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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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1 luglio 2011
ALL YOU NEED IS TAV?
Sogno tecnologico bolscevico, atea mistica meccanica, macchina
automatica no anima… macchina automatica no anima… Ecco la terra in
permanente rivoluzione. Ridotta imbelle sterile igienica, una unità di
produzione… Unità di produzione, tecnica d’acciaio scienza armata
cemento, tabula rasa elettrificata, tabula rasa elettrificata…”. Certo
le ghigne selvatiche dei pacifisti armati di bastone e “Fassino boia”
non sono state un bello spettacolo. Il modo migliore per mostrare che al
di là della disciplinata modernizzazione allignano purulenti la peggio barbarie e il caos. Una certezza, questa, che deve avere animato il sacro furore civico dei due conduttori della Zanzara
di Radio24 quando, dismesso il consueto abito irriverente e abilmente
cialtronesco, hanno mostrato la truce faccia dello sdegno progressista
alla basita signora Clelia. La signora Clelia aveva telefonato per dire
la sua sulla Tav. Non mostrava le tipiche stimmate dell’incarognimento
ideologico né della demenza buonista e si è dichiarata subito una fan
del duo, con la tipica timidezza pulita delle groupies di altri tempi.
Il problema è che non mollava. Neanche quando è suonata la rampogna
civica del conduttore ‘serio’ ché “se uno Stato decide e non è in grado
di agire non è uno Stato degno di questo nome”, intervallata dalla
litania urlante (gabellata da satira) della sua spalla, che inneggiava
al capo della polizia, Manganelli. La signora Clelia, rea di non aver
capito la sottigliezza e di aver scambiato Manganelli per manganelli
(forse l’ingegnoso intento del satiro) e – addirittura – di aver preso
le difese di “quei ragazzi”, è stata congedata in malo modo.
“Imporre alla gente della Val di Susa una cosa brutta è sbagliato”,
s’è arrischiata a sostenere la signora Clelia, probabilmente ignara del
rischio concreto di emarginazione socio-culturale a cui si esponeva. Il
particolarismo che non vede al di là del proprio naso, tipico degli
italiani mangia spaghetti (o fonduta) incapaci di pensare al bene comune
e attenti solo ai boschi di casa propria: questo il capo d’imputazione
della signora Clelia. Processata e condannata in diretta radio,
senz’appello.
Ora, gli dèi mi scampino dalla difesa dei No-Tav (in linea di massima
sono troppo brutti e carichi di ciarpame militante per essere difesi),
ma la signora Clelia e il suo ostinato particolarismo montanaro meritano
qualche parola in più. Intanto uno Stato se la deve guadagnare la
pagnotta dell’autorevolezza e non bastano i tricolori, un giorno di
ferie in più, qualche bla bla su Garibaldi&Co e il discorso di
Capodanno di un signore perbene per mettere la sordina allo schifio di
questi ultimi vent’anni di cosiddetta Seconda repubblica. Tanto meno
bastano i manganelli, sguinzagliati per di più da un signore
intelligente che divide il proprio tempo tra il Viminale e Pontida.
Poi, senza volermi arrischiare in tediose filippiche jungeriane, c’è un problema col progresso. Che, a differenza della pace,
è un mestiere e un’ideologia e per certi versi una vera e propria
religione che tiene inchiodato l’orologio del mondo ai fumi della prima
rivoluzione industriale. “Le magnifiche sorti e progressive”
dell’umanità, il sogno di un progresso materiale ineluttabilmente
positivo, che moltiplica in continuazione pani, pesci, pescivendoli e
fornai, e chiede il suo sacrificio di alberi, montagne, pietre e animali
che altro è se non un trip agli sgoccioli? Il mondo è più felice,
adesso?
Qual è il fine del progresso, se non il progresso stesso, e in che
cosa è diverso dagli altri monoteismi che chiedono atti di fede contro
speranza? Che differenza c’è tra le scavatrici della Val di Susa, che si
apprestano a far svettare il tricolore su abeti sradicati, nidi di
scoiattoli e cime millenarie, con gli appetiti del gigante minerario
indiano Vedanta Resources, che della montagna sacra dei Dongria
Kondh riescono solo a calcolare i due miliardi di dollari di bauxite che
ci stanno sotto? Cosa cambia con i Buddha abbattuti dai talebani in
Afghanistan, coi roghi di libri dei nazisti, coi templi Inca e Maya
piallati dagli evangelizzatori e usati come base per le loro chiese? Chi
decide cos’è sacro e cosa può essere spazzato via dal mondo?
