4 marzo 2013
PRIMA DELL'ESTINZIONE
 Una decina di giorni prima del 25 febbraio 2013, dopo che una pioggia
di meteoriti aveva provocato esplosioni nel cielo degli Urali, un
asteroide di centotrentacinquemila tonnellate e quarantacinque metri di
diametro era sfrecciato a circa ventisettemila chilometri dalla Terra,
alle 20 e 25, ora italiana. Senza apocalissi
di sorta. Anche i più tenaci apologeti dell’Armageddon Maya ritardato
si erano dovuti arrendere alla noiosa evidenza della persistente
sopravvivenza della, cocciuta, specie umana.
Dopo dieci giorni, più o meno alla stessa ora, era ormai chiaro che
in Italia il Maya di turno non era nato tra le nebbie della bassa padana
di Bettola. Di lì a qualche ora l’inviato di Porta a Porta,
imbalsamato nel suo piumotto circonfuso dalle luci di scena e dalla
spettrale quiete residenziale promanante dalla villa del timoniere di
Sant’Ilario, avrebbe spalancato le braccia e il sorriso, disarmante e
disarmato: “non abbiamo contatti con Beppe Grillo, né col suo staff… di
nessun tipo”.
“Gli alieni sono invece introvabili, non sai con chi parlare, sono
inafferrabili, interlocutori politici potenziali e media sono alla
stessa stregua tenuti fuori dalla porta, anzi non c’è la porta, non si
sa dove stanno e che fanno, vai fuori dalla casa di Grillo a Genova o
vai a Bologna dove c’è un’esperienza in Comune o cerchi disperatamente
di vedere se c’è un modello siciliano di omologazione, chissà, non hanno
l’etichetta al citofono, vogliono fare le sentinelle della rete dentro
le istituzioni, la delega ai capi è assoluta, nessuno si sente
autorizzato nemmeno a fingere di avere una opinione per sé, spendibile
politicamente, comunicabile senza passare per l’imbuto del web
controllato dal blogger.”
E pouf. Passa una settimana e l’Italia è Mars Attacks. Alieni, setta, strategia diversiva di matrice neoliberista
o forza di occupazione che dir si voglia: fatto sta che la prima parte
del tanto sbandierato piano di Grillo&Casaleggio è andato
magicamente in porto e l’Italia, le istituzioni repubblicane e tutta la
baracca sono in ostaggio. Dopo anni passati a far le prove,
scimmiottando le Br prima (sul blog venivano pubblicati i “comunicati
politici” con un font tipo ciclostile anni ’70) e scippando poi senza
vergogna Alan Moore, Anonymous e il movimento antagonista dell’icona di Guy Fawkes.
Appena si aprono le urne, come per magia, alcuni dei protagonisti
della storia della Repubblica recente e meno recente non esistono più.
La polizia del karma inghiotte subito Fini, Di Pietro, i comunisti e i
verdi di ogni ordine e grado (già semi-morti), Ingroia, ma anche Casini e
Monti scompaiono presto dai radar delle agenzie dopo le prime,
pallidissime, dichiarazioni di rito. Come previsto dal Piano di
Occupazione Stellare del Nexus 7 con gli occhialoni, rimangono in piedi
solo l’uomo di Bettola e quello di Arcore, nati sotto il segno della
Vergine. Lo stesso giorno.
Vendola, come da programma, comincia a sbarellare e attacca a dare
segni di diserzione ad appena ventiquattrore dalla chiusura dei seggi.
Aveva impiegato fior fior di sonetti e narrazioni per spiegare al popolo
della sinistra e ai fratelli dei media di volta in volta convenuti che
Grillo era un fascista della peggior risma, populista e maschilista
becero, gemello del Berlusca brutto e cattivo, e ora la stessa passione
gli sgorga con medesima ispirata naturalezza per sostenere l’esatto
contrario. Naturalmente ha buon gioco, il timoniere, a prenderlo per il culo senza troppi complimenti.
