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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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4 marzo 2013
PRIMA DELL'ESTINZIONE
 Una decina di giorni prima del 25 febbraio 2013, dopo che una pioggia
di meteoriti aveva provocato esplosioni nel cielo degli Urali, un
asteroide di centotrentacinquemila tonnellate e quarantacinque metri di
diametro era sfrecciato a circa ventisettemila chilometri dalla Terra,
alle 20 e 25, ora italiana. Senza apocalissi
di sorta. Anche i più tenaci apologeti dell’Armageddon Maya ritardato
si erano dovuti arrendere alla noiosa evidenza della persistente
sopravvivenza della, cocciuta, specie umana.
Dopo dieci giorni, più o meno alla stessa ora, era ormai chiaro che
in Italia il Maya di turno non era nato tra le nebbie della bassa padana
di Bettola. Di lì a qualche ora l’inviato di Porta a Porta,
imbalsamato nel suo piumotto circonfuso dalle luci di scena e dalla
spettrale quiete residenziale promanante dalla villa del timoniere di
Sant’Ilario, avrebbe spalancato le braccia e il sorriso, disarmante e
disarmato: “non abbiamo contatti con Beppe Grillo, né col suo staff… di
nessun tipo”.
“Gli alieni sono invece introvabili, non sai con chi parlare, sono
inafferrabili, interlocutori politici potenziali e media sono alla
stessa stregua tenuti fuori dalla porta, anzi non c’è la porta, non si
sa dove stanno e che fanno, vai fuori dalla casa di Grillo a Genova o
vai a Bologna dove c’è un’esperienza in Comune o cerchi disperatamente
di vedere se c’è un modello siciliano di omologazione, chissà, non hanno
l’etichetta al citofono, vogliono fare le sentinelle della rete dentro
le istituzioni, la delega ai capi è assoluta, nessuno si sente
autorizzato nemmeno a fingere di avere una opinione per sé, spendibile
politicamente, comunicabile senza passare per l’imbuto del web
controllato dal blogger.”
E pouf. Passa una settimana e l’Italia è Mars Attacks. Alieni, setta, strategia diversiva di matrice neoliberista
o forza di occupazione che dir si voglia: fatto sta che la prima parte
del tanto sbandierato piano di Grillo&Casaleggio è andato
magicamente in porto e l’Italia, le istituzioni repubblicane e tutta la
baracca sono in ostaggio. Dopo anni passati a far le prove,
scimmiottando le Br prima (sul blog venivano pubblicati i “comunicati
politici” con un font tipo ciclostile anni ’70) e scippando poi senza
vergogna Alan Moore, Anonymous e il movimento antagonista dell’icona di Guy Fawkes.
Appena si aprono le urne, come per magia, alcuni dei protagonisti
della storia della Repubblica recente e meno recente non esistono più.
La polizia del karma inghiotte subito Fini, Di Pietro, i comunisti e i
verdi di ogni ordine e grado (già semi-morti), Ingroia, ma anche Casini e
Monti scompaiono presto dai radar delle agenzie dopo le prime,
pallidissime, dichiarazioni di rito. Come previsto dal Piano di
Occupazione Stellare del Nexus 7 con gli occhialoni, rimangono in piedi
solo l’uomo di Bettola e quello di Arcore, nati sotto il segno della
Vergine. Lo stesso giorno.
Vendola, come da programma, comincia a sbarellare e attacca a dare
segni di diserzione ad appena ventiquattrore dalla chiusura dei seggi.
Aveva impiegato fior fior di sonetti e narrazioni per spiegare al popolo
della sinistra e ai fratelli dei media di volta in volta convenuti che
Grillo era un fascista della peggior risma, populista e maschilista
becero, gemello del Berlusca brutto e cattivo, e ora la stessa passione
gli sgorga con medesima ispirata naturalezza per sostenere l’esatto
contrario. Naturalmente ha buon gioco, il timoniere, a prenderlo per il culo senza troppi complimenti.
