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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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21 febbraio 2013
UNA RICETTA PER L'ITALIA / Lettera aperta a tutti i candidati
 Se il diavolo si nasconde nei dettagli, tra le tante schifezze che si
possono annoverare nella funestata penisola pre-elettorale c’è
un’ingiustizia particolarmente odiosa e forse troppo piccola per trovare
spazio tra i cubitali delle grandi testate, pancia a terra a celebrare
il Grande Addio e/o il wrestling elettorale. Riguarda i malati di alcune
patologie e la loro sfiga di aver incrociato, oltre la malattia, anche
una cura fuorilegge.
Per chi soffre di diversi tumori particolarmente dolorosi, di
malattie neurodegenerative come l’Alzheimer, di epilessia, anoressia e
di tante altre patologie, i derivati della cannabis possono essere una
soluzione. I suoi effetti analgesici, calmanti, di stimolo all’appetito,
al buonumore (per chi soffre di depressione non è un dettaglio) da
tempo ormai sono oggetto di studi, ricerche e pubblicazioni da parte
della comunità scientifica di tutto il mondo.
Così come, in mezzo mondo, si fanno strada sperimentazioni
legislative che rompono l’assedio psico-culturale del proibizionismo: i
referendum, contemporanei all’elezione di Obama, che hanno reso legale
la sostanza negli stati di Washington e del Colorado sono solo l’ultimo
esempio. D’altronde era stato l’ONU, oltre un anno fa, a pubblicare uno
storico rapporto in cui decretava il fallimento della repressione e
l’urgenza del cambio di rotta a livello planetario, dopo decenni di
manganello.
Anche in Italia si muove qualcosa. Oltre alle sentenze della Corte di Cassazione, che hanno prima ammesso la coltivazione a uso “domestico” e poi, pochi giorni fa,
decretato non punibile il consumo di gruppo, si stanno muovendo le
regioni, in rigoroso ordine sparso (anche politico). Sono partite la Toscana e la Puglia, in cui è nata la prima associazione di malati-consumatori raccontata da FrontPage, seguite da Liguria e Veneto. L’Emilia-Romagna dovrebbe accodarsi a breve.
Nonostante ci si possa rallegrare per i malati di queste regioni
l’assurdità del federalismo all’italiana, che garantisce un diritto alla
salute sostanzialmente diverso a seconda del comune di residenza, è
evidente. L’inanità di un Parlamento che non è riuscito a decidere nulla
che prevedesse un dibattito tra persone libere è la causa dell’inferno
legislativo, in cui la legge Fini-Giovanardi ha precipitato migliaia di
malati e circa cinque milioni di consumatori di cannabis.
Il bavero alzato e la banconota stiracchiata, allungata allo
spacciatore nel vicolo buio, sono a tutt’oggi l’unica ricetta per chi
intenda mettere la propria salute prima della legge (peraltro differente
a seconda di latitudini e giurisdizioni). Col rischio, o il semplice
terrore (che poi sono un po’ la stessa cosa) di vedersi ritirare il
passaporto, la patente, la custodia dei figli. O magari di farsi qualche
giorno in gattabuia, a discrezione.
Ora, tra le tante sbandierate come tali, questa è un’emergenza. Lo è
per chi vive la malattia sulla propria pelle, ogni giorno, ed è
costretto dallo Stato a considerare la propria cura come qualcosa di cui
vergognarsi, da fare di nascosto dai vicini, dagli amici, dai parenti.
Quando invece scienza e coscienza, da che mondo è mondo, sanciscono che
solo il medico e il paziente hanno il diritto-dovere di condividere la
cura. In libertà.
Per queste ragioni si chiede a tutti i candidati, di ogni ordine e
grado come si suol dire (a Palazzo Chigi, alla Camera, al Senato, nel
Lazio, in Lombardia e nel Molise), di impegnarsi pubblicamente ad
approvare entro i mitici primi cento giorni – quelli appunto delle
emergenze – una legge molto semplice che stabilisca:
- la legalizzazione dei farmaci a base di cannabis
- la liberalizzazione delle associazioni di consumatori di cannabis ad uso medico
- la liberalizzazione delle piantagioni di cannabis ad uso
medico destinate ai nuovi mercati (farmacie, parafarmacie, associazioni
di consumatori)
- l’equiparazione della cannabis ad uso medico da terrazzo al basilico.
