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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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8 ottobre 2011
GLI ERGASTOLANTI
 “I giornalisti americani puntano i microfoni delle telecamere verso gli studenti. Sono rimasti sorpresi, non si aspettavano questa reazione della città. Non erano toghe, magistrati. Erano studenti e gente «normale» indignata per questa sentenza.” Il giorno in cui Ilda Boccassini s’indigna per troppe intercettazioni pubblicate dai giornali, e il pm del caso del quinquennio s’indigna per la mancanza di giustizia, nel giudizio di una corte dello Stato, è il giorno degli ergastolanti.
“È una piazza composita. C’e la signora forcaiola che direbbe la stessa cosa dopo qualunque sentenza: «È una vergogna. Adesso gli assassini sono in libertà. E Amanda fuggirà in America». C’è il signore complottista: «È stato creato un clima perché si arrivasse a questa sentenza. Dietro c’è la manina degli americani». Ma per strada ci sono anche tanti ragazzi, studenti universitari, quelli con il piercing al naso, con i capelli rasta. Insomma giovani che non diresti mai giustizialisti e dalla parte dei pm, che invece si uniscono al coro del dissenso per una giustizia ritenuta ingiusta.”
E così, dopo l’incidente diplomatico sfiorato e l’ennesimo sbertucciamento del nostro sistema giudiziario, che medioevaleggia in mondovisione senza costrutto né furore ma con casuale crudeltà, il caso Meredith ci ha regalato questi ultimi scampoli di italianità. Il pm Magnini che dice alla Stampa che le amiche di Amanda la odiavano perché aveva riempito la casa di preservativi e vibratori e una piazza schiumante accoglie il verdetto di un processo come fosse il risultato della finale dei mondiali o delle elezioni. Un tempo non troppo lontano gli studenti (con e senza dred) cantavano i Subsonica “lasciare le galere senza più passare dalla casa, liberi tutti”. Essere di sinistra significava stare dalla parte della libertà anche a costo di fottersene, in ultima analisi, della “law and order” propugnata (non a caso) da quelli di destra. Nell’Italia pre-2012 la bandiera del diritto alla difesa sembra essere rimasta in mano agli amici di Berlusconi, gente che ha approvato obbrobri come la Bossi-Fini. Proibizionisti, clericali e aspiranti censori della Rete. I Radicali che dissentono e, alla loro maniera, provano a mandare all’opposizione un segnale rischiano la purga. Vietato pensare.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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11 maggio 2011
A GAY GIRL IN DAMASCUS
“A otto settimane dall’inizio della
protesta in Siria, esplosa nella località meridionale di Daraa dopo
l’arresto di alcuni adolescenti che avevano scritto sul muro slogan
inneggianti alla primavera araba, le repressione del regime fa il salto
di qualità. Oggi, per la prima volta in un mese e mezzo, non è uscito un
solo video dalle città ribelli assediate dai carri armati del
presidente al Assad: nessun filmato, nessun messaggio, nessuna foto,
come se il paese fosse completamente isolato. E probabilmente lo è.”
Uno degli ultimi
blog rimasti aperti, nei giorni più crudi della censura e del sangue, è
quello di Amina Abdullah, 34 anni, lesbica dichiarata, mamma americana e
papà siriano, icona della protesta contro il regime di Bashar Al Assad. A gay girl in Damascus continua
a raccontare il dramma (“800 morti… 1000?”) insieme a poesie, scampoli
di vita quotidiana ed epigrafi fulminanti che restituiscono, senza
sconti, l’atroce quotidianità dell’esilio in patria. La morte di Osama
Bin Laden ha oscurato per qualche giorno il macello siriano e ora la
mordacchia di regime rischia di isolare del tutto il paese e i
dissidenti. Persino la missione Onu è stata bloccata alle porte di
Daraa, epicentro della protesta.
“Essere lesbica in Siria è molto duro, ma
sempre più facile che essere un oppositore politico”. Amina ha il dono
brutalmente creativo della sintesi e nell’ultimo post del
9 maggio chiede una mano a trovare un editore, per trasformare il blog
in un libro e consegnare le prodezze del regime siriano agli scaffali
delle librerie di tutto il mondo. In poche ore sono arrivate diverse
proposte (dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dall’Italia) che fanno
chiarezza una volta di più sul potere del mezzo.
