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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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15 ottobre 2011
RAGE AGAINST THE MACHINE
 “15 ottobre rivolta globale” scandisce un performer hip-hop indiavolato
da uno dei tanti sound-system del corteo, in sottofondo gli spari dei
lacrimogeni, le bombe carta, le sirene della polizia, le urla. Non è più
tempo di indignarsi contro i violenti o di questionare su slogan,
adesioni, partiti e non partiti: tutto l’armamentario politico
novecentesco non serve a spiegare questo 15 ottobre. 951
città in 82 paesi del mondo, gli Indignati di tutto il mondo lanciano la
loro sfida a banche, finanza, politica, presunti colpevoli della crisi e
del caos, di cui la guerra di Roma resterà una delle icone indelebili.
“È una giornataccia per Roma…” la diretta video di Nino Luca sulla
videochat del Corriere, su RaiTre c’è il ciclismo e su La7 un film con
Pozzetto (per la televisione italiana non succede niente), trasforma la
capitale nel set di “V for Vendetta”, il film-cult di questo movimento
tratto dalla graphic novel di Alan Moore. Su tutte le testate online, a
fianco delle gallerie di roghi e cariche vengono pubblicate le immagini
del resto del mondo, da Seul a Sarajevo e da Varsavia a Hong Kong. Gli
unici scontri sono quelli di Roma, come se l’Italia sentisse l’esigenza
di ambire anche a questo, di primato.
“Un attimo di calma irreale”. Dopo un po’ di silenzio inquietante e
di fuori-onda allarmati, l’anarco-diretta di Corriere.it riprende.
“Siamo messi male, Andrea… siamo messi male”. Silenzio, sirene, allarmi e
vetri in frantumi. La flemma di Nino Luca s’incrina leggermente “siamo
stati costretti ad arretrare… siamo proprio dietro i poliziotti che
vengono presi d’assalto… siamo in mezzo al guado, il corteo è spaccato
in più tronconi. Adesso c’è del fumo a via Merulana, ci sono altri
scontri a Piazza San Giovanni… E adesso è dura anche per noi lavorare,
sono arrivati i fumogeni, anzi i lacrimogeni… urticanti”.
Sciamano maschere di Guy Fawkes, l’uomo che il 5 novembre del 1605
tentò di far esplodere il Parlamento inglese (reso da Alan Moore l’icona
di “V”), in mezzo alle decine di migliaia di persone che continuano a
invadere la capitale per tutto il pomeriggio. A Piazza San Giovanni
arriveranno in pochi. Il cronista del Corriere riesce a intervistare una
ragazza di Salerno, nascosta dietro la maschera, la stessa indossata
dagli Anonymous per le loro scorribande sul web. Il tempo di pensarlo e
sulla home del Corriere compare Julian Assange, abbarbicato sui gradini
della chiesa di Saint Paul, a Londra, con un megafono in mano. La
polizia gli appena impedito d’indossare la maschera.
“Si stanno disponendo per preparare la carica. Stiamo vivendo con voi
questa emozione, vorremmo che fosse finito tutto da un pezzo… Cerchiamo
una via di fuga, ma da qui non la vediamo. I capi-pattuglia richiamano i
propri uomini, vedete? Siamo proprio dietro i carabinieri”. I
carabinieri però non sono contenti. “Perché non andate a riprendere
quelli che lanciano le bottiglie? Non dovete stare dietro le guardie! Ve
ne dovete andare!! Per motivi di sicurezza, ve ne dovete andare!”
Nino Luca abbozza, un po’ mesto. “È che ci sentivamo più sicuri
dietro i carabinieri… c’è nervosismo, è comprensibile, però noi qui
siamo per fare il nostro lavoro…”. Poi sbotta in una riflessione a voce
alta, che vale cento editoriali. “Sorprende… Sembra quasi, tutto
pianificato… Da una parte i black bloc dall’altra le forze dell’ordine,
in mezzo centinaia di giornalisti, telecamere, ragazzi con le macchine
fotografiche…”.
Come se fosse l’ennesimo atto di una commedia/tragedia col copione
già scritto. A sera una cupa conferma, alcuni manifestanti hanno
assaltato un blindato dei carabinieri e sono riusciti a darlo alle
fiamme. Prima che esplodesse, sopra, non hanno trovato altro di meglio
che scrivere “Carlo vive”. Come se fosse vero, come sa la vendetta
riguardasse ragazzi in divisa a millecinquecento euro al mese, come se
dieci anni non fossero mai passati. Allora come oggi è la rabbia,
moltiplicata dalla crisi, che dà le carte.
La foto l'ho presa qui.
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17 gennaio 2011
I VICINI TUNISINI
 Con un copione ormai collaudato, piazza e
Rete si sono rivoltate insieme alla Tunisia di Ben Alì, della sua
potentissima moglie e del clan a lei affiliato. La novità è che questa
volta hanno vinto e il presidente è fuggito in Arabia Saudita (la
destinazione di una fuga di solito racconta molto del profilo del
fuggiasco). Adesso è l’ora dei saccheggi
alla ville del potere, delle rivolte (con stragi) nelle carceri, della
ribalderia proletaria su cui tramestano le grandi manovre degli
aspiranti timonieri.
Ma prima, durante la “rivolta del pane”, erano stati i
bloggers tunisini a raccontare al mondo la situazione del paese.
Facebook, Twitter, YouTube e migliaia di blog hanno offerto al mondo un
aggiornamento costante sul mese di rivolta che ha cambiato la storia
della Tunisia. I video degli scontri e delle manifestazioni hanno fatto
il giro del pianeta e nonostante il governo abbia minacciato
l’oscuramento dei siti, alla fine è stata la Rete a vincere e a
spalancare la piazza agli insorti.
O forse ha perso la debolezza del potere,
il gigante coi piedi d’argilla che dopo tante energie dedicate ad
accumulare roba si è dimostrato impotente di fronte a una realtà di
disoccupazione, aumento dei prezzi e corruzione dilagante, denunciata
sul web da gruppi come Nawaat. In Tunisia il 54,3%
dei cittadini del paese ha meno di trent’anni e, grazie alla
scolarizzazione partita dopo l’indipendenza del 1956, un giovane
tunisino medio ha almeno una decina d’anni di scuola alle spalle. Il
numero degli iscritti all’università aumenta in modo esponenziale ma il
mercato del lavoro non dà sbocchi.
Dopo l’Iran, gli anarchici dell’Exarchia di Atene, gli studenti di Londra e Roma, gli immigrati di terza generazione delle banlieues
parigine, sono i giovani tunisini oggi a sfidare il potere costituito.
Colpisce l’analogia di fondo di tanta rabbia: la percezione che il no future,
metafora punk lirizzante di fine anni ’70, sia alla fine divenuta
realtà. Il terrore generazionale del domani, la percezione che l’oggi
sia una truffa, un bluff inscenato dai parrucconi di turno per
non mollare la poltrona, ogni tanto esplode in una fiammata di rivolta
che non ha niente a che spartire con gli indottrinati movimenti degli
anni Sessanta-Settanta. Destra e sinistra servono a poco per spiegare la
paura del nulla.
La foto è tratta dal sito di Nawaat. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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