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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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25 ottobre 2011
LIBERTÀ DI CHE?
 Tre video del tutto diversi fra loro, che mi è capitato di vedere a
distanza di poche ore l’uno dall’altro, mi hanno indotto ad una
riflessione tanto greve quanto velleitaria. Uno spunto di discussione
per il nostro bar senza birra o semplicemente un’occasione per sfogarmi:
mi capita sempre più spesso d’indignarmi (con la “i” minuscola) per gli
squallori quotidiani, specie se consumati in nome o per conto della
libertà (con la “l” maiuscola). Il mio unico potere è scriverci su.
Il primo video mi
è spuntato sullo schermo mentre avevo mio figlio in braccio. Tra i
tanti “Il coccodrillo come fa?”, pubblicati su YouTube con la stesa
icona, ho cliccato sul primo che mi è capitato a tiro. Non ho fatto caso
alla mini-didascalia che compare, in bianco su banda rossa, durante i
primi secondi: “Video contenente materiale esplicito. È sconsigliata la
visione da parte di un pubblico minorenne.”
“Ma perché sti bigotti non la smettono di rompere il cazzo, io di una
persona guardo quello che fa, se una brava persona, e non conta nulla
se creda o non creda. E soprattutto ma se sapete che questo è un video
di bestemmie perche lo commentate.” È una canzone dello Zecchino d’Oro,
un balocco per bambini, che senso ha un remix a suon di bestemmie? “A
dir la verità la blasfemia (in pubblico) è punita legalmente. Vuoi
sapere che ne penso? Dio cane ma non è possibile!”. E ha ragione lui a
quanto pare: il video di Mosconi (“bestemmiatore d’élite”, secondo un altro commentatore) è su da mesi.
Il secondo video è quello pubblicato da Repubblica.it
sulla ragazza-madre black bloc. Non mi scandalizzano granché le
professioni di fede violenta, anche in una giovane madre, alla fine
forse è peggio (e più deleteria) l’ipocrisia moralista di chi lancia il
sasso e nasconde la mano. Ho provato orrore più che altro per lo
squallido teatrino da finto scoop con cui è stato imbastito il tutto:
osceno copricapo stile burka per l’anonima incazzata e prurito
contrabbandato da comprensione per il taglio del servizio.
Il riassuntino a fianco del video dice già tutto. “È una giovane
precaria. Mamma di una bambina molto piccola. Il 15 ottobre era in
piazza. A lanciare sassi e bastoni contro la polizia. Ha 30 anni, è
romana. E furiosa. Perché non riesce ad arrivare a fine mese, perché non
ha una casa, perché non ha aiuti per crescere sua figlia.” Quindi fa
bene a tirare i sassi? No? E allora che c’entrano i figli, la casa e
l’incazzatura?
Infine, Gheddafi. Sarà una banalità, ma l’iniezione di violenza che
si prova a vedere i video degli ultimi istanti di vita del Rais fanno
male alla salute. Capisco chi brinda e pure chi ha premuto il grilletto.
Fossi stato libico forse ora sarei a festeggiare, fossimo nel 1945
magari sarei a Piazzale Loreto a sputare sul Duce, freddato senza
processo e appeso a testa in giù. Fa schifo lo stesso, però, e fa male:
“Se guardi l’abisso, l’abisso ti guarda”.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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15 ottobre 2011
RAGE AGAINST THE MACHINE
 “15 ottobre rivolta globale” scandisce un performer hip-hop indiavolato
da uno dei tanti sound-system del corteo, in sottofondo gli spari dei
lacrimogeni, le bombe carta, le sirene della polizia, le urla. Non è più
tempo di indignarsi contro i violenti o di questionare su slogan,
adesioni, partiti e non partiti: tutto l’armamentario politico
novecentesco non serve a spiegare questo 15 ottobre. 951
città in 82 paesi del mondo, gli Indignati di tutto il mondo lanciano la
loro sfida a banche, finanza, politica, presunti colpevoli della crisi e
del caos, di cui la guerra di Roma resterà una delle icone indelebili.
“È una giornataccia per Roma…” la diretta video di Nino Luca sulla
videochat del Corriere, su RaiTre c’è il ciclismo e su La7 un film con
Pozzetto (per la televisione italiana non succede niente), trasforma la
capitale nel set di “V for Vendetta”, il film-cult di questo movimento
tratto dalla graphic novel di Alan Moore. Su tutte le testate online, a
fianco delle gallerie di roghi e cariche vengono pubblicate le immagini
del resto del mondo, da Seul a Sarajevo e da Varsavia a Hong Kong. Gli
unici scontri sono quelli di Roma, come se l’Italia sentisse l’esigenza
di ambire anche a questo, di primato.
“Un attimo di calma irreale”. Dopo un po’ di silenzio inquietante e
di fuori-onda allarmati, l’anarco-diretta di Corriere.it riprende.
“Siamo messi male, Andrea… siamo messi male”. Silenzio, sirene, allarmi e
vetri in frantumi. La flemma di Nino Luca s’incrina leggermente “siamo
stati costretti ad arretrare… siamo proprio dietro i poliziotti che
vengono presi d’assalto… siamo in mezzo al guado, il corteo è spaccato
in più tronconi. Adesso c’è del fumo a via Merulana, ci sono altri
scontri a Piazza San Giovanni… E adesso è dura anche per noi lavorare,
sono arrivati i fumogeni, anzi i lacrimogeni… urticanti”.