“Vendola si è ingrillato all’improvviso dopo le elezioni. Si è
vestito di nuovo come le brocche dei biancospini. Sembra un’altra
persona. Ha un rinnovato linguaggio, comunque sempre variegato, e
adopera inusitate e pittoresche proposizioni verso il M5S. Vendola ci
ama: “Grillo non è un fantasma per il quale bisogna convocare
l’esorcista, è un nostro interlocutore”. È lo stesso Vendola che il 20
febbraio 2013, a tre giorni dall’appuntamento elettorale, su La 7
spiegava: “Grillo è un populista di piazza. Grillo è il virtuoso della
demolizione ma chi ricostruirà il Paese? Grillo è un’evoluzione di
Berlusconi.”
Tra l’altro probabilmente è vero. Grillo è un’evoluzione di
Berlusconi tanto quanto il MoVimento a 5 Stelle è un upload di Forza
Italia del 1994. Quello era un partito-azienda e questo sembra assomigliarci parecchio, il timoniere è il leader carismatico assoluto tanto quanto (e forse ancor di più) il Cavaliere Nero
dell’epoca. Casaleggio-Stranamore, poi, è molto più affascinante di
Dell’Utri, anche se con l’ex braccio destro di Berlusconi condivide la
passione bruciante per le cavalcate culturali d’annata.
Dice bene Ferrara: “il punto è che i grillini, nel bene e nel male,
perché questa è la loro novità e la loro forza oltre che la loro
controversa ambiguità, non sono un partito di plastica come fu Forza
Italia, magari, e non sono un partito di terra e sangue come fu la Lega
nord, magari. Non sono proprio, i grillini, un partito o un movimento
materiale, che abbia luoghi di formazione comprensibili e solidi, radici
culturali, un legame anche labile con una tradizione, magari da
ribaltare. Sono leggeri come ultracorpi, body snatchers, invadono lo
spazio pubblico clonandosi e moltiplicandosi con il consenso elettorale
legittimo, ma lasciandosi alle spalle piazze, polmoni e comizi che non
esprimono la loro autentica identità istituzionale, il loro carattere
come soggetto politico, ormai delegato a un esercito di piccole figure
scelte da piccole folle mediatiche sotto la occhiuta sorveglianza di una
società di marketing, la Casaleggio & Associati.”
Sono tutto e niente, festeggiati nell’ultima novecentesca orgia un
po’ lugubre da Dario Fo ed Ernesto Galli Della Loggia, Leonardo Del
Vecchio e “Bifo” (leader del ’77 bolognese), Celentano e Goldman Sachs.
All together. E blanditi e corteggiati, a suon di minacce spuntate e
lusinghe idiote quanto inutili, dall’agonizzante non-vincitore delle
elezioni. Lo scouting dei grillini è una sonora stronzata che permette
al timoniere di gridare al mercato delle vacche, il giorno della
richiesta di quattro anni di carcere a Berlusconi per la presunta
compravendita di senatore.
Dopo aver sbagliato tutto quello che c’era da sbagliare, dalle
primarie blindate agli italiani ai giaguari sul tetto, a quel che resta
del più grande partito della sinistra italiana rimane uno spazio di
manovra molto limitato, ma decisivo. Essersi chiusi nella ridotta di un
piccolo mondo antico immaginario, tra giovani-vecchi spartani
molestatori di blogger e funzionari decrepiti che non rispondono a nulla
se non a patetiche e suicide logiche di corrente, ha impedito sinora di
mostrare al Pd la reale posta in gioco.
Il dopobomba ha l’innegabile vantaggio della nitidezza. E mentre il
duo di Weimar gioca al Joker di Batman e soffia sul caos, aspettando
l’ultimo rantolo di un sistema irriformabile per clonare definitivamente
le istituzioni repubblicane in un software eterodiretto da una
maggioranza di byte “eletti solo dalla Rete”, la gente in carne ed ossa
comincerà presto a farsela sotto. Grillo ha scritto che di qui a sei
mesi non ci saranno più i soldi per pagare pensioni e stipendi:
significa che prevede che in sei mesi salti il banco.
