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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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19 maggio 2011
LA MARCHESA DEL GRILLO
Se fosse venuta la tentazione di considerare quella di Bologna una
mezza vittoria per il Pd, un 50,41% che impallidisce non solo davanti
all’impresa di Pisapia a Milano e al colpo di teatro napoletano di De
Magistris, ma pure di fronte al successo di Fassino a Torino, basti
ricordare che due anni fa a Delbono occorse il secondo turno prima di
piegare Cazzola. E che nel 1999, prima della parata trionfale del commissario del popolo
Sergio Gaetano Cofferati, a salutare l’ingresso di Guazzaloca a Palazzo
D’Accursio come primo e ultimo sindaco di centrodestra c’erano le
bandiere di Ordine Nuovo e diversi gentiluomini con la testa rasata e il
braccio teso.
Il centrosinistra bolognese è stato capace, in mezzo secolo e
passa di governo della città, di mettere in piedi un sistema economico,
produttivo e di potere che ha garantito una qualità della vita, dei
servizi e delle tutele che per lunghi anni ha reso la vecchia signora dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano ed il culo sui colli, come l’ha cantata Guccini, una fra le mete più ambite per studiare, lavorare, metter su famiglia, giocare ai bissanot (in dialetto, letteralmente, “mastica-notte”). Ora il modello mostra la corda.
Le cause prime non sono imputabili alla politica. Globalizzazione dei
gusti e dei problemi, omogeneizzazione tecnologica e culturale,
invecchiamento della popolazione e conseguente gap di
comunicazione con la popolazione studentesca (vera e propria città nella
città), affitti e costo della vita alle stelle hanno congiurato per
trasformare Bologna in una cittadina medioevale fra le tante. Tutta la
mistica che ne ha accompagnato l’immagine, quindi (grassa, tollerante,
solidale, godereccia, ecc.), ha iniziato a sgretolarsi innanzitutto fra i
bolognesi stessi, che hanno cominciato a non crederci più.
Le responsabilità della classe dirigente iniziano qui. L’avere
giocato di rimessa, senza prendere di petto il cambiamento (o declino a
sentire i pessimisti) che avveniva sotto gli occhi dei bolognesi (che
ne parlano fra loro, nei bar e nelle osterie, da vent’anni), si è
trasformato in una sorta di silente complicità. Il cambiamento, si sa, o
lo si governa o lo si subisce e il centrosinistra bolognese ha optato
per la seconda strada, arroccandosi in un autoesilio politico-culturale
fatto di faide continue, personalismi, navigazione a vista che ha
finito per far smarrire il senso del progetto, quell’impostazione
felicemente sovietica (pianificazione) che aveva permesso a Dozza,
Fanti e Zangheri di fare Bologna.
Il Movimento 5 Stelle è stata l’unica forza politica capace
d’interpretare questo sentimento/sensazione di disillusione/disincanto,
diffuso tra i bolognesi ben al di là delle percentuali ottenute dalla
lista di Grillo, e di formulare un’offerta politica conseguente e
vincente. Significativamente i maggiori successi, in Italia, il hanno
ottenuti laddove il centrosinistra è figlio di un passato glorioso,
ininterrottamente al potere da decenni, ma appare fiacco perché privo di
strategia e/o di leadership carismatiche: Bologna, Rimini e Ravenna (tutti e tre tra il 9 e l’11%).
Una sorta di Lega di sinistra, o forse la versione italiana del
successo delle liste ecologiste in tutta Europa (uno dei loro punti di
forza progettuale è quello), una nuova opposizione che si annuncia
sempre più ingombrante e decisiva in vista dei ballottaggi e dei
prossimi appuntamenti elettorali. La sensazione, per quanto riguarda il
centrosinistra, è che l’appeal della sua proposta è
inversamente proporzionale a quello del candidato grilino (come a
Milano). Non a caso Grillo, a Bologna, ha dato del busone (gay in italo-bolognese) a Vendola: si sta già mettendo avanti col lavoro.
"Bologna" di Francesco Guccini è qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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26 aprile 2011
REALITY BOLOGNA
 “Ebbene sì: Teorema, la società di servizi fiscali convenzionata con
il Caaf della Cgil Emilia-Romagna, ha pensato bene di uscire con lo
slogan «Non fidarti degli sconosciuti».