Con tutti i solipsismi letterari sfornati
ogni mattino, buoni giusto per placare per qualche tempo gli
ego-appetiti di chi li scrive, il libro di Amina sarà una salutare
frustata di realtà. Alberi abbattuti per una giusta causa: illuminare il
cono d’ombra della ferocia repressiva, denudare ipocrisie diplomatiche e
doppiopesismo politico. Usa e Ue, dopo oltre due mesi di sangue, hanno annunciato sanzioni economiche e embarghi di armi, ben sapendo che non serviranno a un bel niente. Come già con l’Iran.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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26 aprile 2011
REALITY BOLOGNA
 “Ebbene sì: Teorema, la società di servizi fiscali convenzionata con
il Caaf della Cgil Emilia-Romagna, ha pensato bene di uscire con lo
slogan «Non fidarti degli sconosciuti».
Per mostrare attenzione verso le donne, suppongo (vedi l’immagine),
ma in realtà sfruttando – e confermando, e rinforzando – la paura degli
«sconosciuti». Che sotto sotto c’è in tutti, donne e
uomini. Di destra e sinistra. Di qui alla paura dell’altro, dello
straniero, del diverso, il passo è più che breve, è lo stesso identico
passo: quello della Lega. Ma la Cgil non era di sinistra?”
Se Giovanna Cosenza, allieva di Umberto Eco e docente di semiotica
all’Università di Bologna, fosse stata leghista probabilmente avrebbe tuonato contro
il Caaf della Cgil che tappezza Bologna di messaggi subliminali pro-Pd.
Nella città di Dozza e Fanti le elezioni sono alle porte e gli
sconosciuti, gli stranieri, sono i barbari leghisti più che i migranti
nordafricani. L’eventualità che la bandiera di Alberto da Giussano possa
sventolare a Palazzo d’Accursio, dopo il ballottaggio che gli ultimi sondaggi danno
per probabile per quanto difficile, non è più così remota. Di qui,
forse, lo stato confusionale della sinistra e l’analisi un po’ fantasy
della professoressa Cosenza sulla campagna delle Lance Libere.
A Bologna la Lega, al 3% fino a due anni fa, candida Manes
Bernardini, avvocato di trentotto anni sostenuto da un Pdl mugugnante,
bella presenza e “leghista dal volto umano”, secondo il sin troppo lusinghiero ritratto che ne fa Michele Brambilla su La Stampa.
I sondaggi lo accreditano tra il 24 e il 33 per cento ed è l’unico ad
essersi presentato, il 21 aprile, alla festa per la Liberazione della
città (forse per far dimenticare di aver dichiarato che era avvenuta a
“ottobre del 1945”). Non c’era Aldrovandi, il terzopolista sostenuto dall’unico ex sindaco di centrodestra Giorgio Guazzaloca e accreditato dell’8-9 per cento dei consensi né Bugani, il grillino che rischia di andare in doppia cifra e alla domanda “chi era Dossetti?” ha risposto mesto “non lo so”, né Merola.
“Atos Solieri contesta: «Uno scivolone può passare, due mica tanto,
ora siamo alle comiche! Se uno si dimentica questi appuntamenti qui, a
sem a post!»”. Virginio Merola, fresco trionfatore delle primarie del
centrosinistra con venti punti di scarto sulla candidata di Sinistra e
Libertà, è impegnato in una sorta di guerra alla comunicazione
contemporanea. Il claim della sua campagna “Se
vi va tutto bene, io non vado bene” è diventato un
tormentone-scioglilingua cittadino e le sue spettacolari gaffes (“spero
che il Bologna torni in serie A”) hanno già fatto storia, entrando di
diritto nella narrativa da bar di cui Bologna, alla faccia di chi le
vuole male, è ancora capitale morale. Per i sondaggi è in bilico. Tra il
45 e il 51 per cento significa rischio ballottaggio e l’incubo del ’99,
diserzione elettorale della sinistra e vittoria dei cattivi, si profila
nuovamente all’orizzonte.
