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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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14 marzo 2012
TERRA È LIBERTÀ
 “Alla Tekove Katu ci arriviamo da Santa Cruz in jeep, per una strada
che taglia il Chaco come una papaya, dal sud della Bolivia
all’Argentina, passando per il Paraguay. Sul portapacchi, nel bagagliaio
e fra noi, zaini, casse d’acqua, componenti per pc, frutta, spaghetti.
Padre Tarcisio ci accoglie come se fossimo vecchi amici.
Dentro l’ufficio/cucina/studio ci aspetta un brodo di pollo (vero),
una torma di bimbi e alcune splendide signore ai fornelli, ridenti e
indaffarate. La tavola non viene mai sgombrata del tutto, c’è sempre
qualcuno che passa e magari deve ancora mangiare. A Gutierrez la scuola è
il cuore della comunità: la luce è arrivata da tre anni e tutta la
città ha l’acqua da quando Padre Tarcisio ha fatto mettere la cisterna.”
Sono passati quasi cinque anni dal viaggio in Bolivia e dall’incontro
con la comunità Guaranì, che lotta da vent’anni e passa per il
riconoscimento dell’Autonomia indigena. Vanessa ed io ci ritrovammo
catapultati in una realtà parallela, un mondo a priorità capovolte in
cui tutto ciò che noi eravamo abituati a ritenere essenziale non contava
niente mentre le cose scontate, quaderni per scrivere e acqua calda per
lavarsi, erano tutto. Correva l’estate del 2007, l’anno della VI Marcia
del Popolo Guaranì, in cammino dal Chaco fino a Sucre, la sede del
Parlamento della Bolivia.
“L’autodeterminazione è una battaglia di giustizia per gli
occidentali di passaggio come noi, ma una questione esistenziale per gli
indigeni. Rivendicare l’Autonomia da queste parti significa lottare per
vivere con ciò che si produce, nella terra in cui si è nati”. Sono
passati cinque anni dal nostro reportage, che il Manifesto ospitò sulle pagine di Chips&Salsa (l’inserto settimanale del compianto Franco Carlini), e mi ci sono voluti tre articoli su tFP per collegare la battaglia del popolo Guaranì con quella degli indigeni della Val di Susa.
La questione, invece, è la stessa. La solita secolare questione: la
terra. In Val di Susa ribellarsi per difendere la propria contea
significa affermare un diritto assoluto, la proprietà, contro un altro,
il presunto interesse generale. Sono diritti potenzialmente
inconciliabili. In Bolivia, e in mezzo mondo, gli indigeni lottano per
recuperare la terra perduta, sottratta con l’inganno dai colonialisti.
I coloni di Manituana,
che facevano firmare ai pellerossa contratti di cessione delle proprie
terre dopo averli fatti ubriacare, non erano molto diversi dalle
multinazionali farmaceutiche che regalano ai contadini indiani sementi
che rendono il terreno dipendente dal prodotto spacciato, o dal colosso minerario
indiano Vedanta Resources, che della montagna sacra dei Dongria
Kondh riesce solo a calcolare i due miliardi di dollari di bauxite che
ci stanno sotto. E neppure dalle scavatrici della Val di Susa.
In nome di una grande opera, che nulla ha a che spartire con le sorti
del luogo in cui viene calata come un’astronave, lo Stato italiano è
vent’anni che cerca di piantare la bandierina. Una qualsiasi: prima era
stato il trasporto di persone, poi è diventato di merci, in diversi
formati e progetti, ma sempre ad alta velocità (l’estetica futurista
inturgidisce ancora i politici in cerca d’autore). Tutti corredati dal
solito teatrino di conti e controconti, d’accordo soltanto
nell’ammettere con vaga mestizia che in Italia costa dalle tre alle
cinque volte di più che nel resto dell’Occidente.
Ora, le responsabilità del passato sono note e dibattute. Si tratta di un’opera bipartisan,
fortemente voluta da tutte le forze politiche presenti in Parlamento
(di maggioranza e opposizione), e di un impegno con l’Europa, come
ripetuto stile-mantra in ogni angolo del mainstream. La
questione è se a questa presunta volontà generale corrisponda o meno un
consenso sul territorio e se debba contare. Non solo per decidere sul
“come”, ma sul “se”. Il governo ha deciso per la prima, chiudendo
esplicitamente la porta al referendum invocato da FR, oltre che da Adriano Sofri su Repubblica, e si è abbassato la visiera dell’elmetto.
La sensazione è che la posta della partita non sia tanto la grande opera in sé, che in Italia as usual dà da mangiare (molto) a imprese grandi, piccine (poco), lavoratori (pochissimo e a tempo), mafie e
per questo costa molto di più che all’estero, ma la sfida. Il diritto
all’autodeterminazione su base proprietaria, innalzato dagli
anarco-agricoltori della Val di Susa, è un punto di non ritorno per
l’autorità dello Stato in quanto tale e la guerriglia resistente (più o
meno non-violenta, cambia poco) si configura come un oltraggio
intollerabile al suo monopolio della forza.
La proprietà tale diventa il guscio di base, la metrica minima a
guardia della libertà dell’individuo. Se non possiedi sei posseduto.
Dall’affitto, dal mutuo, dalla carta di credito, dal divano a rate,
dall’iPhone in comodato gratuito, da tutti gli strumenti con cui sei
cooptato nel circo dei consumi, grazie ai quali l’occhiuto poliziotto
globale ti tiene al guinzaglio vita natural durante. Nella tua fattoria
invece sei, puoi essere, l’anarca jungeriano e disertare (o meno) il
conformismo globalizzato. Puoi creare da te il percorso di vita che più
ti aggrada, scegliere.
Certo non tutti possiedono una casa che “si può girarci intorno”,
come il sogno di una vita raccontato a mio suocero da un vecchio
repubblicano romagnolo. Ed è curioso che oggi si cominci ad avverare
quella guerra tra città e campagne profetizzata dal crononauta John Titor
(leggenda internettiana d’inizio millennio). Un filo rosso lega i
ribelli della Val di Susa a tutti gli irriducibili
dell’autorganizzazione comunitaria sparsi per il mondo, che ha nello
Stato esattore/poliziotto il nemico naturale e sempre più inutile (se
non proprio nocivo).
In quest’ottica la secessione delle ex Repubbliche socialiste
sovietiche è da considerare un’avanguardia e la contrapposizione
novecentesca tra comunismo e capitalismo un gioco di specchi buono per
dare lustro alle vecchie istituzioni. Magari aveva ragione Marx e
l’estinzione dello Stato è prossima o forse andrà semplicemente a finire
che
“a tarda sera io e il mio illustre cugino de Andrade eravamo gli ultimi
cittadini liberi di questa famosa città civile, perché avevamo un
cannone nel cortile”. Prima comunque bisogna avere il cortile.
L'articolo è stato pubblicato come editoriale su The FrontPage.
La
foto è stata scattata in Bolivia e ritrae il processo di lavorazione
di uno stencil artigianale a scopi di “viral marketing” (io
l’ho imparato lì, facendo il consulente volontario del movimento
indigeno Guaranì, il viral marketing...). L’assemblaggio del logo
“Autonomia Indigena” dell’immagine, utilizzato durante la VI Marcia
Guaranì, fu il nostro primo contributo alla causa.
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13 febbraio 2012
LA GRECIA È VICINA
 Anche cercando di mantenere equidistanza ed equilibrio, ad aprire un qualunque sito di news
o a guardare la Tv vengono in mente i Maya. Non si parla di comete,
pianeti fantasma o tempeste solari, non ancora, ma il media-menù è
terrorizzante. In Italia siamo alle piaghe bibliche. Riassunto di un
mese e mezzo di 2012: crisi, tagli, disoccupazione e benzina in
impennata, Titanic, forconi e la peggior nevicata degli ultimi
sessant’anni, ennesima mazzata a consumi e produzione industriale.
Secondo Napolitano, però, non siamo messi come la Grecia e in effetti
la ricchezza privata è molto più alta, un po’ d’industria c’è ancora e
sino a qualche tempo fa i politici si pavoneggiavano assicurando che
eravamo la quinta (o la sesta, la settima?) economia del mondo. Loro
sono più poveri e per qualche anno hanno fatto finta di no, ma quando ci
siamo trovati al dunque pure noi (tre mesi fa) la ricetta del club del risanamento è stata la stessa: tasse e tagli.
