<%if foto<>"0" then%>
|
|
|
 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
 |
|
|
|
29 gennaio 2013
BERSANOIDI ALLA CONQUISTA DEL WEB
 “Uè ragassi, me l’avete menata su tutto il tempo con l’ambaradan
delle Frattocchie 2.0 e sta roba dei 300coslani lì, spartani (che a me
sinceramente stavano anche sulle balle) e poi diobono voi mi mettete su
una cosa vecchia come il cucco, che sembrate quelli che si organizzavano
e partivano in motoretta per andare a fischiare il comizio di quello o
di quell’altro a Porretta Terme e che poi una volta tornati al bar
facevano gli sboroni e si davano di gomito. Tuitter? I socialnetuork? La
campagna vi ci vuole a voi diobono!”
Il commento di Lorenzo riassume alla perfezione il fastidio
epidermico, ben comprensibile per chi ha avuto a che fare coi ciellini
melliflui e implacabili dell’università, che attanaglia dopo un breve
giro nel blog di Mantellini. Dopo aver osato postare il video di Bersani
in macchina che ascolta l’ultimo (inascoltabile) singolo di Vasco
intento a fumare il fido sigaro, titolando “votereste alle elezioni per
uno così?”, lo sdegno organizzato e militante è montato in poche ore.
Di questi tempi elettorali spesso, quando ci si inoltra su Facebook,
Twitter o in qualche blog, capita (è capitato spesso in questi giorni a
diverse persone digitalmente attive) di ritrovarsi sostenitori di questo
o quell’altro politicante candidato, di doversi sorbire una montagna di
inviti, spam, propaganda. Questo è diverso, questa è Sparta (direbbero
loro). Stiamo parlando infatti della war room del Pd, l’unità di guerra elettorale digitale ribattezzata (con sprezzo del ridicolo) per l’appunto “trecento spartani”.
Al netto di veline e velini che impazzano in Rete a compitamente
spiegare quanto sia bella, entusiasmante, collettiva e finalmente
giovane la campagna del Pd, è interessante riflettere sull’operazione
che già dal “manifesto” del blog,
davvero spartano, intende mostrare i muscoli, a suon di dotte citazioni
e paroloni complicati. Poi è ovvio che le chiacchiere stanno a zero, al
Pd di web ci capiscono notoriamente poco e non gli è sembrato vero di
lustrare a nuovo le truppe cammellate di figiciotta memoria.
“È utile quindi considerare il web come estensione agentiva della dimensione analogica (E. Colazzo – Caught in a web, in allonsanfan.it)
e pertanto analizzare quello che succede in rete, e in particolare sui
social media, come qualcosa che vada a completare la sfera offline che
ognuno di noi vive ogni giorno e quindi come una latrice di influenza
che può andare a fissarsi su determinati recettori, se efficacemente
stimolati.” In soldoni: una stanza in via del Nazzareno, qualche
stipendio e uno stuolo di bravi compagni in giro per l’Italia pronti a
menar le mani ogni volta che qualche fighetto parla male del capo.
Dopo il raid al blog, una tipa su Facebook ha commentato: “Ma
Mantellini, di preciso, cosa fa nella vita? Il blogger? Mi sa che aveva
ragione sua madre.” Per poi replicarmi trucida, poco prima di togliermi
l’amicizia: “Grazie al Mantellini rosicone gli Spartani sono
raddoppiati…si metterà l’anima in pace prima o poi, che di web non
capisce solo lui.” La chiave di volta per capire tutta questa baldanza
guerresca è forse proprio la sensazione, immagino liberatoria, di
sentirsi per una volta dei nerd, si, ma fighi.
Non più solo i grillini, quelli dei centri sociali, il popolo viola, gli infidi amici di Civati,
ma adesso che “ci capiscono anche loro di web”, quelli del partitone
doc, non ce n’è più per nessuno. E con la tipica tracotanza degli ultimi
arrivati al party internettiano, giù a dare dello snob e del
fighetto-radical-chic a tutti quelli che si permettono di segnalare che
lo spam elettorale, spesso, porta via voti invece che portarne. E che la
reputazione, sulla Rete, è tutto. Anche per i nativi analogici che
hanno deciso il gran passo, salvo poi trasformarsi in Bersanoidi di scarso appeal politico-elettorale (fuori dai confini della loro Sparta immaginaria).
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
4 febbraio 2012
UP PATRIOTS TO ARTS
“ Monti svègliati: i giovani sono già senza posto fisso. La predica falla alle banche abituate
al posto fisso per dare un mutuo. Ai giovani già non importa nulla del
posto fisso. Si accorgono e rimpiangono il posto fisso quando entrano in
una banca, quando chiedono un mutuo, quando chiedono un prestito. E la
risposta è sempre la solita: “no”. Senza posto fisso il mutuo non si fa.
Quindi, caro Monti, questo discorso è da fare alle banche. Ah, potrebbe
parlarne anche in Consiglio dei ministri, ormai è la stessa cosa.
Grazie.”
In Italia si sente dire spesso che quando uno riesce e mettersi
contro tutti significa che sta lavorando bene. O quantomeno che sta
lavorando. Così su Facebook il blogger filo Pdl Daw
riesce a portare a sintesi la reazione che, da destra a sinistra, hanno
suscitato le parole di Monti sul posto fisso “noioso”. Dopo l’uscita
del sottosegretario meritocratico contro gli sfigati che si laureano dopo i ventott’anni si può dire che l’era della sobrietà è un ricordo remoto, come il global warming sotto mezzo metro di neve.
Secondo i sondaggi Monti continua a godere della fiducia degli italiani, ma anche no. L’altro giorno Repubblica.it titolava
“Gli italiani di lotta e di governo promuovono Monti e le proteste” e
presentava l’italianissimo risultato dell’ultimo sondaggio, che
promuoveva Monti e chi lo contesta con percentuali pressoché identiche
(58% a favore del governo, 56% con le piazze).
Una delle ragioni di questa apparente schizofrenia può essere
ascritta al noto adagio italico “Franza o Spagna purché se magna”, ma
non basta. I desolanti e desolati partiti politici hanno pure la loro
parte di responsabilità in commedia e la recente scoperta della
scomparsa di 13 milioni di euro dal conto corrente della fu Margherita
di certo non aiuta la generosa resistenza contro il mainstream antipolitico, sempre più bipartisan.
