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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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8 agosto 2012
SINISTRA E/A PUTTANE
 “Erano queste giovani [sacerdotesse, ndr] che avevano, anche, il nome di «vergini» (parthénoi ierai), di «pure», di «sante» – qadishtu, mugig, zêrmasîtu;
si pensava che incarnassero, in un certo modo, la dea, che fossero le
«portatrici» della dea, da cui traevano, nella loro specifica funzione
erotica, il nome – ishtaritu. L’atto sessuale assolveva così
per un lato la funzione generale propria ai sacrifici evocatori o
ravvivatori di presenze divine, dall’altro aveva una funzione
strutturalmente identica a quella della partecipazione eucaristica: era
lo strumento per la partecipazione dell’uomo al sacrum, in questo caso portato e amministrato dalla donna.”
C’è bisogno della Metafisica del Sesso di Julius Evola per
mettere un po’ di ordine intorno a quello che, un po’ sbrigativamente ma
non senza una ragione profonda, è conosciuto come il “mestiere più antico del mondo”.
“Puta” è una radice sanscrita presente nei Veda indiani, poi esondata
dall’Avesta alle lingue romanze, che allude a qualcosa di puro, santo.
La “Grande Prostituta” o “Vergine Santa”, infatti, anticamente era una
sacerdotessa che amministrava il culto della dea.
“L’atto sessuale tra un uomo e la sacerdotessa era il mezzo per
ricevere la gnosi, per fare esperienza del divino [...]. Il corpo della
sacerdotessa diventava, in modo impensabile per il mondo occidentale
contemporaneo, letteralmente e metaforicamente una via per entrare in
rapporto con gli dei [...]. Per i pagani, infatti, le donne erano
naturalmente in contatto con il divino, mentre l’uomo, da solo, non
poteva raggiungere questo obiettivo.”
Sino ai tempi dei romani il termine “vergine” significava “nubile”, tant’è che in latino a “virgo” si affiancava l’allocuzione “virgo intacta”
per identificare la ragazza non sposata e priva di esperienza sessuale.
Non stupisce, dunque, la trasfigurazione etimologica – e culturale –
operata dalla gestione patriarcale del messaggio di Cristo. In più i
cristiani, junior del Vecchio Testamento, erano avvantaggiati: gli avi
ebrei erano stati i primi a liberarsi del culto della dea e a
sostituirla con il (presunto) unico dio maschio.
Proprio una Vergine sarà la madre del Salvatore e il suo carisma si
diffonderà con trasversale rapidità. Le madonne nere di Francia, il
culto di Iside, le eredità etrusche, cretesi e druidiche, insieme al
Natale e alle altre feste copiaincollate su quelle pagane e
celtiche, si fondono nel Cristianesimo che porta a compimento il
rovesciamento dei poli, iniziato dagli ebrei e dalle invasioni di
elleni, dori e achei nella Grecia pre-socratica e matriarcale: gli
uomini amministrano il culto, le donne sono sante o puttane.
Le antiche sacerdotesse della luna vengono sfrattate dagli altari e
sbattute in strada, proprietarie solo di quel corpo che un tempo fu il
tempio e ora diventa l’icona del peccato. Maddalena non per caso
assurgerà a simbolo di resistenze carbonare, oltre che a croce e delizia
della sbandierata tolleranza della religione del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo (tutti con la “o”). Così come i padroni maschi del pantheon
greco si erano dovuti inventare il parto cerebrale di Era da parte di
Zeus, per giustificare la patrilinearità celeste su cui poggiava il loro
potere ai piedi dell’Olimpo.
La sessuofobia contemporanea, quindi, non è che un retaggio
antropologico antico, un riflesso condizionato di quel naturale timore
reverenziale che ogni maschio di potere prova nei confronti di una donna
libera e del suo corpo. Tutto quello che ne discende, in termini di tic
e paranoie culturali sull’educazione, la cultura, il buon gusto e
persino la politica, è solo un pallido rimbalzo di una partita antica
come il sole e la luna. Il beghinaggio moralista su videogiochi,
pornografia, preservativi e tutto il resto è tutto qui.
