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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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3 gennaio 2012
MAYA O NON MAYA
 Il 2012 è l’anno dei Maya e della loro presunta profezia
sull’Armageddon. Il “presunta” è d’obbligo poiché l’unica cosa che ci
assomiglia è l’interpretazione dei disegni dell’ultima pagina del Codice di Dresda
(uno dei pochi documenti lasciati integri dalla furia evangelizzatrice)
effettuata dall’antropologo Arlen F. Chase: una serie di gravi
inondazioni della superficie terrestre e un periodo di oscuramento del
Sole.
Per il resto l’unica certezza è che per i Maya il 21 dicembre 2012 (al volgere del baktun
12) finisce l’Età dell’Oro, la loro quinta era e la fine del Lungo
computo di 5125 anni iniziato nel 3113 a.C. Quello che succederà,
quindi, è oggetto di speculazione filosofica e/o commerciale esattamente
come il resto delle previsioni e preveggenze in circolazione e la
stessa comunità Maya contemporanea tenta di dissociarsi da anni da
interpretazioni hollywoodiane dell’evento.
Di certo non è possibile prendere troppo alla leggera la capacità previsionale di tipo scientifico o, come direbbe Odifreddi
(ateista militante), aristotelico degli antichi sciamani Maya: rispetto
all’eclissi solare dell’11 agosto 1999 hanno sbagliato di una manciata
di secondi. Ma per sancire il fatto che questa era umana stia volgendo
al crepuscolo non c’è bisogno di abbuffarsi di tempeste solari, comete,
sbarchi di alieni e/o inversioni dei poli magnetici. Basta accendere il
focolare novecentesco all’ora del tg.
Crisi economica, politica, ambientale, tracollo energetico, guerre,
odio, razzismo, intolleranza, fame e miseria possono ben essere
interpretate come piaghe apocalittiche inferte a un’umanità indegna e
disperata, mentre la storia e il tempo sembrano esser stati messi in
pausa dall’atemporalità dell’artista creativo,
collettivo e sociale, che demolisce certezze e memoria nel baluginare
ipnotico di un futuro già presente. Al dio progresso si è sostituito un
senso di precarietà esistenziale che diventa causa prima di ogni scelta
individuale e collettiva e della via tecnologica alla salvezza.
In questo scenario l’ipotesi normalmente esotica dello showdown Maya (con tutte le analogie del caso con l’Apocalisse
di San Giovanni e le profezie di santi e mistici di ogni tempo) sta
creando gli ovvi cortocircuiti mediatici in grado di sbancare il
botteghino. Sette e sabba, meditazioni e kolossal, bunker
che spuntano come funghi, centinaia di migliaia di siti internet aperti
e di copie di libri di genere venduti, cinquanta milioni di visitatori
previsti nei più importanti siti archeologici latinoamericani da qui al
Solstizio della verità.
Anche l’accanimento dei vari Cicap va al di là della comprensibile ubbia per lo scacco matto inferto dal disprezzato culturame new-age, che alligna nelle periferie della Rete ma grazie al brand 2012 esonda quotidianamente sul mainstream,
e rivela l’ansia di ogni monoteismo sfidato sullo scivoloso terreno
della metafisica. La Chiesa è in crisi, il mercato pure, la politica non
ne parliamo, l’ortodossia misuratrice della scienza positivista
potrebbe uscire con le ossa rotte da una stagione di ricerca spirituale,
libera, metafisica e, pertanto, non ascrivibile ai soliti steccati.
Nessuno è in grado di predire il futuro, ma un po’ può aiutare il
passato. Anche senza scomodare quello arcaico e lacunoso degli indigeni
mesoamericani, la storia (personale e collettiva) insegna che ogni fase
di profonda trasformazione porta con sé fatica e dolore. Non è detto,
poi, che andrà meglio (come sostengono i santoni new-age), ma di certo nulla sarà più come prima. Per una semplice ragione: non lo è già più.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage. "As above, so below" mimato sulla cover di "Pussy", singolo dei Rammstein uscito nel 2009, l'ho preso qui.
