<%if foto<>"0" then%>
|
|
|
 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
 |
|
|
|
4 gennaio 2013
IL MAYA DI BETTOLA
 “«Il mondo lo hanno distrutto i politici, altro che la profezia dei
Maya!». Il risultato non cambia. Barba bianca e ammirevole coscienza
dell’identità collettiva, «noi valdesi stiamo scappando da seicento
anni», il signor Aldo ricorda di quando il villaggio contava 340 anime e
«le zappe non erano coperte di ruggine, e la farina non era la materia
morta che è adesso ma una cosa buona da mischiare alla segale, per fare
il pane». Nostalgia di un mondo che non c’è più, nel vero senso
dell’espressione? «Distruggere quello che ti dà la vita è puro
autolesionismo. Andate nelle vallate a vedere cos’hanno combinato,
autostrade, dighe, cemento ovunque: se è finita davvero nessun
rimpianto, io me ne sto quassù».”
Non so, francamente, se la farfalla di Bradbury abbia
spiccato il volo, in qualche sperduto angolo del mondo il giorno del
Solstizio d’Inverno del 2012, né se siamo o meno entrati ufficialmente
nell’Era dell’Acquario all’insaputa di tutti, fatta salva naturalmente
l’élite di fulminati new age che ci crede di brutto ed è pronta, ad ogni
aperitivo, a sguainare l’arco nuovo di trinca e ad oliare la zappa. Io
non mi sento così baldanzosamente razionalista da escluderlo. Mi pare
che vedere i bambini che a due anni cercano di cliccare sulle pagine di
carta, quando non hanno per le mani l’iPad, già significhi qualcosa.
Che poi non siamo in salute, che il mondo non stia bene, è chiaro
quasi a tutti. La declinazione ovviamente cambia, ma la sostanza è la
stessa. A che pro? Qual è la posta dello sbattimento? Produci, consuma e
preparati a crepare alla meno peggio? Di quante autostrade avremo
ancora bisogno per capire che il problema non è la coda, ma il week-end?
La gag dei Maya, per chi ha avuto voglia di esplorare, questo è stata:
l’occasione per mettere in fila le priorità, dare ordine alle domande.
“La fine del mondo è la punta Martel, neve, sole e lo spettacolo dei
Tredici Laghi, il torrente dove nuotano superbe trote fario, il volo
dell’aquila reale. L’altro mondo dev’essere finito due tornanti più
sotto, a dar retta ai Maya, e un giorno qualcuno controllerà. Non c’è
nessuna fretta.” Secondo l’aneddotica gossippara il villaggio di
Pradeltorno sulle Alpi Cozie era uno dei tre o quattro buchi del culo
del mondo in cui ci si poteva salvare dall’Armageddon.
Invece
“il settimanale L’Eco del Chisone (…) ha scoperto che la leggenda
piemontese è spuntata su Wikipedia solo il 4 giugno 2011, mentre le
indicazioni su Bugarach affondano le radici nella notte dei tempi. Non
solo: nessuna fonte citata, riscontri zero, e come si sa chiunque può
arricchire le voci di Wikipedia senza alcun controllo. Secondo il
giornale l’anonimo collaboratore della libera enciclopedia telematica
risulta poi essere un utente Vodafone della vicina Pinerolo, c’è anche
il numero dell’apparecchio…”
Ora che comunque l’allineamento non s’è allineato, la Cintura
Fotonica non ci ha fritto come coleotteri maldestri nella lampada
alogena e gli ufo non sono sbarcati su un rosso deserto piallato dal
sole, adesso che alla mezzanotte del 21 dicembre 2012 – ora italiana –
solo lo show un po’ mesto di un sito a caccia di click ha messo in scena il countdown per
la fine di un mondo “che è già finito da un pezzo”, ora che sono
passati pure Natale, Santo Stefano e Capodanno sarà finalmente chiaro a
tutti che l’unico vero Maya in circolazione è nato a Bettola.
Non certo Monti e la sua allegra brigata di banchieri, giannizzeri
finanziari e attempati perdigiorno della politica, di cui su Facebook
circola una simpatica epigrafe virale: «Dopo la saldatura di Monti,
Casini e Montezemolo con il Vaticano, mi aspetto l’appalto a
Finmeccanica per la costruzione della Morte Nera». Monti è stato
benedetto dalla follia nichilista di Berlusconi e forse il 24 febbraio è
abbastanza vicino da non far notare troppo il l’assai poco tecnico
codazzo d’imboscati, ma difficilmente riuscirà a far meglio di Mariotto
Segni diciannove anni fa. Perché dovrebbe?