Oppositori e sostenitori del governo sono ruoli così palesemente
tattici (come prima la saga pro/contro B.) nella commedia dei partiti,
che nessuno li prende sul serio da tempo. Il dramma è che sotto la
tattica non sembra esserci niente di più del solito basso cabotaggio, i
consueti strumenti per la navigazione a vista in una fase storica che
richiede coraggio visionario. Pure la pantomima sull’articolo 18,
inscenata dal governo con un andirivieni imbarazzante di sparate e
smentite, non aggiunge né risolve granché. Il lavoro non c’è perché non
ci sono soldi che girano, altroché mobilità in uscita.
Cambia il mondo ed è ormai chiaro che globalizzazione significa iPhone, Twitter e Wikipedia ma anche che
“le panchine sono piene di gente che sta male”. Il villaggio globale è
l’Eden della conoscenza svelata e delle infinite opportunità, certo, ma
anche l’era della polarizzazione estrema della ricchezza che spacca il
mondo fra élites cosmopolite e proletariato televisivo, sempre sul ciglio della favela.
Questo mondo, in cui cresceranno i nostri figli, assomiglia sempre
più a una sorta di Medioevo tecnologico, con i templari della finanza a
guardia dell’ortodossia sviluppista che misura la salute di
Stati e famiglie con il termometro unico del Pil. E l’ordine dopo la
crisi si configura ora (o mai più) nelle agende di Bruxelles,
Washington, Pechino, Brasilia e Nuova Delhi, in una mano di poker con le
agenzie di rating, gli organi di governo sovranazionali e gli interessi
economico-finanziari che non hanno certo bisogno di Davos per contare.
Nella trasmissione di Santoro, che ascolto mentre scrivo, hanno
appena intervistato una pensionata greca. Le hanno tagliato l’assegno
mensile di quattrocento euro e non ha i soldi per pagarne novecento di
luce. Così gliel’hanno tagliata. A lei, a suo marito pensionato, a sua
figlia e a suo genero, disoccupati, che vivono lì con la figlia piccola.
In Grecia si stanno moltiplicando gli episodi di malnutrizione
infantile, come nei paesi poveri, e neanche i bilanci stanno così bene.
L’inviato le chiede come fanno: “Con le candele.”
Bisogna che tecnici e/o politici, italiani e/o europei, siano in
grado, adesso, di indicare una direzione di marcia, un approdo
credibile, una speranza comune. È l’unica alternativa ai forconi che,
come in Grecia, passeranno sempre più spesso alle vie di fatto, una
volta constatato che il tempo delle parole è passato. Oltre che della
povertà bisogna avere paura delle sue conseguenze, ora che con l’iPhone e
Twitter chiunque è in grado di mostrarle al mondo in tempo reale.
L'articolo (con foto) è statp pubblicato su The FrontPage.
|
24 novembre 2011
THE DARK SIDE OF THE WEB
 “Ciao, sono Rascatripas e questo mi è successo perché non ho capito
che non avrei dovuto postare cose sui social network”. Lo
“strimpellatore”, Rascatripas, è stato trovato senza testa e con le mani
legate dietro la schiena alla periferia di Nuevo Laredo, città
messicana al confine con il Texas. Sul corpo del blogger
trentacinquenne, che gestiva un sito che denuncia i cartelli della droga messicana, l’intimidazione di massa.
A partire dalla metà di settembre altri tre blogger sono stati uccisi dai narcos-killer riconducibili al cartello di Los Zetas. Una ragazza e un ragazzo sono stati appesi a un ponte mentre Maria Elisabeth Macìas, “La Nena del Laredo”
che moderava il sito insieme a Rascatripas, è stata sequestrata,
decapitata e il corpo è stato fatto trovare sotto la statua di
Cristoforo Colombo, a Nuevo Laredo, dove qualche giorno dopo hanno
trovato quello del suo socio.
I messaggi di rivendicazione sono stati tutti firmati con la “z” di
Los Zetas che fa tanto Zorro. Per non lasciare adito a dubbi, certo, ma
forse anche per ingaggiare una battaglia iconografica con quelli che
stanno tentando di metterli alla berlina, in Rete. Tra cui non potevano
mancare gli Anonymous che, dietro l’effigie altrettanto simbolica di Guy Fawkes (esondata dalla Rete alla realtà nelle piazze di tutto il mondo), hanno dichiarato guerra al narcotraffico lanciando la campagna #OpCartel.
A questo giro però il 5 novembre, data-simbolo per eccellenza
(anniversario dell’arresto di Guy Fawkes sotto la Camera dei Lords, con
la miccia in mano) e giorno delle annunciate rivelazioni sul cartello e
sui suoi fiancheggiatori, non è successo niente. L’attivista di Anonymous sequestrato
da Los Zetas il mese prima era stato liberato e la minaccia di
ammazzare dieci persone della sua famiglia per ogni nome di
narcotrafficante o fiancheggiatore svelato è risultata convincente.
Anonymous, dopo aver passato l’ultimo anno e passa a buttar giù come birilli i siti di corporation, Stati e polizie, aveva cominciato la sua campagna di repulisti della Darknet
(omicidi su commissione, droga, armi, pedofili) col vento in poppa.
“Siamo qui per proteggere gli innocenti. Attenti, pedofili”. Una
quarantina di siti di pornografia infantile sono stati oscurati e
centonovanta indirizzi IP di presunti pedofili sbattuti in chiaro, nella
gogna telematica chiamata #OpDarknet. Poi i giustizieri della Rete oscura hanno alzato troppo la posta.
Cia, Mossad, diaboliche corporation, dittatori sanguinari e malvagi pedofili da una parte, romantici combattenti per la libertà dall’altra: gli Anonymous
erano gli eroi digitali senza macchia e senza paura. Nell’attuale
deriva dei continenti, epoca in cui la percezione d’impotenza delle
strutture del passato (Stati, monete, mercati) si salda alla sfiducia
più assoluta nei confronti del loro futuro, le azioni degli Anonymous hanno avuto sinora ragione dei blabla inconcludenti dei loro detrattori.
