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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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15 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE
Dalle mie parti il Pd si chiama ancora Partito, con la “p”
maiuscola”. Al di là degli aspetti folk (tortellini e cappelletti fatti a
mano alle feste dell’Unità, volontari che distribuiscono il giornale al
mattino, ecc.), la presenza dell’organizzazione erede del più grande
partito comunista d’Occidente si fa sentire in pressoché tutti gli
ambiti della società e della vita biologica di chiunque ne faccia parte,
a qualunque livello.
L’intreccio fra Partito, Sindacato e Lega (che da queste parti
significa ancora Lega delle cooperative) è la cifra distintiva del
sistema emiliano, che nel corso degli anni ha definito comunità omogenee
sotto il profilo politico, economico e culturale. Per lavorare, fare
impresa, aprire una scuola di yoga o di tango argentino, farsi una
partita a tressette con gli amici, presentare la dichiarazione dei
redditi o farsi controllore i contributi per la pensione, andare a
ballare o a sentire un concerto rock, in una maniera o nell’altra
s’incoccia quasi sempre un qualche nipotino di Gramsci e Togliatti.
Quasi ogni paese, città, Provincia, oltre che la Regione, sono stati
governati per sessant’anni dalla stessa famiglia politica e dalle
filiazioni che da essa sono scaturite, al punto che quando queste
stagioni sono state interrotte bruscamente dalla vittoria degli “altri”
(Parma nel 1998 e Bologna nel 1999, i casi più celebri) sulle gazzette
locali (ma anche nazionali ed estere) si è gridato all’evento.
Intendiamoci: mediamente la qualità amministrativa è alta e gli asili
nido della regione, per citare un esempio noto, hanno fatto scuola in
tutto il mondo.
L’altra faccia della medaglia è l’aria da regime che, soprattutto in
provincia, tira più o meno forte a seconda dei personaggi che si trovano
al timone. Sarà banale dirlo ma la fine dell’ideologia, intese come
religione civile che tutto teneva (non solo la grinta per tirare la
pasta sfoglia dei tortellini o le ferie prese per fare volontariato allo
stand della pesca gigante, ma anche l’omertà pietosa rispetto ad abusi e
ruberie in nome del partito o del proprio conto corrente), ha fatto
tracimare sovente ambizioni e appetiti.
Se a parole si cantano le lodi del libero mercato e del partito
aperto e contendibile, nel profondo rosso padano si affilano i coltelli
per scannare chiunque si avvicini al bandolo della matassa di potere,
che tutto avvinghia. Il gap ideale e progettuale con un passato
in cui, altro che Facebook, nel bene e nel male si faceva notte in
sezione per determinare la “linea” fa il resto. Così la fedeltà è
reclamata non più sulla base di notti trascorsi a sputar fumo e
presentar mozioni, ma sempre più spesso sul terrore di non lavorare più o
di essere esclusi, in una maniera o nell’altra, dai giochi.
Far finta che l’Italia non sia, da sempre, una congrega di congreghe
(chiuse come ricci ad ogni minacciosa novità) è una della ribalderie più
ricorrenti degli osanna al libero mercato, che tutti i mali spazza via.
Ma c’è un momento in cui ogni congrega omogenea (pace sociale mixata
con omologazione e conformismo) va in crisi: quando non è più in grado
di assicurare benessere e qualità della vita (seppur minima) alla
maggior parte di chi ci vive e, magari, i suoi capitani non si stanno
dimostrando abbastanza coraggiosi.
In Emilia-Romagna, prima un po’ la Lega (Nord) poi Grillo hanno preso
a scavare come talpe sotto i piedi del consenso consolidato del
Partitone, apparentemente inossidabile. Ma mentre le sparate contro le
moschee o altre bizzarrie tipo la Romagna indipendente (“Nazione
Romagna” era lo slogan leghista, se non ricordo male) lasciano il tempo
(e i voti) che trovano, la guerra per la salute (effetto collaterale di
partite di business già chiuse in partenza) del Movimento a 5 Stelle comincia a pagare.
Acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo sono le cinque
stelle polari che orientano l’azione del movimento sul territorio,
mentre la democrazia diretta (assemblee pubbliche e forum online
al posto delle riunioni nelle sezioni di partito) è lo strumento di
partecipazione, sedicente rivoluzionario. Naturalmente il web già
pullula di leggende metropolitane circa lo stalinismo di Grillo e le mire occulte dei suoi spin doctor
di Casaleggio&Associati, veri registi occulti di tutta la baracca
(secondo l’inevitabile vulgata complottarda) e assertori di un nuovo ordine mondiale, vagamente orwelliano. Stiamo alla politica.
“Parma è una città indebitata, con un grave dissesto economico. Il
MoVimento 5 Stelle è un salto nell’ignoto, nel domani. Gli altri sono la
continuità con il passato, la certezza del suicidio assistito. Vincenzo Bernazzoli,
il candidato del Pdmenoelle è presidente della Provincia di Parma (ma
le Province non dovrebbero essere abolite?) in carica (così se perde
conserva il posto di lavoro) e sostenitore dell’inceneritore (che causa
neoplasie), ha spiegato che il futuro di Parma è nel maggiore
indebitamento bancario e che (nessuna paura) i suoi uomini sanno come
trattare con i banchieri.”
Oltre che con Federico Pizzarotti a Parma (amministrata dal centrodestra da quasi quindici anni), definita nello stesso post da Grillo “la nostra piccola Stalingrado”, il M5S è al ballottaggio a Budrio (in provincia di Bologna) con Antonio Giacon vs Giulio Pierini (Pd) e a Comacchio (in provincia di Ferrara) con Marco Fabbri vs Alessandro Pieroni
(centrosinistra allargato all’Udc). In tutti e tre i comuni della
Regione in cui si vota lo scontro è tra il Partitone e i nuovi barbari
di Grillo.
Da qui a domenica cercherò di raccontare le disfide elettorali, i
protagonisti e le ragioni del contendere. Proverò a tracciare piccoli
affreschi di paese in grado di sgombrare il campo dalla fuga nello
stereotipo che caratterizza il mainstream nostrano e di capirci qualcosa
nel piccolo terremoto in corso.
Per ora l’unico che ha accettato di parlare con tFP, il
candidato sindaco del Pd a Budrio, mi ha stupito lamentando una
strumentalizzazione “tutta nazionale” di un voto locale. E io che
pensavo che fossero proprio i temi locali il cavallo di battaglia delle
liste legate al brand Grillo. Spero che i candidati del M5S,
contattati su Facebook nei giorni scorsi, sappiano far luce su questo
piccolo mistero e sul resto. Diversamente dovrò affidarmi solo alla
ricerca e il racconto sarà inevitabilmente più sfuocato.
(1 – continua)
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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6 giugno 2011
ATTENTATO ALLA NEGROMANZIA
“A Nichi Vendola voglio bene. Ma quando va in una città che non
conosce dovrebbe ascoltare più che parlare”. Promette proprio bene il
sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, che non ha digerito il
comizietto al solito tempestoso e appassionato con cui il leader di
Sinistra e Libertà ha salutato la sua storica vittoria, in Piazza del
Duomo. Il carisma da trasferta del governatore della Puglia, aspirante
Pisapia nazionale, è stato giudicato inelegante e inopportuno dal
“sindaco di tutti”, che ha puntualizzato stizzito che “a Milano si è
vinto perché abbiamo parlato dei problemi di Milano”.
Il negromante Vendola,
a regola, se la deve guadagnare anche e soprattutto in casa propria e
non basteranno i “comizi d’amore” e l’ispirazione poetica per ottenere
lo scettro di candidato premier del centrosinistra. Anche il carisma
popolano (supponendo che il cosiddetto popolo si disinteressi del tutto
ai congiuntivi) di Antonio Di Pietro sembra essere offuscato dalla nuova
pop star manettara che, fresco dell’immunità concessa dal
Parlamento Europeo nella causa per diffamazione intentatagli da
Mastella, ha sbancato l’elezione a sindaco di Napoli con oltre trenta
punti di scarto sul candidato del Pdl e senza apparentarsi col Pd.
