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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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1 marzo 2012
DOVE NON OSANO LE AQUILE
 “La nostra Federazione anarchica informale ha aderito alla proposta
degli omologhi greci delle Cellule di cospirazione di fuoco, proposta di
adesione a un network internazionale più agguerrito, che mira a mettere in piedi azioni violente antisistema”. Mettendo da parte il cinismo mentecatto da avvoltoi in astinenza da carcassa di Libero, il quasi-morto della Val di Susa rappresenta di certo un salto di qualità nella decennale battaglia sulla Tav. Non quello paventato da Manganelli, però.
Il cadavere è stato evocato recentemente dal capo della polizia, come esito probabile dell’escalation
di violenza anti-sistema attribuita ai ribelli della Val di Susa,
“terreno storicamente tradizionale di espressioni antagoniste, dove sono
nati e vissuti esponenti di Prima Linea, dove ancora oggi c’è la
presenza piuttosto stabile di personaggi di spicco dell’area anarchica
radicale”. Luca Abbà è in coma farmacologico, dopo aver violato un
traliccio ad alta tensione, buscato la scossa ed essere volato dieci
metri di sotto.
Dalle cronache pare che “uno dei volti più noti del movimento No-Tav”
sia in effetti un anarchico. Originario di Cels, una frazione di
Exilles, Abbà dieci anni fa è tornato a vivere nella casa di suo padre e
dei suoi nonni e a coltivare la terra. L’ha fatto anche Giovanni Lindo
Ferretti, leader dei CCCP, poi CSI, poi PGR, che è rientrato nella casa
di famiglia, in un minuscolo paesino dell’Appennino, per poi divenire
seguace di Giuliano Ferrara e della musica sacra, confermandosi così
come l’ultimo vero punk ancora in attività.
Forse anche l’autore di “produci-consuma-crepa” tornerebbe un po’
anarchico, se le ruspe dell’ “atea-mistica-meccanica-macchina
automatica-no anima” minacciassero di buttargli giù la casa. Luca Abbà
si è comprato un pezzo di terra che, in queste ore, gli emissari del
“sogno tecnologico bolscevico” stanno procedendo a espropriare, in
quanto area d’interesse strategico nazionale. Esticazzi se, come sostengono gli avvocati del legal team
“Ltf si è presentata nuovamente soltanto con un’ordinanza prefettizia,
in palese violazione dell’articolo 2 del Testo unico di Pubblica
sicurezza, che prescrive quella procedura soltanto in casi di estrema
urgenza, che qui non vi sono”.
Manganelli ha già chiarito che gli oppositori dell’interesse
strategico nazionale rappresentano una minaccia alla sicurezza
nazionale, Tav o non Tav. Per cui “serve una nuova figura normativa,
diversa dall’associazione e dalla banda armata, per perseguire
un’associazione speciale, a metà tra l’organizzazione strutturata e
l’organizzazione che ti rende forte in quanto appartieni ad esse ma non
vieta di fare qualcosa da soli”. Definizione assai vaga e sinistramente
vasta, a occhio.
Gli anarchici di Manganelli, che con una busta paga da
oltre 620.000 euro annui s’immagina abbia bisogno di mostrare grinta a
poliziotti tra i meno pagati d’Occidente, sarebbero dunque l’ennesima
puntata delle emergenze italiane. Dopo i terroristi, i mafiosi, i
pedofili, i razzisti, i partiti politici che hanno fatto la
Costituzione, il pendolo della concezione strategica nazionale vira verso i sempiterni anarco-insurrezionalisti, in procinto di fondare il network del terrore in combutta coi greci di Exarchia.
C’è della paradossale onestà nella visione lucidamente leviatanica di
Manganelli, perché la rabbia e la repulsa sociale e politica è come un
virus in grado di infettare le piazze di mezzo mondo, anche senza
bisogno di grandi vecchi e internazionali del terrore. Quello che è
successo nel Maghreb, che accade tutti i giorni in Siria, la rivolta
afghana, sono segnali che il mondo stesso è una polveriera pronta a
esplodere in ogni momento, quando salta il patto di convivenza e il
gioco non vale più la candela.
Se vogliono (r)esistere, gli stati bisogna che siano in grado di
convincere, o almeno di parlare con tutti i Luca Abbà, prima di
espropriarne la terra. Non siamo nell’Ottocento e non c’è da costruire
la ferrovia per la nuova frontiera e manco nel Novecento, con l’Autosole
da tirar su. Il mondo del martello pneumatico è in crisi – economica,
ambientale, politica, sociale, culturale – e non produce più ricchezza,
benessere, speranza. Dunque la propria terra è una buona ragione per
combattere e magari pure per morire.
