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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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15 marzo 2013
ANTIVIRUS
“Più di così divertirti non puoi… amico sì, sei in alto e lo sai.
Rose su rose, tutti premi per te, non aver dubbi sei un re. Complicità,
quanta gente con te… continuerà fino a quando vorrai. Rose su rose,
ricchi premi e cotillons e non frenare, questo no. Ma no che la vita non
è qui, è più in alto di così ah, cosa dici, sì… ma no, di passato non
ne hai, di futuro non ne vuoi, ma di che mondo sei? Guarda più in là,
quanti amori non hai… amico sì, stare senza non puoi. Rose su rose e con
loro appassirai, resterai solo coi tuoi guai…”
Non so perché, ma quando ho letto la fucilata di Grillo al povero
Bersani (“Se il M5S vota la fiducia lascio la politica”), m’è venuta in
mente Rose su rose. Temo ci sia di mezzo un’altra volta la polizia del karma
e la sua, nota, ineluttabilità. Mina è una gran donna dotata, tra
l’altro, di un’esibizionistica misantropia che mantiene inalterato il
suo appeal. Appena l’irredento Beppe s’è tuffato fra Scilla e Cariddi,
qualche mese addietro all’inizio dello tsunami, lei l’ha letteralmente
frustato sulle chiappe.
“È vero, c’è qualcosa che fai esattamente come Mussolini, come
Stalin, come Mao, come Giannini ed è bere, dormire, mangiare e, orrore,
fare la cacca. Vorrei già richiudere l’oblo e impegnarmi a emulsionare
una buona maionese con le uova fresche, quelle dei giornali
precedentemente citati, appunto. Sarà meglio. Mi concedo solo un piccolo
momento per un’incazzatura. Che bassezza, la povertà di questa
iconografia da strapazzo. Le similitudini per la tua antidemocraticità,
per il tuo qualunquismo, per la tua voglia di reclamizzarti sono pezzi
disordinati di ineleganza, al limite del ridicolo. O della querela. Ne
vedremo delle belle, temo. Tu va’, dritto come un fuso. Corri Forrest,
corri…”.
Giddap! Nessuno però, neanche Mina credo, immaginava che Forrest Grillo arrivasse
al traguardo così primo, benché terzo, e così in fretta. Né che gli
altri fossero già così spompati: il primo troppo rintronato dal gong del
voto e dalle sue temibili ripercussioni
sui prossimi rintocchi di potere nel fortilizio rosso e il secondo
completamente a pelle di leopardo nel tentativo di evitare sbarre, gogna
e/o fuga. B&B, nati sotto il segno della Vergine, destinati a
salvarsi o suicidarsi. Sempre insieme.
“Più di così divertirti non puoi, amico si sei in alto e lo sai”, non
c’è ombra di dubbio. Ma quando arriva Bersani col cappello in mano, con
proposte che messe in fila (una volta riacciuffate all’italiano
corrente) fanno impallidire anche il girotondino più canuto e accanito,
siamo sicuri che sia saggio concedere l’ennesimo bis del celebre mantra
che l’ha coperto di “rose su rose”? Poi, certo, “tutti premi per te, non
aver dubbi sei un re”…
Sfanculare chi sta schiantando trent’anni di carriera politica e si
prende giornalmente sputi in faccia dagli altri e calci negli stinchi
dai suoi, per governare col M5S costi quel che costi: pagherà? Quando
mai Grillo, 100% a parte, si troverà più in una tale condizione, anche
psicologica, di forza? E mentre ballano i ballerini, tutta la notte e al
mattino, la nave Italia corre verso l’iceberg col 55% della gente che
ha problemi economici e cinque imprese su sei che temono di chiudere
bottega entro fine anno.
La verità è che dopo tanto pontificare di ‘democrazia della rete’,
nel momento esatto in cui Grillo ha risposto picche a chi gli chiedeva
di fare un referendum online per decidere se fare o no il governo con
Bersani (“perché il non-statuto non lo prevede”) è entrato nel Palazzo.