Ma c’è anche la tolleranza. Questa dev’essere una delle ragioni per cui il motto – il mestiere più antico del mondo
– è ancora valido. Le prostitute sono sempre state tollerate, spesso
utilizzate per le “necessità corporali” di papi, confratelli e prelati,
come monito del peccato ma anche della possibile redenzione, incarnata
dalla sempiterna Maddalena. Tolleranza non vuol dire uguaglianza, però.
Anzi. La condizione di minorità, di clandestinità professionale, di
oscurità sociale è essenziale, per il monito.
Niente di male, intendiamoci: la Chiesa fa la sua partita. Quello che
disarma, come al solito, è la nullità culturale e la sudditanza
politica espressa dai sinistri moralizzatori che si ergono a paladini
dei diritti della donna, con la “d” maiuscola. E non spostano un fico
secco circa le condizioni materiali delle donne in carne ed ossa che,
per scelta, costrizione o (estremo peggio) schiavitù, si prostituiscono
per strada.
L’ultima della lista è la neo-portavoce del governo Hollande, Najat Vallaud-Belkacem, che ha dichiarato: “Non si tratta di sapere se vogliamo abolire la prostituzione, ma di trovare gli strumenti per farlo”. Le “sex workers”
di Francia (lì le case chiuse sono state abolite nel 1946), circa
ventimila di cui ottomila solo a Parigi, sono scese in piazza per
protestare, volto coperto da maschere di plastica e lavagnetta al collo
con su scritto: “Non siete voi a riempirmi il frigo, a pagarmi le
bollette, perciò non potete parlare”.
In Italia la senatrice radicale Poretti, che ha proposto un disegno di legge per
la legalizzazione della prostituzione, ha fatto i conti: “settantamila
prostitute presenti nel nostro Paese per nove milioni di clienti e un
costo medio per prestazione di trenta euro fa un giro d’affari,
sicuramente per difetto, di novanta milioni al mese, oltre un miliardo
l’anno”. In tempi di crisi nera forse è meglio tassare l’ipocrisia di
Stato, visto che la prostituzione in sé non è reato, piuttosto che
strangolare imprese e pensionati.
Un barlume di lucidità giunge dalla Romagna. A Ravenna il sindaco Matteucci ha annunciato
recentemente il progetto per la “zonizzazione” della città, prevedendo
alcune zone illuminate e sicure per farle lavorare in santa pace. Si è
anche lanciato in un’apologia liberalizzatrice commovente sulla
necessità di una legge che regolamenti il mestiere più antico del mondo
con laica serietà. In tempi normali sarebbe una battaglia persa in
partenza, chissà se la fame si dimostra catartica.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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23 marzo 2012
LA LEGGE DI CAMERON
 “E a chi ha delle riserve, io dico: sì, si tratta di uguaglianza, ma è
anche qualcos’altro: l’impegno. I conservatori credono nei legami, che
la società sia più forte quando c’impegniamo a vicenda e ci sosteniamo
l’un l’altro. Quindi io non appoggio il matrimonio gay a dispetto del
mio essere conservatore. Lo faccio proprio perché sono un conservatore”.
Ci voleva David Cameron per dare uno straccio di ragione valoriale (ma post-ideologica) a una scelta politica?
Con un discorso che resterà nella storia pluricentenaria dei Tories,
il premier britannico ha annunciato che entro il 2015 i matrimoni gay
saranno legge anche in Inghilterra, dopo Olanda, Spagna e Canada. E a
chi gli venisse in mente che possa trattarsi solo del narcisismo nuovista
di un “giovane” rampante ansioso di bruciare le tappe che lo separano,
appunto, dai libri di storia, converrebbe riflettere su quel termine
brandito da Cameron per spiegare il colpo di teatro: conservatore.
Si potrebbe ipotizzare, allora, che le chiese, i media e i circoli old tories
del Regno Unito siano in via di frivolezze progressiste, del tutto
fuori portata nel paese del Vaticano, del Papa, di Alberto Sordi e don
Abbondio. Nemmeno
per sogno. Cameron è intenzionato a tirare diritto e ha una ottima
ragione per farlo: è la scelta politica più genuinamente conservatrice,
per un paese che vuole camminare. La fine delle discriminazioni
significa la disoccupazione per i professionisti delle cause giuste. La
mafia crea l’antimafia, Berlusconi l’antiberlusconismo, il Medioevo
italiano il Gay Pride quotidiano.