“Vendola si è ingrillato all’improvviso dopo le elezioni. Si è
vestito di nuovo come le brocche dei biancospini. Sembra un’altra
persona. Ha un rinnovato linguaggio, comunque sempre variegato, e
adopera inusitate e pittoresche proposizioni verso il M5S. Vendola ci
ama: “Grillo non è un fantasma per il quale bisogna convocare
l’esorcista, è un nostro interlocutore”. È lo stesso Vendola che il 20
febbraio 2013, a tre giorni dall’appuntamento elettorale, su La 7
spiegava: “Grillo è un populista di piazza. Grillo è il virtuoso della
demolizione ma chi ricostruirà il Paese? Grillo è un’evoluzione di
Berlusconi.”
Tra l’altro probabilmente è vero. Grillo è un’evoluzione di
Berlusconi tanto quanto il MoVimento a 5 Stelle è un upload di Forza
Italia del 1994. Quello era un partito-azienda e questo sembra assomigliarci parecchio, il timoniere è il leader carismatico assoluto tanto quanto (e forse ancor di più) il Cavaliere Nero
dell’epoca. Casaleggio-Stranamore, poi, è molto più affascinante di
Dell’Utri, anche se con l’ex braccio destro di Berlusconi condivide la
passione bruciante per le cavalcate culturali d’annata.
Dice bene Ferrara: “il punto è che i grillini, nel bene e nel male,
perché questa è la loro novità e la loro forza oltre che la loro
controversa ambiguità, non sono un partito di plastica come fu Forza
Italia, magari, e non sono un partito di terra e sangue come fu la Lega
nord, magari. Non sono proprio, i grillini, un partito o un movimento
materiale, che abbia luoghi di formazione comprensibili e solidi, radici
culturali, un legame anche labile con una tradizione, magari da
ribaltare. Sono leggeri come ultracorpi, body snatchers, invadono lo
spazio pubblico clonandosi e moltiplicandosi con il consenso elettorale
legittimo, ma lasciandosi alle spalle piazze, polmoni e comizi che non
esprimono la loro autentica identità istituzionale, il loro carattere
come soggetto politico, ormai delegato a un esercito di piccole figure
scelte da piccole folle mediatiche sotto la occhiuta sorveglianza di una
società di marketing, la Casaleggio & Associati.”
Sono tutto e niente, festeggiati nell’ultima novecentesca orgia un
po’ lugubre da Dario Fo ed Ernesto Galli Della Loggia, Leonardo Del
Vecchio e “Bifo” (leader del ’77 bolognese), Celentano e Goldman Sachs.
All together. E blanditi e corteggiati, a suon di minacce spuntate e
lusinghe idiote quanto inutili, dall’agonizzante non-vincitore delle
elezioni. Lo scouting dei grillini è una sonora stronzata che permette
al timoniere di gridare al mercato delle vacche, il giorno della
richiesta di quattro anni di carcere a Berlusconi per la presunta
compravendita di senatore.
Dopo aver sbagliato tutto quello che c’era da sbagliare, dalle
primarie blindate agli italiani ai giaguari sul tetto, a quel che resta
del più grande partito della sinistra italiana rimane uno spazio di
manovra molto limitato, ma decisivo. Essersi chiusi nella ridotta di un
piccolo mondo antico immaginario, tra giovani-vecchi spartani
molestatori di blogger e funzionari decrepiti che non rispondono a nulla
se non a patetiche e suicide logiche di corrente, ha impedito sinora di
mostrare al Pd la reale posta in gioco.
Il dopobomba ha l’innegabile vantaggio della nitidezza. E mentre il
duo di Weimar gioca al Joker di Batman e soffia sul caos, aspettando
l’ultimo rantolo di un sistema irriformabile per clonare definitivamente
le istituzioni repubblicane in un software eterodiretto da una
maggioranza di byte “eletti solo dalla Rete”, la gente in carne ed ossa
comincerà presto a farsela sotto. Grillo ha scritto che di qui a sei
mesi non ci saranno più i soldi per pagare pensioni e stipendi:
significa che prevede che in sei mesi salti il banco.
Questo è, ragionevolmente, l’intervallo di tempo rimasto per far
saltare il banco a loro. La seconda parte del geniale piano del
timoniere e del guru capelluto prevede, dopo il blocco della democrazia
repubblicana, il filotto. Si torna a votare, sbaragliano tutti e inizia Brazil.