Questo è, ragionevolmente, l’intervallo di tempo rimasto per far
saltare il banco a loro. La seconda parte del geniale piano del
timoniere e del guru capelluto prevede, dopo il blocco della democrazia
repubblicana, il filotto. Si torna a votare, sbaragliano tutti e inizia Brazil.
Per questo sono e saranno indisponibili a qualunque alleanza di
governo, di qualunque genere, con qualunque programma. In questo sta
l’evoluzione, l’upload, rispetto a Forza Italia: nella natura
intrinsecamente totalitaria del loro movimento.
Ma c’è un ma, anche se tenue. La politica: qualcuno è in grado di
portare in Parlamento alcune leggi (poche, radicali e in fretta) che
rispondono all’incazzatura popolare e, rompendo l’incantesimo, mostrano
che si può fare. L’aula sorda e grigia può riformare sé stessa e allora,
si, Grillo potrà serenamente essere mandato affanculo dagli elettori.
Che notoriamente non votano mai per gratitudine.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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26 ottobre 2010
RIBELLI A BILANCIO
“Casa Pound e Blocco studentesco non sono
formazioni antisistema, ma parte integrante del progetto di Berlusconi.”
Parola di Renata Polverini. Su Twitter e Facebook sono circolate dichiarazioni come questa, di dubbia veridicità ma utili per illustrare il nuovo prototipo
modaiolo di estrema destra, figlio (pare) della temperie post-ideologica
che secondo un numero crescente di commentatori (anche insospettabili) avrebbe bonificato una cultura funestata sinora da mezzibusti mascellonati, teschi, celtiche e fascio-ciarpame vario.
A riprova di questa ripulitura in grande stile una grande casa editrice, Rizzoli, ha appena pubblicato Nessun dolore, primo romanzo su Casa Pound scritto dall’avvocato Di Tullio (il legale storico del centro sociale romano). Secondo l’entusiasta Angelo Mellone, sul Foglio
(una paginata intera) “il ‘topo nero’ fa posto al ragazzo di tendenza, a
una sorta di stile minimal-militant che acchiappa proselitismo pure tra
le ragazzine. Tracce di sfiga lavate via a suon di combat rock, tamburi
che pestano, chitarre distorte che sparano a megawatt, atmosfere
narrative da Black rain sempre appese tra la tarda notte e il
mattino presto, un concetto di amicizia che mischia attimi fuggenti,
ragazzi della via Pal e surfisti di Point Break, Fight Club e il Bradbury di Fahrenheit 451”.
Si può ben capire, quindi, l’orgoglio
(naturalmente post-ideologico) di Gianni Alemanno, nella seconda dichiarazione carpita dai social network: “Rivendico il merito
di aver costruito un rapporto stretto con i ragazzi di Casa Pound,
finanziando le loro iniziative”. E non sfugge l’accorta (e mediatizzata)
eterogeneità delle loro ospitate alle iniziative del centro sociale
(Stefania Craxi, Paola Concia, Marcello Dell’Utri tra gli altri), specie
se messa a paragone con l’austerity politico-culturale che campeggia
nell’altra metà del campo antagonista, a sinistra.
Ma non basta per accreditarsi come i
Capitan Harlock delle periferie (mutuo sociale, venti famiglie che
abitano nella sede romana dell’Esquilino, okkupazioni situazioniste),
ribelli jungeriani senza macchia e senza paura degni di un caso
letterario che sfida l’egemonia editoriale sinistrorsa. C’è sempre un
Fini in agguato (terza dichiarazione sospetta): “Risulta astrusa la vocazione ribelle di Casa Pound che
gode di finanziamenti dal potere che dice di voler contrastare.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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