Bologna, reduce da un anno e mezzo di commissariamento (record
italiano) a causa delle repentine dimissioni di Delbono dopo le accuse
di Cinzia Cracchi (ora capolista di una lista civica), non è solo “la
città dei rancori”, come l’ha ritratta la puntata di Report dell’illustre
cittadina Milena Gabanelli, ma nel dibattito pubblico prevale
quell’aria da reality un po’ sfigato che la trasmissione ha catturato
impietosamente nelle interviste sempre più sconsolate (da parte del
giornalista visibilmente provato) agli aspiranti primo cittadino e agli
esponenti della claustrofobica classe dirigente locale. Quando a
Maurizio Cevenini, record man di matrimoni celebrati, quasi-candidato sindaco
e capolista del Pd alle elezioni, è stato chiesto con qualche imbarazzo
(“non sono riuscito a trovarli da nessuna parte”) che programmi avesse,
lui ha risposto con un sorriso disarmante, da tronista in castigo, “eh
lo so, è un mio difetto”.
Il teatrino di paese non riesce a nascondere la realtà di una città
ferma, incapace di prendere decisioni, con 49 filobus su gomma Civis figli di nessuno costati
oltre 150 milioni di euro (per ora) e parcheggiati al Caab, la stazione
in eterno cantiere e deliranti progetti alla Blade Runner (people mover
e altri dadaismi ingegneristici) sulla rampa di lancio. Una
metropolitana in una città da 400.000 abitanti, per dire, fa un po’
ridere eppure se ne parla da due lustri, anche se non c’è verso di
decidere. Invece la chiusura del centro storico alle auto, votata dal
70% dei bolognesi nel referendum del 1985, non è mai stata fatta. Forse
basterebbe partire da quello che c’è, una città medioevale colma di
tesori architettonici, dove si mangia bene e si sa vivere, valorizzarlo,
e magari cominciare a dirlo un po’ in giro.
L'articolo è stato pubblicato (insieme con la foto) su The FrontPage.
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30 settembre 2010
E FINI MANDÒ IN TILT LA RETE
 “Quello di Adro ormai non è più un caso
politico: è un caso umano”. Questo è l’incipit lapidario dell’articolo
di Michele Brambilla sulla Stampa sul celebre caso Adro
(settecento soli delle Alpi, simbolo elettorale della Lega Nord,
disseminate su banchi, cancelli e muri della scuola, pubblica,
intitolata a Gianfranco Miglio).
A parte l’ironia, il pezzo (“Il sole
delle Alpi fa male”) segnala che la fissazione per la pisciata
territoriale pare non essere circoscritta alla sola Adro (che ha eletto a
furor di popolo il buon Lancini, già noto per aver cacciato i bambini
poveri stranieri dalla mensa scolastica e, poi, per aver imposto il menù
padano a tutti) e soli celtici, guerrieri e spadoni spuntano come
funghi nel profondo nord, insieme ai primi casi di malgoverno e
poltronismo (sindaci e presidenti di provincia che non rinunciano al
seggio a Roma e Strasburgo, quell’altro che andava in vacanza in auto
blu, ecc.). Il Pd di Reggio Emilia, dopo aver pagato dazio alle ultime
tornate elettorali, ha deciso di contrattaccare: “Roma ladrona? La Lega sta in poltrona”.
In questo scenario, con la Lega al 12
per cento e il Pdl in liquefazione al nord, non stupisce che il teatrino
Berlusconi vs Fini, in scena dallo scorso aprile, continui a
monopolizzare l’agenda. Il presidente della Camera e il premier si
disprezzano profondamente ma è dal 1993 (anno dello sdoganamento) che
non possono fare a meno l’uno dell’altro e se ogni divorzio è un trauma
in questo caso c’è di mezzo l’Italia intera. Fini però, a differenza di
Berlusconi (che fa 74 anni in questi giorni e si lambicca con operazioni
di bassa cucina algebrico-politica, invece di festeggiare ai Caraibi
come Zeus comanda), è in forma smagliante. Fli ha retto, la costante
denuncia del governo a trazione leghista apre praterie elettorali al
centro-sud e ha sfondato a sinistra tra i moralisti-legalisti che votano
Di Pietro e/o Grillo.