Dalla via finanziaria al risanamento l’Argentina ci è passata poco
più di un decennio fa, con l’estinzione della classe media e la
distruzione della sua ricchezza privata come diretta e duratura
conseguenza. Ora sta alla Grecia a cui, in mancanza di meglio, si chiede
di affamare ancora di più una popolazione allo stremo, falciando il
salario di povertà, le pensioni e la spesa pubblica. Si dirà: hanno
scialacquato e ora pagano di debiti. Ok, ma poi? Quali sono le
conseguenze per gli altri?
Magari l’eurozona (e il mondo) si salverà dal contagio finanziario che scatterebbe con il default
del debito greco, sempre che non ci si arrivi comunque, ma di quello
sociale sembra non importare un fico secco a nessuno. E dire che nel
Maghreb lo scorso anno è successa la stessa cosa che si sta verificando
adesso in Occidente, solo con l’asprezza di chi pativa di più e aveva di
meno. Meno pane, meno libertà, meno speranza.
Il club del risanamento, esclusivo ritrovo di burocrati, taglieggiatori del rating
e pseudo-politici in grisaglia d’ordinanza, non può che derubricare le
molotov e la guerriglia urbana davanti al parlamento di Atene (dove per
convenzione è nata la democrazia nel mondo) a incidente di percorso.
Invece i fattori ambientali di ostacolo al programma di risanamento sono
pezzi di carne e cervello, perfettamente rappresentativi di un paese a
cui viene chiesto di scegliere tra crepare di lenta agonia mercatista o
per eutanasia finanziaria immediata.
Quando la gente non ha più niente da perdere è pericolosa, per sé
stessa e per gli altri. Ora le piazze della Grecia sono piene di persone
a cui nessuno è in grado di dare una spiegazione sul perché, né uno
straccio di speranza sul dopo. A meno che, davvero, qualcuno non creda
che una qualsiasi persona normale sia disposta a fare la fame per
assistere al varo del nuovo trionfale Meccanismo Europeo di Stabilità,
piuttosto che dare alle fiamme la biblioteca dell’università di Atene.
Sinora il vantaggio di Monti, rispetto al suo omologo “tecnico”
Papademos, è di non essere riuscito a coinvolgere i partiti, confinando
quel che resta della rappresentanza democratica al suo fallimento
solitario, e anche l’ormai celeberrima aura di prestigio che ne
amplifica ogni gesta, la copertina di Time non è che la punta dell’iceberg, unita alla sua indubbia produttività
di certo aiutano. Poi l’Italia non è la Grecia, come autorevolmente
ricordato Napolitano proprio ieri. Già: perché proprio ieri?
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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5 dicembre 2011
LACRIME, SANGUE E MERDA
 Così come tra uomini e donne, anche per gli Stati essere deboli o
forti non è una questione di genere ma di capacità/possibilità di
decidere in proprio. L’Italia del commissario Monti è l’esempio perfetto
di uno Stato storicamente giovane, costituzionalmente promiscuo e
politicamente abbastanza debole da avere accettato, in
centocinquant’anni di storia, praticamente tutto.
Da Mussolini al compromesso storico, dal partito dell’ampolla del Dio
Po al governo a quello di Mastella, Diliberto e Pecoraro Scanio,
passando per un’incredibile sequenza di aspirazioni golpiste (almeno
quattro, solo dal 1963 al 1985), esecutivi balneari di ogni razza e
l’eliminazione giudiziaria a mezzo stampa dei partiti che hanno scritto
la Costituzione. Fino al Drive-in di massa degli ultimi anni
con intercettazioni, escort e chiacchiere che hanno finito per eclissare
la crisi e alla fine il governo stesso.
Poi, dopo qualche ora di festa per l’auto-deposizione del Caimano e
dopo la selva di tripudi di loden e di alleluia per la ritrovata
sobrietà al governo, ecco che la annunciatissima scure di Monti cala in
tutta la sua crudezza, alle otto della sera, e le chiacchiere arrivano a
zero. Con grande sobrietà, in un sol colpo il professore reintroduce
l’Ici (rivalutando gli estimi), aumenta l’Iva e (agghiacciante) blocca
la rivalutazione Istat per le pensioni oltre i 1000 euro.
La super-stangata prevede anche l’annunciata riforma delle pensioni,
la reintroduzione della tracciabilità e un ulteriore taglio agli enti
locali. Ferrara potrà lustrarsi gli artigli (dopo giorni e giorni di
apologie di Paul Krugman), Calderoli rilancia già la secessione
(“consensuale, sul modello Cecoslovacchia”), Ferrero annuncia lo
sciopero generale, a Di Pietro prudono le mani, i sindacati si preparano
alla battaglia e il Pd e il Pdl (al solito) non sanno che pesci
pigliare.
Mi sa che non basteranno le tasse sui beni di lusso e i (presunti)
tagli alla politica per decretare la fine anticipata della luna di miele
fra il commissario Monti e gli italiani, che fino a ieri sera gli hanno
tributato una fiducia quasi unanime. Né basterà il carisma
istituzionale di Re Giorgio (come l’ha ribattezzato il New York Times), che forse ha salvato l’Italia dal default
finanziario ingaggiando Monti con un’operazione di rara abilità, ma
difficilmente potrà qualcosa contro le probabili ricadute recessive di
questa manovra.
Monti ha tenuto fede alla promessa di non guardare in faccia a
nessuno e continua a ripetere che tutti i riflettori sono puntati
sull’Italia. Allo Stato debole per eccellenza l’altro ieri è stato
lasciato il cerino in mano dalla Merkel davanti al Bundestag riunito:
“Dai cambiamenti dell’Italia dipende il futuro dell’Eurozona”. E i
cambiamenti sono arrivati per decreto legge, sobriamente denominato
“salva-Italia”, e con un appello ai cittadini centrato sul rischio di
“macchiarsi del fallimento dell’intera Eurozona”, perché “il debito
pubblico italiano è colpa di chi ha governato l’Italia, non
dell’Europa”.
“I sacrifici devono essere visti alla luce di un risveglio a favore
del merito e contro i privilegi, i nepotismi, le rendite”. Per Monti
“noi italiani siamo considerati delle individualità di spicco,
simpatici”, e sembra di sentire la conferenza stampa di un commissario
europeo tedesco o lussemburghese, di un consulente di una banca d’affari
o dell’Fmi.
Essere uno Stato debole significa ciclicamente abdicare dalla
democrazia e quando Monti annuncia “ho riflettuto in questi giorni che,
visti i sacrifici che devo chiedere ai cittadini italiani, ho deciso di
rinunciare ad ogni compenso come presidente del Consiglio e ministro del
Tesoro e delle Finanze”, ho pensato che forse hanno davvero ragione
Ferrara&Ferrero e questo è un tecno-golpe a tutti gli effetti.
Non è detto che sia un male. Non c’è dubbio, per esempio, che in
termini metodologici questo governo è un altro mondo e Passera che
annuncia report costanti, con gli stati di avanzamento delle
riforme in programma, ne è l’emblema. Poi, quando l’algida ministra
Fornero scoppia in lacrime annunciando il blocco delle pensioni e non
riesce a terminare la relazione, metto a fuoco l’unica verità: siamo
nella merda, mi sa che c’è poco da fare gli schizzinosi.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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18 agosto 2011
11/11/2011
 “Nella Cabala ebraica corrisponde alla lettera kaf, col
significato generico di realizzazione. Nell’esoterismo e nella magia in
genere, è considerato il “primo numero mastro”, essendo primo numero di
una decade numerica nuova (10+1). In generale significa un forte
cambiamento a fronte di una grande forza, e nei tarocchi l’arcano
maggiore numero 11 corrisponde infatti alla “Forza”. Nel Cristianesimo
11 è il numero degli apostoli rimasti prima della Passione, Morte e
Resurrezione di Cristo, e che potrebbe assumere il significato esoterico
di un imminente evento, cambiamento.”
Secondo Wikipedia
la numerologia è piuttosto chiara rispetto al numero 11: grandi
cambiamenti sospinti da forze formidabili. E il recente passato non
lascia adito a dubbi, in proposito: 11 settembre 2001 negli Stati Uniti,
11 marzo 2004 in Spagna e 11 maggio 2011 in Giappone sono lì a
testimoniarlo. Tutti naturalmente sanno che si tratta di stupide
coincidenze e che la razionalità umana, fucina di tre secoli di
conquiste memorabili che hanno fatto del mondo questo delizioso
posticino, non mente mai.