Per questo sono e saranno indisponibili a qualunque alleanza di
governo, di qualunque genere, con qualunque programma. In questo sta
l’evoluzione, l’upload, rispetto a Forza Italia: nella natura
intrinsecamente totalitaria del loro movimento.
Ma c’è un ma, anche se tenue. La politica: qualcuno è in grado di
portare in Parlamento alcune leggi (poche, radicali e in fretta) che
rispondono all’incazzatura popolare e, rompendo l’incantesimo, mostrano
che si può fare. L’aula sorda e grigia può riformare sé stessa e allora,
si, Grillo potrà serenamente essere mandato affanculo dagli elettori.
Che notoriamente non votano mai per gratitudine.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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24 novembre 2011
THE DARK SIDE OF THE WEB
 “Ciao, sono Rascatripas e questo mi è successo perché non ho capito
che non avrei dovuto postare cose sui social network”. Lo
“strimpellatore”, Rascatripas, è stato trovato senza testa e con le mani
legate dietro la schiena alla periferia di Nuevo Laredo, città
messicana al confine con il Texas. Sul corpo del blogger
trentacinquenne, che gestiva un sito che denuncia i cartelli della droga messicana, l’intimidazione di massa.
A partire dalla metà di settembre altri tre blogger sono stati uccisi dai narcos-killer riconducibili al cartello di Los Zetas. Una ragazza e un ragazzo sono stati appesi a un ponte mentre Maria Elisabeth Macìas, “La Nena del Laredo”
che moderava il sito insieme a Rascatripas, è stata sequestrata,
decapitata e il corpo è stato fatto trovare sotto la statua di
Cristoforo Colombo, a Nuevo Laredo, dove qualche giorno dopo hanno
trovato quello del suo socio.
I messaggi di rivendicazione sono stati tutti firmati con la “z” di
Los Zetas che fa tanto Zorro. Per non lasciare adito a dubbi, certo, ma
forse anche per ingaggiare una battaglia iconografica con quelli che
stanno tentando di metterli alla berlina, in Rete. Tra cui non potevano
mancare gli Anonymous che, dietro l’effigie altrettanto simbolica di Guy Fawkes (esondata dalla Rete alla realtà nelle piazze di tutto il mondo), hanno dichiarato guerra al narcotraffico lanciando la campagna #OpCartel.
A questo giro però il 5 novembre, data-simbolo per eccellenza
(anniversario dell’arresto di Guy Fawkes sotto la Camera dei Lords, con
la miccia in mano) e giorno delle annunciate rivelazioni sul cartello e
sui suoi fiancheggiatori, non è successo niente. L’attivista di Anonymous sequestrato
da Los Zetas il mese prima era stato liberato e la minaccia di
ammazzare dieci persone della sua famiglia per ogni nome di
narcotrafficante o fiancheggiatore svelato è risultata convincente.
Anonymous, dopo aver passato l’ultimo anno e passa a buttar giù come birilli i siti di corporation, Stati e polizie, aveva cominciato la sua campagna di repulisti della Darknet
(omicidi su commissione, droga, armi, pedofili) col vento in poppa.
“Siamo qui per proteggere gli innocenti. Attenti, pedofili”. Una
quarantina di siti di pornografia infantile sono stati oscurati e
centonovanta indirizzi IP di presunti pedofili sbattuti in chiaro, nella
gogna telematica chiamata #OpDarknet. Poi i giustizieri della Rete oscura hanno alzato troppo la posta.
Cia, Mossad, diaboliche corporation, dittatori sanguinari e malvagi pedofili da una parte, romantici combattenti per la libertà dall’altra: gli Anonymous
erano gli eroi digitali senza macchia e senza paura. Nell’attuale
deriva dei continenti, epoca in cui la percezione d’impotenza delle
strutture del passato (Stati, monete, mercati) si salda alla sfiducia
più assoluta nei confronti del loro futuro, le azioni degli Anonymous hanno avuto sinora ragione dei blabla inconcludenti dei loro detrattori.
