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 VOTO Per il partito del diavolo. Quello dei mercanti, delle mignotte, dei preventivi.
Che ha inventato il marketing e gli hippie. Principio vitale e creatore, maschio, della contemporaneità. Ora, però, sta perdendo dei colpi. Martiri e beghini non fanno altro che strillare di valori e verità. Tutte balle per il vecchio tiranno, avvezzo alla ruvida legge del business e a quella melliflua del piacere. Parole incomprensibili, sparate in tutto il mondo dalla comunicazione.
Il re si era illuso. Per anni aveva dimenticato: non era solo al suo arrivo. La comunicazione era sempre stata lì. Creatrice, femmina, dell’umanità. Il vecchio aveva creduto di dominarla e in effetti per lungo tempo era andata così. Non aveva più memoria di essere anch'egli una sua creazione. Una funzione. Lei poi se ne stava in un angolo. Zitta e buona, casa e bottega.
Non aveva fatto una piega neanche quando le aveva portato a casa la tecnologia. L'arrivo della nuova amichetta sembrava non turbarla. Anzi: assecondava di buona lena ogni morbosità del veccho pervertito. Poi ci ha preso gusto e ha cominciato a giocare per sé. La nuova non le dispiaceva affatto, era una complice ideale. Efficiente, assecondava ogni voglia con pruriginosa meticolosità. E aumentava sempre la posta.
Dominata e dominatrice, allora, si sono messe a giocare insieme. Proprio sotto gli occhi del re, che non vedeva e si compiaceva: la partita era sempre più eccitante. Ma gli sguardi tradivano e il vecchio era costretto a rincorrere. Sempre più spesso non capiva e passava in rassegna prima l'una poi l’altra, a ripetizione, per afferrare qualcosa. La bocca spalancata.
Loro lo tranquillizzavano, gli facevano le coccole e lo mettevano a dormire. Era stato un re glorioso e non si meritava uno scherno manifesto. Dentro di loro, però, sapevano già come sarebbe finita.
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23 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE: PARMAGRAD
 “La radio al buio e sette operai, sette bicchieri che brindano a
Lenin… e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile, vola un
berretto un uomo ride e prepara il suo fucile. Sulla sua strada gelata
la croce uncinata lo sa… d’ora in poi troverà Stalingrado in ogni
città!” Chissà se a Grillo è passato per la testa il pezzo degli Stormy Six, quando ha dichiarato Parma “la nostra Stalingrado”. Ora che punta a Berlino dovrebbe proprio ascoltarla.
“I parmensi sono come i ravanelli: rossi fuori e bianchi dentro.” Mia zia, bolognese trapiantata a Parma in
gioventù, mi aveva avvertito per tempo. La scorsa settimana, quando
davo la caccia ai candidati al ballottaggio, per il Pd di Parma avevo
chiesto a lei. Mi ha dato il cellulare di un funzionario di Partito,
molto cortese e disponibile, che a sua volta mi ha dato l’e-mail del
“comunicatore”. Che non mi ha mai risposto.
Pizzarotti, dopo un po’ di stalking su Facebook e via mail,
quando mi è scesa la catena e gli ho chiesto se, per caso, non cagare
chi chiedeva un’intervista fosse una “scelta di politica aziendale”, mi
ha risposto. “Nessuna strategia ma mi chiamano da tutta Italia ed è un
casino gestire tutto. Domani vedo cosa riesco a fare.” Il giorno dopo ha
ripreso a non rispondermi, nel frattempo a Parma è arrivato il New York Times, Le Monde e la CNN e io mi sono arreso.
Adesso che i ravanelli parmensi hanno votato e che, a
differenza che nel resto d’Italia, l’hanno fatto in massa (solo tre
punti in meno rispetto al primo turno) è possibile tracciare un primo
bilancio della Campagna d’Emilia, che ha portato Grillo (e Pizzarotti,
che ha fatto di tutto per mostrare ai suoi concittadini di essere un
bravo ragazzo lavoratore, persino un po’ moderato, che pensa e decide in
proprio) al primo successo serio, in grado forse di scardinare la pax partitica imposta dal moribondo governo Monti.
Mentana ha aperto il suo pomeriggio tv dedicato ai ballottaggi con il
sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani. Grillo è balzato al
12%, raddoppiando i consensi rispetto a due settimane fa, e si affaccia
come terza forza politica del paese, col Pd al 25 (in calo), il Pdl al
20 (a picco), la Lega sotto il 5 (ai minimi termini) e pure Udc, Idv,
Sel e Fli in discesa. Tutti i partiti giù, in pratica, con altri
sondaggi che gonfiano ancor di più le vele del Movimento 5 Stelle.