Ci si attenderebbe, quantomeno, il pudore del dubbio, la dignità del forse e invece ogni volta che viene bollata un’idea strategica nazionale (con
connessa emergenza da normare con urgenza) si alzano le baionette come
ai tempi di Peppone e Don Camillo. Se poi c’è di mezzo pure l’Europa
tutti smettono di pensare del tutto. Invece ci sarebbe bisogno di
sinapsi in movimento, per evitare che la profezia punk di tutti i Lindo Ferretti, solitamente senza figli, si avveri. E che il futuro vada definitivamente a farsi fottere.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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23 gennaio 2012
MEGLIO SOLI
“All’Isola del Giglio, paradiso naturale e perla scheggiata ed
oltraggiata, è naufragata una idea di modernità e di diseguaglianza
selvaggia”. Parola del leader di “Eyjafjallajökull”, nome di battesimo della Fabbrica di Nichi (scelto
in onore del vulcano islandese a pochi giorni dall’eruzione). C’è da
chiedersi cosa potrà arrivare a inventarsi di qui alla fine del 2012,
“Armageddon della nuova sinistra” magari. Per ora si limita a minacciare
che “la tecnocrazia non può congelare il calore della democrazia”.
Vendola, insieme a Grillo e alla segretaria della Cgil, guida il composito fronte della sinistra anti-liberalizzazioni. Secondo Susanna Camusso “c’è
una tendenza a dire che bisogna allungare l’orario di lavoro. È di per
sé una straordinaria trasformazione, siamo tutti vittime dell’idea che
bisogna essere costantemente raggiungibili dall’informazione. Ma bisogna
riflettere sul fatto che non è forse vero che il problema è occupare
tutto il tempo disponibile”, che così si “deprezza la cura delle
persone, la salute, l’idea che si può avere attività che riguardano il
tempo libero, la costruzione della cultura, della lettura”.
Col post “Io sto con i taxisti”, Beppe Grillo lancia direttamente un’opa à la Brecht sulle
categorie in ballo. “Oggi vengono a prendere i tassisti, domani i
notai, dopodomani i farmacisti, la settimana prossima i fruttivendoli.
L’unica categoria che non vanno mai a prendere è quella dei politici.”
Infatti “la caccia all’untore, alla singola categoria sociale, è
iniziata. Una battuta dopo l’altra con i media a demonizzare i redditi
dei tassisti o degli avvocati. I tassisti ricchi sono rari come i
politici onesti. È un lavoro che si sono comprati con i loro soldi, non
attraverso raccomandazioni, conoscenze, leccate di culo.”
Così come Berlusconi lisciava il pelo agli evasori fiscali, con
battute e smentite di forma sull’iniquità dello Stato e sulle ragioni
per cui in fondo bisognava capirli, Grillo si struscia attraverso il
canonico attacco ai media, rei di “demonizzare i redditi dei tassisti o
degli avvocati”. E pazienza se quasi nessuno ricorda di essere riuscito
ad ottenere una ricevuta fiscale su un taxi o se l’Italia è piena di
avvocati, dentisti, idraulici che dichiarano meno di badanti e
ricercatori (che prendono meno delle badanti).
Per non sapere né leggere né scrivere, Grillo integra pure lo sloganino di battaglia con cui chiude tutti i post combat
– Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure – con un
bell’appello elettorale senza se e senza ma, condito con la solita
spruzzata di vittimismo preventivo (che non fa mai male): “Ci vediamo in
Parlamento se non fanno una legge elettorale per impedirlo.”
L’altra sera per sbaglio ho guardato il Tg3. Era un po’ che
non succedeva, anche perché la tv non è molto gettonata in casa nostra, e
non ero più abituato a certe bizzarrie, tipo un servizio (per fortuna
veloce) su Marco Rizzo, leader di non so quale Partito Comunista Docg,
che fissava marziale la telecamera arringando sulla nuova lotta di
classe che unisce taxisti, precari e operai.
La prima manifestazione contro gli ordini professionali io l’ho
organizzata nel 1998 e l’associazione di cui ero responsabile
dell’organizzazione, l’Unione degli Universitari,
aveva sede in Corso Italia e con la Cgil aveva (e ha) un rapporto di
figliolanza politico-sindacale proficuo e (spesso) conflittuale. Quella
volta non dissero niente (se scazzavamo forte la tirata d’orecchi
arrivava puntuale) e anzi, Massimo D’Alema, allora segretario del Pds,
si complimentò con inusuale veemenza.