Disgraziatamente per loro, però, in ultima istanza aveva ragione Tibor Fischer e “avere in mano una pistola è come essere dalla parte giusta in un dialogo socratico”. Anonymous dunque
ha perso per abbandono la partita contro Los Zetas (e forse, si spera,
qualcuno ci ha guadagnato la pelle). Ci si dovrebbe guardare dal
dichiarare le guerre che non si possono vincere, specialmente se si ha
fama di Batman e il proprio film preferito si chiama V per Vendetta. Chi la scampa (la vendetta) ha vinto due volte.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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4 agosto 2011
NATURAL BORN HACKERS
 “Quando non c’è futuro come può esserci peccato, noi siamo i fiori
nella pattumiera, noi siamo il veleno nella vostra macchina umana, noi
siamo il futuro, il vostro futuro”. In God Save the Queen i Sex
Pistols vomitavano tutto il loro odio generazionale nei confronti di
una società che ritenevano già estinta. Sarebbe facile ascrivere allo
stesso climax esistenziale i giovani ribelli di oggi, specie quelli che a diciott’anni attaccano i siti internet della Serious Organized Crime Agency e della Sony.
Certo, c’è la denuncia per lo schifo di società che si sono resi
conto di ereditare, ma le analogie finiscono lì. Eppure, se possibile,
il divario generazionale s’è allargato ancor di più rispetto agli anni
’70: non solo codici culturali, stili di vita e linguaggi differenti
(quando non marziani), ma soldi, priorità, futuro. Chi è nato, nasce e
nascerà nell’era informatica da un lato pensa diversamente da chi ha i
ricordi in bianco e nero, dall’altro ha la solida certezza che, almeno
in termini statistici, vedrà girare meno quattrini.
A questo punto ci sono due alternative: le pubbliche lagnanze
(anti-casta, anti-premier, anti-precariato, anti-tutto) o l’azione. Il
fatto che il posto fisso vada scomparendo, ad esempio, presenta anche
dei vantaggi. Con il posto fisso scomparirà il menù fisso, consumato nel
baretto fisso dal gruppo fisso di colleghi spettegolanti. La civiltà
del posto fisso è quella del culto del venerdì, della metafisica dei
ponti, delle file in autostrada il primo agosto. È la stessa società,
sia detto onestamente, che ha permesso a una generazione il lusso di
poterla superare. E forse è arrivato il momento.
Il delirio dei mercati che da tre anni inchioda l’Occidente al suo
tabù più terroristico – la paura della povertà – dovrebbe avere già
convinto che le carte in mano ai cosiddetti decisori sono truccate,
perdippiù male. Il crescente arrancare con cui politica, business
e istituzioni si affannano a definire una direzione di marcia è forse
la madre di tutte le crisi. La crisi d’identità. Inflazione di potere e
atomizzazione sociale sono quello che ci resta, a guardare la tv e
leggere i giornali.
In questo spazio s’inseriscono gli attivisti della Rete libera, i cui
obiettivi si vanno facendo via via più politici. “E voi (Vitrociset, ndr)
dovreste occuparvi di sicurezza e affidabilità delle
infrastrutture/sistemi dei più importanti enti e istituzioni del nostro
Paese? Rideremmo fino a diventare cianotici se non fosse per il semplice
fatto che i soldi che percepite, oltre ad ammontare a cifre
incommensurabili, non fossero i nostri”. Così Anonymous e LulzSec, dopo lo smacco del defacement al sito internet del colosso della sicurezza informatica: “un rudere fatiscente”.
Tra il dire e il fare come si sa c’è una bella differenza. Tutti parlano dello stragista norvegese, si sfornano analisi e blabla vari,
su Facebook la gente mette la bandierina per solidarietà, nei bar e sui
blog (che sono bar senza birra) non si parla d’altro. Anonymous ha lanciato Operation UnManifest.
Obiettivo: resettare Breivik dalla faccia della rete. È chiaro a tutti
che all’uomo non importa nulla di stare nella sua prigione a cinque
stelle (il lusso che un paese civile può e vuole ancora permettersi) e
che considera ogni virgola sul suo conto una mostrina all’onore.