Membro onorario di quella partitocrazia che non prenderà la puzzolente
pecunia romana, visto che restituisce i rimborsi elettorali, ma che
mette l’interesse del suo non-partito davanti a quello dell’Italia.
Per sua fortuna la cresta dell’onda è ancora alta sull’orizzonte dei
sondaggi e degli umori nazionali, al solito creativi. “Alle ultime
elezioni ho votato per qualcuno che non mi piace! Voglio vedere il mio
Paese risplendere e non mi rassegno alla mediocrità della nostra classe
politica, sono un patriota, amo l’Italia”. Ha spiegato, serio, Lapo Elkann a Le Monde, dichiarandosi per il partito di un signore che sostiene, tra l’altro, il raddoppio del prezzo della benzina come eco-terapia d’urto.
Ma, a parte patetici appelli e sondaggi sfornati caldi dai soliti
noti (che proprio non ci stanno dentro), è ovvio che la baracca Italia
ha bisogno di essere governata, anche se fino a quando il precipizio non si profila nitido ognuno
ha una ragionevole quanto bizzarra ragione per pensare che tutto
s’aggiusta sempre. Hai voglia allora a strillare all’inciucio, se pure i
sassi capiscono che anche solo per tornare alle urne c’è bisogno di una
legge elettorale votata da una maggioranza parlamentare.
Così mentre Forrest e Merlino traccheggiano, fra pre-tattica e
terrore, l’ottimismo della ragione consente di scorgere, nelle bizze da
asilo del Pd, un sapiente gioco delle parti. Il segretario uscente e
perdente s’immola nella definitiva parte del vecchio di nobili principi e
riprende a farsi contestare dalla giovane speranza (ultima), che vuole
abolire il finanziamento pubblico ai partiti per “far pace con
l’Italia”.
Sarebbe un bel casino, infatti, se Renzi venisse acclamato dal
politburo a suon di battimani brezneviani. Invece è solo, come prima, e
fuori dal Palazzo. A differenza di Grillo, che c’è dentro fino al collo e
a ogni fanculo, a ogni aut aut, a ogni patetico appello
stracciato, a ogni azienda che chiude, rafforza l’Antivirus che lo
resetterà. Di qui alle prossime, imminenti, elezioni non ci sono solo i
suoi otto milioni e passa di voti, ma pure i quasi dieci di Berlusconi e
compagnia. E sono tutti uguali.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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14 ottobre 2011
MAFIA 2.0
 “Il coraggio è una bella cosa ma è un lusso che non mi posso più
permettere alla mia età e, se il mio blog urta in qualche modo la
sensibilità di Repubblica, non sento certo il bisogno di
sfidarla. Abbandono dunque, senza tanti rimpianti per un mondo nel quale
non mi ritrovo”. Così Nino Mandalà chiude l’ultimo post del suo blog, in procinto di diventare uno dei tanti relitti senza più pilota che vagano per la Rete come randagi.
L’uomo ha recentemente subito la conferma in appello della condanna a
otto anni di reclusione per intestazione fittizia dei beni ed è
considerato il boss di Villabate, vicinissimo a Bernardo Provenzano di
cui, secondo gli investigatori, curò la latitanza. Il figlio Nicola,
quando è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’imprenditore
Salvatore Geraci ha voluto rilasciare una dichiarazione spontanea al
tribunale: “Ho fatto parte dell’associazione mafiosa Cosa Nostra; non
recrimino la condanna che i giudici mi hanno dato per questo reato. Ma
non sono un assassino”.
I media hanno contestato a Mandalà di usare il blog per mandare
messaggi cifrati ai suoi interlocutori politici, primo fra tutti il
ministro Romano a cui il suo nome è stato più volte associato,
ironizzando sulle sue velleità politiche e filosofiche (un blog è
innanzitutto un diario pubblico e capita di lasciarsi trasportare). Come
se un mafioso che tiene un blog fosse talmente inconcepibile da
risultare intellettualmente sconcio.