Per mostrare attenzione verso le donne, suppongo (vedi l’immagine),
ma in realtà sfruttando – e confermando, e rinforzando – la paura degli
«sconosciuti». Che sotto sotto c’è in tutti, donne e
uomini. Di destra e sinistra. Di qui alla paura dell’altro, dello
straniero, del diverso, il passo è più che breve, è lo stesso identico
passo: quello della Lega. Ma la Cgil non era di sinistra?”
Se Giovanna Cosenza, allieva di Umberto Eco e docente di semiotica
all’Università di Bologna, fosse stata leghista probabilmente avrebbe tuonato contro
il Caaf della Cgil che tappezza Bologna di messaggi subliminali pro-Pd.
Nella città di Dozza e Fanti le elezioni sono alle porte e gli
sconosciuti, gli stranieri, sono i barbari leghisti più che i migranti
nordafricani. L’eventualità che la bandiera di Alberto da Giussano possa
sventolare a Palazzo d’Accursio, dopo il ballottaggio che gli ultimi sondaggi danno
per probabile per quanto difficile, non è più così remota. Di qui,
forse, lo stato confusionale della sinistra e l’analisi un po’ fantasy
della professoressa Cosenza sulla campagna delle Lance Libere.
A Bologna la Lega, al 3% fino a due anni fa, candida Manes
Bernardini, avvocato di trentotto anni sostenuto da un Pdl mugugnante,
bella presenza e “leghista dal volto umano”, secondo il sin troppo lusinghiero ritratto che ne fa Michele Brambilla su La Stampa.
I sondaggi lo accreditano tra il 24 e il 33 per cento ed è l’unico ad
essersi presentato, il 21 aprile, alla festa per la Liberazione della
città (forse per far dimenticare di aver dichiarato che era avvenuta a
“ottobre del 1945”). Non c’era Aldrovandi, il terzopolista sostenuto dall’unico ex sindaco di centrodestra Giorgio Guazzaloca e accreditato dell’8-9 per cento dei consensi né Bugani, il grillino che rischia di andare in doppia cifra e alla domanda “chi era Dossetti?” ha risposto mesto “non lo so”, né Merola.
“Atos Solieri contesta: «Uno scivolone può passare, due mica tanto,
ora siamo alle comiche! Se uno si dimentica questi appuntamenti qui, a
sem a post!»”. Virginio Merola, fresco trionfatore delle primarie del
centrosinistra con venti punti di scarto sulla candidata di Sinistra e
Libertà, è impegnato in una sorta di guerra alla comunicazione
contemporanea. Il claim della sua campagna “Se
vi va tutto bene, io non vado bene” è diventato un
tormentone-scioglilingua cittadino e le sue spettacolari gaffes (“spero
che il Bologna torni in serie A”) hanno già fatto storia, entrando di
diritto nella narrativa da bar di cui Bologna, alla faccia di chi le
vuole male, è ancora capitale morale. Per i sondaggi è in bilico. Tra il
45 e il 51 per cento significa rischio ballottaggio e l’incubo del ’99,
diserzione elettorale della sinistra e vittoria dei cattivi, si profila
nuovamente all’orizzonte.
Bologna, reduce da un anno e mezzo di commissariamento (record
italiano) a causa delle repentine dimissioni di Delbono dopo le accuse
di Cinzia Cracchi (ora capolista di una lista civica), non è solo “la
città dei rancori”, come l’ha ritratta la puntata di Report dell’illustre
cittadina Milena Gabanelli, ma nel dibattito pubblico prevale
quell’aria da reality un po’ sfigato che la trasmissione ha catturato
impietosamente nelle interviste sempre più sconsolate (da parte del
giornalista visibilmente provato) agli aspiranti primo cittadino e agli
esponenti della claustrofobica classe dirigente locale. Quando a
Maurizio Cevenini, record man di matrimoni celebrati, quasi-candidato sindaco
e capolista del Pd alle elezioni, è stato chiesto con qualche imbarazzo
(“non sono riuscito a trovarli da nessuna parte”) che programmi avesse,
lui ha risposto con un sorriso disarmante, da tronista in castigo, “eh
lo so, è un mio difetto”.
