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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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29 ottobre 2012
CAYMANISTAN
 “La Porsche ha chiamato “Cayman” la sua auto più brutta per fare un dispetto a Renzi”, “#Dalema
va ai giardinetti per mangiare i bambini e dice che l’ha mandato
Renzi”, “E’ stato Renzi a bloccare il treno Italo a Firenze Per
dimostrare che #LucadiMontezemolo
non va”, “Le zanzare ad ottobre sono state mandate da Renzi”, “Matteo
Renzi è il vero autore dei libri di Fabio Volo e Federico Moccia”, “Ma
chi paga la lavanderia per tutte quelle camicie bianche?”, “Renzi svela
sempre il finale delle barzellette di Bersani”, “Ma non è che quell’auto
che secondo la Moratti era stata rubata da Pisapia, invece l’ha presa
@matteorenzi?”, “Salterò la pausa pranzo: ho protestato, il mio capo mi
ha detto: #attaccaRenzi.”
L’hashtag di @AsinoMorto dice già tutto. Vendola,
per cui il pm ha appena chiesto venti mesi di galera per abuso
d’ufficio, e Bersani, la cui storica segretaria è stata appena indagata per truffa aggravata, sono riusciti nell’impresa di mettere
Renzi all’angolo. Chi osa non dico spendere parole apertamente
lusinghiere, ma esprimere qualche moderato dubbio circa lo status di “nemico del popolo” affibbiato al sindaco di Firenze, viene lapidato sulla piazza di Facebook.
Oltre alla staliniana trasfigurazione dell’avversario in “nemico”,
già sperimentata con Craxi e Berlusconi (con evidenti benefici per il
paese, in declino da un quarto di secolo sotto tutti i punti di vista),
la tentata sterilizzazione del pericolo – ché quando un moccioso
impudente annuncia di voler tagliare il finanziamento pubblico ai
partiti entro i primi cento giorni di governo di questo si tratta – si
basa sul boicottaggio della partecipazione.
Le primarie sono il mito fondativo del Pd e del centrosinistra,
l’unico, e il mastice che riesce a tenere insieme un elettorato sempre
più scazzato e disilluso. Negli anni passati si sono sempre rivelate
l’unica vera arma in più rispetto ai soldi, al carisma e alla certezza
della leadership che regnava nel campo avversario. Ma anche questa,
ovvia, considerazione non deve aver fatto breccia.
Così mia nonna, che ha quasi novant’anni e fa fatica a scendere le
scale (ma è sempre andata a votare), gli studenti di sedici e
diciassette anni e quelli fuori sede (i pugliesi poi sono veri ultras
del loro governatore) se ne staranno a casa. Invece che presentarsi al
seggio con la carta d’identità e il certificato elettorale (e una volta
sola), come nel 2005, tocca una babele di puttanate burocratiche che, a
parte le patetiche giustificazioni in politichese, significano solo una
cosa: vade retro Renzi.
Spararsi nelle palle per far dispetto alla moglie: dopo che gli analisti hanno spiegato che più alta è la partecipazione più le chances di
vittoria di Renzi aumentano, le varie staffette partigiane sono partite
ad architettar tagliole. Ma se va a votare meno gente perdono tutti,
perché oltre alle primarie bisognerebbe tentar pure di vincere le
secondarie. Arrivarci dopo un flop, proprio adesso che Berlusconi
spariglia di nuovo e patrocina (forse) le primarie del centrodestra,
sarebbe il massimo.
Il quotidiano lancio degli stracci, inoltre, ha definitivamente
eclissato i contenuti dal dibattito, anche riguardo la cosiddetta “fase
2” della campagna di Renzi (che continua a giocare alla lepre).
“Cambiamo l’Italia” ha affiancato il claim “Adesso!”, riconducendo idealmente il sindaco di Firenze al “Change” di Obama, dopo che la fase uno ne aveva già sussunto e italianizzato l’iconografia sin nel minimo dettaglio.