Forse i boss vanno bene analfabeti e brutali, che mangiano pane e
cicoria e mandano pizzini in siciliano stretto, ma se si mettono a
scrivere in italiano corretto mandano in bestia le anime belle dei liberal
di casa nostra. E dire che sono proprio i più acuti antimafiologi a
raccontare che il mito della mafia pizzini & mandolino è uno
stereotipo buono per i serial tv e i turisti di Little Italy.
Non dovrebbe indignare più di tanto l’immagine di un Mandalà che
armeggia con uno dei sacri feticci del profeta Jobs, per lasciare la sua
traccia nella blogosfera.
In termini investigativi anzi dovrebbe essere un vantaggio se un boss
tiene un blog per pontificare in libertà. Se è vero che Mandalà usa(va)
il blog come pizzino elettronico, ci s’immagina fior di segugi pronti a
decrittare ogni allusione e opacità. Era loro interesse che
continuasse. Certo non si tratta di uno stinco di santo, ma nemmeno I Soprano, Il Padrino e Scarface
lo sono. Naturalmente Mandalà è reale e gli altri no. Ma per chi legge
il suo blog e guarda la tv siamo sicuri che ci sia molta differenza?
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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11 maggio 2011
A GAY GIRL IN DAMASCUS
“A otto settimane dall’inizio della
protesta in Siria, esplosa nella località meridionale di Daraa dopo
l’arresto di alcuni adolescenti che avevano scritto sul muro slogan
inneggianti alla primavera araba, le repressione del regime fa il salto
di qualità. Oggi, per la prima volta in un mese e mezzo, non è uscito un
solo video dalle città ribelli assediate dai carri armati del
presidente al Assad: nessun filmato, nessun messaggio, nessuna foto,
come se il paese fosse completamente isolato. E probabilmente lo è.”
Uno degli ultimi
blog rimasti aperti, nei giorni più crudi della censura e del sangue, è
quello di Amina Abdullah, 34 anni, lesbica dichiarata, mamma americana e
papà siriano, icona della protesta contro il regime di Bashar Al Assad. A gay girl in Damascus continua
a raccontare il dramma (“800 morti… 1000?”) insieme a poesie, scampoli
di vita quotidiana ed epigrafi fulminanti che restituiscono, senza
sconti, l’atroce quotidianità dell’esilio in patria. La morte di Osama
Bin Laden ha oscurato per qualche giorno il macello siriano e ora la
mordacchia di regime rischia di isolare del tutto il paese e i
dissidenti. Persino la missione Onu è stata bloccata alle porte di
Daraa, epicentro della protesta.
“Essere lesbica in Siria è molto duro, ma
sempre più facile che essere un oppositore politico”. Amina ha il dono
brutalmente creativo della sintesi e nell’ultimo post del
9 maggio chiede una mano a trovare un editore, per trasformare il blog
in un libro e consegnare le prodezze del regime siriano agli scaffali
delle librerie di tutto il mondo. In poche ore sono arrivate diverse
proposte (dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dall’Italia) che fanno
chiarezza una volta di più sul potere del mezzo.
Con tutti i solipsismi letterari sfornati
ogni mattino, buoni giusto per placare per qualche tempo gli
ego-appetiti di chi li scrive, il libro di Amina sarà una salutare
frustata di realtà. Alberi abbattuti per una giusta causa: illuminare il
cono d’ombra della ferocia repressiva, denudare ipocrisie diplomatiche e
doppiopesismo politico. Usa e Ue, dopo oltre due mesi di sangue, hanno annunciato sanzioni economiche e embarghi di armi, ben sapendo che non serviranno a un bel niente. Come già con l’Iran.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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7 giugno 2010
FUCK THE BLOGGERS
 “Per aver preso le redini dei media globali, per aver fondato e dato
forma alla nuova democrazia digitale, per aver lavorato senza essere
retribuiti battendo però i professionisti al loro stesso gioco, la
Persona dell’Anno 2006 di Time siete voi.” Sono passati quasi quattro anni da quando Lev Grossman sul Time benediceva la rivoluzione tecnologica trionfante con il più canonico dei riconoscimenti tributabili dal media-mainstream, il nemico giurato che la masnada del web giurava di voler abbattere ogni giorno.