Naturalmente questo non significa far west. Al contrario è interesse
anche dei malati che gli altri, tutti, rispettino norme di buon senso
(che già esistono) per evitare di mettersi alla guida o di svolgere
mestieri delicati dopo aver assunto farmaci a base di cannabis. Ma vale
anche per il Tavor e per tutti gli altri analgesici che inibiscono le
normali funzioni neurologiche di cui ci si serve per guidare o lavorare.
Non è una news.
In Italia ci sono tante associazioni di malati che si battono per la
libertà di cura e il prossimo Parlamento, nel bene o nel male, sarà
comunque una rivoluzione. Politica e anagrafica. Questa battaglia è una
battaglia giusta che potrebbe materializzare una maggioranza di
parlamentari ragionevoli, indipendentemente dalla loro collocazione
politica all’interno dell’emiciclo: prima di decidere se votare e per
chi, scrivete ai candidati del vostro collegio e chiedete loro se
intendono o meno prescrivere una ricetta per l’Italia. La vostra. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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4 aprile 2012
DROGARSI MENO, DROGARSI TUTTI
“Io oggi ho cambiato idea, nel senso che penso che dopo i
cinquant’anni dev’essere lecito fumare la marijuana…”. Un po’ come i
preti dell’Anno che verrà di Dalla che “potranno sposarsi ma
soltanto a una certa età”, per Giuliano Ferrara l’età giusta (e lecita)
per cominciare a farsi le canne è dai cinquanta in avanti. La battuta,
ennesimo siparietto di un interminabile duello con Pannella a Radio Radicale, ha il suo perché.
Forse per il conservatore Ferrara, che da studente comunista ha fatto
una tesi su Leo Strauss e si è trovato così avvantaggiato rispetto ai
neoconservatori arrembanti “che dovevano comprarlo su Internet perché in
libreria non si trovava” (rievoca durante la tenzone l’arbitro Bordin),
non sono i giovani che hanno bisogno di sedativi naturali, ma i vecchi.
E visto che è noto – alle persone di buon senso – che psicofarmaci e
alcol siano una consolazione anche peggiore, meglio le canne.
Sulla marijuana il dibattito si è riaperto dopo la pubblicazione, lo scorso anno, del rapporto della Global Commission on Drug Policy delle
Nazioni Unite. “La guerra mondiale alla droga ha fallito con devastanti
conseguenze per gli individui e le comunità di tutto il mondo. Le
politiche di criminalizzazione e le misure repressive – rivolte ai
produttori, ai trafficanti e ai consumatori – hanno chiaramente fallito
nello sradicarla. Le apparenti vittorie nell’eliminazione di una fonte
di traffico organizzato sono annullate quasi istantaneamente
dall’emergenza di altre fonti e trafficanti”.
Qualcuno potrà pensare di assistere all’esibizionismo post moderno di
una qualche bislacca adunata di fricchettoni lautamente stipendiati
dall’Onu: sbagliato. Ai lavori della Commissione hanno partecipato
alcuni tra i protagonisti della fallimentare politica proibizionista su
scala globale: l’ex presidente dell’Onu Kofi Annan, Ferdinando Cardoso,
George Schultz, George Papandreu, Paul Volcker, Mario Varga Llosa,
Branson.
Ora, secondo loro, bisogna “sostituire la criminalizzazione e la
punizione della gente che usa droga con l’offerta di trattamento
sanitario, incoraggiando la sperimentazione di modelli di legalizzazione
e rompere il tabù sul dibattito e sulla riforma”. Nientemeno. Un po’
come ha fatto, qui al bar senza birra,
Alfonso Papa nel suo coraggioso articolo sull’antiproibizionismo,
forgiato nei giorni della privazione della sua libertà per motivi
politico-giudiziari a me francamente incomprensibili.