Disgraziatamente per loro, però, in ultima istanza aveva ragione Tibor Fischer e “avere in mano una pistola è come essere dalla parte giusta in un dialogo socratico”. Anonymous dunque
ha perso per abbandono la partita contro Los Zetas (e forse, si spera,
qualcuno ci ha guadagnato la pelle). Ci si dovrebbe guardare dal
dichiarare le guerre che non si possono vincere, specialmente se si ha
fama di Batman e il proprio film preferito si chiama V per Vendetta. Chi la scampa (la vendetta) ha vinto due volte.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
|
19 luglio 2011
SPIDER TRUMAN SHOW
 “Malgrado dubbi e insinuazioni di illustri
opinionisti, politici e commentatori, continuano ad arrivare migliaia di
adesioni sul profilo di Spider Truman. Vogliono a tutti i costi sapere chi c’è dietro Spider Truman,
intervistarlo, proporre progetti editoriali: tutti ad osannare il suo
coraggio, poi con le buone o le cattive sapranno come metterlo a tacere.
Dicono che ha manie di protagonismo, ma al tempo stesso pretendono che
sveli la sua vera identità. Editori, giornalisti, televisioni: centinaia di avvoltoi cercano di
stanarlo. Allora dico a questi signori, ai politici che siedono sulle
poltrone, alle schiere di sgherri sguinzagliati nei corridoi di
Montecitorio come nel mondo virtuale del web: state attenti.”
Il coming-out fasullo del
presunto portaborse precario, licenziato e in caccia di vendetta,
racconta molto meglio di ogni dietrologia giornalistica la reale natura
del fenomeno mediatico che, a sentire i giornali, sta sputtanando (per
l’ennesima volta) i privilegi dei parlamentari italiani. Secondo ManteBlog il
rischio-bufala, amplificata come sempre dal cialtronismo giornalistico
che non confronta mai le fonti, è reale e si tradurrebbe in una sorta di
effetto-boomerang per i pecoroni della Rete.
Secondo alcuni Spider Truman starebbe rivelando segreti già noti,
assemblati ad arte in una classica operazione di comunicazione virale
con l’obiettivo (raggiunto) di mettere la politica con le spalle al
muro. Cosa cambia? Coi mercati che crollano e l’ennesima stangata
obbligata per non chiudere baracca, l’elenco delle (solite) peggio
scrocconerie parlamentari, inanellate dal blogger misterioso e
rilanciate in grande stile da giornali e tv, mandano fuori dei gangheri
un po’ chiunque non sia parte (seppur minore) del giro.
La pagina Facebook dedicata alle sue prodezze ha già passato i 320.000 iscritti (100.000 nelle ultime ventiquattr’ore) e il misterioso giustiziere online
ha già raggiunto il suo primo obiettivo. È ripartita infatti la goffa
gara dei volonterosi della dieta parlamentare e tra i partiti, a parole,
c’è grande fermento per “dare un segnale al Paese”. Probabilmente, poi,
tale fervore punta sulla tintarella d’agosto per “svelenire il clima”, e
l’accorto guastatore mantiene l’anonimato per non abbassare la guardia.
L’anonimato in quanto tale sembra essere la cifra identitaria di Spider Truman, che non a caso ha scelto l’iconografia di V for Vendetta (nella foto), già ampiamente utilizzata dal gruppo Anonymous e perfettamente incarnata dall’appello su Facebook a sostituire l’immagine del profilo al grido “Io sono Spider Truman”. Se le parole non sono un’opinione, poi, la seconda parte del finto coming-out suona come una firma.
“Spider Truman è lì vicino a voi. Spider Truman è ovunque. Spider Truman è ogni disoccupato che non trova lavoro perchè non ha santi in paradiso. Spider Truman è ogni precario che viene sfruttato per 900 euro al mese e poi dopo anni e anni buttato in mezzo a una strada. Spider Truman è ogni cassintegrato che deve sudare per arrivare a fine mese. Spider Truman è ogni operaio sfruttato e malpagato per 40 anni alla catena di montaggio per un salario e una pensione da fame. Spider Truman è ogni giovane costretto ad emigrare perchè gli hanno rubato il proprio futuro. Spider Truman è ogni anziano costretto a sborsare decine di euro di ticket se ha la pretesa di andare in un ospedale. Spider Truman è ogni uomo e ogni donna che a luglio ed agosto non può permettersi nemmeno una settimana al mare. Spider Truman è uno, nessuno e centomila.”
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
|
15 giugno 2011
NON SONO UNA SIGNORA
 “E neanche una blogger lesbica e sostenitrice della rivoluzione
araba. Mi chiamo Tom Mac Master e vengo dalla Georgia.” Potrebbe
cominciare così l’autobiografia di sicuro successo dell’uomo che ha
finto per quattro mesi di essere Amina, icona dell’illuminismo arabo in
Siria per tutti i fessacchiotti che ci sono cascati,
ed è stato capace di inventarsi una vita talmente interessante e
paradigmatica da catalizzare l’attenzione dei media di tutto il mondo e
di una cerchia di persone che si sono considerate sue ammiratrici,
sostenitrici, amiche, una addirittura la sua fidanzata.
Alla fine il buon Tom, in vacanza in Turchia con la moglie, si è
sentito in dovere di dire la verità e di scusarsi proprio con loro, gli
amici e le amiche di Amina, che l’hanno fatto sentire una sorta di ladro
d’affetto. Per darsi un contegno l’ha anche buttata in politica.
“Non mi aspettavo un livello di attenzione del genere – scrive -.
Mentre il personaggio era di fantasia, i fatti raccontati su questo blog
sono veri e non fuorvianti rispetto alla situazione sul campo. Io credo
di non aver danneggiato nessuno. Gli eventi vengono plasmati dalle
persone che li vivono su base quotidiana. Ho solo cercato di gettare
luce su di essi per un pubblico occidentale. Questa esperienza ha
tristemente confermato il mio modo di sentire riguardo alla copertura
spesso superficiale del Medio Oriente e la presenza pervasiva di forme
di Orientalismo liberale. In ogni caso sono rimasto profondamente
toccato dalle reazioni dei lettori”.
