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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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29 marzo 2011
NONOSTANTE NOI
 Che lo spettacolo dell’Occidente nella guerra in Libia, al solito
diviso e rissoso, sia desolante è fuori discussione. All’interno di
questa desolazione, però, Francia e Italia si sono distinte in una sorta
di rivincita della finale dei penultimi mondiali, con Sarkozy intento a
menar capocciate a nemici e alleati, convinto di poterle poi
capitalizzare in voti, commesse e prebende neocoloniali, e il governo
italiano oscillante tra la fedeltà al campo occidentale in cui milita
dal 1945 ad oggi e la nostalgia del bunga bunga politico-danaroso
all’ombra del Libro verde.
Uno degli sport preferiti degli italiani,
si sa, è cambiare casacca, idea, fedeltà, a seconda delle convenienze.
Così, quando il premier ha espresso “rammarico” per la sorte del vecchio
sodale Gheddafi, oltre al rispetto per la coerenza cameratesca
dell’unico leader occidentale capace di familiarizzare pubblicamente con
personaggi come Putin e Lukashenko,
ben oltre l’etichetta dell’ormai celebre “diplomazia della pacca sulle
spalle”, si stagliava nitidamente un messaggio che l’ex “migliore amico
di Bush e dell’America” (che ha spedito il tricolore in Iraq e
Afghanistan) ha tentato di far giungere al raiss: siamo ancora amici.
Ora che anche a destra regna il ‘pluralismo’ più radicale, tra
neopacifismi e prudenti realismi si cominciano ad orecchiare (anche
fuori dai circuiti criptofascisti) tesi complottarde degne del miglior
Giulietto Chiesa. Alla base delle rivoluzioni del mondo arabo di questi
mesi ci sarebbe il solito ordito demo-pluto-giudaico-massonico, la Spectre
dei finanzieri (quasi tutti in odore di kippah) tenutari delle
portaerei storiche del giornalismo, in grado di far schizzare il prezzo
del pane pigiando un bottone e d’indottrinare la pubblica opinione a
seconda dei propri malvagi disegni. Una cricca di speculatori senza
scrupoli e i loro epigoni politici, che Tremonti ha definito gli Illuminati, quelli che tirano le fila della diabolica globalizzazione.
Naturalmente lo sterco del demonio ha una parte in commedia
anche stavolta: gas, petrolio, acqua (ce n’è tanta in Libia) fanno gola a
tutti. Non è detto però che i rissosi neo-nanetti occidentali riescano
ad accaparrarsi tutto come ai bei tempi delle sahariane e delle
canzoncine virilizzanti. Brasile, India, Cina e Russia si sono messi di
traverso con strategica determinazione (senza deambulare a vanvera tra
le bombe e le chiacchiere) e lo scenario si profila assai più complesso
dei sogni-incubi dei complottardi di casa nostra. Di certo il governo di
Frattini e La Russa pare destinato
a giocare un ruolo da comparsa tra i bomber anglo-francesi (Berlusconi
che bacia la mano se lo ricordano bene), Obama e le quattro potenze del
BRIC, acronimo del nuovo blocco, decise a misurare in politica le
performances ottenute in economia. Il ruolo di mediazione a cui da
sempre aspiriamo per ora lo sta svolgendo, in tutta l’area, la Turchia
di Erdogan (altra economia da corsa).
Poi, nonostante le miserie d’Occidente, la lotta continua. In Siria la polizia ha sparato anche ieri sui
manifestanti di Daraa, mentre il regime di Assad si affanna con riforme
e pretattiche che si stanno mostrando controproducenti. Venerdì scorso
lo Yemen e la Giordania sono stati teatro di manifestazioni, morti e
feriti. Tutto questo non spaventa gli insorti ma anzi moltiplica le
braci dell’incendio. Con le ovvie difficoltà che comporta ogni processo
di transizione, Egitto e Tunisia sono lì a dimostrare che tutto è
possibile.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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13 ottobre 2009
NOBEL ALLA MAGIA
 "Meglio non essere figli di cinesi, tuo padre e tua madre sono
entrambi vigliacchi che per dimostrare la loro fedeltà, quando la morte
è a portata di mano, fanno accomodare prima i leader"
L'altro
giorno su Repubblica ho scoperto la storia del De Andrè cinese, un
cantautore cieco di 39 anni che ha venduto milioni di cd e gira da solo
per la Cina da oltre vent'anni cantando l'altra faccia della
superpotenza. Cinismo, miseria, corruzione, sfruttamento dell'uomo
sull'uomo. L'unico mistero è perché non l'hanno ancora fatto fuori. In
tempi in cui il leader della speranza progressista mondiale evita di
incontrare il Dalai Lama per non turbare il buonumore diplomatico degli
eredi del Celeste Impero, come fosse un D'Alema qualunque, si tratta di
un dubbio legittimo. Obama ci ha subito ripensato, subissato da
una valanga di critiche, che hanno reso subito chiaro che il piatto
della bilancia costi-benefici della mossa in ossequio alla ragion di
stato pendeva decisamente verso i costi. Frasi come quella del deputato
repubblicano Frank Wolf non lasciano molti dubbi in proposito "Cosa
deve pensare un monaco o una suora buddhista rinchiusi nella prigione
di Drapchi nell'apprendere che Obama non riceve il leader spirituale
tibetano?" Così il presidente ha annunciato che incontrerà il Dalai Lama in data da destinarsi, decisa di comune accordo. L'articolo intero, il Bianconiglio di questa settimana pubblicato ieri su Aprile, è qui. L'immagine l'ho presa in prestito qui.
