26 aprile 2011
REALITY BOLOGNA
 “Ebbene sì: Teorema, la società di servizi fiscali convenzionata con
il Caaf della Cgil Emilia-Romagna, ha pensato bene di uscire con lo
slogan «Non fidarti degli sconosciuti».
Per mostrare attenzione verso le donne, suppongo (vedi l’immagine),
ma in realtà sfruttando – e confermando, e rinforzando – la paura degli
«sconosciuti». Che sotto sotto c’è in tutti, donne e
uomini. Di destra e sinistra. Di qui alla paura dell’altro, dello
straniero, del diverso, il passo è più che breve, è lo stesso identico
passo: quello della Lega. Ma la Cgil non era di sinistra?”
Se Giovanna Cosenza, allieva di Umberto Eco e docente di semiotica
all’Università di Bologna, fosse stata leghista probabilmente avrebbe tuonato contro
il Caaf della Cgil che tappezza Bologna di messaggi subliminali pro-Pd.
Nella città di Dozza e Fanti le elezioni sono alle porte e gli
sconosciuti, gli stranieri, sono i barbari leghisti più che i migranti
nordafricani. L’eventualità che la bandiera di Alberto da Giussano possa
sventolare a Palazzo d’Accursio, dopo il ballottaggio che gli ultimi sondaggi danno
per probabile per quanto difficile, non è più così remota. Di qui,
forse, lo stato confusionale della sinistra e l’analisi un po’ fantasy
della professoressa Cosenza sulla campagna delle Lance Libere.
A Bologna la Lega, al 3% fino a due anni fa, candida Manes
Bernardini, avvocato di trentotto anni sostenuto da un Pdl mugugnante,
bella presenza e “leghista dal volto umano”, secondo il sin troppo lusinghiero ritratto che ne fa Michele Brambilla su La Stampa.
I sondaggi lo accreditano tra il 24 e il 33 per cento ed è l’unico ad
essersi presentato, il 21 aprile, alla festa per la Liberazione della
città (forse per far dimenticare di aver dichiarato che era avvenuta a
“ottobre del 1945”). Non c’era Aldrovandi, il terzopolista sostenuto dall’unico ex sindaco di centrodestra Giorgio Guazzaloca e accreditato dell’8-9 per cento dei consensi né Bugani, il grillino che rischia di andare in doppia cifra e alla domanda “chi era Dossetti?” ha risposto mesto “non lo so”, né Merola.
“Atos Solieri contesta: «Uno scivolone può passare, due mica tanto,
ora siamo alle comiche! Se uno si dimentica questi appuntamenti qui, a
sem a post!»”. Virginio Merola, fresco trionfatore delle primarie del
centrosinistra con venti punti di scarto sulla candidata di Sinistra e
Libertà, è impegnato in una sorta di guerra alla comunicazione
contemporanea. Il claim della sua campagna “Se
vi va tutto bene, io non vado bene” è diventato un
tormentone-scioglilingua cittadino e le sue spettacolari gaffes (“spero
che il Bologna torni in serie A”) hanno già fatto storia, entrando di
diritto nella narrativa da bar di cui Bologna, alla faccia di chi le
vuole male, è ancora capitale morale. Per i sondaggi è in bilico. Tra il
45 e il 51 per cento significa rischio ballottaggio e l’incubo del ’99,
diserzione elettorale della sinistra e vittoria dei cattivi, si profila
nuovamente all’orizzonte.
Bologna, reduce da un anno e mezzo di commissariamento (record
italiano) a causa delle repentine dimissioni di Delbono dopo le accuse
di Cinzia Cracchi (ora capolista di una lista civica), non è solo “la
città dei rancori”, come l’ha ritratta la puntata di Report dell’illustre
cittadina Milena Gabanelli, ma nel dibattito pubblico prevale
quell’aria da reality un po’ sfigato che la trasmissione ha catturato
impietosamente nelle interviste sempre più sconsolate (da parte del
giornalista visibilmente provato) agli aspiranti primo cittadino e agli
esponenti della claustrofobica classe dirigente locale. Quando a
Maurizio Cevenini, record man di matrimoni celebrati, quasi-candidato sindaco
e capolista del Pd alle elezioni, è stato chiesto con qualche imbarazzo
(“non sono riuscito a trovarli da nessuna parte”) che programmi avesse,
lui ha risposto con un sorriso disarmante, da tronista in castigo, “eh
lo so, è un mio difetto”.
Il teatrino di paese non riesce a nascondere la realtà di una città
ferma, incapace di prendere decisioni, con 49 filobus su gomma Civis figli di nessuno costati
oltre 150 milioni di euro (per ora) e parcheggiati al Caab, la stazione
in eterno cantiere e deliranti progetti alla Blade Runner (people mover
e altri dadaismi ingegneristici) sulla rampa di lancio. Una
metropolitana in una città da 400.000 abitanti, per dire, fa un po’
ridere eppure se ne parla da due lustri, anche se non c’è verso di
decidere. Invece la chiusura del centro storico alle auto, votata dal
70% dei bolognesi nel referendum del 1985, non è mai stata fatta. Forse
basterebbe partire da quello che c’è, una città medioevale colma di
tesori architettonici, dove si mangia bene e si sa vivere, valorizzarlo,
e magari cominciare a dirlo un po’ in giro.
L'articolo è stato pubblicato (insieme con la foto) su The FrontPage.
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