In realtà il cerchio intorno alla finta Amina si stava già chiudendo e la situazione è precipitata dopo le finte foto (segnalate
dalla proprietaria della faccia, inglese) e con la traccia lasciata su
un forum, il classico passo falso: l’indirizzo di una casa a Stone
Mountain, in Georgia. Da anni il proprietario risultava essere Thomas
MacMaster (che ci aveva pure invitato gli amici al barbecue su
Facebook). Non è un bel periodo per chi gioca al Luther Blissett o
comunque bisogna essere ancora più bravi di Tom e signora per reggere
più di quattro mesi, nel sontuoso lusso di prendere per il naso tutti i
New York Times del pianeta.
Nel suo articolo sul
blog del Corriere, Viviana Mazza punta i fari sull’apparente
contraddizione fra la sentenza fotografica di Peter Steiner (sopra), “Su
Internet nessuno sa che sei un cane”, e la teorizzata fine
dell’anonimato in Rete: “Su Internet tutti sanno che sei un cane”.
Secondo la sociologa Zeynep Tufekci, nell’epoca di Facobook&co non
si scappa più e in un modo o nell’altra la traccia di una grigliata alla
fine salta fuori. La vicenda dei coniugi MacMaster è un buon argomento
per l’una e per l’altra tesi: li hanno beccati, è vero, ma per tre mesi
hanno preso per il culo il mondo intero.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
|
13 aprile 2011
TOKYODRAMA
 “«Peppe, sei uno degli ultimi degli italiani rimasti a Tokyo. Ti
prego, scappa». Sarebbe iniziata così la telefonata ricevuta martedì
mattina da Giuseppe Erricchiello, in arte Peppe, pizzaiolo nato 26 anni
fa ad Afragola, vicino a Napoli, e residente a Tokyo da cinque anni. Una
telefonata fatta dall’ambasciata italiana nella città giapponese,
secondo quanto riferisce lo stesso pizzaiolo, ma smentita dalle fonti
consolari italiane di Tokyo tramite funzionari del ministero degli
Esteri a Roma. Peppe è uno dei molti che hanno fatto grande l’Italia
all’estero. La sua storia fa comprendere il valore, il coraggio, la
dolcezza e la semplicità di questo ragazzo dal naso partenopeo. Peppe
non padroneggia un italiano perfetto e l’inflessione dialettale è
predominante, ma ciò che dice e racconta arriva sempre dritto al cuore”.
Tocca
ad Alessia Cerantola e Scilla Alessi su un blog della BBC l’onere di
giustiziare, con dovizia di particolari scabrosi quasi quanto “Peppe,
l’ultimo italiano a Tokyo” (comparso sul Corriere online e praticamente
riscritto dopo poche ore di mail e messaggi di protesta), l’operato dei
giornali italiani sul disastro giapponese. L’articolo
su Peppe (con tanto di foto con sorriso e impasto in bella vista) è uno
dei tre esempi fornite dalle due giornaliste di informazione
catastrofista e dilettantesca, insieme alla galleria di foto sul Saitama (lo stadio-rifugio dei contaminati) e a “Tokyo capitale dell’agonia. ‘Qui non vivremo più’”, entrambi pubblicati da Repubblica.it.
“La gente si raduna a pregare e a bruciare incenso. I cibi
confezionati, purché prodotti prima dell’11 marzo, sono introvabili e il
loro prezzo è salito di sette volte. Invenduti i generi freschi.
Migliaia di taxi sostano in attesa di clienti già lontani, mentre le
stazioni dei treni scoppiano di viaggiatori carichi di scatole e
valigie. Molti distributori di carburante sono chiusi e quelli aperti
non vendono più di dieci litri di benzina a testa, da portarsi via in
una tanica.” Come 28 giorni dopo,
ma a distanza di sicurezza. Forse il pathos narrativo delle grandi
testate italiane è stata una scelta di mestiere obbligata, visto che gli
unici corrispondenti fissi da Tokyo scampati ai tagli di bilancio e al
rinnovato interesse per la Cina sono rimasti quelli di Sky Tg24, del
Manifesto e dell’Ansa.
O forse è più semplice raccontarla a cazzo di cane, come a Hollywood, così la gente capisce, si caga sotto e magari si vendono più copie. Invece secondo Mikihito Tanaka, Associate Professor at the Journalism School of Waseda University and research manager at the Science Media Center in Tokyo, la
globalizzazione e la rivoluzione tecnologica stanno creando un pubblico
di lettori professionisti dello scetticismo facile, specie quando il
sensazionalismo cialtrone egemonizza il tono e i contenuti di grandi
giornali, araldi a giorni alterni della libertà d’informazione made in
Italy (minacciata dall’impero del male del premier).
E così quasi nessuno ha trovato un po’ di spazio per raccontare, senza stereotipi da rotocalco, la realtà di un popolo fiero e capace di autorganizzarsi al punto da creare reti civiche per
monitorare le radiazioni nell’acqua, nei cibi e nell’ambiente,
diventando così fonte diretta d’informazioni vitali per i media e
soprattutto per i propri concittadini. Non stupisce, ma in qualche
misura conforta, che la sostanziale correzione di rotta di una settimana
di svacco hollywoodiano delle portaerei mediatiche nostrane sia
arrivata grazie alle mail di protesta e al lavoro (in gran parte non
pagato) di blogger, siti e social network. Che li hanno messi alla berlina senza pietà.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage (da cui è tratta anche l'immagine).
|
1 febbraio 2011
L'ILLUMINISMO ARABO
“Il chierico Ahmad Kathemi è stupido quanto
il suo capo, Ahmadinejad. Nella preghiera del venerdì ha detto che le
rivolte in Tunisia e in Egitto sono parte del riflesso della rivoluzione
islamica in Iran. Qualcuno gli dica che non c’era un solo islamico o
slogan islamico in Tunisia o in Egitto o in Yemen. Continui pure a
sognare”. Il blogger libanese As’ad AbuKhalil mette subito in chiaro il significato dell’Illuminismo arabo in cui si comincia a sperare anche in Occidente, stavolta del tutto snobbato dalle piazze d’Egitto e della Tunisia in fiamme.