Chissà tra un anno, alla partita vera.
Per l’intanto Grillo può mettere in fila, oltre a Parmagrad, altri
tre municipi espugnati. Alla vittoria al primo turno, per venti voti, di
Roberto Castiglion a Sarego (già sede del “Parlamento padano”), si
aggiunge il trionfo di Marco Fabbri (quasi il 70%) a Comacchio e il rush vincente (52,5% e 26 punti rimontati dal primo turno) dello studente universitario di 26 anni Alvise Maniero a Mira, città d’arte di quasi 40000 abitanti sulla Riviera del Brenta (ed ex roccaforte rossa).
Stalingrado, però, rimane Stalingrado. Parma è una città ricca con un
Comune talmente indebitato (si parla di 600 milioni di euro, interessi
esclusi) che rischia di non poter pagare gli stipendi ai dipendenti, a
giugno. Dopo quattordici anni di giunte di centrodestra il candidato del
Pd si aspettava di vincere facile.
“Io rispetto tutti gli avversari, ma il ballottaggio con il candidato
del Movimento 5 Stelle Federico Pizzarotti sarà come giocare la finale
di Coppa Italia contro una squadra di serie B.”
Dev’essere stata questa certezza (o forse la sensazione che le cose
si stavano mettendo male) che ha spinto Vincenzo Bernazzoli ad
avventurarsi, tra lo stupore generale, a un faccia a faccia con
Pizzarotti organizzato dall’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e
Risorse di Parma all’Auditorium Paganini (strapieno, oltre mille
persone). Tema della serata il nuovo inceneritore, piatto forte della
stracittadina elettorale, la cui costruzione è stata approvata dalla
Provincia presieduta proprio da Bernazzoli.
“In Italia si sta andando verso la soluzione senza
inceneritore: Reggio Emilia, la Sicilia, la Provincia di Lucca. L’Europa
prevede dal 2020 il divieto di bruciare materiali riciclabili o compostabili. Ma a Parma vige la “Legge Vincenzo“. Bernazzoli nemmeno risponde alle domande scomode: “Dove metterà le ceneri tossiche dell’inceneritore?“. Non si sa.” La lettera dell’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse, pubblicata sul blog di Beppe Grillo, suona come un epitaffio.
Secondo alcuni,
tra cui anche Pizzarotti (che in un attacco di sincerità ha confidato
alle telecamere che se quelli del Pd mettevano un altro, “magari giovane
e fuori dai giochi”, forse avrebbero vinto al primo turno), è stato un
problema di manico. Bernazzoli si è dovuto difendere per tutta la
campagna elettorale dall’accusa (che a Parma vale triplo) di non voler
mollare la poltrona di Presidente della Provincia. Oltre all’ineleganza
ha dato anche l’impressione di crederci il giusto, alla vittoria. E se
non ci crede lui…
Adesso Grillo e i suoi festeggiano l’avvento col botto (si fa presto a
fare i fatalisti ora, ma il 60% a Parma non se l’aspettava nessuno)
della Terza Repubblica e Bersani la sua vittoria “senza se e senza ma”
ché, se non c’era la “non-vittoria” (spettacolare neologismo) di Parma
sarebbe stato un trionfo. Il mio piccolo viaggio nel Partitone emiliano
assediato finisce così con un due a uno per i barbari e la sensazione
che, sui suoi temi (Casta, ecologia, ecc.), Grillo continuerà a far
male.
(… fine)
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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20 maggio 2012
ASSALTO AL PARTITONE: COMACCHIO
 “Beh, a voi elettori di Comacchio la scelta: il rinnovamento oppure
un ritorno al passato con Pierotti, già due volte sindaco, che ha
comunque sempre manovrato dietro le quinte le ultime amministrazioni
comunali. Quindi abbiamo una grossa opportunità: riprenderci tutti
insieme, tutti i cittadini, il governo di questo nostro territorio così
splendido…”.
Quando ho visto il video di Marco Fabbri, candidato del Movimento 5 Stelle, su YouTube
mi è tornato in mente l’esondazione sprezzante e vagamente sconsolata
della mamma di due compagni di musica di mio figlio, sulla classe
politica (senza distinzioni) che ha amministrato Comacchio negli ultimi
quindici anni. “Poi hanno pure la faccia tosta di presentarsi adesso
come quelli che vogliono cambiare tutto.”