Erano bloggers, i mitici “citizen journalists” spuntati come funghi
ai quattro angoli del globo, quelli che capeggiarono la “sollevazione
democratica dal basso” del primo lustro del nuovo millennio, sgomitando
senza alcuna creanza nell’agenda delle vacche sacre del giornalismo
internazionale, dettando temi, spifferando gossip, facendo le pulci a
malizie inconfessate ed errori veri e propri.
Poi sono arrivati i social network, che hanno garantito spazi di
microblogging più mirati (in termini di reti relazionali) agli utenti
con ambizioni quasi esclusivamente “amatoriali”. Dall’altra parte gli
editori hanno pensato bene di accaparrarsi i diari digitali più seguiti
e/o i talenti più interessanti, in modo strutturale e strutturato (come
il New York Times che li acquista e li assorbe nell’offerta editoriale), creando un network d’area (come il Foglio.it prima maniera, col suo “Blog around the clock”) o riciclando giornalisti professionisti come bloggers (come Repubblica.it, Corriere.it e Foglio.it attuale).
Forse è per questo che, dopo essersene ampiamente servito, Obama (icona numero uno) li ha scaricati
in blocco senza troppi complimenti. “Sono molto preoccupato per il tipo
di informazione che circola nella blogosfera, dove si trova ogni sorta
di informazioni e opinioni senza che vengano verificate, con il
risultato di portare gli uni a gridare contro gli altri, rendendo più
difficile la comprensione reciproca”, ha sentenziato qualche mese fa,
annunciando l’impegno di sostenere coi soldi pubblici le finanze
dissestate dei giornali.
“Non voglio che ci trasformiamo in una nazione di blogger”. Steve Jobs (icona numero due) ha proprio tagliato corto mentre presentava l’iPad (ennesimo gadget di culto, in tempo reale). I blog sono già a un passo dal vintage tecnologico, tra forum e mailing-list.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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12 gennaio 2010
PRIMO MARZO 2010
 “Immigrati per favore non lasciateci soli con gli italiani” è l’Eros Cozzari-pensiero, affidato all’immagine di un tag murale in una qualche città e postato sul gruppo del giorno. Forse ci volevano i fatti di Rosarno per avverare l’evento: lo sciopero degli stranieri pare che diventi realtà. Un po’ di Alabama alla calabrese – schiavismo e fucilate, ‘ndrangheta e puzza di apartheid – e “Primo marzo 2010 - 24h senza di noi”, il gruppo di Facebook sullo sciopero degli stranieri e degli italiani che ne hanno abbastanza delle bestie che infestano bar e uffici, è svettato al primo titolo dei principali quotidiani online italiani. Risultato: i 13000 iscritti di domenica mattina sono diventati quasi 20000 domenica sera.
A parte il trionfale ingresso nel mainstream, però, pare si sia messa in moto una macchina organizzativa di tutto rispetto e sul blog dell’evento spuntano come funghi nuovi comitati territoriali, sottoposti a una sorprendentemente rigida serie di criteri vincolanti per ottenere l’affiliazione. Sulla bacheca del gruppo su Facebook post, commenti, foto si contano a centinaia e il politically correct tende a cedere il passo a indignazioni vere, di pancia, tipo “dopo aver visto su fb un po’ di gruppi a sostegno dei razzisti (ed in questo caso dei mafiosi), io mi auguro che, se un Dio esiste, faccia rinascere chi vi ha aderito, in una prossima vita, ebreo nel 1939 in un qualunque posto a caso dell'Europa continentale”.
