3 gennaio 2012
MAYA O NON MAYA
 Il 2012 è l’anno dei Maya e della loro presunta profezia
sull’Armageddon. Il “presunta” è d’obbligo poiché l’unica cosa che ci
assomiglia è l’interpretazione dei disegni dell’ultima pagina del Codice di Dresda
(uno dei pochi documenti lasciati integri dalla furia evangelizzatrice)
effettuata dall’antropologo Arlen F. Chase: una serie di gravi
inondazioni della superficie terrestre e un periodo di oscuramento del
Sole.
Per il resto l’unica certezza è che per i Maya il 21 dicembre 2012 (al volgere del baktun
12) finisce l’Età dell’Oro, la loro quinta era e la fine del Lungo
computo di 5125 anni iniziato nel 3113 a.C. Quello che succederà,
quindi, è oggetto di speculazione filosofica e/o commerciale esattamente
come il resto delle previsioni e preveggenze in circolazione e la
stessa comunità Maya contemporanea tenta di dissociarsi da anni da
interpretazioni hollywoodiane dell’evento.
Di certo non è possibile prendere troppo alla leggera la capacità previsionale di tipo scientifico o, come direbbe Odifreddi
(ateista militante), aristotelico degli antichi sciamani Maya: rispetto
all’eclissi solare dell’11 agosto 1999 hanno sbagliato di una manciata
di secondi. Ma per sancire il fatto che questa era umana stia volgendo
al crepuscolo non c’è bisogno di abbuffarsi di tempeste solari, comete,
sbarchi di alieni e/o inversioni dei poli magnetici. Basta accendere il
focolare novecentesco all’ora del tg.
Crisi economica, politica, ambientale, tracollo energetico, guerre,
odio, razzismo, intolleranza, fame e miseria possono ben essere
interpretate come piaghe apocalittiche inferte a un’umanità indegna e
disperata, mentre la storia e il tempo sembrano esser stati messi in
pausa dall’atemporalità dell’artista creativo,
collettivo e sociale, che demolisce certezze e memoria nel baluginare
ipnotico di un futuro già presente. Al dio progresso si è sostituito un
senso di precarietà esistenziale che diventa causa prima di ogni scelta
individuale e collettiva e della via tecnologica alla salvezza.
In questo scenario l’ipotesi normalmente esotica dello showdown Maya (con tutte le analogie del caso con l’Apocalisse
di San Giovanni e le profezie di santi e mistici di ogni tempo) sta
creando gli ovvi cortocircuiti mediatici in grado di sbancare il
botteghino. Sette e sabba, meditazioni e kolossal, bunker
che spuntano come funghi, centinaia di migliaia di siti internet aperti
e di copie di libri di genere venduti, cinquanta milioni di visitatori
previsti nei più importanti siti archeologici latinoamericani da qui al
Solstizio della verità.
Anche l’accanimento dei vari Cicap va al di là della comprensibile ubbia per lo scacco matto inferto dal disprezzato culturame new-age, che alligna nelle periferie della Rete ma grazie al brand 2012 esonda quotidianamente sul mainstream,
e rivela l’ansia di ogni monoteismo sfidato sullo scivoloso terreno
della metafisica. La Chiesa è in crisi, il mercato pure, la politica non
ne parliamo, l’ortodossia misuratrice della scienza positivista
potrebbe uscire con le ossa rotte da una stagione di ricerca spirituale,
libera, metafisica e, pertanto, non ascrivibile ai soliti steccati.
Nessuno è in grado di predire il futuro, ma un po’ può aiutare il
passato. Anche senza scomodare quello arcaico e lacunoso degli indigeni
mesoamericani, la storia (personale e collettiva) insegna che ogni fase
di profonda trasformazione porta con sé fatica e dolore. Non è detto,
poi, che andrà meglio (come sostengono i santoni new-age), ma di certo nulla sarà più come prima. Per una semplice ragione: non lo è già più.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. "As above, so below" mimato sulla cover di "Pussy", singolo dei Rammstein uscito nel 2009, l'ho preso qui.
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