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6 ottobre 2009
ZHOU YUNPENG
"Meglio non essere figli di cinesi, tuo padre e tua madre sono entrambi
vigliacchi che per dimostrare la loro fedeltà, quando la morte è a
portata di mano, fanno accomodare prima i leader"
Ogni tanto sulla Pravda si trovano cose interessanti. Prima ho scoperto la storia del "De Andrè" cinese, un cantautore cieco di 39 anni che ha vendutoo milioni di cd e che gira da solo per la Cina da oltre vent'anni cantando l'altra faccia della potenza cinese. CInismo, miseria, sfruttamento dell'uomo sull'uomo. L'unico mistero è perché non l'hanno ancora fatto fuori. In tempi in cui il leader della speranza progressita mondiale si rifuta di incontrare il Dalai Lama, come un D'Alema qualunque, si tratta di un dubbio legittimo.
Il video di Zhou Yunpeng l'ho preso qui.
zhou yunpeng
cina
de andrè
dalai lama
obama
| inviato da orione il 6/10/2009 alle 19:13 | |
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12 agosto 2008
RADIO TBILISI
 ...questo è accaduto senza nostra conoscenza e contro la nostra volontà.
Annunciava
a Radio Praga il Partito Comunista della Cecoslovacchia, mentre i carri
armati dell'Unione Sovietica che entravano nella capitale mettevano
fine alla Primavera di Praga, specificando bene ai fricchettoni
disattenti cosa significasse la parola ortodossia. Al potere non ci stava la fantasia ma i soliti - sempreverdi - stivaloni di regime.
Quarant'anni
dopo le bombe di Putin (il figliol prodigo degli stivaloni sovietici) e
soci su Tbilisi hanno avuto una tempistica impeccabile. Come ogni putch
che rispetti. Gli aerei sono partiti quando l'attenzione del mondo
era rivolta allo splendido show messo in piedi dall'altro despota
globale per dare lustro alla ritrovata potenza del suo impero
millenario. Sui siti dei "media" le medaglie di Pechino si rincorrevano
con le bombe di Tbilisi alla ricerca della piazza d'onore, la vetta del
mainstream.
Intanto le tecniche del Kgb erano state implementate
con le meraviglie dell'era informatica e gli "hacker" russi mettevano
in ginocchio i siti nevralgici della Georgia. Gli attacchi sembrano provenire dal Russian Business Network
(RBN), una delle più grandi organizzazioni di cybercrimine al mondo con
sede a San Pietroburgo specializzata in attacchi di ogni tipo (spam,
phishing, ecc.) e, secondo il Guardian, legata direttamente a esponenti
politici russi. Niente di nuovo: l'anno scorso l'Estonia aveva sperimentato lo stesso trattamento.
Il
Ministero degli Affari esteri della Georgia, coi server che venivano
giù uno dopo l'altro, ha deciso di fare la cosa più ovvia e
rivoluzionaria: aprire un blog. Da lì
sta raccontando le bombe, i morti, la guerra, mentre i televisori
d'agosto sparano le imprese dei campioni di Pechino, che hanno fatto
dimenticare in fretta ogni velleità di boicottaggio e tutte le belle
parole spese sui diritti umani capestati nel (e dal) Celeste Impero.
Come
Radio Varsavia, che trasmise fino al primo ottobre del 1944 e chiuse le
trasmissioni con "la Caduta di Varsavia" di Chopin, avvenuta infatti
il giorno dopo con i nazisti che entravano in una città ormai rasa al
suolo dai bombardamenti.
E come Radio Praga, che all'una e mezzo del mattino del 21 agosto 1968 trasmise la prima notizia dell'invasione della
Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia.
A mezzogiorno durante il notiziario risuonò l'inno nazionale interrotto da raffiche di mitragliatrice, in
via Vinohradska erano ore drammatiche, gli studi della radio divennero
teatro di veri combattimenti in cui persero la vita venti persone.
Il giorno dopo Radio Praga cominciò a trasmettere clandestinamente da una villa di Nusle, la Georgia oggi si è dovuta rifugiare su Google. Speriamo che vada a finire in un altro modo.
La cartolina di Radio Praga l'ho presa in prestito qui.
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7 aprile 2008
MONDO LIBERO
 Magari per calcolo elettorale spicciolo, una sorta di ultima cartuccia per svelare agli americani che è lei quella di sinistra, non il fighetto Obama (come tentano di credere e far credere i "media"). Forse, ma la forza della disperazione è pur sempre un forza formidabile e aprendo il corriere.it si scopre che Hillary ha il coraggio (insieme a Sarkozy) di dare la linea a quello che una volta veniva chiamato mondo libero.
