21 febbraio 2011
GIOVANE RIVOLTOSE CRESCONO
 Uno dei libri più letti in Egitto, nei giorni della caduta di Mubarak, è la biografia di Kemal Ataturk,
padre della Turchia laica pre-Erdogan. La notizia, giunta sulla nostra
riva del Mediterraneo come curiosità, racconta meglio di qualunque
ponderosa analisi la verità di chi ha messo a repentaglio la propria
vita e integrità fisica per sfidare coprifuoco, censura, violenza e
conquistare la piazza alla libertà. Ataturk non era Che Guevara né Bin
Laden e di sicuro non assomigliava a Khomeini, a cui probabilmente
avrebbe fatto tagliare la testa in diretta tv (se fossero esistiti l’uno
e l’altra, ai suoi tempi).
Il contagio nel Maghreb e in Medio Oriente non si ferma e il virus
della libertà “come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca
in bocca”. Dopo Algeria, Tunisia, Egitto, Yemen e Iran ora tocca a
Bahrein, Kuwait, Oman e Libia. Neanche la dittatura pluridecennale del
tiranno situazionista, presunto patrono del bunga bunga (oltre che della
tratta di esseri umani verso l’Italia), si è salvata dall’inondazione
che sta spazzando il mondo arabo. Come durante l’assalto all’ambasciata
italiana di Tripoli, la reazione alla maglietta contro Maometto
sfoggiata dall’ineffabile semplificatore Calderoli, il Colonnello ha
usato la mano pesante contro i manifestanti e stavolta il bilancio è una
vera e propria strage:
quasi cento morti di cui buona parte a Bengasi (dove gli abitanti del
quartiere dell’hotel che ospitava il figlio di Gheddafi, Saad, hanno
tentato di sequestrarlo).
La repressione, oltre alla classica mordacchia alla Rete (attuata
anche in Libia) è la cifra stabile della monarchia del Bahrein,
anch’essa assediata dalla primavera araba.
Il regno di Hamad, erede della secolare dinastia sunnita, conta poco
più di un milione di abitanti ma è posizionato strategicamente sul Golfo
Persico come bastione degli interessi statunitensi nell’area. La
rivolta della minoranza sciita, discriminata a tutti i livelli, ha
causato sinora quattro morti e oltre cinquanta feriti durante i loro
funerali.
Anche il presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, al poter da più
di trent’anni, sta reagendo rabbiosamente alle proteste di piazza
capeggiate da una giornalista di trentadue anni, Tawakkol Karman,
seguace di Martin Luther King, Gandhi, Mandela e Facebook. Lo Yemen è la
nemesi della libertà, oltre che della dignità della donna,
i matrimoni sono combinati durante l’adolescenza, la testimonianza di
una donna in tribunale vale la metà di quella di un uomo, così come il
risarcimento in caso di morte (per la donna si ottiene la metà). Al
medioevo etico corrisponde un intenso attivismo di Al Qaeda, di cui lo
Yemen è una delle capitali. Tawakkol Karman è la loro nemesi, l’incubo
che s’incarna: una donna-leader che incita le truppe dalle colonne del Washington Post. “Dopo l’Egitto, tutti i dittatori della regione cadranno, e il primo sarà Ali Abdullah Saleh”.
Tawakkol Karman l'ho presa qui. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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