4 gennaio 2011
LETTERA AGLI STUDENTI
Sperando di svicolare dignitosamente tra
paternalismo senescente e cinismo distaccato, mi prendo queste righe
d’inizio anno per rivolgermi ai militanti del Movimento Studentesco
Nazionale, con tutte e tre le maiuscole proprio come ho trovato in giro
per il web, manco fosse una citazione di un ciclostilato degli anni ’70.
Per la prima volta, dopo gli anni settanta
infatti, si parla di Movimento Studentesco e non di Onda, Pantera, Udu,
Cl, collettivi, Sinistra Giovanile, Azione Giovani e via citando. E
questo fatto, di per sé, è già un evento. Nell’immaginario collettivo è
passato che gli studenti in quanto tali esprimono un disagio vero, che
in qualche modo mostra un nervo scoperto dell’Italia del 2010: quello
dei giovani e del furto di futuro che si sta compiendo ai loro danni.
Con sfumature diverse, naturalmente, è
opinione diffusa (confortata dall’esperienza quotidiana) che un disagio
generazionale esista e valichi ampiamente le sensibilità politiche e le
classi sociali. Il presidente Napolitano ha in qualche modo raccolto
questo disagio, la sensazione che qualcuno o qualcosa abbia cambiato le
carte del futuro, ma gli altri – politici, giornalisti e parolai vari –
si sono limitati a dividersi, con diverse sfumature, in opposte
tifoserie. Come a Genova.
E il fatto che non ci sia stato un altro
Carlo Giuliani, alla manifestazione di Roma, è un miracolo, un caso
fortuito di un destino che andrebbe accuratamente assecondato, evitando
di fare della violenza un totem (ancorché simbolico) che alla fine dei
conti ottunde la ragione e mena comunque rogna. Ma questo è scontato, a
parole son buoni tutti. Meno scontato è capire in che modo capitalizzare
quel credito di visibilità acquisito, l’essere percepiti da buona parte
dell’opinione pubblica – nonostante le auto e le teste fracassate –
come una buona causa. Quella di chi si batte per un’università migliore.
“ADOZIONE DI UN CODICE ETICO per evitare
incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. LIMITE
MASSIMO AL MANDATO DEI RETTORI di complessivi 6 anni, inclusi quelli già
trascorsi prima della riforma. Un rettore potrà rimanere in carica un
solo mandato e sarà sfiduciabile. NUCLEO DI VALUTAZIONE D’ATENEO A
MAGGIORANZA ESTERNA per garantire una valutazione oggettiva e
imparziale. GLI STUDENTI VALUTERANNO I PROFESSORI e questa valutazione
sarà determinante per l’attribuzione dei fondi dal ministero.
VALUTAZIONE DEGLI ATENEI: Le risorse saranno trasferite dal ministero in
base alla qualità della ricerca e della didattica. OBBLIGO PRESENZA
DOCENTI A LEZIONE: avranno l’obbligo di certificare la loro presenza a
lezione.”
Alcuni di questi punti della riforma Gelmini
sono da almeno quindici anni bandiere dell’associazionismo di
centrosinistra (oggetto ossessivo di quella vasta letteratura minore che
pullula fra i documenti politico-programmatici redatti nottetempo da
comitati fumanti) e, anche se bisogna vedere cosa c’è sotto i titoli (e
nei decreti attuativi), prima o poi bisognerà prenderne atto. Perché non
accettare, quindi, la proposta del ministro
e chiedere di discutere nel merito, fare controproposte puntuali e
obbligare i parlamentari di riferimento a presentarle? Che senso ha
lasciare la riforma dello status giuridico dei docenti-baroni, la cui
legge era stata palleggiata tra Camera e Senato per due-tre lustri, al
solo governo Berlusconi e rifugiarsi nell’aventino mediatico della
piazza tout-court? Perché non stupire con effetti speciali, tipo
l’intelligenza?
L'articolo è stato pubblicato (con un altro titolo) su The FrontPage.
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