“Mi sono rotto il cazzo che se vince la sinistra vince la droga e mai
che mi invitino a un festino. Mi sono rotto il cazzo del più grande
partito riformista d’Europa, dal facciamo quadrato nel grande centro,
dei girotondi, del partito dell’amore, del governo ombra…”.
Per fortuna che c’è Lo Stato Sociale, scoperto su FrontPage
come karma comanda (avevo appena finito di maledire i cinquantenni
quando questi maledetti giovani, usciti a mia insaputa dalla “mia” radio
bolognese, hanno fatto irruzione nella mia tardo-trentennale
quotidianità). Tocca ai ventenni come loro trovare le parole.
“Il Partito negli ultimi vent’anni è andato a puttane come il re, e
come il re ha iniziato ha sparare, e con il re tornerà sifilitico col
colpo sempre in canna per la gioia di ogni massaia drogata.” Anche per
le canne dev’essere la Cassazione o
un Alfonso Papa di passaggio, o il solito Pannella o Ferrara “ma
soltanto a una certa età” e non, mai, un cazzo di leader del Pd a
mettere nero su bianco che coltivare una pianta di marijuana “non mette
in pericolo il bene della salute pubblica o della sicurezza pubblica”.
Non più di un tavor o del nocino della nonna.
E in California, Svizzera o Israele dove con una ricetta del medico
ti danno la marijuana in farmacia, perché è noto che funziona per le
terapie contro il dolore, l’anoressia, le malattie neurodegenerative
come il Parkinson, l’epilessia? Dice, ma qui c’è la Chiesa, il Papa, la
Dc, le cavallette e allora ciccia, lasciamo stare: facciamo un bel
dibattito sulla legge elettorale. Sarà meglio maggioritaria o
proporzionale, o magari tutte e due? C’è da fare quadrato nel grande
centro, bisogna dirlo ai giovani.
“Abbiamo vinto la guerra e non era mica facile e già che avanzavano
cartucce siamo rimasti per vincere anche la pace, ma lei si è arresa a
tavolino e siccome che c’era il tavolino poi sono arrivate le bottiglie:
quelle le han portate gli amici del sindacato.”
Precari o disoccupati, eterni studenti senza pensione, condannati al
fancazzismo dal futuro nebuloso, senza famiglia se gay, in galera per
una canna. Su internet, all’estero, in campagna o con una canzone: la soluzione è la diserzione.
“E meno male che c’è la salute che se non ci fosse bisognerebbe
inventarla. D’altronde che c’è di più bello della vita e io l’ho vista
da struccata appena sveglia. Ma non perdere la speranza di andare in
vacanza senza mai lavorare… possibili code su raccordi stradali,
riunioni aziendali, fanculo, a cui non andare.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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23 marzo 2012
LA LEGGE DI CAMERON
 “E a chi ha delle riserve, io dico: sì, si tratta di uguaglianza, ma è
anche qualcos’altro: l’impegno. I conservatori credono nei legami, che
la società sia più forte quando c’impegniamo a vicenda e ci sosteniamo
l’un l’altro. Quindi io non appoggio il matrimonio gay a dispetto del
mio essere conservatore. Lo faccio proprio perché sono un conservatore”.
Ci voleva David Cameron per dare uno straccio di ragione valoriale (ma post-ideologica) a una scelta politica?
Con un discorso che resterà nella storia pluricentenaria dei Tories,
il premier britannico ha annunciato che entro il 2015 i matrimoni gay
saranno legge anche in Inghilterra, dopo Olanda, Spagna e Canada. E a
chi gli venisse in mente che possa trattarsi solo del narcisismo nuovista
di un “giovane” rampante ansioso di bruciare le tappe che lo separano,
appunto, dai libri di storia, converrebbe riflettere su quel termine
brandito da Cameron per spiegare il colpo di teatro: conservatore.
Si potrebbe ipotizzare, allora, che le chiese, i media e i circoli old tories
del Regno Unito siano in via di frivolezze progressiste, del tutto
fuori portata nel paese del Vaticano, del Papa, di Alberto Sordi e don
Abbondio. Nemmeno
per sogno. Cameron è intenzionato a tirare diritto e ha una ottima
ragione per farlo: è la scelta politica più genuinamente conservatrice,
per un paese che vuole camminare. La fine delle discriminazioni
significa la disoccupazione per i professionisti delle cause giuste. La
mafia crea l’antimafia, Berlusconi l’antiberlusconismo, il Medioevo
italiano il Gay Pride quotidiano.