Il fatto poi che il Calderoli di turno si metta subito a terroristeggiare (“attenti, o tutta l’Italia diventerà una Rosarno”) e che partiti e sindacati siano stati palesemente spiazzati non fa che confermare che se, davvero, gli immigrati regolari riusciranno a fermarsi per 24 ore l’Italia intera si fermerà. E la parola “sciopero” riacquisterà, per un giorno, quel significante potentemente rivoluzionario che l’aveva resa così temibile durante il vecchio Novecento.
L'articolo è tratto da "The Front Page". L'immagine è stata presa qui.
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22 settembre 2009
FROM RUSSI WITH LOVE
 "Non so di dov'eri, non mi ricordo neppure il tuo nome, ma è
certo che abbiamo fatto sesso. Se sei là fuori e vedi questo messaggio
allora fatti vivo". Karen è una giovane mamma danese e si
affida a YouTube per trovare il padre del bimbo August, che tiene in
braccio nel video-appello accorato.
Più di un milione di
persone ci clicca sopra e se lo guarda nel giro di poche ore. Spuntano
anche i primi volontari neopapà, peccato che è uno scherzo. Di più: si
tratta di un'azione di marketing virale architettata da "Visit
Denmark", l'ente del turismo danese. Secondo Dorte Kiilerich, il responsabile dell'ente "La storia di Karen dimostra che la Danimarca è una società libera, dove le donne sono indipendenti e fanno le loro scelte". L'articolo completom il Bianconiglio pubblicato oggi su Aprile, è qui. L'immagine, una delle foto che ho scattato durante la Fira di Sett Dulur dello scorso anno, è qui.
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24 gennaio 2009
WHITE HOUSE 2.0

execUTIVE ORDER -- REVIEW AND
DISPOSITION OF INDIVIDUALS DETAINED AT THE GUANTÁNAMO BAY NAVAL BASE
AND CLOSURE OF DETENTION FACILITIES
By the authority vested in me as President by the
Constitution and the laws of the United States of America, in order to
effect the appropriate disposition of individuals currently detained by
the Department of Defense at the Guantánamo Bay Naval Base (Guantánamo)
and promptly to close detention facilities at Guantánamo, consistent
with the national security and foreign policy interests of the
United States and the interests of justice Leggi tutto.
Medioevo tecnologico Pare che all'arrivo alla Casa Bianca, nello staff di Obama sia stato il panico. Rottami
con Windows vecchi di un lustro - un flash per la mac-tribù del
tecnopresidente tossico di blackberry - pochi portatili, sito della
Casa Bianca (subito ristrutturato) in palla e telefoni in tilt. Adesso
il sito è ancora un po' lento, ma funziona ed è di una
semplicità/funzionalità disarmanti (specie se paragonato ai misteriosi
baracconi succhiasoldi che mettono in Rete dalle nostre parti).
Quello
sopra è l'ordine esecutivo con cui Obama chiude Guantanamo tratto dal
nuovo blog della Casa Bianca, a tre click dalla home page del sito
istituzionale: www.whitehouse.gov.
Quello sotto, invece, è lo slide show - stile Flickr
- coi 43 presidenti prima. I nomi sono scritti belli grandi e c'è il
tempo per decidere se leggere ogni biografia o guardare solo le figure. Eccolo qui.
L'immagine, Obama cheguevarizzato da Obey Giant, l'ho presa in prestito qui.
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16 settembre 2008
TANZANIA
 La Tanzania è uno di quei posti che ha bisogno di tutto. Frosinone per la Tanzania è una onlus che prova a fare la sua parte, concentrando le proprie energie su progetti di promozione della salute e dell'istruzione. Mauro e Eleonora sono partiti con loro, impiegando le loro ferie d'agosto a lavorare per alcuni fra i più ultimi della Terra, quelli che ormai fanno notizia solo durante i vertici della Fao o in occasione di colpi di stato e genocidi.
Sul sito dell'associazione c'è un blog che racconta com'è andata, mentre Mauro ha pubblicato delle splendide foto - scattate con la reflex anni '70 di cui va molto fiero - sul suo account di Flick.