Qual è l’unico vero modo di punirlo? Pulire la cacca che si è
lasciato dietro, le mille pagine e passa a rivendicazione del suo gesto e
le altre stronzate in circolazione. Come antipasto Anonymous ha
già cancellato tutti i suoi post dal profilo di Twitter. Qual è il
deterrente per i mitomani e gli aspiranti emulatori? Far sapere loro che
ci sarà sempre un oscuro gruppetto di smanettoni, annidato in qualche
periferia della Rete, pronto a spingere delete sui loro deliri.
Certo, ci si aspetterebbe che questo genere di attenzione alla
sicurezza provenisse da politica, Stati, eserciti, polizie, intelligence. Invece tocca aspettare i “pirati”.
PS. Stazione di Rimini, 2 agosto 2011, ore 11 del mattino.
Nugoli di ragazzine scollacciate e di giovanotti urlanti scorrazzano tra
il bar e i binari, mentre raggiungo lo sportello “Informazioni” per
chiedere ragguagli circa il mio treno-fantasma. “Chiuso, rivolgersi alla
biglietteria”, suggerisce il cartello appiccicato sul vetro davanti
alla tendina abbassata. Tre o quattro turisti frastornati continuano a
fissarla, increduli, forse sperano in una sorta di misunderstanding
a lieto fine. Io mi faccio la mia brava mezz’ora di fila (col biglietto
in tasca) e quando sta a me domando spiegazioni. Risposta: “È che alle
informazioni c’è solo uno e quando va via dobbiamo fare noi…”.
In Italia siamo sempre più avanti, anche se ogni tanto ci sembra il
Terzo mondo. Dopo il fiume di parole sul turismo, la valorizzazione dei
beni culturali e via coglionando, basta fare un salto alla stazione di
Rimini per scoprire la realtà. E cioè che la politica, lo Stato, le
classi dirigenti stanno diventando irrilevanti, o peggio nocive. Urge
organizzarsi in proprio. L’Italia è un laboratorio formidabile e una
scuola di vita, dovremmo andarne fieri.
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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19 luglio 2011
SPIDER TRUMAN SHOW
 “Malgrado dubbi e insinuazioni di illustri
opinionisti, politici e commentatori, continuano ad arrivare migliaia di
adesioni sul profilo di Spider Truman. Vogliono a tutti i costi sapere chi c’è dietro Spider Truman,
intervistarlo, proporre progetti editoriali: tutti ad osannare il suo
coraggio, poi con le buone o le cattive sapranno come metterlo a tacere.
Dicono che ha manie di protagonismo, ma al tempo stesso pretendono che
sveli la sua vera identità. Editori, giornalisti, televisioni: centinaia di avvoltoi cercano di
stanarlo. Allora dico a questi signori, ai politici che siedono sulle
poltrone, alle schiere di sgherri sguinzagliati nei corridoi di
Montecitorio come nel mondo virtuale del web: state attenti.”
Il coming-out fasullo del
presunto portaborse precario, licenziato e in caccia di vendetta,
racconta molto meglio di ogni dietrologia giornalistica la reale natura
del fenomeno mediatico che, a sentire i giornali, sta sputtanando (per
l’ennesima volta) i privilegi dei parlamentari italiani. Secondo ManteBlog il
rischio-bufala, amplificata come sempre dal cialtronismo giornalistico
che non confronta mai le fonti, è reale e si tradurrebbe in una sorta di
effetto-boomerang per i pecoroni della Rete.
Secondo alcuni Spider Truman starebbe rivelando segreti già noti,
assemblati ad arte in una classica operazione di comunicazione virale
con l’obiettivo (raggiunto) di mettere la politica con le spalle al
muro. Cosa cambia? Coi mercati che crollano e l’ennesima stangata
obbligata per non chiudere baracca, l’elenco delle (solite) peggio
scrocconerie parlamentari, inanellate dal blogger misterioso e
rilanciate in grande stile da giornali e tv, mandano fuori dei gangheri
un po’ chiunque non sia parte (seppur minore) del giro.