Il particolare è che stiamo sempre parlando dell’Obama del 2008,
quello trionfale e trionfante. Tutti continuano a citare la campagna, le
strategie, lo stile, i contenuti, lo story telling di quell’Obama là. In quanti conoscono il claim del 2012, quello su cui tra pochi giorni il presidente chiede il voto agli americani per altri quattro anni? “Forward”, dalla speranza visionaria al realismo del buon padre di famiglia in una campagna stile Diesel, con un video che sembra il trailer di una serie tv (alla seconda stagione).
Renzi, come gli altri ma col rischio di pagare un prezzo più alto, è
rimasto al 2008, l’epoca del “Se po’ fa’” con cui Veltroni rastrellò il
33% alle politiche. Nel frattempo però è cambiato tutto, diverse volte.
L’altra sera Santoro gli ha chiesto conto a modo suo della “fase due”,
citandogli l’ultimo libro
di Paul Krugman “che si chiama proprio come il suo slogan, adesso!”
(col punto esclamativo pure) e argomenta il fallimento delle politiche
di austerity in Europa e in Italia. “Lei che ne pensa?”
Renzi ha abbassato un po’ gli occhi, ha ripetuto un paio di volte che gli editoriali di Krugman sul New York Times
sono un prezioso contributo all’analisi, ha dato l’impressione di non
averne mai neanche sentito parlare (del libro titolato come il suo claim).
Ora, si può essere d’accordo e meno con Krugman, ma è il caso di avere
un’opinione su quello che scrive, visto quello che scrive, se si ambisce
così tanto a governare un paese (uno qualunque).
Invece la cosa più politica che Renzi ha tirato su fuori sul tema è
che “è una questione di qualità della spesa pubblica” certo “a saldi
invariati”. Spiccicato a Bersani, a Monti, a tutti. Poi nient’altro,
nulla che a poche ore dalla fine della trasmissione potesse rimanermi
impresso, al netto delle gag rottamatorie. Unico guizzo,
vagamente cimiteriale: nei primi cento giorni di governo la mitologica
legge sul conflitto d’interesse. Per dimostrare che non è l’Ambra del vecchio Caimano. Poca roba.
All’ora del conto, infine, la Sicilia non poteva mancare. I primi exit polls
sulle elezioni erano fischiati in rete come ghigliottine al vento.
Anche se i risultati ufficiali sembrano ridimensionare l’uragano,
Caymanistan trema. Più della metà dei siciliani è rimasta a casa e
l’altra ha incoronato campione del caos il “D’Annunzio a Fiume, un
situazionista fuori situazione, un estroso beato nel posto tipico delle
stramberie”. Come aveva predetto Buttafuoco, con bella prosa.
“Non è stato elegante manco in acqua, eppure ha fatto evento. Una
nuotata come quella può farla uno svelto atleta scolpito da Fidia, non
un Satiro attempato e tutta la bellezza di quella traversata s’è
confermata nell’essere lui – l’uomo che viene da fuori – tutto il
contrario di ciò che ha fatto, il più improbabile dei Colapesce. Nessuno
ci credeva che potesse arrivare a nuoto, tutti cominciano a credere che
lunedì possa sfasciare finalmente la regione siciliana.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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21 aprile 2012
CACCIA ALLA STREGA
 “Siamo arrivati a dover leggere in un dispaccio di agenzia «se la
‘nera’ non dovesse arretrare dalle sue posizioni…». La Nera è
naturalmente la vicepresidente del Senato Rosy Mauro, coinvolta nel
malaffare che sta travolgendo i vertici della Lega. E se dalla prosa
della cronaca transitiamo ai piani alti del giornalismo, ecco, con
rinnovata passione lombrosiana, corsivisti e grandi firme affondare la
penna non sul reato ma sul corpo, sfregiandolo (la badante, la strega,
la terrona, mamma Ebbe, la virago), fino a insistere sulle sue mani rosse e nodose, come tocco finale di un rogo intellettuale.”
Norma Rangeri sul manifesto inquadra alla perfezione i termini della questione. Il sacerdote pagano, officiante per conto del matriarcato guerriero
della Lega Nord, è stato azzoppato là dove non si può difendere senza
farsi da parte e il lesto salvatore della padana patria s’è fatto sotto.