E certo non sarà una gang di mozzorecchi assortiti, che non ho capito bene se ha sussunto in toto la versione law and order de sinistra 1.0 (l’Idv del buon Tonino, kaputt nei sondaggi dopo l’irruzione della Karma Police) o se ha solo valorizzato i “compagni” più meritevoli e televisionabili, a fare la “rivoluzione civile”
di cui vaneggiano sopra una versione oscenamente post punk del Pellizza
da Volpedo. Bene che va rosicchiano un po’ a Vendola e un po’ a Grillo e
fine della rivoluzione.
Di Berlusconi e della metà campo di destra francamente non vale la
pena parlare. Più che altro non me la sento, già ci capisco poco tra
nuovi partiti annunciati, primarie virtuali, psicodrammi vari, che mi
pare poi si vadano ricomponendo in gioiose rimpatriate sullo skilift, e
in più mi sembra che quella del capo sia una partita un po’ mesta. Se
voleva giocare non doveva tentare di ammazzare Monti, ora non vuole
arrendersi all’idea di non avercela fatta e continua ad alzare la posta
con una coppia di jack in mano. Forse cerca la bella morte, con tutti
quei nipotini. Che tristezza.
Alfine arriviamo a lui, al Maya di Bettola: l’uomo più sottovalutato
del 2012. Proviamo a tornare con la mente, per un attimo, a un anno fa.
Bersani era leader di un partito senza capo ne coda, o meglio con un
capo, lui, assediato da un migliaio di codazzi impazziti convinti di
essere qualcosa o qualcuno. Aveva appena digerito Monti, nonostante i
sondaggi gli avessero ripetuto fino alla noia che se andava a “votare
sotto la neve”, come strizzava l’occhietto il perfido Giuliano Ferrara,
avrebbe fatto cappotto.
Monti aveva cominciato subito a picchiare come un fabbro, proprio là
dove il dente duole: nella sua base di pensionati e aspiranti pensionati
e annunciava sfracelli nel pubblico impiego, proprio là dove il Pd ha
il consenso vero e il Sindacato tiene il suo ultimo bastione. Renzi e i
“giovani”, spalleggiati dagli infingardi media liberali, lo bastonavano
un giorno si, l’altro pure e appena per qualche ragione se ne
dimenticavano o si facevano un week-end in pace, Rosy Bindi rilasciava
un’intervista.
Ora, dopo aver accettato la sfida di Renzi (non era obbligato a
farlo, anzi) e averla vinta di oltre venti punti, ha stupito tutti gli
addetti ai lavori e ha indetto le primarie per la scelta dei
parlamentari: prima assoluta nella storia repubblicana. Naturalmente,
con sardonico cinismo emiliano, ha scelto la data più bulgara possibile,
29 e/o 30 gennaio, si è accaparrato una quota importante di nomine
dirette e ha scatenato un sostanziale delirio politico-organizzativo nel
partito. Chi può dirgli niente?
Risultato: l’uomo contro il partito liquido, del collettivo contro i
personalismi, si è svegliato come il leader più craxiano degli ultimi
vent’anni, al cui potere tecnicamente iperplebiscitario (due primarie
vinte di fila) si somma la “fedeltà di progetto” degli eletti in
Parlamento, del Pd e di Sel (che non a caso ha tenuto analoghe primarie,
gli stessi giorni): gli devono tutto, se fanno casini stavolta li
linciano. Non più caminetti, al massimo qualche pacca sulle spalle alle
vecchie glorie, e azzeramento delle correnti da parte degli elettori.
Una piccola apocalisse, con un solo cavaliere.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
8 maggio 2012
È NATA UNA STALLA
Un’altra volta. A vent’anni di distanza, tutto si ripete nella
stessa, identica, maniera. Per filo e per segno, le elezioni hanno
scandito il penultimo atto del big bang dei partiti, nel ben
noto copione mediatizzato di mazzette, manette, assalto alla spesa
pubblica e alla moneta corrente (ma senza la lira da svalutare) unito
alla disperante incapacità di fare politica. Vent’anni passati a non
decidere che cosa l’Italia avrebbe dovuto essere e ora, dopo che anche
l’ultimo dei fessi li ha sgamati, tutti a gridare all’antipolitica dei
bruti che minacciano le virtù repubblicane.
Così, come nel 1994 è arrivato il marziano antipolitico magnate dei
media, adesso ce n’è un altro, che conosce quelli nuovi (di media). E sa
(e lo scrive da anni a chiare lettere) che per vincere le elezioni
contro quei morti di sonno da cui è circondato non servono congressi,
tessere o sezioni né rimborsi milionari, che i partiti si spartiscono
come gangster al saloon. Meglio usarli contro di loro,
adesso che la gente fa davvero fatica ad arrivare alla fine del mese e
che il bollettino dei suicidi per debiti se la gioca con quello dei
caduti sul lavoro. Adesso, la gente, ai soldi ci guarda proprio.