L’annuncio del videomessaggio, poi, è
stato un vero e proprio colpo di genio. Se le cronache narrano di una
sofferta mediazione famigliare, quel che è certo è che i server erano in
tilt e il video ha cancellato mediaticamente pure la malinconica Woodstock di Grillo, con Dario Fo sul palco dell’Ippodromo di Cesena a elogiare il coraggio di Fini “contro i furfanti”.
“Roma ladrona? La Lega sta in poltrona”, campagna del Pd Reggio-Emilia è qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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15 giugno 2010
NON C'È BAVAGLIO CHE TENGA

“L’uomo più pericoloso d’Islanda” secondo l’Economist è Julian Assange, hacker islandese e fondatore di Wikileaks, il sito stile Wikipedia che ha da poco messo in grave imbarazzo
il Pentagono. Ha pubblicato un video militare top secret che mostra un
elicottero Usa aprire il fuoco su civili iracheni, un attacco in cui
sono morti anche due giornalisti della Reuters. Naturalmente l’ennesimo
sputtanamento dell’esercito USA in Iraq ha fatto il giro della Rete in
un batter d’occhio e Assange è diventato il nemico pubblico numero uno.
Wikileaks sembra avere tutte le caratteristiche per essere il fumo negli occhi delle intelligence
di mezzo mondo: pubblica documenti di interesse pubblico secretati dai
governi, lo fa in diverse lingue (tra cui arabo e cinese, e cinesi sono
alcuni dei fondatori-sviluppatori, matematici e crittografi), utilizza
la struttura multindividuale di Wikipedia (quindi coinvolge
potenzialmente una gran massa di persone) e diverse tecniche di
download tra cui i torrent (già largamente diffusi per il classico p2p
di film e canzoni). Il tutto garantendo la non tracciabilità e
l’anonimato, mediante versioni ad hoc di alcune Privacy Enhancing
Technologies (Freenet, The Onion Routing e PGP). Forse per questo
Assange ostenta sicurezza: “Per censurarci, dovrebbero smantellare
l’intera Internet”.
La
parte italiana contiene ancora poche “crepe”, segnalate dagli anonimi
vendicatori dell’informazione censurata del Belpaese. Curiosamente ci
sono diversi documenti riguardanti Scientology, tra cui il modulo
“di adesione per servizi maggiori”, la “richiesta d’iscrizione ai
servizi religiosi” e il “Scientology cult Italy billion year
contract” che termina così: “perciò, impegno me stesso con l’Organizzazione del Mare per il prossimo miliardo di anni”.
A parte il viral marketing di Scientology, Wikileaks Italia
si potrebbe presto arricchire di nuovi contenuti, ben più appetitosi
degli svolazzi grafico-teologici dei format di reclutamento della
chiesa di Tom Cruise. Basta che la Camera approvi la cosiddetta
legge-bavaglio e tutti i piccoli Travaglio avranno un piccolo
sputtanificio personale a disposizione, in barba a tutte le tavole
rotonde su garantismo e giustizialismo.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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4 aprile 2009
NAT@ IL 4 APRILE
 Dopo
il solito balletto delle cifre (2milioni 700mila manifestanti secondo
la Cgil, 200mila per la Questura), la grande manifestazione del
Sindacato ("tra le più grandi di sempre" secondo Epifani) è già scesa al terzo posto anche sulla Pravda. Il Corriere
l'aveva declassata intorno all'una e mezzo, dopo gli scontri di
Strasburgo e l'ennesima performance europea dell'Avanzo di Balera, e la
Stampa mentre scrivo la riporta come quarta notizia.
Forse
varrebbe la pena di riflettere sull'efficacia degli strumenti di lotta
del Novecento (scioperi, manifestazioni, cortei, ecc.), senza dare
subito la colpa al regime di libertà vigilata (peraltro indubitabile)
in cui versano i nostri "media". O almeno fare qualcosa per evitare che
un gran numero di manifestazioni, di impatto simile e ravvicinate fra
loro, creino l'effetto ridondanza che annacqua il messaggio e lo rende
"disinteressante".