Si può immaginare pure che, in un classico patto fra maschietti a suon
di puzza di sigaro da circolo della caccia, l’eterno delfino Maroni
abbia concesso clemenza alla family del Capo.
Infatti la direzione leghista, dopo la notte delle scope del
“pulizia! pulizia! pulizia!”, su Bossi jr. ha glissato, cavandosela con
un blando apprezzamento per il senso di responsabilità dimostrato
mollando la cadrega. Belsito, lombrosianamente colpevole per
definizione, andava cacciato di default, e sulla moglie del Bossi,
fondatrice della Lega e negromante in capo, tutti si sono ben guardati
da spiccicar parola.
Rimaneva lei, la goffa e trashissima vicepresidente del Senato dalle
“mani rosse e nodose”, pure terrona di Brindisi. Lei faceva parte della
famiglia solo in quanto “badante”, quindi Maroni & Co. hanno potuto
esigere lo scalpo. Il leghista “buono”, amico di Saviano e del club
dell’antimafia militante, è arrivato ad auspicare la nascita di un
sindacato padano vero, diretto da un padano vero. Un trionfo di
maschilismo e razzismo shakerati insieme, per lisciare il pelo alla
“base”.
“Quando si dice che stiamo assistendo a una Tangentopoli al cubo,
sappiamo che il contraccolpo non sarà un pranzo di gala. E dal lancio
delle monetine siamo passati alla lapidazione.” Probabilmente Maroni,
Tosi e tutta la simpatica compagnia di rinnovatori leghisti credono di
avere a che fare con una manica di rozzi dementi, a cui basta dare in
pasto la donnaccia del Sud e il tesoriere infingardo per potersi
rivendere una catarsi etica talmente rapida da far sorridere anche i più
gonzi.
Maroni ha chiesto e ottenuto il congresso a giugno, perché sa di non
avere rivali con Calderoli mezzo azzoppato dalle inchieste pure lui, ma
per i sondaggi la Lega è in caduta libera e l’ex ministro degli Interni
rischia di fare la fine dell’altro delfino eterno intelligente di
vent’anni fa. Colpisce che la nuova Tangentopoli cali come una mannaia
proprio durante il ventennale delle imprese di Di Pietro e Borrelli. Ma
siamo proprio lì. Con Bossi al posto di Craxi e Maroni-Martelli in fila
da una vita. Intorno a loro, i monatti del mainstream che giocano alla lotta nel fango. Come allora, ma chi è il nuovo Bossi?
“Ma quant’è furbo, da uno a dieci, Beppe Grillo che sta girando
l’Italia per spiegare che lo scandalo della Lega è una trama dei giudici
servi di Monti contro l’opposizione? «Tocca alla Lega, poi a Di Pietro e
quindi a noi!». Quant’è abile a urlare in piazza e su YouTube una tesi
innocentista e complottista a proposito delle porcate della family,
quando perfino Bossi ha dovuto scaricare il figlio e il Cerchio magico.
A corteggiare i leghisti spaesati dagli scandali con il no alla
cittadinanza per i figli d’immigrati, a costo di sfidare le ire dei
blogger, e il ritorno alla parole d’ordine dello sciopero fiscale contro
la corruzione politica.”
L’autorevole monito
ai coscienziosi lettori del giornale-partito di Largo Fochetti di
Curzio Maltese aiuta a mettere le cose nella giusta prospettiva. Il big bang
leghista suona come allarme rosso per tutti, inclusa la bolgia
d’indecisi a tutto del centrosinistra di palude. Nei sondaggi Grillo è
già il terzo partito, 7 per cento e passa, dopo Pd e Pdl poco sopra il
20. Bersani è già lì che ammonisce serio serio, mentre Vendola, che per
un po’ ci aveva pure creduto, dopo la tegola dell’inchiesta sulla nomina
del primario pugliese, ha ancora voglia di tuonare.