La chiamano antipolitica, col riflesso condizionato di chi considera tout court la politica una cosa sporca e prende poco l’autobus. Forse perché, semplicemente, non credono possibile un mondo in cui un consulente informatico
di una banca (che deve prendere le ferie per fare campagna elettorale)
possa realisticamente arrivare al ballottaggio per diventare sindaco di
una città come Parma. E non sono tanto i politici di professione (che si
difendono alla meno peggio) ma la pletora di opinionisti che, eterni
interpreti dell’arte del disincanto, adesso spalancano gli occhioni e
sparano a caratteri cubitali.
La notizia più scioccante di queste elezioni non è l’affermazione di
Grillo, su cui il solito Giuliano Ferrara contro tutti ha sentenziato, a
una smagliante Bianca Berlinguer: “è il vero sconfitto della giornata,
con questo clima mi aspettavo il 20/30 per cento”. La sorpresa vera è
stata la botta d’arresto subita da Casini, Fini & Co. Come alle
amministrative del 1993, al centro si è spalancata una voragine,
considerata la caduta libera del Pdl (con Berlusconi in gita da Putin,
per non saper né leggere né scrivere).
Il Pd dicono che tiene. A regola è il primo partito d’Italia (visto
che il Pdl è via di scioglimento) e, nonostante non riesca a esprimere
candidati nelle grandi città (a Genova è in testa Doria, indipendente, a
Palermo Orlando, Idv, contro Ferrandelli, ex Idv), in termini di lista,
appunto, tiene. Sarà per questo che D’Alema va predicando la fine delle
leadership populiste e di certo, passata (se passerà) la paura dei
ballottaggi, Bersani penserà (forse a ragione) di potersi giovare per un
po’ dell’effetto-Hollande (segretario pacioso, senza grilli per la
testa, vince le elezioni mettendoci la faccia).
Ma c’è un ma. Quel famoso effetto ’94 non c’è alcuna ragione per cui
non debba ripresentarsi, con le stimmate dei giorni nostri. Non è che
gli elettori del Pdl e della Lega (bombardata ma non del tutto
affondata, anche se in via di mutazione grillina) siano scomparsi coi
loro partiti. E se, putacaso, possono bastonare gli odiati post
comunisti, magari votando una giovane faccia pulita senza partito,
perché non dovrebbero farlo? Per paura dell’antipolitica?
Oltre a Parma, dove il candidato è al ballottaggio con quello del
centrosinistra (Pdl quarto, tipo) in Emilia-Romagna la cartina politica
diventa interessante, se letta in controluce. Il Movimento 5 Stelle va
al ballottaggio a Budrio (in provincia di Bologna, roccaforte Pd) e a Comacchio
(in provincia di Ferrara) con risultati sopra il 20 per cento.
Tendenzialmente in regione non scende mai sotto il dieci e sfonda quando
ci sono questioni in grado di dividere la cittadinanza, sul merito
delle proposte politiche (inceneritore, centrale a biomasse, storici
cavalli di battaglia).
Come nel 1993 oggi il centrosinistra tira a festeggiare, occhieggia
speranzosa a Parigi e teme Atene come la peste, mentre Grillo sta
organizzando l’opposizione nelle sue roccaforti (di voti, potere, spina
dorsale), sui contenuti che scaldano davvero il cuore dei suoi, famosi,
militanti di base come fa contro Lega e Pdl dalle loro parti (rivolta
fiscale, nisba cittadinanza agli immigrati nati in Italia). Quando poi i
suoi candidati si dimostrano intelligenti e preparati e i vecchi ras
del villaggio sono troppo bolliti per correre (e/o per piazzare rampolli
presentabili) rischia pure di vincere.
A occhio, a Bersani converrebbe davvero mandare tutti a spendere e
andare a votare con questa legge elettorale. Tra un anno forse è troppo
tardi (anche per l’effetto-Hollande). E a chi, quando sarà il momento,
venisse in mente (Ferrara l’ha già esplicitato prima su Rai Tre, con
evidente sadismo) di proporre qualcosa che assomiglia al governo di
unità nazionale (non c’è bisogno di dichiararlo esplicitamente in via
preventiva, dopo aver approvato una legge elettorale proporzionale, la
gente capisce) perché “c’è bisogno di senso di responsabilità”, si tenga
bene a mente la lezione di Avigliana.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
|
|
|