La pagina Facebook dedicata alle sue prodezze ha già passato i 320.000 iscritti (100.000 nelle ultime ventiquattr’ore) e il misterioso giustiziere online
ha già raggiunto il suo primo obiettivo. È ripartita infatti la goffa
gara dei volonterosi della dieta parlamentare e tra i partiti, a parole,
c’è grande fermento per “dare un segnale al Paese”. Probabilmente, poi,
tale fervore punta sulla tintarella d’agosto per “svelenire il clima”, e
l’accorto guastatore mantiene l’anonimato per non abbassare la guardia.
L’anonimato in quanto tale sembra essere la cifra identitaria di Spider Truman, che non a caso ha scelto l’iconografia di V for Vendetta (nella foto), già ampiamente utilizzata dal gruppo Anonymous e perfettamente incarnata dall’appello su Facebook a sostituire l’immagine del profilo al grido “Io sono Spider Truman”. Se le parole non sono un’opinione, poi, la seconda parte del finto coming-out suona come una firma.
“Spider Truman è lì vicino a voi. Spider Truman è ovunque. Spider Truman è ogni disoccupato che non trova lavoro perchè non ha santi in paradiso. Spider Truman è ogni precario che viene sfruttato per 900 euro al mese e poi dopo anni e anni buttato in mezzo a una strada. Spider Truman è ogni cassintegrato che deve sudare per arrivare a fine mese. Spider Truman è ogni operaio sfruttato e malpagato per 40 anni alla catena di montaggio per un salario e una pensione da fame. Spider Truman è ogni giovane costretto ad emigrare perchè gli hanno rubato il proprio futuro. Spider Truman è ogni anziano costretto a sborsare decine di euro di ticket se ha la pretesa di andare in un ospedale. Spider Truman è ogni uomo e ogni donna che a luglio ed agosto non può permettersi nemmeno una settimana al mare. Spider Truman è uno, nessuno e centomila.”
L'articolo (con foto) è stato pubblicato su The FrontPage.
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7 luglio 2011
BRIGATE INTERNAZIONALI
 “All’attenzione dei cittadini del mondo. La polizia postale italiana,
nelle ore precedenti, ha compiuto perquisizioni e denuncie nei
confronti di alcuni membri di Anonymous. I media hanno diffuso la notizia che l’intera rete Anonymous italiana sia stata smantellata e che il capo di Anonymous Italia sia stato catturato. Anonymous
nega quanto detto dai media e vorrebbe ricordare che non c’è nessun
capo, non c’è nessuna struttura, e che tutti operano allo stesso
livello. Niente è stato smantellato e la protesta continuerà più
rumorosa che mai. Le persone arrestate non erano “pericolosi hacker”
come definiti dai media, ma erano persone come tutti voi e sono state
arrestate mentre protestavamo pacificamente per i nostri diritti.”
Fanno sempre lo stesso errore: pensare di avere a che fare con l’ennesimo upload delle Brigate rosse (colonne, affiliati, leader e brodo di coltura) e non, tipo, con gente stile LulzSec
che, dopo aver violato i siti di Cia, Fbi e Sony (tra gli altri), ha
annunciato l’uscita di scena con un post su Twitter: “Abbiamo messo a
nudo imprese e governi soltanto per dimostrare che potevamo farlo.
Adesso la crociata è finita.”
Così “Secure Italy” (quindici denunciati, tra cui cinque minorenni e decine di computer sequestrati) viene venduta come una sorta di blitz contro
i Totò Riina della Rete, nonostante l’equilibrio dimostrato sinora dal
Viminale, il cui titolare ha sempre difeso la liceità di pratiche
diffuse (scaricare musica, condividere video, ecc.) ma fuori legge in
diversi paesi, pure democratici (la Francia, per dirne uno). Viene da
chiedersi se il cambio di strategia, dall’ammiccamento alle
perquisizioni all’alba, si debba al fatto che Anonymous, con opitaly, abbia alzato la posta annunciando nei giorni scorsi obiettivi politici on line in Italia, tra cui (guarda caso) la Lega Nord.