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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29 marzo 2011
NONOSTANTE NOI
 Che lo spettacolo dell’Occidente nella guerra in Libia, al solito
diviso e rissoso, sia desolante è fuori discussione. All’interno di
questa desolazione, però, Francia e Italia si sono distinte in una sorta
di rivincita della finale dei penultimi mondiali, con Sarkozy intento a
menar capocciate a nemici e alleati, convinto di poterle poi
capitalizzare in voti, commesse e prebende neocoloniali, e il governo
italiano oscillante tra la fedeltà al campo occidentale in cui milita
dal 1945 ad oggi e la nostalgia del bunga bunga politico-danaroso
all’ombra del Libro verde.
Uno degli sport preferiti degli italiani,
si sa, è cambiare casacca, idea, fedeltà, a seconda delle convenienze.
Così, quando il premier ha espresso “rammarico” per la sorte del vecchio
sodale Gheddafi, oltre al rispetto per la coerenza cameratesca
dell’unico leader occidentale capace di familiarizzare pubblicamente con
personaggi come Putin e Lukashenko,
ben oltre l’etichetta dell’ormai celebre “diplomazia della pacca sulle
spalle”, si stagliava nitidamente un messaggio che l’ex “migliore amico
di Bush e dell’America” (che ha spedito il tricolore in Iraq e
Afghanistan) ha tentato di far giungere al raiss: siamo ancora amici.
Ora che anche a destra regna il ‘pluralismo’ più radicale, tra
neopacifismi e prudenti realismi si cominciano ad orecchiare (anche
fuori dai circuiti criptofascisti) tesi complottarde degne del miglior
Giulietto Chiesa. Alla base delle rivoluzioni del mondo arabo di questi
mesi ci sarebbe il solito ordito demo-pluto-giudaico-massonico, la Spectre
dei finanzieri (quasi tutti in odore di kippah) tenutari delle
portaerei storiche del giornalismo, in grado di far schizzare il prezzo
del pane pigiando un bottone e d’indottrinare la pubblica opinione a
seconda dei propri malvagi disegni. Una cricca di speculatori senza
scrupoli e i loro epigoni politici, che Tremonti ha definito gli Illuminati, quelli che tirano le fila della diabolica globalizzazione.
Naturalmente lo sterco del demonio ha una parte in commedia
anche stavolta: gas, petrolio, acqua (ce n’è tanta in Libia) fanno gola a
tutti. Non è detto però che i rissosi neo-nanetti occidentali riescano
ad accaparrarsi tutto come ai bei tempi delle sahariane e delle
canzoncine virilizzanti. Brasile, India, Cina e Russia si sono messi di
traverso con strategica determinazione (senza deambulare a vanvera tra
le bombe e le chiacchiere) e lo scenario si profila assai più complesso
dei sogni-incubi dei complottardi di casa nostra. Di certo il governo di
Frattini e La Russa pare destinato
a giocare un ruolo da comparsa tra i bomber anglo-francesi (Berlusconi
che bacia la mano se lo ricordano bene), Obama e le quattro potenze del
BRIC, acronimo del nuovo blocco, decise a misurare in politica le
performances ottenute in economia. Il ruolo di mediazione a cui da
sempre aspiriamo per ora lo sta svolgendo, in tutta l’area, la Turchia
di Erdogan (altra economia da corsa).
Poi, nonostante le miserie d’Occidente, la lotta continua. In Siria la polizia ha sparato anche ieri sui
manifestanti di Daraa, mentre il regime di Assad si affanna con riforme
e pretattiche che si stanno mostrando controproducenti. Venerdì scorso
lo Yemen e la Giordania sono stati teatro di manifestazioni, morti e
feriti. Tutto questo non spaventa gli insorti ma anzi moltiplica le
braci dell’incendio. Con le ovvie difficoltà che comporta ogni processo
di transizione, Egitto e Tunisia sono lì a dimostrare che tutto è
possibile.