“Il rischio è che i voti della Lega vadano nel fiume sporco
dell’antipolitica perché o il centrosinistra sarà in grado di mettere al
centro della sua battaglia la questione sociale e quella morale nel
loro intreccio, oppure il rischio è che possa prevalere il peggio, come
nelle più brutte stagioni della nostra storia. Dopo la crisi dei partiti
nel ’92 è venuto fuori Berlusconi”. Ci vuole un bel coraggio.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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12 aprile 2012
GEMONOLOGHI
“Ma non mi fido della tua natura: troppo latte d’umana tenerezza ci
scorre, perché tu sappia seguire la via più breve. Brama d’esser grande
tu l’hai e l’ambizione non ti manca; ma ti manca purtroppo la perfidia
che a quella si dovrebbe accompagnare. Quello che brami tanto
ardentemente tu vorresti ottenerlo santamente: non sei disposto a
giocare di falso, eppur vorresti vincere col torto. [...] Ma affrettati a
tornare, ch’io possa riversarti nelle orecchie i demoni che ho dentro, e
con l’intrepidezza della lingua cacciar via a frustate ogni intralcio
tra te e quel cerchio d’oro onde il destino e un sovrumano aiuto ti
voglion, come sembra, incoronato.”
Lo sbuzzo della citazione del Macbeth, Atto I, scena V, si deve a Flavia Trupia
ed è perfetto per convalidare la vulgata corrente, il “lo sapevano
tutti” della settimana di passione leghista: la Lega Nord era un
matriarcato guerriero. A parte i quattrini pubblici che, secondo il
pullulare d’inchieste, spruzzavano dalle casse del partito come
champagne alle premiazioni delle gare di motociclette e alimentavano una
bulimia di lauree, macchinoni, body-guards e cornicioni d’accomodare,
era il potere il punto.
“Se tu vai sopra alla mansarda, c’è una brandina, ma non sto
scherzando, ci sono le foto. C’è una brandina di quelle che sembrano per
bambini, un comodino e una lampada. Per terra, piena piena, che prende
tutta la stanza, libri di magia nera. Cartomanzia. Astrologia. Tutti eh!
Ma ce ne saranno almeno un centinaio, tutti per terra, non su una
scrivania. Niente, lei vive lì, quando è in casa è lì, con quei libri.”
È Nadia Degrada, amazzone contabile del Carroccio, che intercettata dipinge la tragicommedia
del capo-feticcio usato come una bambola voodoo per far fuori i nemici
interni e inaugurare una dinastia familiare, nutrita dal suo carisma.
“Dopo Bossi, Bossi”. Questo, prima dello showdown pasquale, era
il mantra che serpeggiava tra i pretoriani del “cerchio magico” di
Manuela Marrone e Rosi Mauro, druide-cape e custodi del corpo del
capo-popolo della grande epopea padana, forgiata nel monolocale di sua
moglie.
Bossi è stato il sacerdote officiante di una liturgia, pagana e
popolare, che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone. Il
populista col dito medio sguainato, quello che “la Lega ce l’ha duro”,
s’è persino inventato una discendenza etnica, i Celti, per spiegare
antropologicamente la sua Padania, causa/missione fondata sul nulla.
L’ampolla del Dio Po, Pontida, eccetera sono stati solo interpretati,
dal Bossi, ma sono farina del sacco di qualcun altra. Qualcuna che legge
di magia e/o che non ha fatto altro che un bel copia/incolla, dalla new age neopagana al Dna di un partito senza identità.
“Ma intanto Bossi fu altro, è stato una chiave per la comprensione e
l’incanalamento di grandi e pericolose rabbie nordiste, ha flirtato con i
mostri del secolo, da Milosevic in giù, ha usato una lingua da trivio,
la sua gesticolazione corporale era la volgarità incarnata, ma mostro
non è mai stato. Se chi gli sputa addosso adesso, brutti maramaldi che
non sono altro, avesse fatto un centesimo di quello che ha fatto Bossi
per cercare soluzioni ai problemi veri italiani, avrebbe il diritto di
parlare. Chi ha il diritto di parlare?”
Giuliano Ferrara s’indigna
per l’elettroshock mediatico subito dal vecchio leader. Da garantista,
certo, ma soprattutto come testimone eccellente di una storia che si
ripete: Craxi capro espiatorio di un sistema in panne, Berlusconi
logorato da giudici e cortigiani e un Martelli-Alfano-Maroni sempre
pronto ad approfittarne a suon di appassionate omelie dedicate al capo
carismatico caduto in disgrazia e, contestualmente, affilando le lame in
vista dell’agognato affondo.