Il teatrino di paese non riesce a nascondere la realtà di una città
ferma, incapace di prendere decisioni, con 49 filobus su gomma Civis figli di nessuno costati
oltre 150 milioni di euro (per ora) e parcheggiati al Caab, la stazione
in eterno cantiere e deliranti progetti alla Blade Runner (people mover
e altri dadaismi ingegneristici) sulla rampa di lancio. Una
metropolitana in una città da 400.000 abitanti, per dire, fa un po’
ridere eppure se ne parla da due lustri, anche se non c’è verso di
decidere. Invece la chiusura del centro storico alle auto, votata dal
70% dei bolognesi nel referendum del 1985, non è mai stata fatta. Forse
basterebbe partire da quello che c’è, una città medioevale colma di
tesori architettonici, dove si mangia bene e si sa vivere, valorizzarlo,
e magari cominciare a dirlo un po’ in giro.
L'articolo è stato pubblicato (insieme con la foto) su The FrontPage.
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25 dicembre 2008
MERRY CRISIS AND A HAPPY NEW DEAL!
 Anche quest'anno il giorno di Natale ho guardato Mary Poppins in videocassetta, dopo i tortellini, i regali, la telefonata con gli zii di Parma, la vigilia coi ragazzi e la birra solitaria all'Irish di via Zamboni. E quando Banks porta i due mocciosi in banca e attaccano tutti - i vecchi capoccioni in bombetta - a cantare "...per due grami, miseri, penny da portare in banca... o meglio ancora nella grande banca d'Or, di credito risparimo e si-cur-tà..." Vanessa mi ha raggiunto di sopra col suo nuovo cappellino rosa che s'intona agli stivali e all'abito numero tre, per cantare insieme a me.
Quest'anno c'è bisogno di cantare. La disperazione è come il nulla della Storia Infinita: guadagna terreno intorno a noi. Al precipizio delle borse si è aggiunta la crisi economica che sta cominciando a mostrare i muscoli a suon di licenziamenti e crollo dei consumi. Le persone si attaccano la crisi, come l'influenza o la paura degli zingari, con l'aiuto dei "media" e degli "esperti" e il Natale, la festa per eccellenza, risulta quasi un messaggio dissonante, poco credibile. La speranza e la serenità stonano.
L'agenzia di Ferrara con cui ho avuto a che fare fino alla fine dello scorso anno, per la prima volta forse dovrà mettere a casa qualcuno. Smette di crescere e deve rivedere al ribasso le proprie aspettative. Epifani ha aperto alla settimana corta nelle fabbriche e la direttrice della "Dozza" - il cercere di Bologna - ha dichiarato che non hanno più neanche i soldi per la carta igienica. Le persone anziane spesso stanno col cappotto anche in casa per risparmiare sul gas e Bush ha rifatto lo stesso presepe dello scorso anno per adeguare la Casa Bianca al clima di austerity.
Se - come sempre - la crisi la pagano più cara i più poveri, cosa ci sarà mai da dire con il "merry crisis" del titolo, dunque?
Intanto la speranza per un "happy new deal", che sembra una strada obbligata per una civiltà che aveva smarrito così tanto la direzione da dimenticarsi di promettere ai suoi giovani un futuro migliore del presente, creato dai loro genitori. Poi la speranza di "happy new deal" in cui "risorse" torni a significare "risorse" non solo quattrini, alberi da abbattere e cervelli o braccia da spremere finché conviene. Infine la certezza che senza un "happy new deal" vero e proprio, prima di diventare tutti poveri ci saremmo comunque tutti intossicati, ammazzati, ammalati, disumanizzati. La nostra civiltà avrebbe comunque fatto una gran brutta fine.
Quindi "don't waste the crisis", non sprecare la crisi. E nel 2009 non chiederti cosa gli altri - il sistema, il partito, gli dei, il proletariato - possono fare per te, ma cosa puoi fare tu per loro.
Il titolo è stato preso in prestito a Paolo Beccari, che l'ha usato così. L'immagine invece è stata presa in prestito qui.
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