15 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE
Dalle mie parti il Pd si chiama ancora Partito, con la “p”
maiuscola”. Al di là degli aspetti folk (tortellini e cappelletti fatti a
mano alle feste dell’Unità, volontari che distribuiscono il giornale al
mattino, ecc.), la presenza dell’organizzazione erede del più grande
partito comunista d’Occidente si fa sentire in pressoché tutti gli
ambiti della società e della vita biologica di chiunque ne faccia parte,
a qualunque livello.
L’intreccio fra Partito, Sindacato e Lega (che da queste parti
significa ancora Lega delle cooperative) è la cifra distintiva del
sistema emiliano, che nel corso degli anni ha definito comunità omogenee
sotto il profilo politico, economico e culturale. Per lavorare, fare
impresa, aprire una scuola di yoga o di tango argentino, farsi una
partita a tressette con gli amici, presentare la dichiarazione dei
redditi o farsi controllore i contributi per la pensione, andare a
ballare o a sentire un concerto rock, in una maniera o nell’altra
s’incoccia quasi sempre un qualche nipotino di Gramsci e Togliatti.
Quasi ogni paese, città, Provincia, oltre che la Regione, sono stati
governati per sessant’anni dalla stessa famiglia politica e dalle
filiazioni che da essa sono scaturite, al punto che quando queste
stagioni sono state interrotte bruscamente dalla vittoria degli “altri”
(Parma nel 1998 e Bologna nel 1999, i casi più celebri) sulle gazzette
locali (ma anche nazionali ed estere) si è gridato all’evento.
Intendiamoci: mediamente la qualità amministrativa è alta e gli asili
nido della regione, per citare un esempio noto, hanno fatto scuola in
tutto il mondo.
L’altra faccia della medaglia è l’aria da regime che, soprattutto in
provincia, tira più o meno forte a seconda dei personaggi che si trovano
al timone. Sarà banale dirlo ma la fine dell’ideologia, intese come
religione civile che tutto teneva (non solo la grinta per tirare la
pasta sfoglia dei tortellini o le ferie prese per fare volontariato allo
stand della pesca gigante, ma anche l’omertà pietosa rispetto ad abusi e
ruberie in nome del partito o del proprio conto corrente), ha fatto
tracimare sovente ambizioni e appetiti.
Se a parole si cantano le lodi del libero mercato e del partito
aperto e contendibile, nel profondo rosso padano si affilano i coltelli
per scannare chiunque si avvicini al bandolo della matassa di potere,
che tutto avvinghia. Il gap ideale e progettuale con un passato
in cui, altro che Facebook, nel bene e nel male si faceva notte in
sezione per determinare la “linea” fa il resto. Così la fedeltà è
reclamata non più sulla base di notti trascorsi a sputar fumo e
presentar mozioni, ma sempre più spesso sul terrore di non lavorare più o
di essere esclusi, in una maniera o nell’altra, dai giochi.
Far finta che l’Italia non sia, da sempre, una congrega di congreghe
(chiuse come ricci ad ogni minacciosa novità) è una della ribalderie più
ricorrenti degli osanna al libero mercato, che tutti i mali spazza via.
Ma c’è un momento in cui ogni congrega omogenea (pace sociale mixata
con omologazione e conformismo) va in crisi: quando non è più in grado
di assicurare benessere e qualità della vita (seppur minima) alla
maggior parte di chi ci vive e, magari, i suoi capitani non si stanno
dimostrando abbastanza coraggiosi.
In Emilia-Romagna, prima un po’ la Lega (Nord) poi Grillo hanno preso
a scavare come talpe sotto i piedi del consenso consolidato del
Partitone, apparentemente inossidabile. Ma mentre le sparate contro le
moschee o altre bizzarrie tipo la Romagna indipendente (“Nazione
Romagna” era lo slogan leghista, se non ricordo male) lasciano il tempo
(e i voti) che trovano, la guerra per la salute (effetto collaterale di
partite di business già chiuse in partenza) del Movimento a 5 Stelle comincia a pagare.
Acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo sono le cinque
stelle polari che orientano l’azione del movimento sul territorio,
mentre la democrazia diretta (assemblee pubbliche e forum online
al posto delle riunioni nelle sezioni di partito) è lo strumento di
partecipazione, sedicente rivoluzionario. Naturalmente il web già
pullula di leggende metropolitane circa lo stalinismo di Grillo e le mire occulte dei suoi spin doctor
di Casaleggio&Associati, veri registi occulti di tutta la baracca
(secondo l’inevitabile vulgata complottarda) e assertori di un nuovo ordine mondiale, vagamente orwelliano. Stiamo alla politica.
“Parma è una città indebitata, con un grave dissesto economico. Il
MoVimento 5 Stelle è un salto nell’ignoto, nel domani. Gli altri sono la
continuità con il passato, la certezza del suicidio assistito. Vincenzo Bernazzoli,
il candidato del Pdmenoelle è presidente della Provincia di Parma (ma
le Province non dovrebbero essere abolite?) in carica (così se perde
conserva il posto di lavoro) e sostenitore dell’inceneritore (che causa
neoplasie), ha spiegato che il futuro di Parma è nel maggiore
indebitamento bancario e che (nessuna paura) i suoi uomini sanno come
trattare con i banchieri.”