Quello che è stato definito “il contagio”,
il prurito rivoltoso che già pregusta il piazza pulita dei vecchi
sultani logorati da decenni di potere, si sta propagando a grande
velocità. Algeria, Tunisia, Egitto, Yemen (al debutto assoluto) sono
stati scossi alle fondamenta da manifestazioni, scioperi, disobbedienza
civile, saccheggi e guerriglia online. Non ci sono solo le avanguardie
politicizzate della Rete, la massa di giovani politicamente irrilevanti,
spesso acculturati e sospettati, sinora,
d’intelligenza col Nemico sia dai regimi che dall’Occidente (a cui i
regimi hanno parato il culo in funzione anti-islamista), c’è anche la blasfemia
barbarica dei saccheggiatori di templi e l’impagabile risposta delle
ronde dei cittadini egiziani a difesa di luoghi e oggetti sacri
all’intera umanità.
Eccita e commuove lo slancio di questi
ragazzi rivoluzionari, in tutto e per tutto simili ai loro coetanei
nostrani, che rischiano tutto per cambiare tutto. Eccita, commuove e fa
riflettere la lucidità e l’apparente facilità con cui le scarmigliate
truppe di blogger e utenti di Twitter e Facebook stanno mettendo in scacco
uno dopo l’altro gli apparati di censura e repressione affinati dai
regimi nel tentativo di evitare proprio quello che sta accadendo: la
consapevolezza di massa come anticamera di uno sbrigativo congedo con
disonore, in tutta fretta per non rimetterci la pelle. E tutto grazie
all’accesso in massa alla Rete (+45% in Egitto sono l’ultimo anno).
L’Illuminismo arabo e la décadence
italiana si contendono da un paio di settimane i titoli di apertura
delle testate di tutto il mondo. Naturalmente è scontato, ma mai banale,
segnalare l’enormità del baratro che separa una sponda del Mediterraneo
dalle altre (anche solo come monito per i prossimi leghismi da sbarco
estivo). Di là si fa la rivoluzione o si muore, di qua si sputtana il
sultano, ci s’indigna, lo s’invidia di nascosto a suon di battutine
davanti alla macchinetta del caffè, si finisce in mutandine e non cambia mai niente.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
11 gennaio 2011
LA TASSA DELL'APOCALISSE
 I primi giorni del 2011, in poco meno di una settimana, in Arkansas e Lousiana sono piombati
dal cielo migliaia di merli stecchiti, in Svezia è toccato ai corvi
mentre in Romagna migliaia di tortore hanno fatto la stessa,
apparentemente misteriosa, fine. Stesso copione
per i pesci-tamburo dell’Arkansas e del Maryland, per le ombrine, i
pesci-gatto e sardine brasiliane e per i ‘Pagro Rosa’ della Nuova
Zelanda, buona parte dei quali, giallo nel giallo, non avevano più gli
occhi quando sono stati trovati.
Appena hanno cominciato a strillare le fanfare
dell’apocalisse sul web, gli esperti si sono mobilitati per
tranquillizzare la gente, sostenendo che è normale, che è sempre
successo e che ognuno degli episodi singoli ha una spiegazione ben
precisa (fuochi d’artificio per i merli dell’Arkansas e poi pure per i
corvi svedesi, indigestione di semi di una fabbrica del faentino per le
tortore, ecc.), ma piazzando tutto nel frullatore mediatico si è creato
il solito panico ingiustificato (anche se confinato agli appassionati
del genere apocalittico). Colpa dei media e dei blogger untori, insomma,
tempo una settimana e la notizia sarà sparita dai titoli di testa delle
portaerei del media-mainstrseam.
Il brivido di paura, intuitivo e
irrazionale, forse ha fatto vibrare un nervo scoperto dell’opinione
pubblica, già frustrata dalle continue notizie circa lo stato
dell’economia, dell’ambiente, della salute, dell’ordine pubblico,
squassato da periodiche esplosioni di violenza che mettono a ferro e
fuoco intere città (Atene, Parigi, Roma) o sparano ai nemici
politici. L’incertezza del futuro si sta mutando in vero e proprio,
sordo, terrore e la paranoia sulla fine del mondo sembra inventata
apposta per canalizzare tutta la potenza autodistruttiva di una civiltà
che ha paura della sua ombra. Gli esperti, poi, riescono quasi sempre ad
essere ancora più inquietanti delle news. Secondo LeAnn White,
specialista di malattie che colpiscono la fauna selvatica: “A volte si
capisce che il fenomeno è legato ad eventi particolari, altre volte
all’inquinamento e altre volte ancora il fatto è rimasto misterioso”.
Ironia della sorte, nelle stesse ore le streghe della Romania annunciavano una originale protesta anti-tasse:
“La maga ha detto che guiderà un gruppo di “colleghe” intonando un
maleficio accompagnato da una pozione ricavata da escrementi di gatto e
un cane morto. Altre fattucchiere si riuniranno sulle rive del Danubio
per gettare in acqua velenose piante di mandragora al grido di “affinché
il male li colga”, come ha potuto precisare una di loro, Alisia.” Pare
che la riforma salterà, il presidente Basescu e i suoi principali
collaboratori d’altronde sono soliti vestirsi di viola, in alcuni giorni
della settimana, proprio per scacciare il malocchio.
Un minuto prima di spedire l’articolo scopro
che anche nel modenese sono state trovate decine di tortore morte. Come
a Faenza, sempre tortore. Mi sa che da qui al 2012, almeno, bisognerà
farci l’abitudine all’Apocalisse.
L'immagine è stata presa qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
3 dicembre 2010
"MEGLIO IL FUOCO DELLA BATTAGLIA"
“Due canaglie votate al male. Concentrato di malefica intelligenza.
Subodoro una trappola. D’accordo. In chat su fb.” Mauro Zani non ha
dubbi e, brusco e bonario come l’archetipo di emiliano che incarna,
accetta su due piedi la mia intervista per tFP. “È il blog
diretto da Velardi&Rondolino che mi dicono di salutarti (consapevoli
del rischio di essere mandati a cagare per interposta persona) e mi
piacerebbe sapere il tuo parere su Pd, Bologna, rapporto con la Rete. Se
ti piace l’idea possiamo anche fare in chat, qui su Facebook, su Skype o
dove credi.” Dopo un paio di giorni, a sera tarda, abbiamo combinato.
Ecco il copia e incolla di com’è andata.
