramati i dati della ricerca che rivela l’impietosa realtà, il nuovo
segretario della Cgil, Susanna Camusso, ha esordito mediaticamente
rivendicando un’azione virale che ha fatto di nuovo alzare il pollice a Repubblica.
“Giovani disposti a tutto”, anzi, “non +”. A
dirlo, con forza, è la Cgil, che oggi in una conferenza stampa “ha
svelato il mistero”, presentandosi come autore della campagna che dal 30
ottobre ha suscitato interesse, curiosità e ottenuto oltre 70.000
visite sul sito Internet e quasi 6.000 fan su Facebook. “Non + 2? è
anche la parola d’ordine, il motto della manifestazione indetta dal più
grande sindacato italiano per il 27 novembre, a Roma.
La campagna è partita, anonima, il 30 ottobre, con affissioni in tutta Italia e banner
in Rete, e pubblicizzava una serie di finti annunci di lavoro per
giovani vittime della precarietà (tipo “Azienda leader nel largo consumo
cerca giovane laureata bella presenza disposta a farsi consumare”). Era
un teaser per la manifestazione della Cgil e Repubblica
è stata la sua balestra. “Il tema della campagna è stato ripreso dal
nostro sito con l’iniziativa “Racconta a Repubblica.it le ‘proposte
indecenti’.” Sono arrivate centinaia di testimonianze da cui emerge una
realtà sconcertante, di annunci veri molto simili a quelli finti”.
Dopo la manifestazione, il comizio, le
telecamere, il tributo degli artisti, il bisticcio sul numero dei
partecipanti e tutto ciò che prevede il menu mediatico e circense, si
tornerà ai freddi numeri e alla realtà di una generazione che,
semplicemente, il sindacato non sa bene cosa sia. Per spiegarlo (e
tentare di evitare l’estinzione) bisogna parlare la stessa lingua (sui
loro media) tutti i giorni, non soltanto in occasione delle feste
comandate.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. L'immagine è stata presa qui.
|
|
|