La legge di Cameron, invece, chiede responsabilità a fronte di
libertà, diritti contro doveri, anche alle persone dello stesso sesso
che intendono metter su famiglia. Quando per famiglia s’intende una
comunità solidale di affetti e affari, la cellula di ogni società in
buona salute. Conservatoristicamente parlando. Fine del teatrino omofobo
di trogloditi che dal Parlamento esondano su radio, tv e web e stop
all’eterno Gay Pride degli appelli, delle manifestazioni, degli osceni
dibattiti su cosa è o non è contro natura, degli slogan vittimistici e
stantii che ti fanno venir voglia di applaudire Sgarbi.
“Io sono contrario al matrimonio in quanto tale. A tutti i matrimoni!
Che cazzo me ne frega a me di far sposare uno di settant’anni con uno
di trenta? Così quando il vecchio crepa quell’altro si becca la pensione
di reversibilità per tutta la vita… Tutta una questione di soldi, se
davvero c’entrasse l’amore, gay o non gay, quando uno crepa l’altro non
becca un soldo. Arrivederci e grazie…”.
In una puntata della Zanzara di Radio24 più odiosa delle
altre, l’intervento urlante dell’ex sindaco di Salemi è suonato come una
boccata di aria fresca. Il truce conformismo dell’ironia brutale e
giaculatoria del co-conduttore satirico, supportata con furore dal
collega serio (teoricamente il poliziotto buono della ditta), aveva da
poco preso di mira un presunto collaboratore dell’onorevole Scilipoti,
reo di aver dichiarato contro natura il sesso anale (ma solo fra culi
maschili).
Il malcapitato, in palese e servile imbarazzo, era stato brutalizzato
senza pietà né costrutto per tentare di strappare una ghignata
all’indirizzo di Scilipoti, bersaglio dell’ineffabile duo della radio di
Confidustria in quanto simbolo del rococò politicante e castale,
ma parente povero del potere e dei potenti. Forti con i deboli, i due
hanno poi bastonato un ascoltatore che tentava di argomentare in difesa
(“faceva solo il suo mestiere”) dell’oscura voce che aveva risposto al
numero del parlamentare-target.
Legalizzare i matrimoni gay permetterebbe di liberarsi di
trasmissioni così miserabili, dell’inevitabile alleanza di
avanspettacolo fra capre omofobe e cinismo liberal. Di non doversi sorbire più lo squallore dichiaratorio a proposito del funerale di un gay celebre, che aveva osato non esibirsi nel canonico coming out
richiesto dall’etichetta del politicamente corretto, o di quelle che
circondano ogni benedetto Gay Pride, che regolarmente ci regalano
l’istantanea truccata di un’Italia inchiodata sul set di un film anni
‘50.
Ci volevano i giudici per fare politica. C’è voluta una sentenza della Corte di Cassazione, più che lo storico voto
del Parlamento europeo che chiede alla Commissione di trovare il modo
per regolamentare i matrimoni gay tra cittadini di diversi paesi
dell’Unione (l’Europa si fa Stato), per spazzare via il vuoto pneumatico
in cui galleggia il Pd e il centrosinistra dei Pacs e dei Dico. C’è
stato bisogno di leggere le motivazioni di una sentenza con cui l’Alta
Corte ha respinto un ricorso di due omosessuali olandesi, che chiedevano
di vedersi convalidare le nozze contratte regolarmente in patria.
È bastato dire che la coppia ha diritto legale a “un trattamento
omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”, anche
se la legge italiana impedisce di “far valere il diritto a contrarre
matrimonio, né il diritto alla trascrizione del matrimonio celebrato
all’estero”. Per i giudici, però, le coppie gay hanno il diritto alla
famiglia come quelle etero. È bastato dire questo e sono andati tutti in
crisi, a parte i conservatori seri che hanno ancora in testa una
società da conservare.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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7 novembre 2011
OCCUPY HALLOWEEN
 C’è una consolidata tradizione di tentativo di occupazione del Samhain.