Solo nei postriboli della Rete, araldo del Neolitico tecnologico che
avanza tra roghi di Borsa e di piazza, si scrutano i segni e si
maramaldeggia con profezie più o meno fantasiose, peraltro ad esclusivo
beneficio del media-mainstream che ogni tanto ci sforna sopra un qualche
articoletto di colore per allungare il brodo. Una spruzzata di
Apocalisse per insaporire il piatto, ormai trito e ritrito, di sommosse,
stragi, disastri ambientali, colpi di stato, tette e culi.
Ed è in uno di questi covi di untorelli
che ho scovato l’11/11/2011: il giorno del giudizio universale sulla
ditta Italia. Una sequenza di 1 che suona come una batteria di fucili
che si dispone per l’esecuzione capitale del quarto debito pubblico più
alto del mondo, inverando il tormentone dell’estate: il default. Non è dato sapere se sarà davvero la fine dell’agonia, e gli autori del sito-profezia, che adducono un articolo del Sole 24Ore a sostegno della propria divinazione, non potevano prevedere gli interventi annunciati poi dal governo.
Non è ancora dato sapere se servirà davvero a qualcosa inserire il
pareggio di bilancio nella Costituzione, cancellare il Primo Maggio
(unica nazione al mondo), il 25 aprile e il 2 giugno (chissà se Sarkozy
facesse altrettanto col 14 luglio cosa succederebbe), bastonare i soliti
noti (quelli che già pagano le tasse), reintrodurre la tracciabilità
(la cui cancellazione fu in assoluto la prima misura del governo in
carica), abrogare mini-province e micro-comuni e annunciare la solita
sceneggiata sulla “dieta della politica”.
Per l’intanto ci si limita a segnalare che i terroristi numerologici
sono stati circospetti e si sono ben guardati dal mettere esplicitamente
l’11 in relazione con le recenti sciagure celebri, accadute in tale
data. Meno che mai col numero-madre
di tutte le Apocalissi: il 21/12/2012, alle 11 e 11 minuti, finisce il
nostro mondo, secondo la profezia Maya. Sommando le cifre della data,
provate a immaginare il numero che esce…
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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4 agosto 2011
NATURAL BORN HACKERS
 “Quando non c’è futuro come può esserci peccato, noi siamo i fiori
nella pattumiera, noi siamo il veleno nella vostra macchina umana, noi
siamo il futuro, il vostro futuro”. In God Save the Queen i Sex
Pistols vomitavano tutto il loro odio generazionale nei confronti di
una società che ritenevano già estinta. Sarebbe facile ascrivere allo
stesso climax esistenziale i giovani ribelli di oggi, specie quelli che a diciott’anni attaccano i siti internet della Serious Organized Crime Agency e della Sony.
Certo, c’è la denuncia per lo schifo di società che si sono resi
conto di ereditare, ma le analogie finiscono lì. Eppure, se possibile,
il divario generazionale s’è allargato ancor di più rispetto agli anni
’70: non solo codici culturali, stili di vita e linguaggi differenti
(quando non marziani), ma soldi, priorità, futuro. Chi è nato, nasce e
nascerà nell’era informatica da un lato pensa diversamente da chi ha i
ricordi in bianco e nero, dall’altro ha la solida certezza che, almeno
in termini statistici, vedrà girare meno quattrini.
A questo punto ci sono due alternative: le pubbliche lagnanze
(anti-casta, anti-premier, anti-precariato, anti-tutto) o l’azione. Il
fatto che il posto fisso vada scomparendo, ad esempio, presenta anche
dei vantaggi. Con il posto fisso scomparirà il menù fisso, consumato nel
baretto fisso dal gruppo fisso di colleghi spettegolanti. La civiltà
del posto fisso è quella del culto del venerdì, della metafisica dei
ponti, delle file in autostrada il primo agosto. È la stessa società,
sia detto onestamente, che ha permesso a una generazione il lusso di
poterla superare. E forse è arrivato il momento.
Il delirio dei mercati che da tre anni inchioda l’Occidente al suo
tabù più terroristico – la paura della povertà – dovrebbe avere già
convinto che le carte in mano ai cosiddetti decisori sono truccate,
perdippiù male. Il crescente arrancare con cui politica, business
e istituzioni si affannano a definire una direzione di marcia è forse
la madre di tutte le crisi. La crisi d’identità. Inflazione di potere e
atomizzazione sociale sono quello che ci resta, a guardare la tv e
leggere i giornali.
In questo spazio s’inseriscono gli attivisti della Rete libera, i cui
obiettivi si vanno facendo via via più politici. “E voi (Vitrociset, ndr)
dovreste occuparvi di sicurezza e affidabilità delle
infrastrutture/sistemi dei più importanti enti e istituzioni del nostro
Paese? Rideremmo fino a diventare cianotici se non fosse per il semplice
fatto che i soldi che percepite, oltre ad ammontare a cifre
incommensurabili, non fossero i nostri”. Così Anonymous e LulzSec, dopo lo smacco del defacement al sito internet del colosso della sicurezza informatica: “un rudere fatiscente”.
Tra il dire e il fare come si sa c’è una bella differenza. Tutti parlano dello stragista norvegese, si sfornano analisi e blabla vari,
su Facebook la gente mette la bandierina per solidarietà, nei bar e sui
blog (che sono bar senza birra) non si parla d’altro. Anonymous ha lanciato Operation UnManifest.
Obiettivo: resettare Breivik dalla faccia della rete. È chiaro a tutti
che all’uomo non importa nulla di stare nella sua prigione a cinque
stelle (il lusso che un paese civile può e vuole ancora permettersi) e
che considera ogni virgola sul suo conto una mostrina all’onore.
Qual è l’unico vero modo di punirlo? Pulire la cacca che si è
lasciato dietro, le mille pagine e passa a rivendicazione del suo gesto e
le altre stronzate in circolazione. Come antipasto Anonymous ha
già cancellato tutti i suoi post dal profilo di Twitter. Qual è il
deterrente per i mitomani e gli aspiranti emulatori? Far sapere loro che
ci sarà sempre un oscuro gruppetto di smanettoni, annidato in qualche
periferia della Rete, pronto a spingere delete sui loro deliri.
Certo, ci si aspetterebbe che questo genere di attenzione alla
sicurezza provenisse da politica, Stati, eserciti, polizie, intelligence. Invece tocca aspettare i “pirati”.
PS. Stazione di Rimini, 2 agosto 2011, ore 11 del mattino.
Nugoli di ragazzine scollacciate e di giovanotti urlanti scorrazzano tra
il bar e i binari, mentre raggiungo lo sportello “Informazioni” per
chiedere ragguagli circa il mio treno-fantasma. “Chiuso, rivolgersi alla
biglietteria”, suggerisce il cartello appiccicato sul vetro davanti
alla tendina abbassata. Tre o quattro turisti frastornati continuano a
fissarla, increduli, forse sperano in una sorta di misunderstanding
a lieto fine. Io mi faccio la mia brava mezz’ora di fila (col biglietto
in tasca) e quando sta a me domando spiegazioni. Risposta: “È che alle
informazioni c’è solo uno e quando va via dobbiamo fare noi…”.
In Italia siamo sempre più avanti, anche se ogni tanto ci sembra il
Terzo mondo. Dopo il fiume di parole sul turismo, la valorizzazione dei
beni culturali e via coglionando, basta fare un salto alla stazione di
Rimini per scoprire la realtà. E cioè che la politica, lo Stato, le
classi dirigenti stanno diventando irrilevanti, o peggio nocive. Urge
organizzarsi in proprio. L’Italia è un laboratorio formidabile e una
scuola di vita, dovremmo andarne fieri.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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1 luglio 2011
ALL YOU NEED IS TAV?
