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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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1 febbraio 2011
L'ILLUMINISMO ARABO
“Il chierico Ahmad Kathemi è stupido quanto
il suo capo, Ahmadinejad. Nella preghiera del venerdì ha detto che le
rivolte in Tunisia e in Egitto sono parte del riflesso della rivoluzione
islamica in Iran. Qualcuno gli dica che non c’era un solo islamico o
slogan islamico in Tunisia o in Egitto o in Yemen. Continui pure a
sognare”. Il blogger libanese As’ad AbuKhalil mette subito in chiaro il significato dell’Illuminismo arabo in cui si comincia a sperare anche in Occidente, stavolta del tutto snobbato dalle piazze d’Egitto e della Tunisia in fiamme.
Quello che è stato definito “il contagio”,
il prurito rivoltoso che già pregusta il piazza pulita dei vecchi
sultani logorati da decenni di potere, si sta propagando a grande
velocità. Algeria, Tunisia, Egitto, Yemen (al debutto assoluto) sono
stati scossi alle fondamenta da manifestazioni, scioperi, disobbedienza
civile, saccheggi e guerriglia online. Non ci sono solo le avanguardie
politicizzate della Rete, la massa di giovani politicamente irrilevanti,
spesso acculturati e sospettati, sinora,
d’intelligenza col Nemico sia dai regimi che dall’Occidente (a cui i
regimi hanno parato il culo in funzione anti-islamista), c’è anche la blasfemia
barbarica dei saccheggiatori di templi e l’impagabile risposta delle
ronde dei cittadini egiziani a difesa di luoghi e oggetti sacri
all’intera umanità.
Eccita e commuove lo slancio di questi
ragazzi rivoluzionari, in tutto e per tutto simili ai loro coetanei
nostrani, che rischiano tutto per cambiare tutto. Eccita, commuove e fa
riflettere la lucidità e l’apparente facilità con cui le scarmigliate
truppe di blogger e utenti di Twitter e Facebook stanno mettendo in scacco
uno dopo l’altro gli apparati di censura e repressione affinati dai
regimi nel tentativo di evitare proprio quello che sta accadendo: la
consapevolezza di massa come anticamera di uno sbrigativo congedo con
disonore, in tutta fretta per non rimetterci la pelle. E tutto grazie
all’accesso in massa alla Rete (+45% in Egitto sono l’ultimo anno).
L’Illuminismo arabo e la décadence
italiana si contendono da un paio di settimane i titoli di apertura
delle testate di tutto il mondo. Naturalmente è scontato, ma mai banale,
segnalare l’enormità del baratro che separa una sponda del Mediterraneo
dalle altre (anche solo come monito per i prossimi leghismi da sbarco
estivo). Di là si fa la rivoluzione o si muore, di qua si sputtana il
sultano, ci s’indigna, lo s’invidia di nascosto a suon di battutine
davanti alla macchinetta del caffè, si finisce in mutandine e non cambia mai niente.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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17 gennaio 2011
I VICINI TUNISINI
 Con un copione ormai collaudato, piazza e
Rete si sono rivoltate insieme alla Tunisia di Ben Alì, della sua
potentissima moglie e del clan a lei affiliato. La novità è che questa
volta hanno vinto e il presidente è fuggito in Arabia Saudita (la
destinazione di una fuga di solito racconta molto del profilo del
fuggiasco). Adesso è l’ora dei saccheggi
alla ville del potere, delle rivolte (con stragi) nelle carceri, della
ribalderia proletaria su cui tramestano le grandi manovre degli
aspiranti timonieri.
Ma prima, durante la “rivolta del pane”, erano stati i
bloggers tunisini a raccontare al mondo la situazione del paese.
Facebook, Twitter, YouTube e migliaia di blog hanno offerto al mondo un
aggiornamento costante sul mese di rivolta che ha cambiato la storia
della Tunisia. I video degli scontri e delle manifestazioni hanno fatto
il giro del pianeta e nonostante il governo abbia minacciato
l’oscuramento dei siti, alla fine è stata la Rete a vincere e a
spalancare la piazza agli insorti.
O forse ha perso la debolezza del potere,
il gigante coi piedi d’argilla che dopo tante energie dedicate ad
accumulare roba si è dimostrato impotente di fronte a una realtà di
disoccupazione, aumento dei prezzi e corruzione dilagante, denunciata
sul web da gruppi come Nawaat. In Tunisia il 54,3%
dei cittadini del paese ha meno di trent’anni e, grazie alla
scolarizzazione partita dopo l’indipendenza del 1956, un giovane
tunisino medio ha almeno una decina d’anni di scuola alle spalle. Il
numero degli iscritti all’università aumenta in modo esponenziale ma il
mercato del lavoro non dà sbocchi.
Dopo l’Iran, gli anarchici dell’Exarchia di Atene, gli studenti di Londra e Roma, gli immigrati di terza generazione delle banlieues
parigine, sono i giovani tunisini oggi a sfidare il potere costituito.
Colpisce l’analogia di fondo di tanta rabbia: la percezione che il no future,
metafora punk lirizzante di fine anni ’70, sia alla fine divenuta
realtà. Il terrore generazionale del domani, la percezione che l’oggi
sia una truffa, un bluff inscenato dai parrucconi di turno per
non mollare la poltrona, ogni tanto esplode in una fiammata di rivolta
che non ha niente a che spartire con gli indottrinati movimenti degli
anni Sessanta-Settanta. Destra e sinistra servono a poco per spiegare la
paura del nulla.
La foto è tratta dal sito di Nawaat. L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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