La festa di fine raccolto, l’inizio dell’inverno per gli antichi Celti,
è stata importata negli Stati Uniti dai coloni europei che tentavano di
portarsi dietro gli antichi dèi e i riti della loro Europa ancestrale.
Poi, insieme a Babbo Natale (made in Coke), il sogno americano ha rispedito al mittente la festa infiocchettata di pop, seppur nella sua sfumatura più dark.
Sempre più persone, festeggiando Dracula e Scary Movie,
rendono onore agli antichi dèi del lungo autunno pagano e alla loro
mitografia. È comprensibile quindi che alla chiesa cattolica girino le
palle e che le invettive dei suoi rappresentanti più sanguigni assumano a
ogni Halloween i toni trucemente grotteschi della crociata a mezzo
stampa. Negli ultimi anni, come da copione, i contenuti delle prediche
si sono concentrati sul carattere relativista dei festeggiamenti, che annacqua il valore religioso con frizzi e lazzi.
È buffo che sia proprio la chiesa cattolica a denunciare il furto di
fede (frizzi e lazzi contro autentica preghiera), quando la data di ogni
sua festa (a partire dal Natale) è stata minuziosamente tarata in modo
da coprire quella che c’era prima (in onore degli antichi dèi, appunto),
ereditandone fede e abitudine. La denuncia del carattere oziosamente
consumistico di Halloween, in Italia trova nell’elettorato ex-Pci il suo
alleato naturale, dando al termine “cattocomunista” un altro giorno di
splendore.
Quest’anno però l’occupazione più riuscita è venuta da chi, l’occupazione, l’ha fatta diventare il fenomeno politico più cool
del 2011. Le annuali parate di Halloween sono state occupate
mediaticamente dai cartelli di protesta contro la dittatura finanziaria
globale che hanno fatto il giro della Rete in poche ore. Secondo i
sondaggi, d’altronde, per i campeggiatori anti-sistema di Occupy Wall Street, la sezione Usa più celebre degli indignados, simpatizzano i due terzi dell’intero elettorato americano.
“A confermare la popolarità mondiale di Occupy Wall Street,
le agenzie turistiche ormai hanno inserito Zuccotti Park nei giri
organizzati dei torpedoni, alla pari con l’Empire State Building e Times
Square. I manifestanti hanno dovuto mettere dei cartelli “I turisti per
favore si fermino qui” per evitare che il via vai dei gruppi, insieme
con quello delle troupe televisive, finisse per invadere la privacy di chi dorme in sacco a pelo sotto le tende.”
E mentre a Zuccotti Park va in scena la parata delle star politically correct (and very glamour), in Ucraina s’indignano
pensionati e reduci della Caporetto afghana dell’Armata Rossa, in Cile
si ribellano gli studenti e la primavera araba, la miccia, si fa autunno
e consegna la Tunisia alla democrazia islamica (la gente vota un po’
chi gli pare, bisogna farsene una ragione).
“Le immagini si sovrappongono alla homepage, disturbando la lettura. C’è Batman che cerca un lavoro (Lost my job, found an occupation), uno dei protagonisti dei film di Austin Power, Mini-Me, che chiede soldi, un robot che ricorda il potere popolare del «Movimento 99%» (1% rich, 99% poor), un dinosauro che regge un cartello con la scritta «People, not profits» e un’infinità di altre figure prese in prestito dalla politica o dal cinema.”
Occupazioni e sit-in sono sbarcati anche in Rete, con soluzioni molto creative, sui siti di banche e finanziarie brutte e cattive, prima, e con un contest di
quattro giorni per creare icone di manifestanti da mettere a
disposizione di chiunque, in qualunque parte del mondo, per azioni
online. Tutto questo fermento, nell’epoca in cui con una app si calcola l’esatto numero di “schiavi” che mantengono il nostro stile di vita, di certo è un sollievo per il business della comunicazione che ha modo così di testare nuovi talenti. Gratis.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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