Il tutto avviene lo stesso giorno della manifestazione contro
la delibera in discussione all’Agcom (peraltro spaccata al suo interno
sull’argomento, che ha già provocato le dimissioni di due relatori)
sull’enforcement per il diritto d’autore on line, che ha sollevato il prevedibile vespaio in Rete. Con “Secure Italy”, secondo il Corriere
che cita un’anonima fonte investigativa, “non si perseguono i reati di
opinione ma solo i danni causati, che sarebbero ingenti anche se la
politica delle aziende colpite è quella di non rivelare nulla”. Le
accuse poi non dovrebbero portare ad arresti ma i danneggiati ora
possono avviare le cause civili. Perché allora tutta questa enfasi, il
nome altisonante (“Secure Italy”, sticazzi), i siti blindati (e i reati d’opinione che non si perseguono?), l’epica del blitz?
Da oggi è massima allerta: gli Anonymous rimasti anonimi potrebbero organizzare ritorsioni, fanno sapere anonimamente del ministero degli Interni. Potrebbero? “Gli Anonymous
Italiani non sono caduti di fronte a questo vile tentativo di
smantellare l’organizzazione e annunciano conseguenze per le azioni
compiute dalle forze dell’ordine, che avranno obiettivi ancora da
annunciare, per dimostrare che Anonymous è presente e combatte,
come ha combattuto in passato e combatterà in futuro per la libertà
della rete, in quanto ancora presente. Anonymous lancia un appello verso tutti i cittadini di internet, e agli Anonymous Internazionali, per farsi sentire più forti che mai. Noi siamo Anonymous. Noi siamo una Legione. Noi non dimentichiamo. Noi non perdoniamo. Aspettateci.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage, insieme alla foto.
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23 febbraio 2011
TECNOBRIGATE
 “Alcuni sono insegnanti, impiegati,
studenti, ingegneri, dottori (per darti un’idea). Quindi, penso che non
siamo stati capiti. Noi non siamo reietti della società. Noi siamo te e
tu sei noi. Siamo uniti, uniti per i nostri scopi comuni, ma non so… se
siamo le nuove Nazioni Unite. Ma mi piace come suona, e sono certo che a
molti piacerebbe questo titolo. Ma non siamo…”. È il Corriere
che s’incarica di offrire una strepitosa tribuna a “uno degli attivisti
internet” di Anonymous, il gruppo diventato celebre per gli attacchi ai
siti di Visa, Mastercard e PayPal in difesa di WikiLeaks e,
recentemente, a quello del governo italiano ritenuto “una minaccia alla
libera espressione”.
“Anonymous combatte per la libertà. Vediamo
l’oppressione dei popoli come un attacco contro i diritti umani e la
loro libertà. Perciò combattiamo per tutti loro. Non importa se si
tratta di Wikileaks, l’Egitto, l’Iran, l’Algeria, eccetera. Siamo qui
per difendere i diritti umani e la libertà di parola in tutto il mondo.
Perché Anonymous non ha radici solo in un Paese, ma veniamo da tutto il
mondo e combattiamo per una causa comune.” Qualunque nodo della rete può
proporre un obiettivo al resto del gruppo, disseminato ai quattro
angoli del pianeta. Se la causa viene adottata tutti gli attivisti, come
l’intervistato @Anony_Ops, si muoveranno insieme per colpire il bersaglio, indipendentemente dalle opinioni “perché lavoriamo per il popolo.”
Dopo OpItaly, l’anonimo attivista di
Anonymous ha recensito OpIran. “Vogliamo mostrare agli iraniani che la
gente all’estero si preoccupa per loro e condivide i loro sentimenti.
Attaccando i siti del governo iraniano, stiamo protestando al fianco dei
nostri fratelli e sorelle iraniani.” E quando Viviana Mazzi, che ha
realizzato l’intervista sul Corriere via Twitter, gli ha
chiesto se la Rete non gli va un po’ stretta risponde che “sì,
personalmente sento che quello che sto facendo non è abbastanza e che
devo scendere in strada con altre persone per mettere in atto una vera
protesta, ma penso che non sia molto pratico andare ovunque queste
proteste stiano avvenendo.”