“Io penso che queste cose non capitino per caso a Pasqua. Quando ci
presenteremo davanti al Padreterno ci chiederà quante volte sei stato
capace di ripartire: questo vuol dire Pasqua, ripartenza.” Dal palco di “Orgoglio leghista”, day after
della crocifissione pasquale, Bossi ha chiesto scusa ai militanti per
suo figlio, ha tentato di giustificarsi un po’ (tra i fischi), ha
tuonato contro il solito complotto (ancora fischi) e si è arreso
all’avvento dell’eterno delfino in un cortocircuito retorico vagamente
psicanalitico: “Non è vero che Maroni è Macbeth”.
“La partitocrazia e Roma vogliono annientare la Lega perché la Lega è
l’unica risposta. È per questo che tenteranno ancora di dividerci… è
la storia della Lega, i tentativi che ci sono stati di dividerci, di
dividere la Lombardia dal Veneto, di spezzare quella magica operazione che fece Umberto Bossi nel 1991 creando la Lega Nord, la potentissima…”. E “basta con i cerchi”, però: secondo Maroni
la magia è di Bossi, non delle fattucchiere della soffitta di via
Gemonio. Per loro e per i loro accoliti sono pronte le epurazioni, roghi
rituali e staliniani di un partito-tribù che ha esordito sventolando il
cappio in Parlamento.
“Ce la faremo a risorgere? Certamente sì, ma non ci basta: noi
abbiamo un sogno nel cuore, quello di diventare alle prossime elezioni
politiche il primo partito della Padania… è il progetto egemonico di cui
ha sempre parlato Umberto Bossi. Possiamo farcela se facciamo quello
che ho detto: pulizia, nuove regole e unità. Senza polemiche fra di noi,
chi rompe le palle fuori dalle palle! È un sogno? Certo, è un bel
sogno. Il futuro appartiene a coloro che credono alla bellezza dei
propri sogni.”
La Lega è stato l’ultimo partito di massa all’antica, modellato sul
centralismo democratico del Pci e sulla democrazia progressiva di
togliattiana memoria, e il suo capo assoluto (come lo erano i segretari
del Pci) ha cominciato strimpellando canzoni alla chitarra con piglio
belmondiano, come il suo amico-nemico Berlusconi. Il tramonto della sua
avventura (mai termine fu più appropriato) coincide con quello
dell’altra B che ha dominato la scena politica negli ultimi vent’anni.
È un terremoto vero, per la destra, molto simile a quel fatidico 1992
in cui la magistratura e i media spazzarono via, nel disonore, i
partiti che avevano costruito la Repubblica dalle macerie. Occhetto e il
Pds, allora, tentarono di approfittarne con miope cinismo e infatti
arrivò Berlusconi, per vent’anni. La stessa latitanza politica di oggi
con il rischio che, stavolta, “l’uomo nuovo” non abbia neppure un
qualche conflitto d’interessi con cui tentare di ricattarlo. E che ci
seppellirà, sì, ma con grande onestà.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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9 novembre 2011
DO SOMETHING
 In tempi in cui l’Italia rischia l’11 novembre dei
conti pubblici a causa dell’impotenza dei suoi timonieri, l’azione in
quanto tale assume connotati rivoluzionari. A guardarci bene il rovescio
di popolarità del premier, sia tra gli elettori che sui mercati
finanziari (oltre che tra le élites cosmopolite che lobbeggiano
sull’economia globale, ma questa non è una novità), è dovuto proprio a
questa percezione d’impotenza. Che per “l’uomo del fare” significa la
pietra tombale sul suo carisma.
Così sono saltato sulla sedia quando ho aperto il sito del Corriere e mi sono imbattuto nell’azione di Giuliano Melani, che ha speso oltre ventimila euro per comprarsi una pagina del Corriere
con un accorato (e molto ben scritto) appello agli italiani perché si
comprino il debito, prendendo esempio dai giapponesi (il doppio del
nostro e tutto in casa). “Io non sono Diego Della Valle, ma voglio
essere uno dei portatori sani della soluzione. Questo appello mi è
costato un botto, per favore non fatene carta da macero!”