Il Comune di Comacchio (Cmâc’
nel dialetto locale) conta poco più di ventitremila abitanti
sparpagliati su un territorio che comprende i sette lidi (Lido degli
Estensi, delle Nazioni, di Pomposa, degli Scacchi, di Spina, di Volano e
Porto Garibaldi) che si allargano su spiagge californiane lungo la
costa che congiunge la foce del Reno e il Po di Volano, tocca il Parco
regionale del Delta del Po e fa capo all’antico borgo, le cui vestigia
risalgono ad oltre duemila anni fa.
Il simbolo architettonico della piccola Venezia, “sorta
sull’unione di tredici piccole isole (cordoni dunosi litoranei)
formatisi dall’intersecarsi della foce del Po di Primaro col mare”, è il
Trepponti (nella foto), creato nel 1694 dall’architetto Luca
Danesi e costituito da cinque ampie scalinate (tre anteriori e due
posteriori), culminanti in un piano in pietra d’Istria. Un simbolo
perfetto anche per il barocco politico cittadino (velenoso, invelenito
ma grondante speranza), una girandola di parole che lunedì sera
condurrà, comunque, a un unico “piano in pietra d’Istria”: una e una
sola faccia al timone di Comacchio.
Quella di Alessandro Pierotti, avvocato navigato che corre con una
coalizione formata da Pd, Udc, Lista Civica Futura Comacchio e Lista
Civica l’Onda e ha ottenuto l’appoggio di Fli al Bagno Ippopotamus di Porto Garibaldi, è una faccia spavalda. Al comizio
di chiusura, dopo quindici giorni a testa bassa contro Fabbri e Grillo
(“è lui il primo a non essere incensurato”), anziché parlare del suo
programma “ormai già sentito in tutte le salse” ha preferito bastonare
“Fantomas Fabbri”, che “negli ultimi quindici giorni non si è mai
presentato ad un confronto con me”, e quello che liquida come “un
programma invisibile, un copia-incolla scaricabile da internet”.
Poi passa alle blandizie di vecchia scuola e addita tutto il grillume
che potrebbe urtare note sensibilità. Sostiene che quelli del M5S non
parlano delle vongole che “danno da lavorare a trecentocinquanta
persone” e, con un crescendo berlusconiano quasi epico, che con i loro
canoni sbandierati di legalità diventerebbe fuorilegge l’80% delle
seconde case (che i comacchiesi affittano ai lidi). Alla fine si dice
certo che “se si vorrà votare con la benda sugli occhi è certo che si
ritornerà al voto tra sei mesi”. O Pierotti o il diluvio.
Marco Fabbri è un giovanotto col gel e la faccia da alieno (almeno
rispetto ai canoni lombrosiani del giovane politico contemporaneo).
“Sono nato a Comacchio, dove vivo tutt’ora nella frazione di Lido
Estensi, ho 29 anni, sono laureato presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell’Università di Bologna e sono un dipendente pubblico (ma
non un fannullone!)”. Scrive di sé stesso sulla sua pagina del sito “Comacchio a 5 Stelle”, dove compare con casco e sorriso in groppa a una Ducati.
Nel video su YouTube rilancia i temi-bandiera della sua campagna
elettorale col botto (oltre il 22% dietro a Pierotti che supera di poco
il 36, con quasi l’intero arco costituzionale dietro), primo fra tutti
il “no alla chiusura dell’Ospedale San Camillo deciso da Provincia e
Regione.” La mamma di Comacchio che ho intervistato al posto di
Fabbri-Pierotti è stata la prima cosa che mi ha detto. Poi c’è il
rilancio del turismo declinante su cui anche lui, come tutti, ha la sua
ricetta.
“Una delle prime lotte sarà quella contro la cementificazione del
territorio. In questi anni si è costruito troppo e male: quasi 30000
case, molte delle quali invendute e sfitte… Occorre valorizzare questo
splendido territorio che non è fatto solo di mare, ma anche di valli, di
saline. Siamo nel Delta del Po, i comacchiesi hanno un’occasione unica
per ridare dignità e fiducia a questo posto, che negli ultimi anni ha
perso presenze turistiche nell’ordine di oltre un milione.”