L'articolo, con foto, è stato pubblicato su The FrontPage.
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30 novembre 2010
È LA RETE, BELLEZZA
“È altissimo il costo delle utopie regressive, quei ghirigori
tracciati sull’ordito della storia umana allo scopo di restaurare uno
stato edenico, riaprendo le porte del paradiso terrestre per ricondurre
il nostro ceppo a prima del morso della mela e a prima della cacciata.
Wikileaks, ambigua e affascinante associazione bloggistica che scherza
con il fuoco ormai da anni, nella pretesa di tutelare il mondo
dall’oscurità di motivazioni e comportamenti dei governi (“we open
governments” il loro slogan), è l’ultima incarnazione di questa idea che
la politica possa essere comunionale e paciosa, priva di contraddizioni
e conflitti, esente dal dovere del segreto e del doppio linguaggio
(soprattutto in diplomazia e nei sistemi di difesa e di attacco).”
Il limite del consueto ragionar politico è tutto qui. Come se il fenomeno WikiLeaks
condividesse anche solo una frazione delle categorie concettuali con
cui solitamente s’incasellano movimenti, tendenze e rivoluzioni. Nessuno
strumento di decodifica a disposizione, al contrario, è stato in grado
di fornire a politici, cattedratici e giornalisti la chiave
interpretativa per capire fino in fondo “l’11 settembre della
diplomazia”, com’è stato definito il mega-scoop planetario messo a segno
dal sito di Julian Assange.
Non c’è nessun Afghanistan da invadere/liberare, nessuna guerra santa
contro l’Occidente e, soprattutto, nessuna trattativa in corso.
“Ti offro la verità, niente di più”, diceva il Morpheus di Matrix
a un Keanu Reeves piuttosto accigliato e così Assange. Forse la
percezione che sia stato varcato un punto di non ritorno sta cominciando
a serpeggiare e i tradizionali bastioni del potere, che si reggono da
sempre sull’asimmetria di verità rispetto alla gente normale,
devono aver passato proprio un brutto quarto d’ora. E se lo status
continuasse ad assottigliarsi? E se l’asimmetria si finisse per
ribaltare?
Ironia della sorte, il colpo di WikiLeaks avviene negli stessi giorni in cui uno dei padri della Rete, Vinton G. Cerf ha annunciato che, di qui a otto mesi, su Internet ci sarà il tutto esaurito (4,3 miliardi di varchi d’accesso raggiunti) e durante il primo suicidio virtuale
di star a scopo benefico. Justin Timberlake, Serena Williams, Lady Gaga
staccheranno la spina ai propri avatar su Facebook e Twitter e solo le
donazioni per i bimbi malati di Aids riusciranno a farli tornare in
vita. Ci vuole del coraggio, di questi tempi, a pensare di essere più
potenti della Rete o forse è solo la metrica della potenza a essere
cambiata e le rock star dei social network e gli hacker rivoltosi
contano più di legioni di dignitari, con la piuma sul cappello.
Così nel sondaggio
di Corriere.it, nonostante la domanda “La Casa Bianca scrive ad
Assange: ‘Le rivelazioni di WikiLeaks mettono in pericolo vite umane.
Non pubblicatele’. Sei d’accordo?”, il 45,6% dei lettori riesce a
rispondere “no”. L'articolo è stato pubblicato su The FronPage.