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12 agosto 2008
RADIO TBILISI
 ...questo è accaduto senza nostra conoscenza e contro la nostra volontà.
Annunciava
a Radio Praga il Partito Comunista della Cecoslovacchia, mentre i carri
armati dell'Unione Sovietica che entravano nella capitale mettevano
fine alla Primavera di Praga, specificando bene ai fricchettoni
disattenti cosa significasse la parola ortodossia. Al potere non ci stava la fantasia ma i soliti - sempreverdi - stivaloni di regime.
Quarant'anni
dopo le bombe di Putin (il figliol prodigo degli stivaloni sovietici) e
soci su Tbilisi hanno avuto una tempistica impeccabile. Come ogni putch
che rispetti. Gli aerei sono partiti quando l'attenzione del mondo
era rivolta allo splendido show messo in piedi dall'altro despota
globale per dare lustro alla ritrovata potenza del suo impero
millenario. Sui siti dei "media" le medaglie di Pechino si rincorrevano
con le bombe di Tbilisi alla ricerca della piazza d'onore, la vetta del
mainstream.
Intanto le tecniche del Kgb erano state implementate
con le meraviglie dell'era informatica e gli "hacker" russi mettevano
in ginocchio i siti nevralgici della Georgia. Gli attacchi sembrano provenire dal Russian Business Network
(RBN), una delle più grandi organizzazioni di cybercrimine al mondo con
sede a San Pietroburgo specializzata in attacchi di ogni tipo (spam,
phishing, ecc.) e, secondo il Guardian, legata direttamente a esponenti
politici russi. Niente di nuovo: l'anno scorso l'Estonia aveva sperimentato lo stesso trattamento.
Il
Ministero degli Affari esteri della Georgia, coi server che venivano
giù uno dopo l'altro, ha deciso di fare la cosa più ovvia e
rivoluzionaria: aprire un blog. Da lì
sta raccontando le bombe, i morti, la guerra, mentre i televisori
d'agosto sparano le imprese dei campioni di Pechino, che hanno fatto
dimenticare in fretta ogni velleità di boicottaggio e tutte le belle
parole spese sui diritti umani capestati nel (e dal) Celeste Impero.
Come
Radio Varsavia, che trasmise fino al primo ottobre del 1944 e chiuse le
trasmissioni con "la Caduta di Varsavia" di Chopin, avvenuta infatti
il giorno dopo con i nazisti che entravano in una città ormai rasa al
suolo dai bombardamenti.
E come Radio Praga, che all'una e mezzo del mattino del 21 agosto 1968 trasmise la prima notizia dell'invasione della
Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia.
A mezzogiorno durante il notiziario risuonò l'inno nazionale interrotto da raffiche di mitragliatrice, in
via Vinohradska erano ore drammatiche, gli studi della radio divennero
teatro di veri combattimenti in cui persero la vita venti persone.
Il giorno dopo Radio Praga cominciò a trasmettere clandestinamente da una villa di Nusle, la Georgia oggi si è dovuta rifugiare su Google. Speriamo che vada a finire in un altro modo.
La cartolina di Radio Praga l'ho presa in prestito qui.
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26 marzo 2008
PINA PICIERNO / 2
 Ci si può mettere la faccia anche mostrando le facce e le domande degli altri, che non sono candidati: questa è l'idea-valore delle quattro promocard (realizzate coi colori della raccolta differenziata in Campania) di Pina Picierno, capolista nel collegio Campania 2 per il Piddì.
Da poche ore è online il suo blog.

Sapere, Opportunità, Lavoro, Energia:
questi sono gli argomenti delle domande e i temi su cui si articola la
campagna elettorale.
 Il sole, l'acronimo dei quattro temi è il simbolo della campagna (e il favicon del blog) che affianca politica differenziata, il pay-off che esplicita il posizionamento della candidata.
 Pauered bai Lance Libere.
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