Nessun rappresentante del mondo libero dovrebbe assistere alla cerimonia di apertura delle olimpiadi dei macellai. Ne va della definizione (mondo libero) e del suo futuro. Mai come in questo precarissimo inizio millennio il simbolo è realtà. E il mezzo è il messaggio.
La foto arriva da qui.
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16 marzo 2008
IL CIELO SOPRA RUSSI
 Oggi dal mio lucernario ho visto quanto rapidamente è cambiato il tempo. Stavo lavorando, gambe incrociate sul letto con Thor e Rebecca a fare da sentinelle, e ogni tanto alzavo gli occhi e sbirciavo dalla finestrella. Sopra di me il sole e le nuvole si rincorrevano a ritmo forsennato, poi il primo ha cominciato a prevalere sempre più spesso, fino alla vittoria definitiva nel pomeriggio. A sera il vento aveva spazzato via ogni resistenza, il cielo era limpido i colori splendidi: l'ideale per andare da Remo a prendere una birra per me e un cappuccione per Vanessa, che deve lavorare ancora a lungo.
Da Remo nessuna traccia del patacca del bar che mi ha copiato il look l'altro giorno. Ero così orgoglioso del mio spezzato estremista jeans sdruciti / gessato regimental / clark che quando sono arrivato al bar (dopo due giorni a Frosinone e Roma con Ciube) e ho visto il patacca vestito come me (in versione patacca ovviamente) ci sono rimasto di sale. Sarò un patacca anch'io? Mi sono sorpreso a domandarmi, perlesso.
Birra alla mano, mi sono accomodato al bancone con La Stampa di oggi. Qui in Romagna, oltre a Mazzini, Garibaldi, Mussolini e Malatesta, hanno anche la bella abitudine di prendere La Stampa in tutti i bar, il giornale più decente in circolazione infatti è allegato al Corriere di Romagna. Sul quotidiano di Torino oggi c'era disfatta morale, un articolo di Barbara Spinelli sul penoso imbarazzo delle cancellerie democratiche sul massacro cinese in Tibet e sugli esiti disastrosi di quasi sette anni di politica di guerra dei cosiddetti neocons europei e nordamericani.
Il massacro dei monaci (ieri birmani, oggi tibetani) è uno schiaffo alla nostra falsa morale democratica (più o meno da esportazione), a cui non siamo in grado di reagire neanche con la verve dimostrata all'epoca della decapitazionne delle statue del Buddha in Afghanistan da parte dei talebani brutti e cattivi. Sempre buddhisti, sempre pacifici, sempre vittime, ma stavolta in carne ed ossa. Più di cento vittime, pare, in Tibet oggi, più di ducento in Birmania lo scorso settembre. Stesso penoso balletto diplomatico, stesso sacro terrore di perderci i piccioli della locomotiva cinese, stessso squallido allineamento alla ragion di stato, vera e propria condanna della nostra civiltà.
In questo miserabile tramonto dell'Occidente solo i cattivi fanno i cattivi sul serio. Putin ha abolito le regioni per decreto, le teocrazie continuano a lapidare le adultere e la Cina (oltre a sparare sui monaci indifesi) sta oscurando YouTube da tre giorni, pare per ripicca. Alla faccia della globalizzazione. Le democrazie, invece, dimenticano che se non sono loro a dare una mano alla voglia di libertà per cui i monaci muoiono in silenzio, avranno ragione le dittature. Prima dei monaci, poi delle democrazie.
Là sopra, fuori dal mio lucernario, sembra davvero un brutto mondo; ma qui a Russi l'aria sa già d'estate.
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3 dicembre 2007
LE DIFFERENZE
 Che la democrazia sia al crepuscolo lo si vede, plasticamente, confrontando la crescita dei Pil democratici con quelli dei regimi autoritari: le dittature (Cina in testa) tirano molto di più. Dove il comando è più saldo e l'inflazione di potere minore l'economia va meglio, infatti tra le democrazie storiche solo gli Stati Uniti continuano a reggere il passo.
Poi, come in ogni epoca di decadenza che si rispetti, ci sono i ruffiani. Parassiti del benessere, professionisti della svalutazione della moneta e della diminuzione dei costi di produzione, salari bassi e rendite di posizione a go-go, veri e propri cinesi d'Europa (per questo così incazzati con i cinesi veri, tutta invidia) e portoghesi d'Occidente: gli italiani. Come hanno trattato il Dalai Lama suona come una conferma: la democrazia (e tutto ciò che implica, diritti, libertà, blablabla) è alla frutta e gli italiani stanno cercando una nuova casacca da indossare che tenga al calduccio d'inverno, come il gas russo.
La prima pagina del Corriere on-line di stamattina sembra fatta apposta per confermare la mia tesi, aggiungendo un'interessante sfumatura di grigio: - prima notizia: brogli in Russia, Putin lanciato verso la dittatura (senza proletariato né sfumature) - seconda notizia: il referendum di Chavez è fallito. Non potrà più candidarsi presidente per il resto dei suoi giorni come aveva progettato. Democracy wins? Si, col 50,4% dei voti, però.
Il Mao di Andy Warhol l'ho preso in prestito qui.
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