Anno di grazia 2011 (meno di ventidue mesi
all’apocalisse Maya): un pugno di anarchici smanettoni tiene in scacco a
mesi alterni le cancellerie del media-mainstream
internazionale (che anzi li vezzeggiano come vere rock star), seminando
il panico fra legioni di dignitari con la piuma sul cappello. Intanto la
polveriera del Medio Oriente sta saltando per aria davvero e il Maghreb
è in fiamme al grido di “libertà” e nel vuoto politico, tra il muto
terrore dell’Occidente. Orde di disperati si apprestano a varcare i
sacri bastioni di Lepanto come l’incubo realizzato di ogni Borghezio
d’Europa, a sentire gli apocalittici sermoni di tutti i Borghezio
d’Italia.
A leggere l’intervista all’anonimo attivista internet mi è venuto in mente Per chi suona la campana e le Brigate Internazionali,
attivisti di mezzo mondo che misero sul piatto la pelle per salvare la
democrazia spagnola dal colpo di Stato fascista del generale Franco.
Senza neppure l’aiuto di Facebook.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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9 febbraio 2011
CACCIA AL PREMIER
“La situazione politica ed economica
italiana è diventata insostenibile. Troppi sono stati i soprusi
perpetrati dall’intera classe politica agli italiani che hanno visto un
progressivo e costante degrado dei diritti e della loro dignità”.
Anonymous, gruppo hacker giunto agli onori delle cronache per alcune
azioni pro WikiLeaks, ha lanciato
per domenica scorsa alle ore 15 l’Operazione Italia, un attacco Ddos
(Distributed denial of service), cioè un massiccio invio di finte
richieste ai server con lo scopo di bloccare l’accesso al sito del
governo.
La polizia postale si è affrettata a far
sapere che tutto era sotto controllo, che nessun dato sensibile è stato
rubato dai server anche se ha ammesso che questo genere di attacchi è
difficile da fermare in tempi brevi. Infatti il sito
è stato a tratti irraggiungibile, oppure talmente lento da rendere la
navigazione quasi impossibile per tutto il pomeriggio. Come previsto da
un attacco Ddos, che non mira a sottrarre nessun file o documento ma
solo a bloccare il sito colpito per mettere il proprio messaggio al
centro del dibattito.
Vista la quantità di agenzie e articoli
usciti su tema, che riportavano fedelmente la preoccupazione di
Anonymous per l’Italia democrazia a rischio, si può dire che l’obiettivo
è stato raggiunto. In più sulla home del governo è comparsa a più
riprese una frase beffardamente imposta (in gergo defacement,
seconda azione riuscita): “Se il documento che state cercando è
precedente all’8 maggio 2008 vi invitiamo a cercarlo nell’area “Siti
archeologici” di Governo.it”.
Nelle stesse ore si consumava la
scampagnata a villa San Martino. ”Come cittadini Viola ci dissociamo
dall’iniziativa di una decina di facinorosi che hanno tentato di formare
un corteo non autorizzato. Durante tutta la manifestazione la Rete
Viola e il Popolo Viola di Milano hanno chiesto di mantenere la
mobilitazione allegra, pacifica e colorata, seguendo lo spirito
nonviolento dei Viola”. Il puntuale comunicato serale del portavoce
Gianfranco Mascia non cancella certo le immagini della giornata.
L’ennesimo girotondo antiberlusconiano è
degenerato nella caccia all’uomo, alla sua casa, alla sua domenica. Dopo
tanto tam tam su Facebook e indignazione digitale la villa del satrapo,
con tutta la sua immorale opulenza, dev’essere sembrata troppo vicina
per non farci un salto. Com’è possibile stupirsene, in buona fede, dopo?
Il pomeriggio prima era andata in scena la
versione vip del girotondo, con il solito convegno di intellettuali-star
contro il cattivo da fumetto al governo. Repubblica.it è arrivata a
vendere la battuta (un po’ goffa) di Umberto Eco su Berlusconi che “in comune con Mubarak
non ha solo la nipote ma anche il vizio di non dimettersi” come
stilettata ironica figlia di cotanto acume intellettuale (mentre la
creatività antiberlusconiana sta tutta da un’altra parte).
Invece che per la cazzata pericolosa che è: paragonare uno che magari è
un tipaccio ma ha vinto le elezioni tre volte a Mubarak, di questi
tempi, significa giocare all’Egitto con il culo degli altri (di solito
gente con il culo meno caldo di quello di Eco).
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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