La legge di Cameron, invece, chiede responsabilità a fronte di
libertà, diritti contro doveri, anche alle persone dello stesso sesso
che intendono metter su famiglia. Quando per famiglia s’intende una
comunità solidale di affetti e affari, la cellula di ogni società in
buona salute. Conservatoristicamente parlando. Fine del teatrino omofobo
di trogloditi che dal Parlamento esondano su radio, tv e web e stop
all’eterno Gay Pride degli appelli, delle manifestazioni, degli osceni
dibattiti su cosa è o non è contro natura, degli slogan vittimistici e
stantii che ti fanno venir voglia di applaudire Sgarbi.
“Io sono contrario al matrimonio in quanto tale. A tutti i matrimoni!
Che cazzo me ne frega a me di far sposare uno di settant’anni con uno
di trenta? Così quando il vecchio crepa quell’altro si becca la pensione
di reversibilità per tutta la vita… Tutta una questione di soldi, se
davvero c’entrasse l’amore, gay o non gay, quando uno crepa l’altro non
becca un soldo. Arrivederci e grazie…”.
In una puntata della Zanzara di Radio24 più odiosa delle
altre, l’intervento urlante dell’ex sindaco di Salemi è suonato come una
boccata di aria fresca. Il truce conformismo dell’ironia brutale e
giaculatoria del co-conduttore satirico, supportata con furore dal
collega serio (teoricamente il poliziotto buono della ditta), aveva da
poco preso di mira un presunto collaboratore dell’onorevole Scilipoti,
reo di aver dichiarato contro natura il sesso anale (ma solo fra culi
maschili).
Il malcapitato, in palese e servile imbarazzo, era stato brutalizzato
senza pietà né costrutto per tentare di strappare una ghignata
all’indirizzo di Scilipoti, bersaglio dell’ineffabile duo della radio di
Confidustria in quanto simbolo del rococò politicante e castale,
ma parente povero del potere e dei potenti. Forti con i deboli, i due
hanno poi bastonato un ascoltatore che tentava di argomentare in difesa
(“faceva solo il suo mestiere”) dell’oscura voce che aveva risposto al
numero del parlamentare-target.
Legalizzare i matrimoni gay permetterebbe di liberarsi di
trasmissioni così miserabili, dell’inevitabile alleanza di
avanspettacolo fra capre omofobe e cinismo liberal. Di non doversi sorbire più lo squallore dichiaratorio a proposito del funerale di un gay celebre, che aveva osato non esibirsi nel canonico coming out
richiesto dall’etichetta del politicamente corretto, o di quelle che
circondano ogni benedetto Gay Pride, che regolarmente ci regalano
l’istantanea truccata di un’Italia inchiodata sul set di un film anni
‘50.
Ci volevano i giudici per fare politica. C’è voluta una sentenza della Corte di Cassazione, più che lo storico voto
del Parlamento europeo che chiede alla Commissione di trovare il modo
per regolamentare i matrimoni gay tra cittadini di diversi paesi
dell’Unione (l’Europa si fa Stato), per spazzare via il vuoto pneumatico
in cui galleggia il Pd e il centrosinistra dei Pacs e dei Dico. C’è
stato bisogno di leggere le motivazioni di una sentenza con cui l’Alta
Corte ha respinto un ricorso di due omosessuali olandesi, che chiedevano
di vedersi convalidare le nozze contratte regolarmente in patria.
È bastato dire che la coppia ha diritto legale a “un trattamento
omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”, anche
se la legge italiana impedisce di “far valere il diritto a contrarre
matrimonio, né il diritto alla trascrizione del matrimonio celebrato
all’estero”. Per i giudici, però, le coppie gay hanno il diritto alla
famiglia come quelle etero. È bastato dire questo e sono andati tutti in
crisi, a parte i conservatori seri che hanno ancora in testa una
società da conservare.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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