Sogno tecnologico bolscevico, atea mistica meccanica, macchina
automatica no anima… macchina automatica no anima… Ecco la terra in
permanente rivoluzione. Ridotta imbelle sterile igienica, una unità di
produzione… Unità di produzione, tecnica d’acciaio scienza armata
cemento, tabula rasa elettrificata, tabula rasa elettrificata…”. Certo
le ghigne selvatiche dei pacifisti armati di bastone e “Fassino boia”
non sono state un bello spettacolo. Il modo migliore per mostrare che al
di là della disciplinata modernizzazione allignano purulenti la peggio barbarie e il caos. Una certezza, questa, che deve avere animato il sacro furore civico dei due conduttori della Zanzara
di Radio24 quando, dismesso il consueto abito irriverente e abilmente
cialtronesco, hanno mostrato la truce faccia dello sdegno progressista
alla basita signora Clelia. La signora Clelia aveva telefonato per dire
la sua sulla Tav. Non mostrava le tipiche stimmate dell’incarognimento
ideologico né della demenza buonista e si è dichiarata subito una fan
del duo, con la tipica timidezza pulita delle groupies di altri tempi.
Il problema è che non mollava. Neanche quando è suonata la rampogna
civica del conduttore ‘serio’ ché “se uno Stato decide e non è in grado
di agire non è uno Stato degno di questo nome”, intervallata dalla
litania urlante (gabellata da satira) della sua spalla, che inneggiava
al capo della polizia, Manganelli. La signora Clelia, rea di non aver
capito la sottigliezza e di aver scambiato Manganelli per manganelli
(forse l’ingegnoso intento del satiro) e – addirittura – di aver preso
le difese di “quei ragazzi”, è stata congedata in malo modo.
“Imporre alla gente della Val di Susa una cosa brutta è sbagliato”,
s’è arrischiata a sostenere la signora Clelia, probabilmente ignara del
rischio concreto di emarginazione socio-culturale a cui si esponeva. Il
particolarismo che non vede al di là del proprio naso, tipico degli
italiani mangia spaghetti (o fonduta) incapaci di pensare al bene comune
e attenti solo ai boschi di casa propria: questo il capo d’imputazione
della signora Clelia. Processata e condannata in diretta radio,
senz’appello.
Ora, gli dèi mi scampino dalla difesa dei No-Tav (in linea di massima
sono troppo brutti e carichi di ciarpame militante per essere difesi),
ma la signora Clelia e il suo ostinato particolarismo montanaro meritano
qualche parola in più. Intanto uno Stato se la deve guadagnare la
pagnotta dell’autorevolezza e non bastano i tricolori, un giorno di
ferie in più, qualche bla bla su Garibaldi&Co e il discorso di
Capodanno di un signore perbene per mettere la sordina allo schifio di
questi ultimi vent’anni di cosiddetta Seconda repubblica. Tanto meno
bastano i manganelli, sguinzagliati per di più da un signore
intelligente che divide il proprio tempo tra il Viminale e Pontida.
Poi, senza volermi arrischiare in tediose filippiche jungeriane, c’è un problema col progresso. Che, a differenza della pace,
è un mestiere e un’ideologia e per certi versi una vera e propria
religione che tiene inchiodato l’orologio del mondo ai fumi della prima
rivoluzione industriale. “Le magnifiche sorti e progressive”
dell’umanità, il sogno di un progresso materiale ineluttabilmente
positivo, che moltiplica in continuazione pani, pesci, pescivendoli e
fornai, e chiede il suo sacrificio di alberi, montagne, pietre e animali
che altro è se non un trip agli sgoccioli? Il mondo è più felice,
adesso?
Qual è il fine del progresso, se non il progresso stesso, e in che
cosa è diverso dagli altri monoteismi che chiedono atti di fede contro
speranza? Che differenza c’è tra le scavatrici della Val di Susa, che si
apprestano a far svettare il tricolore su abeti sradicati, nidi di
scoiattoli e cime millenarie, con gli appetiti del gigante minerario
indiano Vedanta Resources, che della montagna sacra dei Dongria
Kondh riescono solo a calcolare i due miliardi di dollari di bauxite che
ci stanno sotto? Cosa cambia con i Buddha abbattuti dai talebani in
Afghanistan, coi roghi di libri dei nazisti, coi templi Inca e Maya
piallati dagli evangelizzatori e usati come base per le loro chiese? Chi
decide cos’è sacro e cosa può essere spazzato via dal mondo?
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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29 marzo 2011
NONOSTANTE NOI
 Che lo spettacolo dell’Occidente nella guerra in Libia, al solito
diviso e rissoso, sia desolante è fuori discussione. All’interno di
questa desolazione, però, Francia e Italia si sono distinte in una sorta
di rivincita della finale dei penultimi mondiali, con Sarkozy intento a
menar capocciate a nemici e alleati, convinto di poterle poi
capitalizzare in voti, commesse e prebende neocoloniali, e il governo
italiano oscillante tra la fedeltà al campo occidentale in cui milita
dal 1945 ad oggi e la nostalgia del bunga bunga politico-danaroso
all’ombra del Libro verde.
Uno degli sport preferiti degli italiani,
si sa, è cambiare casacca, idea, fedeltà, a seconda delle convenienze.
Così, quando il premier ha espresso “rammarico” per la sorte del vecchio
sodale Gheddafi, oltre al rispetto per la coerenza cameratesca
dell’unico leader occidentale capace di familiarizzare pubblicamente con
personaggi come Putin e Lukashenko,
ben oltre l’etichetta dell’ormai celebre “diplomazia della pacca sulle
spalle”, si stagliava nitidamente un messaggio che l’ex “migliore amico
di Bush e dell’America” (che ha spedito il tricolore in Iraq e
Afghanistan) ha tentato di far giungere al raiss: siamo ancora amici.
Ora che anche a destra regna il ‘pluralismo’ più radicale, tra
neopacifismi e prudenti realismi si cominciano ad orecchiare (anche
fuori dai circuiti criptofascisti) tesi complottarde degne del miglior
Giulietto Chiesa. Alla base delle rivoluzioni del mondo arabo di questi
mesi ci sarebbe il solito ordito demo-pluto-giudaico-massonico, la Spectre
dei finanzieri (quasi tutti in odore di kippah) tenutari delle
portaerei storiche del giornalismo, in grado di far schizzare il prezzo
del pane pigiando un bottone e d’indottrinare la pubblica opinione a
seconda dei propri malvagi disegni. Una cricca di speculatori senza
scrupoli e i loro epigoni politici, che Tremonti ha definito gli Illuminati, quelli che tirano le fila della diabolica globalizzazione.
Naturalmente lo sterco del demonio ha una parte in commedia
anche stavolta: gas, petrolio, acqua (ce n’è tanta in Libia) fanno gola a
tutti. Non è detto però che i rissosi neo-nanetti occidentali riescano
ad accaparrarsi tutto come ai bei tempi delle sahariane e delle
canzoncine virilizzanti. Brasile, India, Cina e Russia si sono messi di
traverso con strategica determinazione (senza deambulare a vanvera tra
le bombe e le chiacchiere) e lo scenario si profila assai più complesso
dei sogni-incubi dei complottardi di casa nostra. Di certo il governo di
Frattini e La Russa pare destinato
a giocare un ruolo da comparsa tra i bomber anglo-francesi (Berlusconi
che bacia la mano se lo ricordano bene), Obama e le quattro potenze del
BRIC, acronimo del nuovo blocco, decise a misurare in politica le
performances ottenute in economia. Il ruolo di mediazione a cui da
sempre aspiriamo per ora lo sta svolgendo, in tutta l’area, la Turchia
di Erdogan (altra economia da corsa).
Poi, nonostante le miserie d’Occidente, la lotta continua. In Siria la polizia ha sparato anche ieri sui
manifestanti di Daraa, mentre il regime di Assad si affanna con riforme
e pretattiche che si stanno mostrando controproducenti. Venerdì scorso
lo Yemen e la Giordania sono stati teatro di manifestazioni, morti e
feriti. Tutto questo non spaventa gli insorti ma anzi moltiplica le
braci dell’incendio. Con le ovvie difficoltà che comporta ogni processo
di transizione, Egitto e Tunisia sono lì a dimostrare che tutto è
possibile.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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23 febbraio 2011
TECNOBRIGATE
 “Alcuni sono insegnanti, impiegati,
studenti, ingegneri, dottori (per darti un’idea). Quindi, penso che non
siamo stati capiti. Noi non siamo reietti della società. Noi siamo te e
tu sei noi. Siamo uniti, uniti per i nostri scopi comuni, ma non so… se
siamo le nuove Nazioni Unite. Ma mi piace come suona, e sono certo che a
molti piacerebbe questo titolo. Ma non siamo…”. È il Corriere
che s’incarica di offrire una strepitosa tribuna a “uno degli attivisti
internet” di Anonymous, il gruppo diventato celebre per gli attacchi ai
siti di Visa, Mastercard e PayPal in difesa di WikiLeaks e,
recentemente, a quello del governo italiano ritenuto “una minaccia alla
libera espressione”.
