8 agosto 2012
SINISTRA E/A PUTTANE
 “Erano queste giovani [sacerdotesse, ndr] che avevano, anche, il nome di «vergini» (parthénoi ierai), di «pure», di «sante» – qadishtu, mugig, zêrmasîtu;
si pensava che incarnassero, in un certo modo, la dea, che fossero le
«portatrici» della dea, da cui traevano, nella loro specifica funzione
erotica, il nome – ishtaritu. L’atto sessuale assolveva così
per un lato la funzione generale propria ai sacrifici evocatori o
ravvivatori di presenze divine, dall’altro aveva una funzione
strutturalmente identica a quella della partecipazione eucaristica: era
lo strumento per la partecipazione dell’uomo al sacrum, in questo caso portato e amministrato dalla donna.”
C’è bisogno della Metafisica del Sesso di Julius Evola per
mettere un po’ di ordine intorno a quello che, un po’ sbrigativamente ma
non senza una ragione profonda, è conosciuto come il “mestiere più antico del mondo”.
“Puta” è una radice sanscrita presente nei Veda indiani, poi esondata
dall’Avesta alle lingue romanze, che allude a qualcosa di puro, santo.
La “Grande Prostituta” o “Vergine Santa”, infatti, anticamente era una
sacerdotessa che amministrava il culto della dea.
“L’atto sessuale tra un uomo e la sacerdotessa era il mezzo per
ricevere la gnosi, per fare esperienza del divino [...]. Il corpo della
sacerdotessa diventava, in modo impensabile per il mondo occidentale
contemporaneo, letteralmente e metaforicamente una via per entrare in
rapporto con gli dei [...]. Per i pagani, infatti, le donne erano
naturalmente in contatto con il divino, mentre l’uomo, da solo, non
poteva raggiungere questo obiettivo.”
Sino ai tempi dei romani il termine “vergine” significava “nubile”, tant’è che in latino a “virgo” si affiancava l’allocuzione “virgo intacta”
per identificare la ragazza non sposata e priva di esperienza sessuale.
Non stupisce, dunque, la trasfigurazione etimologica – e culturale –
operata dalla gestione patriarcale del messaggio di Cristo. In più i
cristiani, junior del Vecchio Testamento, erano avvantaggiati: gli avi
ebrei erano stati i primi a liberarsi del culto della dea e a
sostituirla con il (presunto) unico dio maschio.
Proprio una Vergine sarà la madre del Salvatore e il suo carisma si
diffonderà con trasversale rapidità. Le madonne nere di Francia, il
culto di Iside, le eredità etrusche, cretesi e druidiche, insieme al
Natale e alle altre feste copiaincollate su quelle pagane e
celtiche, si fondono nel Cristianesimo che porta a compimento il
rovesciamento dei poli, iniziato dagli ebrei e dalle invasioni di
elleni, dori e achei nella Grecia pre-socratica e matriarcale: gli
uomini amministrano il culto, le donne sono sante o puttane.
Le antiche sacerdotesse della luna vengono sfrattate dagli altari e
sbattute in strada, proprietarie solo di quel corpo che un tempo fu il
tempio e ora diventa l’icona del peccato. Maddalena non per caso
assurgerà a simbolo di resistenze carbonare, oltre che a croce e delizia
della sbandierata tolleranza della religione del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo (tutti con la “o”). Così come i padroni maschi del pantheon
greco si erano dovuti inventare il parto cerebrale di Era da parte di
Zeus, per giustificare la patrilinearità celeste su cui poggiava il loro
potere ai piedi dell’Olimpo.
La sessuofobia contemporanea, quindi, non è che un retaggio
antropologico antico, un riflesso condizionato di quel naturale timore
reverenziale che ogni maschio di potere prova nei confronti di una donna
libera e del suo corpo. Tutto quello che ne discende, in termini di tic
e paranoie culturali sull’educazione, la cultura, il buon gusto e
persino la politica, è solo un pallido rimbalzo di una partita antica
come il sole e la luna. Il beghinaggio moralista su videogiochi,
pornografia, preservativi e tutto il resto è tutto qui.
Ma c’è anche la tolleranza. Questa dev’essere una delle ragioni per cui il motto – il mestiere più antico del mondo
– è ancora valido. Le prostitute sono sempre state tollerate, spesso
utilizzate per le “necessità corporali” di papi, confratelli e prelati,
come monito del peccato ma anche della possibile redenzione, incarnata
dalla sempiterna Maddalena. Tolleranza non vuol dire uguaglianza, però.
Anzi. La condizione di minorità, di clandestinità professionale, di
oscurità sociale è essenziale, per il monito.
Niente di male, intendiamoci: la Chiesa fa la sua partita. Quello che
disarma, come al solito, è la nullità culturale e la sudditanza
politica espressa dai sinistri moralizzatori che si ergono a paladini
dei diritti della donna, con la “d” maiuscola. E non spostano un fico
secco circa le condizioni materiali delle donne in carne ed ossa che,
per scelta, costrizione o (estremo peggio) schiavitù, si prostituiscono
per strada.
L’ultima della lista è la neo-portavoce del governo Hollande, Najat Vallaud-Belkacem, che ha dichiarato: “Non si tratta di sapere se vogliamo abolire la prostituzione, ma di trovare gli strumenti per farlo”. Le “sex workers”
di Francia (lì le case chiuse sono state abolite nel 1946), circa
ventimila di cui ottomila solo a Parigi, sono scese in piazza per
protestare, volto coperto da maschere di plastica e lavagnetta al collo
con su scritto: “Non siete voi a riempirmi il frigo, a pagarmi le
bollette, perciò non potete parlare”.
In Italia la senatrice radicale Poretti, che ha proposto un disegno di legge per
la legalizzazione della prostituzione, ha fatto i conti: “settantamila
prostitute presenti nel nostro Paese per nove milioni di clienti e un
costo medio per prestazione di trenta euro fa un giro d’affari,
sicuramente per difetto, di novanta milioni al mese, oltre un miliardo
l’anno”. In tempi di crisi nera forse è meglio tassare l’ipocrisia di
Stato, visto che la prostituzione in sé non è reato, piuttosto che
strangolare imprese e pensionati.
Un barlume di lucidità giunge dalla Romagna. A Ravenna il sindaco Matteucci ha annunciato
recentemente il progetto per la “zonizzazione” della città, prevedendo
alcune zone illuminate e sicure per farle lavorare in santa pace. Si è
anche lanciato in un’apologia liberalizzatrice commovente sulla
necessità di una legge che regolamenti il mestiere più antico del mondo
con laica serietà. In tempi normali sarebbe una battaglia persa in
partenza, chissà se la fame si dimostra catartica.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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