Ma il grande sconfitto, celebrato da tutti i giornali, che s’è
candidato al consiglio comunale di Milano e ha preso la metà dei voti
dell’altra volta, è il negromante-capo. L’attuale (e spesso deprecata a
vuoto) personalizzazione della politica è una sua creatura, così come la
cultura di massa che ha segnato nel bene e nel male l’Italia a colori e
ha preparato il terreno. Ora forse gli è sfuggita di mano. L’era
televisiva è agli sgoccioli e il solo fatto di dare la colpa della sua
sconfitta a Santoro & Co. la dice lunga sulla consapevolezza
dell’uomo circa la contemporaneità e i suoi crucci. Berlusconi è
invecchiato davvero.
Fini, Casini e Rutelli, aspiranti negromanti da una vita, non se la
passano molto meglio. Certo, possono consolarsi con il solito balsamo
della rendita di posizione che, un po’ qui un po’ là, garantisce al
cosiddetto Terzo polo (che al pari degli altri due è diviso su tutto ciò
che in politica è fondamentale: valori, opzioni etiche, visoni del
mondo) qualche scampolo di esistenza che solo l’Italia delle eterne
signorie non rende del tutto effimera. Niente a che spartire con il
sogno finiano della destra legalitaria e liberale che scaldava i cuori
anche a sinistra (non sembra passato un secolo?) o con l’improbabile
riscossa neo-democristiana dai capelli ormai quasi tutti bianchi, ma
ancora abbastanza George Clooney per seguitare a prendere voti in
parrocchia (Casini e Rutelli sono interscambiabili a tale proposito).
Chi pare non avere di questi problemi è il segretario del Pd. Bersani
è unanimemente considerato l’anti-carisma per antonomasia e, di
conseguenza, la nemesi antropologica di negromanti e arruffa-popolo. Di
certo l’insperato trionfo elettorale della sua parte politica si deve a
una nuova leva di negromanti che, per consolidare il potere acchiappato,
si vede costretta ad ammazzare i padri, spesso vecchi e ingombranti. Il
rabdomante Grillo l’ha capito al volo con De Magistris (ogm scoperto
dal comico genovese e impiantato nell’Idv) e ha tentato di azzannare per primo tirando su il solito teatrino all’italiana.
Con la negromanzia berlusconiana al tramonto e i leader “usato
sicuro” di centro, destra e sinistra in potenziale affanno, a Bersani
tocca la scelta. Giocare in proprio, puntando sulla sua immagine di
“affidabile riformista con la testa sulle spalle”, o puntare su un
negromante di partito (c’è?) in grado sia di scaldare i cuori che di
governare l’Italia? Non si sa contro chi correrà ma vista la posta in
gioco conviene puntare sul migliore, anche se significa sacrificare un
po’ di ego. Siam mica qui a smacchiare i giaguari, o no?
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17 settembre 2007
QUALITÀ GRILLO
 Non sta facendo politica, né tirando sù un partito. Si sta solo apprestando a dare le pagelle. Dopo averci spiegato in lungo e in largo chi sono i cattivi (politici e pregiudicati) ora è il turno di svelare le liste dei buoni. Candidabili alle elezioni amministrative. Ma come fare a distinguerli dalle male piante che infestano le liste elettorali? Basta la certificazione di qualità: il bollino Grillo.
"Le liste che aderiranno ai requisiti che pubblicherò sul blog tra qualche giorno avranno la certificazione di trasparenza “beppegrillo.it”. Tra i requisiti ci saranno, ad esempio, il non essere iscritti a partiti ed essere incensurati."
Alla faccia di chi continua a menarla sulla rivoluzione della partecipazione, l'assenza di leadership, l'esperimento di democrazia diretta. Grillo decide l'antropologia dei candidati (niente iscritti a un partito, solo gente incensurata) e lo comunica on-line. Un esempio inarrivabile di gerarchizzazione del messaggio, la separazione radicale tra l'emittente (lui) e il destinatario: la massa-folla, vero e proprio target.
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