“Anonymous combatte per la libertà. Vediamo
l’oppressione dei popoli come un attacco contro i diritti umani e la
loro libertà. Perciò combattiamo per tutti loro. Non importa se si
tratta di Wikileaks, l’Egitto, l’Iran, l’Algeria, eccetera. Siamo qui
per difendere i diritti umani e la libertà di parola in tutto il mondo.
Perché Anonymous non ha radici solo in un Paese, ma veniamo da tutto il
mondo e combattiamo per una causa comune.” Qualunque nodo della rete può
proporre un obiettivo al resto del gruppo, disseminato ai quattro
angoli del pianeta. Se la causa viene adottata tutti gli attivisti, come
l’intervistato @Anony_Ops, si muoveranno insieme per colpire il bersaglio, indipendentemente dalle opinioni “perché lavoriamo per il popolo.”
Dopo OpItaly, l’anonimo attivista di
Anonymous ha recensito OpIran. “Vogliamo mostrare agli iraniani che la
gente all’estero si preoccupa per loro e condivide i loro sentimenti.
Attaccando i siti del governo iraniano, stiamo protestando al fianco dei
nostri fratelli e sorelle iraniani.” E quando Viviana Mazzi, che ha
realizzato l’intervista sul Corriere via Twitter, gli ha
chiesto se la Rete non gli va un po’ stretta risponde che “sì,
personalmente sento che quello che sto facendo non è abbastanza e che
devo scendere in strada con altre persone per mettere in atto una vera
protesta, ma penso che non sia molto pratico andare ovunque queste
proteste stiano avvenendo.”
Anno di grazia 2011 (meno di ventidue mesi
all’apocalisse Maya): un pugno di anarchici smanettoni tiene in scacco a
mesi alterni le cancellerie del media-mainstream
internazionale (che anzi li vezzeggiano come vere rock star), seminando
il panico fra legioni di dignitari con la piuma sul cappello. Intanto la
polveriera del Medio Oriente sta saltando per aria davvero e il Maghreb
è in fiamme al grido di “libertà” e nel vuoto politico, tra il muto
terrore dell’Occidente. Orde di disperati si apprestano a varcare i
sacri bastioni di Lepanto come l’incubo realizzato di ogni Borghezio
d’Europa, a sentire gli apocalittici sermoni di tutti i Borghezio
d’Italia.
A leggere l’intervista all’anonimo attivista internet mi è venuto in mente Per chi suona la campana e le Brigate Internazionali,
attivisti di mezzo mondo che misero sul piatto la pelle per salvare la
democrazia spagnola dal colpo di Stato fascista del generale Franco.
Senza neppure l’aiuto di Facebook.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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26 gennaio 2011
L'AVATAR DI CALIGOLA
 “Since the Roman Empire, politics here has
been seen as a means to power and money. Even today, Italy remains a
land where complex networks of connections and family ties can still, as
in feudal times, count more than merit or position, whether in getting a
job or a bank loan.” Rachel Donandio sul New York Times ha raccontato
il reality-show Italia alla luce delle gesta del solito unico,
celeberrimo, protagonista indiscusso “Surreal: a soap opera starring
Berlusconi”.
Non c’è solo Caligola, l’avatar impazzito del presidente del Consiglio che sbraita
contro Gad Lerner alle undici sera mentre gli italiani normali davanti
alla tv (tutti quelli che potrebbero votare per lui) guardano il Grande Fratello, nell’articolo del Nyt “Prisoner of this world that he created”, ma anche “I invented a parallel life”, Ruby heart-stealer
canonizzata in fascia protetta tv dall’avatar Berja-chic di Signorini, e
soprattutto gli altri protagonisti del virtuality-show: gli italiani a
casa. Quelli del televoto, che hanno già mandato tre volte Berlusconi a
Palazzo Chigi e adesso lo metterebbero pure in nomination, ma non vedono alternative.
Il fatalismo italiano è il vero alleato di Berlusconi, secondo il Nyt.
Niente di nuovo sotto il sole. Italiani brava gente, Franza e Spagna
purché se magna, fascisti con il Duce e antifascisti dopo il 25 aprile e
neanche nel ’92 andò diversamente. Tangentopoli (oltre l’incredibile
percentuale di assoluzioni e lo spropositato numero di anni trascorsi
preventivamente dietro le sbarre dagli imputati) non ha cambiato una
virgola nella società, a parte la decapitazione dei partiti che avevano
fatto la Repubblica, se non in peggio. Oggi il copione si ripete ma gli
italiani hanno ancora meno voglia di sbattersi e, al massimo,
s’indignano periodicamente a qualche festa comandata di piazza, su
Facebook o davanti a Santoro e Floris. Insomma, a differenza che dal nonno di Ruby, la “rivolta non scatta”.
Il braccio di ferro tra Fiom e Fiat, anzi, ha spostato molti più consensi
del Ruby-gate. La solita metà degli italiani per una ragione o per
l’altra non si sconvolge troppo con la storia del puttaniere prestato
alla politica (e/o sospetta che sia in buona compagnia). L’altra è in
ostaggio dello speculare psicodramma di un’opposizione scompaginata che
senza l’avatar di Caligola non esiste, un brusio indistinto fra uno
strepito e l’altro del tiranno virtuale. Ormai si definisce solo per sua
nemesi e, per questo, dovrà necessariamente arrivare fino alla fine
dello show. Costi quel che costi. Si lustrino le baionette, dunque, e si
olino le ghigliottine. Tanto poi arriva sempre la pubblicità. Chissà
stavolta che programmi ci sono dopo.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. L'immagine è stata presa qui.
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3 dicembre 2010
"MEGLIO IL FUOCO DELLA BATTAGLIA"
“Due canaglie votate al male. Concentrato di malefica intelligenza.
Subodoro una trappola. D’accordo. In chat su fb.” Mauro Zani non ha
dubbi e, brusco e bonario come l’archetipo di emiliano che incarna,
accetta su due piedi la mia intervista per tFP. “È il blog
diretto da Velardi&Rondolino che mi dicono di salutarti (consapevoli
del rischio di essere mandati a cagare per interposta persona) e mi
piacerebbe sapere il tuo parere su Pd, Bologna, rapporto con la Rete. Se
ti piace l’idea possiamo anche fare in chat, qui su Facebook, su Skype o
dove credi.” Dopo un paio di giorni, a sera tarda, abbiamo combinato.
Ecco il copia e incolla di com’è andata.
Zani (Z): “Forza”
Orione
(O): “Dunque, Mauro Zani: consigliere comunale, consigliere
provinciale, presidente della provincia di Bologna, segretario del Pci…”
Z: “Già, eccomi”
O:
“Poi segretario regionale, consigliere regionale, deputato, eurodeputato
e coordinatore della segreteria nazionale Pds-Ds, adesso blogger. Lei
fa il blogger a tempo pieno? Ha smesso di fare politica attiva per
davvero? Come si sente?”
Z:
“Fermo lì. Una cosa per volta. Faccio il blogger certo. La politica la
osservo e se del caso la critico. Son come quei pensionati che
s’aggirano intorno agli operai al lavoro e… mugugnano, e… avanzano
rilievi critici…”
O:
“Ci tiene a rimarcare che ha smesso con la politica attiva, l’ho letto
più volte. Dal distacco etereo del blog com’è, la politica?”
Z:
“Già. Niente politica attiva. Altrimenti mi pensano in agguato dietro
una siepe… il lupo cattivo… La politica non sta tanto bene”
O:
“Lo stato di salute di Pd e Pdl sembrano darle ragione… Perché, secondo
lei, dal ‘92 ad oggi il grado di consunzione di partiti e leader
politici è così alto? A sinistra, in particolare, è un’ecatombe”
Z: “M’interessa più stare a ridosso del Pd naturalmente. E… son così annoiato d’aver sempre ragione”
O: “Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, Cofferati, Franceschini, Bersani, Prodi… ne ho perso qualcuno?”