“Sono circa 4.500 euro a testa: lo so che le medie ci fanno fessi ma
state sicuri che molte persone dispongono di queste cifre”. Melani non
ha fatto il vago, ma si è messo a fare i conti in tasca agli italiani
entrando nel merito dell’investimento. “Vi giuro che ci conviene, negli
ultimi due anni sono state poste in essere manovre per 200 miliardi,
sono andati tutti perduti perché nel frattempo sono saliti i tassi
d’interesse sul debito”. Impeccabile, e subito ipercitato da politici e
banchieri. Sicché mi son detto: pensa se l’avesse detto Bersani a Piazza
San Giovanni.
Invece la ditta, in compagnia dei soci di Vasto, era impegnata
nell’operazione antipatia contro Renzi, uno che sgomita quando i giovani
dovrebbero stare a cuccia e aspettare il proprio turno. Mettersi a
disposizione. Troppo decisionista/protagonista questo Renzi, sembra
Craxi o Berlusconi (ci è pure andato a cena, l’infingardo) a sentire gli
umori della base del Pd, prontamente riportati dai segugi di Repubblica. Il Fatto l’ha paragonato al Duce, per non sapere né leggere né scrivere. Per la Bindi è un provocatore.
Secondo Bersani
alla manifestazione del Pd “c’è stato solo un battibecco. È stata una
cosa spiacevole. Ma vorrei ricordare che Renzi è uno del Pd e io sono
anche il suo segretario.” E poi, naturalmente, bisogna pensare
all’Italia, non ai destini personali, che non coincidono mai con le
ambizioni di chi sta fuori dal cerchio magico. Poi arriva la rasoiata di
Prodi: “Bersani è una persona eccellente, di grandi capacità, posso
dirlo, è stato un mio ministro, ma non riesce a “uscire”… Non è
confortante leggere che, con quel che succede, nei sondaggi il Pd non
riesce a crescere come ci si aspetterebbe”.
Certo l’inazione snervante e inutilmente parolaia del centrosinistra,
quella sinistra sensazione di “indecisi a tutto” che con il governo
dell’Unione aveva rapidamente raggelato ogni speranza di cambiamento
dell’elettorato, contribuisce non poco ai crucci del Professore. Anche
Prodi non fa il vago e presenta il conto al “manico” della ditta, con
tutta la crudele cortesia di cui un bolognese (acquisito) è capace.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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2 marzo 2010
MANETTE IN RETE

"Mi
chiedono di dire quanti siamo, mi chiedono i numeri, io rispondo chissenefrega!
La piazza è completamente piena, piena quanto lo era per la manifestazione
sulla libertà di stampa. Quanti erano allora? 200 mila? Noi siamo quanti
loro". Questo il Gianfranco
Mascia-pensiero, dopo la manifestazione di Piazza del Popolo. "Ma i numeri
non sono importanti importante è essere qui. In modo indipendente dai
partiti". Specificava poco prima il Mascia, che è uno dei portavoce del
movimento che aveva trionfalmente annunciato alla vigilia di essersene liberato
(dei partiti) anche dal punto vista finanziario, grazie al fund-raising online.
Al netto di portavoce e pr (che risultano essere più o meno gli stessi da
almeno un paio di “movimenti”) è un fatto (e a suo modo un evento) che un brand
nato in Rete ha messo in fila (sotto il palco) Rosy Bindi e Emma Bonino, Di
Pietro e Pannella, Vendola e il Pd, Rifondazione e i Verdi, tutti. A parte
Casini.
Ironia
della sorte, mentre le opposizioni politiche e sociali (ri)unite si accodano,
sostanzialmente acritiche, al “popolo viola” contro le iniziative del governo
sulla giustizia e a difesa della magistratura, sono proprio due libere toghe a
emettere due storiche sentenze (che condizioneranno pesantemente il dibattito
politico) contro due simboli (opposti ma non troppo) della Rete libera: Google
e The Pirate Bay.