Com’è andata dopo è noto. Sono passati quattordici anni da quel
corteo e dal nostro elegantissimo slogan – gli ordini professionali non
servono a un cazzo – e Bersani (versione ministro) e i governi di
centrosinistra sono riusciti a fare poco, sudando molto. Quegli altri
invece hanno festeggiato la rivoluzione liberale direttamente in piazza,
assieme ai taxisti romani in camicia nera dopo la vittoria di Alemanno.
Monti ha fatto più di tutti in meno di due mesi, Natale e Capodanno
inclusi. Così come sulle pensioni, sul riordino dei conti pubblici, ora
sul mercato del lavoro e sulle frequenze tv che il centrosinistra – è
bene ricordare agli smemorati – ha continuato a regalare al temibile
Caimano. Perché mai, dopo un anno di questa rumba e con la barca che
magari si rimette ad andare, dovrebbero fare le valigie? Che fanno gli
altri, tornano per riattaccare a smacchiare i giaguari? Bersani fa bene a
bere da solo, altroché.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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16 gennaio 2012
DISORDINI PROFESSIONALI
“#bloccotaxi
ma sì, fate pure la serrata. Quanto durate? 1, 10, 30 giorni? Dopodiché
diventiamo un paese normale.” Uno dei vantaggi della società
dell’informazione è il pluralismo contestatario. Dopo l’annuncio della
serrata nazionale dei taxi per il 23 gennaio e il proliferare di
“assemblee spontanee” (o interruzioni di pubblico servizio, a seconda)
contro le liberalizzazioni del governo Monti, su Twitter è partito lo sciopero degli utenti tre giorni prima. Il 20 gennaio, dunque, #menotaxipertutti.
Gli umori della gente, già bastonata per bene dalle prime misure
anti-deficit oltre che dagli aumenti di benzina e bollette, sembrano
tutt’altro che solidali con le categorie ritenute privilegiate e magari
in odore di evasione. A parte qualche nostalgico del Far West fiscale, infatti, anche un’azione drastica (da “Stato di polizia tributaria” come piace declamare con enfasi un po’ dark) a uso e consumo dei media come quella di Cortina ha ottenuto il plauso della grande maggioranza degli elettori di centro, destra e sinistra.
Non è solo per la speranza che le liberalizzazioni di Monti & Co.
portino più concorrenza e lavoro, soprattutto ai giovani senza
parenti/amici da cui farsi cooptare in una delle varie corporazioni
fortificate, ma per una paradossale questione di equità. Se bastonate
devono essere, che arrivino per tutti e quelli che per una ragione o per
l’altra tentano di scamparla, e finora ce l’hanno fatta, vengono
guardati in cagnesco. Non sarà molto elegante ma forse è l’unica maniera
per scrostare un po’ di Medioevo, magari evitando i forconi.
Un altro modo, ancora più efficace degli scioperi anti-corporazioni
via Twitter (e forse persino delle liberalizzazioni per decreto), è la
tecnologia. Groupon, celebre e celebrato sito di vendita di
prodotti/servizi di varia natura (dai parrucchieri agli alberghi) super
scontati, ha cominciato a pubblicare annunci di professionisti iscritti
ai vari ordini.
Dentisti e avvocati, in particolare, hanno cominciato a pubblicizzare
la propria attività su Groupon a tariffe ben più basse di quelle
“consigliate”. Gli ordini professionali, infatti, già dai tempi delle
famose lenzuolate dell’allora ministro Bersani non hanno più facoltà di
imporre tariffe minime e massime vincolanti ai propri iscritti che una
volta erano una loro prerogativa, per via delle menate sulla deontologia
professionale sotto assedio.
Devono però aver interpretato il termine “consigliate” in modo assai restrittivo, perché negli ultimi mesi sono fioccati i richiami ai professionisti rei di essersi messi online
a prezzi di saldo. A giorni si attende il verdetto dell’Antitrust,
interpellata da Groupon sulla vicenda. Il richiamo non è solo un atto
formale, ma l’anticamera dell’espulsione. Gli ordini hanno dunque
dichiarato definitivamente guerra alla contemporaneità, subodorando
forse aria di estinzione.
Sarà anche vero che “a New York i tassisti poveracci sfruttati del Bangladesh dormono in macchina”, come sostiene
il capo dei tassisti romani, secondo dei non eletti nel 2008 nel
partito della rivoluzione liberale all’amatriciana, ma siamo sempre lì:
bastonate per tutti (più forti per chi non le ha mai prese) oggi è
l’unica giustizia sociale possibile. In un paese normale un tassista non
guadagna il doppio (dichiarato) di un ricercatore.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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