Z:
“Beh, consunzione dei leaders? Forse, resta che s’avvicendano più o
meno gli stessi. Li conosco, a memoria… Appunto son quelli”
O:
“Ma perché nessuno molla, come lei? Non lo capisco. Voglio dire, ha una
bella pensione, un sacco di amici sparsi per il mondo, parecchi libri da
leggere in sospeso…”
Z:
“Questione egoica. Hanno poco rispetto per le loro persone… e poi in
pensione non si sta tanto bene. Meglio il fuoco della battaglia. Per
mollare basta andare per cinque anni nel Parlamento Europeo. E non vedi
l’ora che finisca! In sostanza per mollare bisogna fare un apposito
training… io modestamente lo feci”
O: “Si vede… Devo confessarle che all’inizio non ci credeva nessuno…”
Z: “Già. Poi però non mi va di starmene zitto e buonino…”
O: “Nono, intendo che nessuno credeva che fosse lei”
Z: “Prego?”
O: “Alcuni hanno insinuato che fosse un vero e proprio furto d’identità… un gesto dadaista”
Z: “Fantastico, è un mondo pieno di matti!”
O:
“Un erede di Guy Debord si era impadronito del brand ‘Mauro Zani’ e le
stava suonando a tutti di brutto… beh, non era una tesi tanto campata in
aria. C’era una discreta differenza tra il prima e il dopo di Mauro
Zani”
Z: “In verità c’è chi sa bene che io ho sempre suonato, adesso ho semplicemente cambiato strumento. E non mi dispiace”
O:
“Comunque, sono felice che quello che diceva che Zani era morto e il
blogger era uno sciacallo identitario si fosse sbagliato…”
Z: “Comunque quello vero è il blogger, seppur in erba”
O: “Bene: da bolognese chiedo al blogger, che dal cv mi pare informato dei fatti, che sta succedendo a Bologna?”
Z: “Sono informato anche dei misfatti”
O: “Immagino… lo spettacolo penoso che la riportò in città nel ‘99 si sta ripetendo o è una mia idea?”
Z: “A Bologna assistiamo con ogni probabilità all’ultimo atto di una
lunga storia. Quella di una sinistra al governo per mezzo secolo e che
dopo la nascita del Pd s’appresta a passare il testimone ad altri.
Difficile dire adesso come andranno le cose, ma può persin darsi che,
con l’aiuto di Vendola, Dossetti si prenda una rivincita post-mortem.
Naturalmente non ho nulla contro gli eredi di Dossetti, tanto più che
fino a qualche mese addietro, era persin possibile che la rivincita la
prendessero i legittimi inquilini di Via Altabella. Sì, insomma, per i
non bolognesi la Curia. In sostanza non si sta ripetendo semplicemente
lo ‘spettacolo’ del ‘99. Con la meravigliosa idea che ha fatto
frettolosamente nascere il Pd tutto lo scenario è cambiato. Non son
sicuro che a Bologna e a Roma se ne abbia contezza”
O: “Lo
scenario è cambiato, non solo a Bologna e in Italia. Non mi pare che il
Pse goda di ottima salute… I socialisti stanno perdendo ovunque in
Europa, mentre la sinistra conquista il Sudamerica stato dopo stato,
facendo la sinistra per davvero… Qual è la lezione?”
Z:
“Infatti. Perciò, modestamente, a suo tempo spiegai che si trattava di
cercare una nuova (parolone antico) sintesi. Un progetto demosocialista.
L’idea, semplice, che siamo tutti democratici dopo l’89, e che quindi
definirsi semplicemente tali è come cercar d’afferrare il nulla. Calci
al vento. Perché la sinistra in America del sud vince? Semplice: perché
critica la liberaldemocrazia nei fatti e non con la semplice ideologia,
della serie siamo socialisti, punto. O siamo democratici, punto. Morale.
Ci vuole un’identità definita. Per me basterebbe definirsi come democraticiesocialisti tutt’attaccato. Insomma ripartire bisogna, a costo d’attraversare il deserto.”
O: “Ok, e cosa significa, con un esempio, essere democisalisti? Demosocialisti, faccio fatica a scriverlo…”
Z:
“Capire che tutte le democrazie sono alla prova della globalizzazione
dell’economia e dei mercati, ad esempio, e di conseguenza imprimere
efficacia alla democrazia chiudendo la fase (novecentesca) della
liberaldemocrazia. Come? Recuperando e facendo circolare ideali, valori
di giustizia sociale nella democrazia. Ed è chiaro che ciò significa
promuovere taluni interessi contro taluni altri. Se son bigi tutti i
gatti allora le persone stanno a casa. A guardare (quando va bene) la
politica dallo schermo”
O:
“Ultima domanda: perché non si è candidato lei sindaco di Bologna? Lo
sa, vero, che con una buona campagna, lei poteva vincere…?”
Z:
“Per la ragione che avrei avuto contro prima di tutto il Pd. E anche
per il solito egotismo. Della serie: se non mi vogliono peggio per loro.
In più io non son adatto per le autocandidature. Proprio per niente:
all’ego s’aggiunge, paradossalmente, una ritrosia innata. Insomma siam
mal fatti!”
E’ mezzanotte passata, l’intervista è agli sgoccioli e Zani si concede un’ultima zampata.
“Piccolo motto conclusivo per i dirigenti nazionali del Pd: quando i
gatti han lo stesso colore scorazzano le volpi. E non son solo grilline.
Occhio ragazzi!”
Il blog di Mauro Zani è qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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11 novembre 2009
DIARIO DELLA MAIALA
 “Primo caso letale di influenza suina in Egitto. Una donna egiziana è morta con sintomi dell'influenza suina in Egitto mentre era in pellegrinaggio per andare alla Mecca. Lo ha reso noto il ministero della sanità egiziano.”
Repubblica.it, il 19 luglio alle 23 e 55 minuti, mi aggiorna sullo stato di avanzamento del virus. Il primo morto in Egitto dopo l’annuncio della non riapertura delle scuole a settembre in Gran Bretagna, in cui pare che anche la ex Fisrt Lady Cherie Blair sia stata colpita dalla nuova influenza. Anche qui a Zoccolandia è stato dato l’allarme. Ci sono già i primi casi e il viceministro della salute ha detto che forse le scuole rimarranno chiuse. O forse no. La Gelmini l’ha escluso e il mutaforme Fazio ha rettificato. Mi sa che, come dicevano i ragazzi del Maggio francese, “c’est seulement le debut”.
Ad agosto se ne sono stati buoni. La tregua estiva funziona ancora, o forse – semplicemente – untori e monatti mediatici sono pure loro in fila per l’ombrellone.
I primi di settembre il tam tam è ripartito. I primi casi gravi, le smentite di rito “non è grave, il virus non è mutato” e la psicosi da vaccino comincia a dilagare. In aggiunta i mentecatti al governo continuano a darsi sulla voce, affermando e negando l’opportunità di posticipare l’apertura delle scuole (evento che certificherebbe lo stato di emergenza, anche se non dichiarato) a giorni alterni. Secondo le ultime news l’anno scolastico inizierà regolarmente, per la gioia di librai, cartolai e venditori di grembiuli (i prezzi sono schizzati di nuovo alle stelle nonostante la crisi).
A fine ottobre la situazione sta cominciando a degenerare. Gli ospedali sono zeppi di mamme impazzite e di gente col panico dell’influenza A (la “febbre maiala” secondo il Foglio). Il governo italiano continua a dire e smentire ogni cosa. “I vaccini sono pronti” “I vaccini non sono ancora pronti, ma lo saranno presto” e via di questo passo. Intanto l’Ordine dei medici sta tentando una sorta di boicottaggio sistematico dell’allarmismo di massa a suon di dati e statistiche. Se, di solito, la percentuale di medici che si vaccinano contro la normale influenza di stagione non supera il 20%, quest’anno – dopo blandizie e vere e proprie minacce (le autorità sono arrivate a minacciare la sospensione di quelli che lavorano per il servizio pubblico) – pare che si raggiunga quota 1/3. I 2/3 dei medici continuano a mettere in pratica quello che affermano senza mezzi termini a mezza bocca: il virus è una bufala mediatica meno pericolosa della normale influenza.