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13 ottobre 2009
NOBEL ALLA MAGIA
 "Meglio non essere figli di cinesi, tuo padre e tua madre sono
entrambi vigliacchi che per dimostrare la loro fedeltà, quando la morte
è a portata di mano, fanno accomodare prima i leader"
L'altro
giorno su Repubblica ho scoperto la storia del De Andrè cinese, un
cantautore cieco di 39 anni che ha venduto milioni di cd e gira da solo
per la Cina da oltre vent'anni cantando l'altra faccia della
superpotenza. Cinismo, miseria, corruzione, sfruttamento dell'uomo
sull'uomo. L'unico mistero è perché non l'hanno ancora fatto fuori. In
tempi in cui il leader della speranza progressista mondiale evita di
incontrare il Dalai Lama per non turbare il buonumore diplomatico degli
eredi del Celeste Impero, come fosse un D'Alema qualunque, si tratta di
un dubbio legittimo. Obama ci ha subito ripensato, subissato da
una valanga di critiche, che hanno reso subito chiaro che il piatto
della bilancia costi-benefici della mossa in ossequio alla ragion di
stato pendeva decisamente verso i costi. Frasi come quella del deputato
repubblicano Frank Wolf non lasciano molti dubbi in proposito "Cosa
deve pensare un monaco o una suora buddhista rinchiusi nella prigione
di Drapchi nell'apprendere che Obama non riceve il leader spirituale
tibetano?" Così il presidente ha annunciato che incontrerà il Dalai Lama in data da destinarsi, decisa di comune accordo. L'articolo intero, il Bianconiglio di questa settimana pubblicato ieri su Aprile, è qui. L'immagine l'ho presa in prestito qui.
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16 marzo 2008
IL CIELO SOPRA RUSSI
 Oggi dal mio lucernario ho visto quanto rapidamente è cambiato il tempo. Stavo lavorando, gambe incrociate sul letto con Thor e Rebecca a fare da sentinelle, e ogni tanto alzavo gli occhi e sbirciavo dalla finestrella. Sopra di me il sole e le nuvole si rincorrevano a ritmo forsennato, poi il primo ha cominciato a prevalere sempre più spesso, fino alla vittoria definitiva nel pomeriggio. A sera il vento aveva spazzato via ogni resistenza, il cielo era limpido i colori splendidi: l'ideale per andare da Remo a prendere una birra per me e un cappuccione per Vanessa, che deve lavorare ancora a lungo.
Da Remo nessuna traccia del patacca del bar che mi ha copiato il look l'altro giorno. Ero così orgoglioso del mio spezzato estremista jeans sdruciti / gessato regimental / clark che quando sono arrivato al bar (dopo due giorni a Frosinone e Roma con Ciube) e ho visto il patacca vestito come me (in versione patacca ovviamente) ci sono rimasto di sale. Sarò un patacca anch'io? Mi sono sorpreso a domandarmi, perlesso.
Birra alla mano, mi sono accomodato al bancone con La Stampa di oggi. Qui in Romagna, oltre a Mazzini, Garibaldi, Mussolini e Malatesta, hanno anche la bella abitudine di prendere La Stampa in tutti i bar, il giornale più decente in circolazione infatti è allegato al Corriere di Romagna. Sul quotidiano di Torino oggi c'era disfatta morale, un articolo di Barbara Spinelli sul penoso imbarazzo delle cancellerie democratiche sul massacro cinese in Tibet e sugli esiti disastrosi di quasi sette anni di politica di guerra dei cosiddetti neocons europei e nordamericani.
Il massacro dei monaci (ieri birmani, oggi tibetani) è uno schiaffo alla nostra falsa morale democratica (più o meno da esportazione), a cui non siamo in grado di reagire neanche con la verve dimostrata all'epoca della decapitazionne delle statue del Buddha in Afghanistan da parte dei talebani brutti e cattivi. Sempre buddhisti, sempre pacifici, sempre vittime, ma stavolta in carne ed ossa. Più di cento vittime, pare, in Tibet oggi, più di ducento in Birmania lo scorso settembre. Stesso penoso balletto diplomatico, stesso sacro terrore di perderci i piccioli della locomotiva cinese, stessso squallido allineamento alla ragion di stato, vera e propria condanna della nostra civiltà.
In questo miserabile tramonto dell'Occidente solo i cattivi fanno i cattivi sul serio. Putin ha abolito le regioni per decreto, le teocrazie continuano a lapidare le adultere e la Cina (oltre a sparare sui monaci indifesi) sta oscurando YouTube da tre giorni, pare per ripicca. Alla faccia della globalizzazione. Le democrazie, invece, dimenticano che se non sono loro a dare una mano alla voglia di libertà per cui i monaci muoiono in silenzio, avranno ragione le dittature. Prima dei monaci, poi delle democrazie.
Là sopra, fuori dal mio lucernario, sembra davvero un brutto mondo; ma qui a Russi l'aria sa già d'estate.
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