19 novembre 2010
BOLOGNA LA ROTTA
“Le primarie si chiamano così perché il Pd
le perde prima?” Dopo Milano, va a finire che anche a Bologna ha ragione
Crozza. Di certo sembra che il Pd stia facendo tutto il possibile per
perdere: l’ex sindaco Flavio Delbono (che aveva sconfitto, nell’ordine,
Cevenini, Merola e Forlani alle ultime primarie) si è dimesso a seguito
dell’ormai celebre Cinziagate (sordida vicenda di piccoli vantaggi che
l’ex vice-presidente dell’Emilia-Romagna si autoassegnava insieme alla
sua compagna, prima della separazione e della conseguente retrocessione
professionale di lei), e da quel momento sono iniziati i dolori.
Al coma semivigile del partito hanno fatto
da contraltare l’iperattivismo dei suoi dirigenti, fiancheggiatori e
amici, tutti proiettati a tentare la scalata allo scranno più importante
dell’amministrazione cittadina, costi quel che costi. E le primarie,
nate come strumento di selezione democratica, a Bologna si sono
trasformate nell’arma perfetta per un redde rationem vorticoso che dura da diversi mesi tra capi e capetti, civici e politici.
Sembrava che il tipo adatto a “pacificare” fosse Maurizio Cevenini, già mister preferenze alle ultime regionali (quasi ventimila voto raggranellati), sindaco dello stadio (con lo striscione personale che sventola dalla tribuna e la Smart rossoblu che lo scarrozza in giro per la città) e recordman dei matrimoni (ha da poco superato il tetto delle 4000 cerimonie celebrate). Il “popolo della Festa dell’Unità”
lo amava (scrivevano le gazzette cittadine), i volontari che friggono
salsicce, impastano tortellini e passano le serate a servire montagne di
friggione e di tagliatelle al ragù, l’avevano già incoronato sul campo
della pesca gigante della festa provinciale, prima che un attacco
ischemico gli facesse cambiare idea.
Prima di lui aveva abbandonato, a sorpresa,
Duccio Campagnoli (ex segretario della Camera del Lavoro di Bologna, ex
assessore alle Attività produttive della Regione), che era sembrato
sino a quel momento l’avversario più solido del Cev. e aveva addotto
motivazioni parapolitiche al suo gesto promettendo, poi, di farsi
sentire all’interno del partito. Anche l’italianista Anselmi gliel’aveva
già data su, a molti era sfuggito anche che s’era candidato,
annunciando il proprio sostegno a Cevenini, che non aveva mancato di
ricompensare il prof con il prestigioso incarico di “ambasciatore del
Cev. presso l’ateneo”.
Chi non si è tirato indietro è Benedetto Zacchiroli,
38 anni, ex collaboratore del sindaco Cofferati (ha curato le relazioni
internazionali di Bologna), consulente della città di Fortaleza (in
Brasile) e dell’Unesco, incoronato “nuovo Renzi bolognese” da Lucio
Dalla dopo l’azione virale con cui è stata lanciata la sua candidatura,
che è stata in grado di cortocircuitare a proprio vantaggio la fame di
news delle gazzette cittadine e la debolezza del fu partitone. Con lui
in pista c’è Amelia Frascaroli, direttore della Caritas, sostenuta da
Sinistra e Libertà e da ambienti prodiani. Dopo l’exploit di Milano del
partito di Vendola, anche sotto le due torri è arrivata la nuova
paranoia novembrina e i dirigenti del Pd stanno cominciando a temere
che, in mezzo alla ressa, sia la canuta rappresentante del cattolicesimo
più impegnato nel sociale a farcela (il leader della Caritas, Don
Nicolini, è stato uno dei principali antagonisti della politica degli
sgomberi di Cofferati).
Il vero affollamento, infatti, è dentro al
Pd. Dopo la rinuncia di Cevenini sono riaffiorati pesantemente gli
appetiti di partito. Virginio Merola, ex presidente di quartiere, ex
assessore all’urbanistica di Cofferati, è stato il primo a rompere gli
indugi, poche ore dopo l’annuncio del Cev., ma non è una gran novità
visto che già alle scorse primarie aveva corso (e si era classificato al
terzo posto, su quattro). Andrea De Maria, ex segretario della
federazione di Bologna e storico antipatizzante di Merola gli è andato
dietro al volo.
Anche la deputata Donata Lenzi per cinque giorni è stata
candidata, poi ha annunciato il ritiro con una serie di dichiarazioni
polemiche nei confronti del partito (sparare sulla croce rossa è sport
diffuso) di cui quasi nessuno ha capito bene le ragioni. È finita,
intanto, la telenovela-Segrè, iniziata dopo l’abbandono di Cevenini. Il
preside della facoltà di Agraria (e fondatore di last minute market)
voleva il sostegno unitario del fu partitone. Dopo Milano ha pensato
bene di togliersi d’impaccio annunciando il sostegno alla Frascaroli (e
l’arrivederci al Pd).
Last but not least, nelle ultime ore è spuntato il 36enne Ernesto Carbone,
cosentino naturalizzato bolognese e direttore di Red. ”Mi piacerebbe
candidarmi alle primarie ed è per questo che chiedo al segretario del Pd
di Bologna, a questo punto, di rendere la partita aperta a tutti. Sono
orgoglioso di fare parte del Pd e mi arrabbio con tutti quelli che
parlano di società civile, ma non capisco perché io debba essere figlio
di un dio minore e debba raccogliere il doppio delle firme rispetto agli
altri. Se Donini non comprende questo, vorrà dire che dovrò
restituirgli la tessera per raccogliere le 1500 firme come tutti gli
altri“. Non ci sono più i dalemiani di una volta e Bersani alla fine ha
spedito il non-commissario Davide Zoggia, a vigilare sull’anarco-Pd bolognese e sui suoi ultimi colpi di coda.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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