Certo, di questi tempi non è facile remare contro la corrente. Il mainstream del terrore di massa è inarrestabile fino a quando la marea non è montata del tutto, grazie alla moltiplicazione dei media. Il chiacchiericcio – anche critico – di blog e social network, in aggiunta al vociare implacabile dei network, crea un effetto frastuono che fa percepire alla gente che, ad ogni modo, qualcosa sta accadendo e c’è qualcosa di cui aver paura.
Aviaria, suina. Arrivano sempre d’estate, quando le agende dei media cominciano a sguarnire, fluttuano qualche mese tra panico di massa, inchieste indipendenti, rassicurazioni di stati e megabusiness per le industrie farmaceutiche (per l’influenza A vengono sfornate qualcosa come 3 miliardi di dosi del vaccino), per poi scomparire senza lasciare traccia (salvo occasionali tiratine d’orecchi che qualche trombone liberal si concede come intercalare, tra una notizia e l’altra). E mentre i virus di solito si rivelano bufale tremende, le operazioni mediatiche che ne decretano il successo di pubblico si disvelano anno dopo anno in tutta la loro crudele e cinica efficacia. Le famiglie si affannano a cercare cure per arginare il panico diffuso dal loop mediatico, che se tenta di ridimensionare alimenta la paranoia e se rettifica, o sminuisce, gli allarmismi fa serpeggiare il dubbio di foschi scenari complottardi per silenziare o depistare la libera informazione.
Ci sarà una ragione se l’ultima frontiera del marketing contemporaneo è la comunicazione virale, quella che “come una freccia dall’arco scocca vola veloce di bocca in bocca”, che si attacca velocemente e che contagia preferenze commerciali, politiche, di consumo. E che utilizza, guarda caso, i media come untori e – in qualche caso – monatti.
Fonti: “Ecco perché le milioni di dosi di vaccino influenzale possono restare negli hangar” di Roberto Volpi dal Foglio “Febbre suina colpisce Cherie Blair” da TgCom “Influenza ‘A’ egiziana muore dopo pellegrinaggio Mecca” da Repubblica.it “Marketing virale” su Wikipedia
L'immagine è stata presa qui. L'articolo è tratto dal blog di Aprile.
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20 ottobre 2009
LA MISURA DELLA CIVILTÀ
Quando un bambino di
sei anni anni muore tra le braccia della madre, in una miserabile
baracca scaldata solo dal gas tossico di una caldaia omicida, senza
cibo né nulla, bisogna smettere di parlare di civiltà. L'Italia non è
un paese civile e ogni paese del mondo dove c'è un bimbo che muore di
povertà non è un paese civile.
La misura della civiltà è questa.
povertà
fame
bambino
civiltà
italia
| inviato da orione il 20/10/2009 alle 18:14 | |
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22 giugno 2009
LE DUE "I"

"Alta sui naufragi dai belvedere delle torri china e distante sugli elementi del disastro dalle cose che accadono al di sopra delle parole celebrative del nulla lungo un facile vento di sazietà, di impunità..."
Fiorella Mannoia canta la "Smisurata preghiera" di Fabrizio De Andrè per "Radio Amiche per l'Abruzzo". Ornella Vanoni, qualche minuto più tardi, saluta il pubblico e insiste "promesse... speriamo che vengano mantenute". Iran e Italia occupano da giorni e giorni le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Le
ragioni non potrebbero essere più opposte: di qua la Mignottocrazia che
si ribella al fondatore e ne sgretola quel che resta dell'immagine
internazionale, di là la faccia più truce della dittatura di
Ahmadinejad che minaccia il resto del mondo, il giorno dopo la strage. Le tecniche di repressione della verità però sono molto simili: balle di stato e bavaglio all'informazione.
L'articolo completo, il Bianconiglio di questa settimana pubblicato su Aprile, è qui. L'immagine è stata presa in prestito qui.
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10 giugno 2009
MORALE DELLA FAVOLA / 2
 "Serracchiani in Italia, Verdi in Francia, Pirati in Svezia: chi l'ha detto che è andata male per l'Europa? I socialisti? Chi?"
Così apro le danze sul Facebook,
in questo day after elettorale molto più controverso e meno banalmente
cupo di quello che ci si poteva aspettare alla vigilia (sondaggi
clandestini alla mano). La valanga di destra in Europa c’è stata, è
innegabile, ma è stata intercettata da leader che hanno saputo dare una
faccia e parole credibili alla paura dell’uomo nero e della crisi
mangia-benessere, che sta segnando l’opinione pubblica della vecchia ed
esausta Europa. Un po’ come la Lega in Italia.
I socialisti
pagano dazio e di brutto, anche dove hanno dimostrato di saper
governare la contemporaneità, come nella Spagna di Zapatero. Questo
magari significa che l’idea socialista è vecchia, frusta e logora,
inattuale, alla fine della lunga parabola del suo ciclo vitale,
iniziata oltre un secolo fa. O semplicemente viene percepita così, ma
non fa nessuna differenza in termini pratici.
L'articolo completo, l'ultimo Bianconiglio pubblicato lunedì su Aprile, si trova qui. L'immagine è stata presa in prestito qui.
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6 gennaio 2009
BUONGIORNO ITALIA BUONGIORNO MARIA
Con gli pieni di malinconia, buon giorrno dio, lo sai che ci sono anch'io...
Altroché Facebook, Obama, i-phone: l'Italia di Cannavaro è ancora l'Italia stracciona, miserabile e "coi santi in paradiso", alla perenne ricerca di una spintarella, dell'Italiano di Toto Cutugno. L'eroe del mondiale ha dichiarato che "Gomorra nuoce all'Italia". Nientemeno. Si vede che se intende o forse pensa - cinicamente all'italiana - che è meglio tenere la merda sotto il tappeto, anche se la puzza intorno si è fatta insopportabile.
Intanto su Facebook spopolano i gruppi che inneggiano a Totò Riina e alla mafia e quelli (per contrasto) che in queste ore stanno chiedendo agli amministratori del più diffuso social network - oltre 4milioni500mila iscritti soltanto in Italia - di chiuderli. Così ferve il dibattito.
Sono reduce or ora da una piccola discusssione con un'amica (sempre su fb) che sosteneva che Uno che dice "Per me Riina è un grande" non commette reato (salvo non
lo imiti nelle azioni, chiaramente). Dice semplicemente qualcosa che
pensa lui e che non necessariamente è condiviso da tutti o dalla
maggioranza (com'è in questo caso). E in questo sta la democrazia.
Io gli ho risposto e se scrivo "l'eroina fa bene alla circolazione" fb me lo cancella?
Orione su Facebook è qui. L'Italiano di Toto Cutugno l'ho trovato qui.
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5 dicembre 2008
LA PENISOLA DEI FAMOSI
 "In un paese con una tv da quindicesimo mondo come l'Italia è normale
quindi che Michele Santoro faccia una puntata dal titolo "L'Isola di
Obama", in cui si discute in modo semiserio se la vittoria di Luxuria
significa qualcosa di politico, se dice qualcosa di sinistra."
Questo è l'occhiello del mio Bianconiglio settimanale su Aprile. Ieri sera ho acceso la tv (pessima idea) e mi sono imbattito nel programma di Santoro su Luxuria, sinistra e realtà (bel salto eh?!). Sansonetti continuava a strillare "Vladi!!!" - come un eterosessuale isterico e un po' coglione che scimiotta Ugo Tognazzi nel "Vizietto" - allora mi sono incazzato come una bestia, ho pensato a Pozzetto nella "Patata Bollente" e ho scritto il pezzo per Aprile da capo.
L'unica persona normale mi è sembrata Fabrizio Rondolino, che parlava di canne e di sceneggiatori fricchettoni che sono capaci di cambiare il costume e lo stile di vita più della Ventura e della sua nuova amichetta politicamente impeccabile.
L'immagine l'ho presa in prestito qui. Tutto l'articolo è qui.
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13 aprile 2008
LE PANCHINE DI RUSSI
 Da qualche tempo l'asma è tornata. Prima con discrezione, la sera, negli utlimi giorni con arroganza, tutto il giorno. Brutta bestia l'asma, si dorme male, fiacca le energie e fa sembrare ogni piccola cosa una montagna. Oggi comunque sto meglio, quando scrivo poi sto bene e se dormo abbracciato a Vanessa dormo da dio; domani poi starò ancora meglio, si vota finalmente.