Per il 4 aprile le Lance Libere hanno curato messaggio, strumenti e azioni di comunicazione per la Rete degli Studenti e per l'Unione degli Universitari,
le associazioni studentesche scese in piazza con lavoratori e
pensionati, cercando di esportare i contenuti degli studenti dal Circo
Massimo al circo mediatico, usando soprattutto Internet ma anche
l'advertising tradizionale e gli strumenti classici della guerilla
(adesivi, stencil).
Questo è l'adesivo realizzato per l'Unione degli Universitari:
 Quello sopra è il manifesto della Rete degli Studenti, in affissione formato 100x140 - tra l'altro - in 5000 postazioni a Roma.
Sono
stati creati anche dei quiz su Facebook, strumenti di marketing virale
per diffondere messaggio e contenuti, che hanno affiancato i numerosi
gruppi tematici creati dalle associazioni. Quello della Rete è qui. Quello dell'Udu è qui.
Studenti.it
(portale market-leader sul target giovane) ha pubblicato (scaricabile)
i kit anti-crisi con le proposte delle associazioni contro i tagli del
governo a scuola, università e formazione. Quello della Rete è qui. Quello dell'Udu è qui.
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6 ottobre 2008
REGRESSIONE DELLA SPECIE
Anche ieri sera ho guardato la tivù. Ultimamente ho ripreso ad accenderla, per friggermi un po' il cervello dopo troppe ore passate sul mac a scrivere / navigare / cazzeggiare - dico io. Come faccio tutte le volte che vince le elezioni l'Avanzo di Balera - secondo Vanessa. Il fatto che mi soffermi sempre sui vari Santoro / Floris / Lerner / Mentana mi fa venire il sospetto che abbia ragione lei.
Ieri pomeriggio, al bar di Corso Farini (qui a Russi) sfogliavo la Stampa, quando ho visto uno speciale sulla decadenza della TV. Ascolti, qualità, investimenti pubblicitari: tutto in picchiata verticale, inesorabile. L'articolo centrale diceva che finalmente l'adagio popolare "in tivù non c'è mai niente da vedere" ha trovato conferma nei dati di ascolto e nel parere di massmediologi e esperti vari (tra cui Enzo Bettiza - mitico - che diceva che l'unica cosa che riesce a guardare sono gli spot).
Forse per questo la sera ho acceso il vecchio Grundig (ereditato dalla nonna Venusta), con l'intenzione di vedere il programma di Fazio su Raitre - l'unica cosa guardabile per la guida tv - a cui danno con insistenza dell'intelligente. Boh. Vedere Tronchetti Provera paladino dei consumatori contro gli speculatori - interrotto da scrosci di applausi - è stato già di per sé allucinante, la Littizzetto però forse è riuscita a fare peggio.
Dopo aver sruffianato senza vergogna il capo di Telecom, l'ex cabarettista ora testimonial di Tre - i peggiori cialtroni telefonici in circolazione a parere di chi le ha provate tutte (io) - si è lanciata in uno sproloquio contro "quei pirla che ogni estate invece di andare a Punta Ala si ostinano a scegliere posti rischiosi e quando vengono salvati non chiedono neanche scusa". E quale sarebbe un paese non a rischio? L'Italia magari?
"Se due turisti vengono a Roma in bicicletta e si vanno ad accampare in
un posto abbandonato da Dio e dagli uomini dopo aver chiesto consiglio
su dove mettere la tenda a un branco di pastori immigrati, ebbene è
difficile garantire loro la sicurezza: la loro è stata una grave
imprudenza" Per questa intervista il povero Alemanno neanche due mesi fa è stato crocifisso. Certo, lui è il sindaco di Roma "law and order" e lei la modella gracchiante della Tre, ciò non toglie che la gente - gli spettatori - è sempre la stessa. Che s'indigna contro il sindaco-balilla e sghignazza con la Littizzetto.
Fortuna che - se ha ragione la Stampa - tra un po' finiscono le trasmissioni, del tutto. Lo spot per tecnodementi di Tre / Littizzetto è stato preso in prestito qui.