Zani (Z): “Forza”
Orione
(O): “Dunque, Mauro Zani: consigliere comunale, consigliere
provinciale, presidente della provincia di Bologna, segretario del Pci…”
Z: “Già, eccomi”
O:
“Poi segretario regionale, consigliere regionale, deputato, eurodeputato
e coordinatore della segreteria nazionale Pds-Ds, adesso blogger. Lei
fa il blogger a tempo pieno? Ha smesso di fare politica attiva per
davvero? Come si sente?”
Z:
“Fermo lì. Una cosa per volta. Faccio il blogger certo. La politica la
osservo e se del caso la critico. Son come quei pensionati che
s’aggirano intorno agli operai al lavoro e… mugugnano, e… avanzano
rilievi critici…”
O:
“Ci tiene a rimarcare che ha smesso con la politica attiva, l’ho letto
più volte. Dal distacco etereo del blog com’è, la politica?”
Z:
“Già. Niente politica attiva. Altrimenti mi pensano in agguato dietro
una siepe… il lupo cattivo… La politica non sta tanto bene”
O:
“Lo stato di salute di Pd e Pdl sembrano darle ragione… Perché, secondo
lei, dal ‘92 ad oggi il grado di consunzione di partiti e leader
politici è così alto? A sinistra, in particolare, è un’ecatombe”
Z: “M’interessa più stare a ridosso del Pd naturalmente. E… son così annoiato d’aver sempre ragione”
O: “Occhetto, D’Alema, Veltroni, Fassino, Cofferati, Franceschini, Bersani, Prodi… ne ho perso qualcuno?”
Z:
“Beh, consunzione dei leaders? Forse, resta che s’avvicendano più o
meno gli stessi. Li conosco, a memoria… Appunto son quelli”
O:
“Ma perché nessuno molla, come lei? Non lo capisco. Voglio dire, ha una
bella pensione, un sacco di amici sparsi per il mondo, parecchi libri da
leggere in sospeso…”
Z:
“Questione egoica. Hanno poco rispetto per le loro persone… e poi in
pensione non si sta tanto bene. Meglio il fuoco della battaglia. Per
mollare basta andare per cinque anni nel Parlamento Europeo. E non vedi
l’ora che finisca! In sostanza per mollare bisogna fare un apposito
training… io modestamente lo feci”
O: “Si vede… Devo confessarle che all’inizio non ci credeva nessuno…”
Z: “Già. Poi però non mi va di starmene zitto e buonino…”
O: “Nono, intendo che nessuno credeva che fosse lei”
Z: “Prego?”
O: “Alcuni hanno insinuato che fosse un vero e proprio furto d’identità… un gesto dadaista”
Z: “Fantastico, è un mondo pieno di matti!”
O:
“Un erede di Guy Debord si era impadronito del brand ‘Mauro Zani’ e le
stava suonando a tutti di brutto… beh, non era una tesi tanto campata in
aria. C’era una discreta differenza tra il prima e il dopo di Mauro
Zani”
Z: “In verità c’è chi sa bene che io ho sempre suonato, adesso ho semplicemente cambiato strumento. E non mi dispiace”
O:
“Comunque, sono felice che quello che diceva che Zani era morto e il
blogger era uno sciacallo identitario si fosse sbagliato…”
Z: “Comunque quello vero è il blogger, seppur in erba”
O: “Bene: da bolognese chiedo al blogger, che dal cv mi pare informato dei fatti, che sta succedendo a Bologna?”
Z: “Sono informato anche dei misfatti”
O: “Immagino… lo spettacolo penoso che la riportò in città nel ‘99 si sta ripetendo o è una mia idea?”
Z: “A Bologna assistiamo con ogni probabilità all’ultimo atto di una
lunga storia. Quella di una sinistra al governo per mezzo secolo e che
dopo la nascita del Pd s’appresta a passare il testimone ad altri.
Difficile dire adesso come andranno le cose, ma può persin darsi che,
con l’aiuto di Vendola, Dossetti si prenda una rivincita post-mortem.
Naturalmente non ho nulla contro gli eredi di Dossetti, tanto più che
fino a qualche mese addietro, era persin possibile che la rivincita la
prendessero i legittimi inquilini di Via Altabella. Sì, insomma, per i
non bolognesi la Curia. In sostanza non si sta ripetendo semplicemente
lo ‘spettacolo’ del ‘99. Con la meravigliosa idea che ha fatto
frettolosamente nascere il Pd tutto lo scenario è cambiato. Non son
sicuro che a Bologna e a Roma se ne abbia contezza”
O: “Lo
scenario è cambiato, non solo a Bologna e in Italia. Non mi pare che il
Pse goda di ottima salute… I socialisti stanno perdendo ovunque in
Europa, mentre la sinistra conquista il Sudamerica stato dopo stato,
facendo la sinistra per davvero… Qual è la lezione?”
Z:
“Infatti. Perciò, modestamente, a suo tempo spiegai che si trattava di
cercare una nuova (parolone antico) sintesi. Un progetto demosocialista.
L’idea, semplice, che siamo tutti democratici dopo l’89, e che quindi
definirsi semplicemente tali è come cercar d’afferrare il nulla. Calci
al vento. Perché la sinistra in America del sud vince? Semplice: perché
critica la liberaldemocrazia nei fatti e non con la semplice ideologia,
della serie siamo socialisti, punto. O siamo democratici, punto. Morale.
Ci vuole un’identità definita. Per me basterebbe definirsi come democraticiesocialisti tutt’attaccato. Insomma ripartire bisogna, a costo d’attraversare il deserto.”
O: “Ok, e cosa significa, con un esempio, essere democisalisti? Demosocialisti, faccio fatica a scriverlo…”
Z:
“Capire che tutte le democrazie sono alla prova della globalizzazione
dell’economia e dei mercati, ad esempio, e di conseguenza imprimere
efficacia alla democrazia chiudendo la fase (novecentesca) della
liberaldemocrazia. Come? Recuperando e facendo circolare ideali, valori
di giustizia sociale nella democrazia. Ed è chiaro che ciò significa
promuovere taluni interessi contro taluni altri. Se son bigi tutti i
gatti allora le persone stanno a casa. A guardare (quando va bene) la
politica dallo schermo”
O:
“Ultima domanda: perché non si è candidato lei sindaco di Bologna? Lo
sa, vero, che con una buona campagna, lei poteva vincere…?”