Ho preso l'abitudine di andare a Bologna tre giorni la settimana, il lunedì, il mercoledì e il giovedì di solito. Il mercoledì sera si gica a tressette nella magione dell'amico Poggio, a San giorgio di Piano. Barro mi viene a prendere al Gatto & la Volpe alle 8 e mezza, un mio espediente per fare incazzare Pietro che vorrebbe chiudere alle 8, poi abbiamo una mezzoretta di viaggio per chiacchierare di politica, spettegolare (con scarso successo) e pontificare alla bell'e meglio.
Mercoledì scorso tenevano banco le elezioni. Barro detesta l'Avanzo di Balera e l'Italia che rappresenta, quella destra che Prodi definì mirabilmente gente che lascia la macchina in doppia fila. Io che sono più liberale di lui (sono anche a favore dell'indulto) non riesco più a sopportare il vecchio palpaculi che zompetta da una tivvù all'altra, le sue battute, le gaffes, le minchiate sui comunisti e sono arrivato a credere che questa Italia se continua a votarlo forse si meriterebbe il Peron vero, non la sua versione light. Continuare a pensare che gli elettori siano meglio degli eletti d'altronde è, nella migliore delle ipotesi, un esercizio mentale noioso, frustrante e autoassolutorio.
Prima mi sono messaggiato con Fede, che forse vota Bertinotti forse non vota per niente, la Sara invece vota di sicuro così come Cuma, veltroniano convinto. Alla cena da Poggio il Pd era in netta maggioranza anche se pure lì vale il motto "occhio ai silenziosi". Non è che se uno non spiccica parola (e magari sorride) mentre il Giampa della situazione si dichiara dalla parte di Uòlter vuol dire che è d'accordo. Un po' come le piazze: non è detto che se le riempi vinci anche le elezioni (certo, sempre meglio riempirle che farsi fischiare dai propri supporter mentre si sparano minchiate su Totti e Ronaldinho). Pure Vanessa alla fine ha ceduto e anche se non posso scrivere su che simbolo mette la croce (mi spezza le gambine) di certo la posso prendere per il culo privatamente, dopo lunedì.
Se l'Avanzo di Balera non fosse scappato (ieri sera a Matrix ha addirittura esibito la sentenza che avrebbe impedito il faccia a faccia) e gli italiani avessero potuto vedere, anche solo per mezzora, lui e Uòlter uno di fianco all'altro non avrei avuto dubbi: vinceva Uòlter tutta la vita. Troppo vecchio, troppo esplicitamente pataccaro, consunto venditore in declino, troppo pateticamente uguale a sé stesso (ha i capelli come Big Jim ha ragione Barro!), il palpaculi candidato premier per la quinta volta non avrebbe avuto chances. Me lo sarei giocato alla Snai o dagli inglesi, Uòlter, alla faccia dei sondaggi.
L'era della personalizzazione pura della poltica finalmente sembra essere giunta anche in Italia. Niente più partiti-chiesa e baracconi di falsi monaci che farneticano sui valori mentre puntano il portafogli, niente più (i hope) militanza demenziale in organizzazioni culturalmente fatiscenti per aspiranti nullafacenti disposti a farsi resettare il cervello (e a dire sempre di si) pur di arrivare. Questa è la promessa della versione italiana del bipartitismo, incarnata da Pd, Pdl e (soprattutto) dai loro leader. Non mi sfuggono i rischi e i punti di debolezza, primo fra tutti la seria possibilità che i temi che dividono su basi etiche sono già di fatto espunti dall'agenda di governo di ognuno dei due.
Nonostante tutto ho fiducia, perchè la vedo come una questione generazionale, l'Italia è indietro sui diritti civili, sullo svilupppo della Rete, sulle libertà, perché è vecchia. Niente di più. Cerco di farmi rassicurare dagli esempi: 1 / Pina Picierno, 26 anni ex Presidente dei giovani della Margherita e capolista per il piddì in Campania 2, ha votato quattro si al referendum sulla procreazione assistita ed è andata alla manifestazione di Arcigay per i Dico. 2 / Gabriele, 70 anni storico militante dei Ds (prima Pci- Pds) di dalemiana e comprovata fiducia, dopo un po' che ascoltava in silenzio la mia arringa a favore del matrimonio gay ha osservato che se fosse per me i busoni li metterei al muro.
L'Avanzo di Balera a Matrix ci
ha tenuto a precisare che i precari sono un problema sopravvalutato e
il vero problema sono i pensionati (le pensioni minime sono un dramma sociale, è vero, ma non in contrapposizione alla precarietà). Il partito conservatore e quello progressita sono una realtà, basta sintonizzare il cervello e (per chi ha tempo e voglia) ci sono tutte le possibilità per influenzarne il cammino. Per quanto mi riguarda credo che la poltica si debba occupare della cornice e (al massimo) dei colori, poi il proprio quadro ognuno deve poterselo dipingere da sé.
Lunedì e mercoledì mentre raggiungevo a piedi la stazione di Russi (il mio treno parte alle 8 e 48) l'asma mi stava piombando le gambe e il fiato mi si accorciava ogni volta che pensavo cazzo perdo il treno. Ho dovuto fermarmi più volte per riprendermi, ma per fortuna c'era sempre una panchina nei paraggi. Russi è un paese civile in cui ci sono ancora le panchine (dalle città le tolgono perché attirano i vagabondi) in mezzo alla strada.
Anche l'Italia ha il fiato corto e le panchine che ci sono non bastano più. Bisogna smetterla di fare i fighetti e chiedersi sul serio cosa si può fare per il Paese, non il contrario. Soprattutto dal 15 aprile.
Nella foto (che sembra arrivare dal casting di qualche Drive-In di un secolo fa) l'Avanzo di Balera al lavoro con tre semiminorenni, interinali del jet-set. Povera Evita (e povera Italia).
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27 febbraio 2008
AUDACI
 Il Corriere ha scoperto la campagna di rupture dell'Unef, il sindacato degli studenti franzosi, sul problema degli alloggi per i giovani. Secondo Marco Consoli La campagna che in Italia scatenerebbe sicuramente molte polemiche, in
Francia sembra aver già dato i suoi frutti: il ministro dell’Università
Valerie Pécresse ha annunciato un piano di investimenti pari a 620
milioni di euro per costruire 5.000 nuovi alloggi e ristrutturarne
7.000 all’anno, fino al 2012
Mah. L'Udu, il sindacato degli studenti nostrani, l'ha fatta identica nel secolo scorso (o al massimo nel 2000, l'avevo appiccicata sul frigo a casa di Bepi) su gentile concessione dell'Unef. E nessuno si era scandalizzato granché, né (pre)occupato troppo del problema degli alloggi per i giovani. Magari è un tema che appassiona solo quando se ne parla all'estero, o forse è la buona volta che diventa un argomento di dibattito anche qua (al posto dell'aborto, no?).
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28 agosto 2007
PORNOITALIA
 Non c'è bisogno di Corona che dichiara che "i personaggi più interessanti" (di una scena del crimine) sono le Gemelle K (fotomontate a Calderoli, sopra), per iniziare a porsi delle domande scomode sull'Italia del 2007. Basta prendere il treno o l'autobus, togliersi le cuffie dell'i-pod e ascoltare la gente.
Domenica stavamo tornando da Ravenna, di fronte a me sedeva una ragazza come tante. La sua attività telefonica era, naturalmente, frenetica: sms, telefonate fatte, ricevute "ma insomma perchè non risponde", ecc. Quando l'infernale oggetto, che non si decide a piazzare in tasca, squilla per l'ennesima volta decido di origliare.
"si... proontooo!... ciaaaooooo!!... no, guarda, è stato incredibbbile...! poi erano tutti carini... ci hanno trattato così beeene... pensa che addirittura ieri siamo finiti in 'sto posto... e dire che senza bazze non ti fanno entrare... Papeete, si... abbiamo visto il digggei... ringo dj... e c'era anche Corona... si, si... ma non siamo riusciti a vederlo...!"
Quando l'ha nominato ha abbassato la voce, come se si vergognasse, se avesse rintracciato in qualche angolo del cervello una sorta di pudore. Ma è stato solo un attimo, poi ha ripreso a strillare come un'aquila, felice e contenta.
Ogni paese ha le popstar che si merita. O è colpa degli '80 e dell'Avanzo di balera?
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