Sciamano maschere di Guy Fawkes, l’uomo che il 5 novembre del 1605
tentò di far esplodere il Parlamento inglese (reso da Alan Moore l’icona
di “V”), in mezzo alle decine di migliaia di persone che continuano a
invadere la capitale per tutto il pomeriggio. A Piazza San Giovanni
arriveranno in pochi. Il cronista del Corriere riesce a intervistare una
ragazza di Salerno, nascosta dietro la maschera, la stessa indossata
dagli Anonymous per le loro scorribande sul web. Il tempo di pensarlo e
sulla home del Corriere compare Julian Assange, abbarbicato sui gradini
della chiesa di Saint Paul, a Londra, con un megafono in mano. La
polizia gli appena impedito d’indossare la maschera.
“Si stanno disponendo per preparare la carica. Stiamo vivendo con voi
questa emozione, vorremmo che fosse finito tutto da un pezzo… Cerchiamo
una via di fuga, ma da qui non la vediamo. I capi-pattuglia richiamano i
propri uomini, vedete? Siamo proprio dietro i carabinieri”. I
carabinieri però non sono contenti. “Perché non andate a riprendere
quelli che lanciano le bottiglie? Non dovete stare dietro le guardie! Ve
ne dovete andare!! Per motivi di sicurezza, ve ne dovete andare!”
Nino Luca abbozza, un po’ mesto. “È che ci sentivamo più sicuri
dietro i carabinieri… c’è nervosismo, è comprensibile, però noi qui
siamo per fare il nostro lavoro…”. Poi sbotta in una riflessione a voce
alta, che vale cento editoriali. “Sorprende… Sembra quasi, tutto
pianificato… Da una parte i black bloc dall’altra le forze dell’ordine,
in mezzo centinaia di giornalisti, telecamere, ragazzi con le macchine
fotografiche…”.
Come se fosse l’ennesimo atto di una commedia/tragedia col copione
già scritto. A sera una cupa conferma, alcuni manifestanti hanno
assaltato un blindato dei carabinieri e sono riusciti a darlo alle
fiamme. Prima che esplodesse, sopra, non hanno trovato altro di meglio
che scrivere “Carlo vive”. Come se fosse vero, come sa la vendetta
riguardasse ragazzi in divisa a millecinquecento euro al mese, come se
dieci anni non fossero mai passati. Allora come oggi è la rabbia,
moltiplicata dalla crisi, che dà le carte.
La foto l'ho presa qui.
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30 ottobre 2008
IL BLOCCO NERO
 Quando a Genova nel 2001 comparvero i black bloc (curiosa l'assonanza con blocco studentesco no?), misteriosamente la polizia non li beccava mai. Loro attaccavano, bruciavano, devastavano, picchiavano tutti quelli a portata di spranga, poi sparivano. Le forze dell'ordine arrivavano sempre con un minuto di ritardo e manganellavano i manifestanti pacifici. Anche il campeggio in cui alloggiavano non venne mai perquisito, a differenza di quello delle tute bianche - allo stadio Carlini - e di quello degli autonomi.
Ieri a Piazza Navona è andato in scena lo stesso film. D'un tratto sono comparse le spranghe e i caschi, celtiche e svastiche, e la manifestazione pacifica e diventata un mattatoio davanti agli occhi degli agenti di polizia, in tenuta antisommossa e immobili per cinque lunghi minuti. I "media" poi hanno fatto di nuovo il loro dovere, propinando all'Italietta disperata la solita favola degli opposti estremismi: destra e sinistra che usano la strada come un ring con la scusa della Gelmini. Un anziano docente che ha visto passare Cossiga gli ha gridato "sei contento adesso?"
In effetti c'è di che gioire per i piduisti di casa nostra. Dopo l'annuncio poliziesco di Berlusconi e la consulenza terrrorista di Cossiga a Maroni, l'oliata macchina del blocco nero si è rimessa in moto con rinnovato vigore. L'articolo di Curzio Maltese sulla Pravda, il video pubblicato dal Corriere documentano il tradizionale sodalizio di piazza tra picchiatori (fascisti, black bloc che differenza fa? A Genova tra l'altro c'erano diversi militanti di Forza Nuova che non sfilavano certo con le focolarine) e forze dell'ordine. Ma come sempre le facce degli agenti provocatori infiltrati tra gli studenti possono starsene tranquille: con i tempi della giustizia italiana se ne parla - al massimo - tra cinque o sei anni.
Gli studenti invece devono stare in campana. Troppe belle facce pulite, troppa determinazione a non farsi strumentalizzare, troppi contenuti: ci credo che poi prendono in parola il vecchio idiota e li infiltrano! Genova è stata la tomba politica del movimento dei movimenti (quello che contestava la cattiva coscienza neoliberista che ci ha portato alla crisi di oggi) perché la violenza è la tomba mediatica di qualsiasi movimento. Specie di quelli perbene.
La foto l'ho presa in prestito qui.
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