La
sentenza di Milano contro Google, che ne ha condannato i dirigenti per
violazione della privacy per il video delle violenze sul bimbo down, mette in
discussione il principio cardine della neutralità dell’intermediario (che
permette agli utenti di partecipare, liberamente) con conseguenze
potenzialmente devastanti, innanzitutto in termini
economici (l’ambasciatore USA in Italia si è detto “negativamente
colpito dalla sentenza”). Il Tribunale di Bergamo invece ha obbligato tutti i
providers italiani a oscurare l’accesso a The Pirate Bay, lo storico portale
svedese (che ha dato i natali al Partito Pirata, 7% alle ultime Europee)
tramite cui gli utenti si scambiano file audio o video. Motivo: accesso
(indiretto) a prodotti protetti dal copyright. I pirati (e i manager di Google,
come prima Craxi & Co. e prima ancora chi ospitava un amico di un amico di
un brigatista) non potevano non sapere.
L'articolo è stato pubblicato su The Front Page. La foto l'ho trovata qui.
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26 settembre 2007
IL MENTECATTO DEGLI INTERNI
Stamattina ero a Ferrara, in agenzia. Vado al bar e adocchio il Carlino. Comincio a sfogliarlo, sorseggiando il mio thè al latte, fino a una pagina globalmente memorabile. Titolo dell'articolo di testa "Amato: rom, rischiamo l'invasione", occhiello "e sulle prostitute: spedire le multe a casa". Mi metto a leggere l'articolo già incazzato, poi guardo in basso. A piè di pagina (giuro) c'è la pubblicità della nuova iniziativa editoriale di Carlino, Nazione, Giorno: "Che mito" la vita di Che Guevara in dvd. Resto basito 30 secondi e chiudo tutto.
Io Amato lo detesto da 15 anni. Dal 1992, gli anni in cui Craxi e Martelli venivano messi alla gogna, sommersi da monetine e dipietristi mozzorecchi, lui no. La faccia da professorino compunto ne usciva sempre bene, anche se era stata tesoriere di Craxi, al Psi. E con gli stessi occhialetti pensava bene di passare gli anni successivi a impartire dotte lezioncine su tutto quello che gli passava per la testa, oltre che a entrare e uscire da partiti e governi come fossero taxi. Riserva della Repubblica, mai in panchina.
Adesso è andato in fissa con lavavetri, mignotte e mendicanti. Ora: se davvero c'è questa emergenza Rom, non è più saggio studiare come risolverla, prima di unirsi al coro e mettersi strillare al lupo? Non fa il ministro degli interni di lavoro, Amato? Sulle mignotte, poi, dice che in lui "c’è un un pizzico di cattiveria verso i clienti" così ha pensato ad "una multa non conciliabile, con il verbale che arriva a casa del diretto interessato" (alcuni milioni di italiani, 5 se non ricordo male). Rovina la vita dei puttanieri (e non arresta, né multa le loro fornitrici) per una sua stizza morale. Le mignotte, poi, chissà come saranno felici quando il cavalier Giuliano donerà loro la libertà. Faranno il concorso per entrare in Bankitalia.
La verità è banale: la gente (maschietti insoddisfatti, o timidi, o bastardi, fate voi) va a mignotte e loro lavorano (a parte le schiave del sesso, ma lì ci sono già le leggi, i carabinieri, la polizia e i magistrati), si può far finta di niente (come l'Avanzo di Balera), riaprire le case chiuse, aiutare le mignotte a diventare lavoratrici del sesso (come ha tentato di fare, con coraggio, Livia Turco). Oppure delirare come Mancuso (se io fossi una mignotta bolognese ne chiederei l'infermità mentale. Ma ve l'immaginate cambiare zona una volta al mese, che delirio? Perché non proporre agli ambulanti della Piazzola di fare mercato ogni settimana in un posto diverso, allora?).
Amato è oltre. Lui si allarma, si indigna e si rassicura, sempre da solo. D'Avanzo e Bonini sulla Pravda hanno calcolato il numero di giorni che il Parlamento ha a disposizione per discutere il pacchetto sicurezza del Bandito Giuliano (mignotte, barboni, ecc.). Totale, da qui a Natale: 0.
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