Oltre che con Federico Pizzarotti a Parma (amministrata dal centrodestra da quasi quindici anni), definita nello stesso post da Grillo “la nostra piccola Stalingrado”, il M5S è al ballottaggio a Budrio (in provincia di Bologna) con Antonio Giacon vs Giulio Pierini (Pd) e a Comacchio (in provincia di Ferrara) con Marco Fabbri vs Alessandro Pieroni
(centrosinistra allargato all’Udc). In tutti e tre i comuni della
Regione in cui si vota lo scontro è tra il Partitone e i nuovi barbari
di Grillo.
Da qui a domenica cercherò di raccontare le disfide elettorali, i
protagonisti e le ragioni del contendere. Proverò a tracciare piccoli
affreschi di paese in grado di sgombrare il campo dalla fuga nello
stereotipo che caratterizza il mainstream nostrano e di capirci qualcosa
nel piccolo terremoto in corso.
Per ora l’unico che ha accettato di parlare con tFP, il
candidato sindaco del Pd a Budrio, mi ha stupito lamentando una
strumentalizzazione “tutta nazionale” di un voto locale. E io che
pensavo che fossero proprio i temi locali il cavallo di battaglia delle
liste legate al brand Grillo. Spero che i candidati del M5S,
contattati su Facebook nei giorni scorsi, sappiano far luce su questo
piccolo mistero e sul resto. Diversamente dovrò affidarmi solo alla
ricerca e il racconto sarà inevitabilmente più sfuocato.
(1 – continua)
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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5 giugno 2008
ANCHE GLI AYURVEDICI PIANGONO
 Un mese fa ho letto questo sulla Pravda. Temo che il medico ayurvedico protagonista della disavventura giudiziaria dell'articolo sia lo stesso G.S. che qualche mese fa, dopo il nostro primo consulto, è sparito. Erano i primi giorni da incubo (tra crisi d'asma e di ansia) della terapia, con la moglie (titolare dell'erboristeria ayurvedica che ha il monopolio delle medicine che prescrive il marito) che diceva di non portarmi all'ospedale e di continuare a chiamarlo.
Dopo che il marito quando è ricomparso ha detto il contrario (dovevi portarlo in ospedale), dopo che per tutto il week-end non ha risposto al telefono (avevo altro da fare) e dopo che ha scoperto che erano marito e moglie, ma si davano del lei in pubblico, Vanessa l'ha mandato a spendere.
Se è lui ora è sotto processo per omicidio colposo. Un bambino di sei anni ha interrotto la terapia tradizionale contro la fibrosi cistica, l'ha sostituita del tutto con le (a me ben note) pasticche (integratori, sali minerali, erbe) e c'è rimasto secco.
Io ho cambiato medico ayurvedico (il dottor Lisciani è un siciliano scapigliatissimo, bravo e disponibile) e ne ho preso uno tradizionale (dott. Avati, per par condicio) ma di polso, che mi ha bastonato di cortisone, antibiotici, antistaminici. Adesso però non scrivo che sto meglio: l'ultima volta ha portato una discreta sfiga.
L'immagine l'ho presa qui. Che cazzo è 'sta ayurveda? Qui.
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23 ottobre 2007
TENGO FAMIGLIA AYURVEDICA
Quando lo sciamano di via Boldrini alla fine ha richiamato, lunedì mattina, ha avuto la sfiga di imbattersi in Vanessa. "Sono passate le 48 ore e non è più un suo problema. Può tranquillamente cancellare l'appuntamento del 2 novembre... ognuno va per la sua strada. Lei con i suoi clienti, noi con la nostra dieta ayurvedica che non abbiamo nessuna intenzione di smettere...". Sabato aveva tentato di chiamarlo più volte, io stavo male, ma lui "aveva altri impegni".
Sabato pomeriggio, dal fornaio di via Riva Reno che tiene prodotti compatibili (a base di farro, farina d'avena, ecc.), Vanessa si era imbattuta nella commessa dell'erboristeria ayurvedica di via Galliera (300 bigliettoni di spesa e pasticche), dove la titolare ci aveva consigliato il medico di via Boldrini. Alla fine la bottegaia l'ha salutata con familiarità "Ciao, salutami papà... come va lo studio? E la mamma... come va l'erboristeria?
Tra loro si chiamano dottore e dottoressa e fanno finta di niente (la figlia poi è una dissimulatrice straordinaria), con impersonale professionalità. Forse sospettano che "vai da mio marito, che con 110 bigliettoni ogni tre settimane fa meraviglie" suoni peggio di "le consiglio il dottor Sartori, questo è il suo biglietto".
DIsgraziatamente Bologna è piccola e i 500 bigliettoni spesi allo studio di papà e in bottega da mamma si pensava fossero sufficienti per una telefonata. Specie quando si lascia in segreteria "dottore, Orione ha gravi problemi respiratori e abbiamo già rischiato due volte di andare al pronto soccorso, la prego di richiamarmi appena possibile".
vanessa
orione
ayurveda
famiglia
| inviato da orione il 23/10/2007 alle 23:17 | |
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