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13 aprile 2011
TOKYODRAMA
 “«Peppe, sei uno degli ultimi degli italiani rimasti a Tokyo. Ti
prego, scappa». Sarebbe iniziata così la telefonata ricevuta martedì
mattina da Giuseppe Erricchiello, in arte Peppe, pizzaiolo nato 26 anni
fa ad Afragola, vicino a Napoli, e residente a Tokyo da cinque anni. Una
telefonata fatta dall’ambasciata italiana nella città giapponese,
secondo quanto riferisce lo stesso pizzaiolo, ma smentita dalle fonti
consolari italiane di Tokyo tramite funzionari del ministero degli
Esteri a Roma. Peppe è uno dei molti che hanno fatto grande l’Italia
all’estero. La sua storia fa comprendere il valore, il coraggio, la
dolcezza e la semplicità di questo ragazzo dal naso partenopeo. Peppe
non padroneggia un italiano perfetto e l’inflessione dialettale è
predominante, ma ciò che dice e racconta arriva sempre dritto al cuore”.
Tocca
ad Alessia Cerantola e Scilla Alessi su un blog della BBC l’onere di
giustiziare, con dovizia di particolari scabrosi quasi quanto “Peppe,
l’ultimo italiano a Tokyo” (comparso sul Corriere online e praticamente
riscritto dopo poche ore di mail e messaggi di protesta), l’operato dei
giornali italiani sul disastro giapponese. L’articolo
su Peppe (con tanto di foto con sorriso e impasto in bella vista) è uno
dei tre esempi fornite dalle due giornaliste di informazione
catastrofista e dilettantesca, insieme alla galleria di foto sul Saitama (lo stadio-rifugio dei contaminati) e a “Tokyo capitale dell’agonia. ‘Qui non vivremo più’”, entrambi pubblicati da Repubblica.it.
“La gente si raduna a pregare e a bruciare incenso. I cibi
confezionati, purché prodotti prima dell’11 marzo, sono introvabili e il
loro prezzo è salito di sette volte. Invenduti i generi freschi.
Migliaia di taxi sostano in attesa di clienti già lontani, mentre le
stazioni dei treni scoppiano di viaggiatori carichi di scatole e
valigie. Molti distributori di carburante sono chiusi e quelli aperti
non vendono più di dieci litri di benzina a testa, da portarsi via in
una tanica.” Come 28 giorni dopo,
ma a distanza di sicurezza. Forse il pathos narrativo delle grandi
testate italiane è stata una scelta di mestiere obbligata, visto che gli
unici corrispondenti fissi da Tokyo scampati ai tagli di bilancio e al
rinnovato interesse per la Cina sono rimasti quelli di Sky Tg24, del
Manifesto e dell’Ansa.
O forse è più semplice raccontarla a cazzo di cane, come a Hollywood, così la gente capisce, si caga sotto e magari si vendono più copie. Invece secondo Mikihito Tanaka, Associate Professor at the Journalism School of Waseda University and research manager at the Science Media Center in Tokyo, la
globalizzazione e la rivoluzione tecnologica stanno creando un pubblico
di lettori professionisti dello scetticismo facile, specie quando il
sensazionalismo cialtrone egemonizza il tono e i contenuti di grandi
giornali, araldi a giorni alterni della libertà d’informazione made in
Italy (minacciata dall’impero del male del premier).
E così quasi nessuno ha trovato un po’ di spazio per raccontare, senza stereotipi da rotocalco, la realtà di un popolo fiero e capace di autorganizzarsi al punto da creare reti civiche per
monitorare le radiazioni nell’acqua, nei cibi e nell’ambiente,
diventando così fonte diretta d’informazioni vitali per i media e
soprattutto per i propri concittadini. Non stupisce, ma in qualche
misura conforta, che la sostanziale correzione di rotta di una settimana
di svacco hollywoodiano delle portaerei mediatiche nostrane sia
arrivata grazie alle mail di protesta e al lavoro (in gran parte non
pagato) di blogger, siti e social network. Che li hanno messi alla berlina senza pietà.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage (da cui è tratta anche l'immagine).
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6 febbraio 2008
SPI BATTE HOLLYWOOD?
 Secondo tutti i sondaggi, nelle primarie democratiche USA i giovani stanno con Obama e i vecchi con Hillary.
I vecchi saranno meno mediatizzabili ma annusano l'aria in fretta. C'è aria di crisi e l'assicurazione sanitaria li preoccupa di più dell'endorsement della star del cuore. Quindi sono andati a votare in massa. Quelli di New York, del Ney Jersey e del Massachusetts pare abbiano confermato i sondaggi, quelli sui vecchi che votano Hillary. Smentendo quelli di tre ore fa.
Nell'immagine, una campagna di qualche anno fa, realizzata con Fabio Bolognini e Manuel Dall'Olio per l'agenzia Exploit di Bologna.
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