Z:
“Per la ragione che avrei avuto contro prima di tutto il Pd. E anche
per il solito egotismo. Della serie: se non mi vogliono peggio per loro.
In più io non son adatto per le autocandidature. Proprio per niente:
all’ego s’aggiunge, paradossalmente, una ritrosia innata. Insomma siam
mal fatti!”
E’ mezzanotte passata, l’intervista è agli sgoccioli e Zani si concede un’ultima zampata.
“Piccolo motto conclusivo per i dirigenti nazionali del Pd: quando i
gatti han lo stesso colore scorazzano le volpi. E non son solo grilline.
Occhio ragazzi!”
Il blog di Mauro Zani è qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
23 marzo 2009
GUERRA ALLA RETE / 2
 "Avete mai provato ad applaudire con una mano sola? Sono Gabriella Carlucci, l'altra mano."
L'ultima arrivata, nel circo italiano degli aspiranti censori, sul suo blog si presenta così. Il
disegno di legge che ha presentato da poco in Parlamento per combattere
la pedofilia e "per assicurare la tutela della legalità nella rete
internet" ha suscitato polemiche, allarme e qualche ironia. La
Carlucci infatti ha utilizzato i suggerimenti di un esperto non
esattamente al di sopra delle parti. Davide Rossi (nella foto) è il presidente di
Univideo (gente che non ci guadagna granché con la libera condivisione
del sapere in Rete), noto per una sua massima piuttosto definitiva
sull'argomento: Internet non serve all'umanità. L'articolo, online oggi pomeriggio sul blog di Aprile, finisce qui. L'immagine l'ho presa in prestito qui.
|
20 marzo 2009
LIBERO BLOG IN LIBERA RETE
In Italia, con Facebook che ha sfondato i 7milioni di utenti e la proliferazione di blog senz'anima sostanzialmente autoreferenziali (ma è un problema diffuso, visto il numero - altissimo - di libri stampati e quello - bassissmo di libri venduti) è cosa rara imbattersi in un blog che vale la pena di aggiungere ai preferiti.
È il caso del fotoblog di Luca De Mata, in cui mi sono imbattuto leggendo un suo commento a un post di Pina Picierno.
|
16 marzo 2009
GUERRA ALLA RETE
 "Li leggo molto raramente perché sono semplicistici e fuorvianti"
Proprio
così. Mr President Obama - il primo "presidente eletto dalla Rete"
secondo una definizione ormai di uso comune - ha parlato in questo modo
dei blog qualche giorno fa. È stato un vero e proprio shock per
blogger, teologi della tecnoliberazione e smanettoni vari, che infatti
hanno reagito come fidanzati traditi alle parole del capo del mondo
libero (sempre lo stesso Obama che la prima trattativa con la CIA l'ha
dovuta affrontare per potersi tenere il BlackBerry).
Tutto l'articolo, l'ultimo Bianconiglio online oggi pomeriggio sul blog di Aprile è qui. L'immagine è stata presa in prestito qui.
|
11 gennaio 2008
DUE NOTIZIE PER HILLARY
Una buona e una cattiva. Partiamo con quella cattiva: i Culinary workers union del Nevada, dove si vots tra meno di una settimana, stanno col fighetto. Sono 60000 ed è un pessimo esempio per le altre decine di migliaia di lavoratori che sgobbano dietro i lustrini di Las Vegas.
Per fortuna c'è quella buona: anche Kerry sta col fighetto. Non è una bella notizia solo perché il JFK dei poveri mena rogna, ma si comincia a profilare (oggi gran party a NY con Richard Gere, Spike Lee e tutta la banda di pericolosi sovversivi hollywoodiani ammaliati dall'Obama anti-establishment) quell'ammucchiata di star e vippame vario che piace molto ai "media", ma che fa sempre incazzare la gente normale, che è davvero sempre meno in sintonia con ogni tipo di establishment.
Curiosamente gli analisti se ne ricordano sempre a urne chiuse di quanto sia poco prudente (ed elettoralmente per nulla redditizia) la corsa alla star, quella sorta di sindrome da Studio 54 che colpisce i fighetti i cerca d'autore. Obama sta calcando la mano un po' troppo e l'effetto Sarkozy (più popolarità uguale meno fiducia) è dietro l'angolo.
Poi: Richardson (il quarto comodo) gliel'ha data sù e Obama ha preso a fare il simpatico bulletto (con gli amichetti vipps che ridacchiano come ai party del college).
L'ho detto prima io / 1 Hillary annuncia squadre di blogger in tutte le agenzie governative per informare i cittadini in tempo reale su quello che fanno? Risposta di Wired: La nuova strategia di Hillary suona troppo simile a quella di Obama. Non vale, non vale. Gioco falso, gioco falso.
|
27 settembre 2007
MAI DIRE BLOG / 2
Alessandro Cosimi, Sindaco di Livorno, dopo i casini con i rom, ha deciso di aprire un blog. Queste sono le regole e la strategia.
blogger
livorno
rom
cosimi
| inviato da orione il 27/9/2007 alle 13:3 | |
|
25 settembre 2007
MAI DIRE BLOG
Non sto per scrivere di Grillo, giuro. Anche se al prossimo v-day, contro il finanziamento pubblico ai giornali di carta, vado a firmare.
Non scrivo di Grillo perché il suo non è un blog: assomiglia molto di più alla tv sovietica (o all'Isola dei Famosi), il messaggio è gerarchizzato con una nettezza senza eguali, emittente e destinatari non sono mai stati così separati. Persino i giornali di carta, con le loro versioni elettroniche (coi blog-rubriche dei giornalisti e le altre menate pseudo-interattive) sono più permeabili al dialogo. Comunque: bona lé con Grillo, ne hanno scritto anche troppo personaggi molto più autorevoli e rispettati di me.
Mi pare più interessante, invece, sbirciare l'evoluzione (o meglio la diversificazione) dello strumento "blog". Secondo Luisa Carrada, autrice di Mestiere di Scrivere, si parla di "corporate blog" quando le organizzazioni complesse (aziende, associazioni, enti pubblici) si rendono conto che più che parlare di sé (non frega più niente a nessuno di mission e simili) è meglio ascoltare i clienti o i cittadini e curare la propria reputazione. Cioè verificare l'attendibilità di ciò che si dice (e si fa) prima che un blogger arrivi, lesto, a sbugiardarlo. Si tratta di un ribaltamento della comunicazione tradizionale (che altro non è che la brochure rilegata in pelle umana, distribuita in fiera da ragazzine malpagate) e ci vuole coraggio: barare, mentire o non raccontarla tutta diventa sempre più rischioso.