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16 marzo 2008
IL CIELO SOPRA RUSSI
 Oggi dal mio lucernario ho visto quanto rapidamente è cambiato il tempo. Stavo lavorando, gambe incrociate sul letto con Thor e Rebecca a fare da sentinelle, e ogni tanto alzavo gli occhi e sbirciavo dalla finestrella. Sopra di me il sole e le nuvole si rincorrevano a ritmo forsennato, poi il primo ha cominciato a prevalere sempre più spesso, fino alla vittoria definitiva nel pomeriggio. A sera il vento aveva spazzato via ogni resistenza, il cielo era limpido i colori splendidi: l'ideale per andare da Remo a prendere una birra per me e un cappuccione per Vanessa, che deve lavorare ancora a lungo.
Da Remo nessuna traccia del patacca del bar che mi ha copiato il look l'altro giorno. Ero così orgoglioso del mio spezzato estremista jeans sdruciti / gessato regimental / clark che quando sono arrivato al bar (dopo due giorni a Frosinone e Roma con Ciube) e ho visto il patacca vestito come me (in versione patacca ovviamente) ci sono rimasto di sale. Sarò un patacca anch'io? Mi sono sorpreso a domandarmi, perlesso.
Birra alla mano, mi sono accomodato al bancone con La Stampa di oggi. Qui in Romagna, oltre a Mazzini, Garibaldi, Mussolini e Malatesta, hanno anche la bella abitudine di prendere La Stampa in tutti i bar, il giornale più decente in circolazione infatti è allegato al Corriere di Romagna. Sul quotidiano di Torino oggi c'era disfatta morale, un articolo di Barbara Spinelli sul penoso imbarazzo delle cancellerie democratiche sul massacro cinese in Tibet e sugli esiti disastrosi di quasi sette anni di politica di guerra dei cosiddetti neocons europei e nordamericani.
Il massacro dei monaci (ieri birmani, oggi tibetani) è uno schiaffo alla nostra falsa morale democratica (più o meno da esportazione), a cui non siamo in grado di reagire neanche con la verve dimostrata all'epoca della decapitazionne delle statue del Buddha in Afghanistan da parte dei talebani brutti e cattivi. Sempre buddhisti, sempre pacifici, sempre vittime, ma stavolta in carne ed ossa. Più di cento vittime, pare, in Tibet oggi, più di ducento in Birmania lo scorso settembre. Stesso penoso balletto diplomatico, stesso sacro terrore di perderci i piccioli della locomotiva cinese, stessso squallido allineamento alla ragion di stato, vera e propria condanna della nostra civiltà.
In questo miserabile tramonto dell'Occidente solo i cattivi fanno i cattivi sul serio. Putin ha abolito le regioni per decreto, le teocrazie continuano a lapidare le adultere e la Cina (oltre a sparare sui monaci indifesi) sta oscurando YouTube da tre giorni, pare per ripicca. Alla faccia della globalizzazione. Le democrazie, invece, dimenticano che se non sono loro a dare una mano alla voglia di libertà per cui i monaci muoiono in silenzio, avranno ragione le dittature. Prima dei monaci, poi delle democrazie.
Là sopra, fuori dal mio lucernario, sembra davvero un brutto mondo; ma qui a Russi l'aria sa già d'estate.
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5 marzo 2008
3 A 12 PER NOI
 Adesso si che è bella da vincere. Dopo dodici vittorie consecutive del Fighetto (Vermont incluso), Hillary vince dove conta (Texas e Ohio) e dove non doveva vincere (Rhode Island) e si rimette in corsa, più smagliante di prima.
Rinviata la standing ovation delle giovani marmotte della pubblica opinione, schienate sul nuovo divo del mainstream senza dignità, italiani inclusi (a parte La Stampa), la campagna elettorale entra in una nuova fase. La gente comincia a farsi i conti in tasca: in tempi di recessione rischia di essere più convincente il messaggio di solidità e preparazione della prima candidata donna alla Casa Bianca rispetto alle chiacchiere senza distintivo di Barack il Carismatico.
The King of Iron Fist Tournament continua. In Pennsylvania. Nina Williams, nell'immagine, l'ho presa in prestito qui.
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