Avevo appena commentato il suo ultimo post, colpito dalle analogie con il nostro lavoro alla Tekove Katu, quando ho letto un altro commento, caustico: "Intanto leggetevi anche questo" ci intimava l'anonimo. "Questo" è una sorta di multi-reportage del Foglio su/contro la blogosfera in quanto tale, colpevole di inintelligenza collettiva e diserzione dalla gerachia dei media tradizionali. Ho visto che anche il povero Mary ci è finito in mezzo.
Qui c'è l'articolo sul corporate blogging e il video della lezione di Luisa Carrada al seminario internazionale della comunicazione "Intermediando", lo scorso giugno.
|
17 settembre 2007
QUALITÀ GRILLO
 Non sta facendo politica, né tirando sù un partito. Si sta solo apprestando a dare le pagelle. Dopo averci spiegato in lungo e in largo chi sono i cattivi (politici e pregiudicati) ora è il turno di svelare le liste dei buoni. Candidabili alle elezioni amministrative. Ma come fare a distinguerli dalle male piante che infestano le liste elettorali? Basta la certificazione di qualità: il bollino Grillo.
"Le liste che aderiranno ai requisiti che pubblicherò sul blog tra qualche giorno avranno la certificazione di trasparenza “beppegrillo.it”. Tra i requisiti ci saranno, ad esempio, il non essere iscritti a partiti ed essere incensurati."
Alla faccia di chi continua a menarla sulla rivoluzione della partecipazione, l'assenza di leadership, l'esperimento di democrazia diretta. Grillo decide l'antropologia dei candidati (niente iscritti a un partito, solo gente incensurata) e lo comunica on-line. Un esempio inarrivabile di gerarchizzazione del messaggio, la separazione radicale tra l'emittente (lui) e il destinatario: la massa-folla, vero e proprio target.
|
16 settembre 2007
V-GRILLO / 2
"Scegli, Beppe! Magari nascesse ufficialmente il tuo partito! I tuoi
spettacoli diventerebbero a tutti gli effetti dei comizi politici e
nessuno dei tuoi fan dovrebbe più pagare il biglietto d'ingresso.
Oooops!"
"Il marketing di Grillo ha successo perchè individua un bisogno
profondo: quello dell'agire collettivo. Senza la dimensione collettiva,
negata oggi dallo Stato e dal mercato, l'individuo resta indifeso,
perde i suoi diritti, non può più essere rappresentato, viene
manipolato. E' questo il grido disperato che nessuno ascolta. La
soluzione ai problemi sociali, economici e culturali del nostro Paese
può essere solo collettiva."
Dal post di Daniele Luttazzi, sul suo blog.
luttazzi
grillo
blogger
| inviato da orione il 16/9/2007 alle 16:39 | |
|
30 agosto 2007
SCIOPERO VIRTUALE
 "questa azione accenderà i riflettori sul progetto di creazione di un sindacato mondiale Ibm che coinvolge i sindacati di oltre 16 paesi, compresa la nuova frontiera dell'informatica, l'India"
Second Life sarà pure in crisi (l'ha detto la Pravda) però continua ad essere un laboratorio relazionale grande come il mondo che fa ancora mainstream (da SL ai "media" tradizionali, poi sul web e ritorno), soprattutto per ogni "prima volta".
Il primo sciopero virtuale, ad esempio, è indetto dai lavoratori in carne ed ossa dell'Ibm, che protestano per la "cancellazione dell premio di risultato con una perdita per ogni lavoratore di circa 1000 euro l'anno", e verrà messo in pratica dai loro avatar sul Metaverso, a settembre.
Quindi la classe operaia va in Paradiso (in versione beta)? Si sono messi in testa di globalizzare la lotta di classe? Con SL potrebbero farcela, sempre che qualche arguto blogger non alzi il sopracciglio per eccepire.
In difesa di Second Life. http://www.visionpost.it/index.asp?C=1&I=2340
L'immagine l'ho presa qui.
|
13 agosto 2007
BLOGGER CONTRO AVATAR
 Chi piscia più lontano? La Pravda torna all'assalto del metamondo,
dopo averci marciato per mesi. E cita un articolo di Wired per
sostenere che Second Life è tutto un bluff, la solita tigre di carta
(di cui hanno appena pubblicato, loro, la guida in italiano).
I blogger storici, come manteblog, gioiscono e ironizzano
sulla retromarcia dei grandi "media" costretti ad ammettere il
"bluff di Second Life" come loro sostengono da tempo, dimenticando che
è la stessa cosa che dicevano di Internet sei anni fa. Alla fine
del boom della new economy. Era il 2001, anche se sembra passato un
secolo.
L'impressione che mi sono fatto, tentando di leggere fra
le righe di un autocompiacimento a tratti smaccato (e
svaccato) è che anche i blogger, nel loro piccolo, finiscono per
diventare conservatori. Quando hanno paura di perdere il primato della
modernità modaiola, per esempio. Vedi mai che "Time", quest'anno, ci piazza un avatar in copertina. Sacrilegio!
Immagine tratta da: http://kotaku.com/
|
10 agosto 2007
HO DATO UN'OCCHIATA
 Al blog di Mastella. A parte i contenuti non è male. Non sto cazzeggiando, dico sul serio, anche se Vanessa mi sta insultando un po' incredula "no, dai Mastella no, eccheccazzo". Non è che mi sono convertito al Campanile, però l'impressione del blog è stata quella di un dialogo diretto, informale e decisamente franco: merce rara. Discussioni, insulti e poco spazio per i leccaculismi: "A Gian ho già risposto qui in un altro post che non è questo lo spazio per chiedere incontri o altro. E che esisto le segreterie e gli uffici dell'Udeur" è la sua risposta ad un commento "interessato".
L'immagine è tratta da: http://www.iprovinciali.it/wp-content/clemente_mastella.jpg
blogger
mastella
| inviato da orione il 10/8/2007 alle 14:40 | |
|
|
|