Via libera di fatto a
Fabbri (“oggi l’inesperienza è necessaria”) arriva anche dal candidato
del “Centrosinistra per Comacchio”, che sul Delta del Po evidentemente
non comprende il Pd ma solo Rifondazione, Sel e l’Idv. Fabio Cavallari,
trentadue anni, allenatore di pallavolo e “responsabile postvendita
estero per una multinazionale”, ha superato l’undici per cento dei
consensi al primo turno, arrivando di poco quarto dopo il neanche il 15%
di Antonio Di Munno e il suo Pdl in caduta libera (il sindaco uscente
di centrodestra, Paolo Carli, aveva preso quasi il 60% due anni fa).
Il terzo candidato “giovane” al primo turno, Alberto Lealini della
lista “Voce giovane per Comacchio”, ha sfiorato il dieci per cento dei
voti e si è classificato al quarto posto, davanti alla Lega Nord (poco
sopra il sei). Per qualche giorno è circolata la voce, poi smentita, di
un apparentamento suo con Fabbri e i grillini ma se si sommano i
consensi ottenuti dai “trepponti” della nuova Comacchio (Fabbri,
Cavallari e Lealini) si arriva al 43%.
Forse davvero “la Terza Repubblica nascerà da Comacchio”, come ha profetizzato
Grillo con usuale sobrietà all’ultimo, gettonatissimo, comizio in città
o semplicemente gli elettori stanno prendendo a schiaffoni i partiti
che hanno gestito la baracca fino ad ora. Di certo essere giovani e/o
fuori dai giochi sembra essere la carta vincente per aspirare a fare il
sindaco della piccola Venezia. E Grillo lo ha capito per primo. Staremo a vedere.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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8 maggio 2012
È NATA UNA STALLA
Un’altra volta. A vent’anni di distanza, tutto si ripete nella
stessa, identica, maniera. Per filo e per segno, le elezioni hanno
scandito il penultimo atto del big bang dei partiti, nel ben
noto copione mediatizzato di mazzette, manette, assalto alla spesa
pubblica e alla moneta corrente (ma senza la lira da svalutare) unito
alla disperante incapacità di fare politica. Vent’anni passati a non
decidere che cosa l’Italia avrebbe dovuto essere e ora, dopo che anche
l’ultimo dei fessi li ha sgamati, tutti a gridare all’antipolitica dei
bruti che minacciano le virtù repubblicane.
Così, come nel 1994 è arrivato il marziano antipolitico magnate dei
media, adesso ce n’è un altro, che conosce quelli nuovi (di media). E sa
(e lo scrive da anni a chiare lettere) che per vincere le elezioni
contro quei morti di sonno da cui è circondato non servono congressi,
tessere o sezioni né rimborsi milionari, che i partiti si spartiscono
come gangster al saloon. Meglio usarli contro di loro,
adesso che la gente fa davvero fatica ad arrivare alla fine del mese e
che il bollettino dei suicidi per debiti se la gioca con quello dei
caduti sul lavoro. Adesso, la gente, ai soldi ci guarda proprio.
La chiamano antipolitica, col riflesso condizionato di chi considera tout court la politica una cosa sporca e prende poco l’autobus. Forse perché, semplicemente, non credono possibile un mondo in cui un consulente informatico
di una banca (che deve prendere le ferie per fare campagna elettorale)
possa realisticamente arrivare al ballottaggio per diventare sindaco di
una città come Parma. E non sono tanto i politici di professione (che si
difendono alla meno peggio) ma la pletora di opinionisti che, eterni
interpreti dell’arte del disincanto, adesso spalancano gli occhioni e
sparano a caratteri cubitali.
La notizia più scioccante di queste elezioni non è l’affermazione di
Grillo, su cui il solito Giuliano Ferrara contro tutti ha sentenziato, a
una smagliante Bianca Berlinguer: “è il vero sconfitto della giornata,
con questo clima mi aspettavo il 20/30 per cento”. La sorpresa vera è
stata la botta d’arresto subita da Casini, Fini & Co. Come alle
amministrative del 1993, al centro si è spalancata una voragine,
considerata la caduta libera del Pdl (con Berlusconi in gita da Putin,
per non saper né leggere né scrivere).
Il Pd dicono che tiene. A regola è il primo partito d’Italia (visto
che il Pdl è via di scioglimento) e, nonostante non riesca a esprimere
candidati nelle grandi città (a Genova è in testa Doria, indipendente, a
Palermo Orlando, Idv, contro Ferrandelli, ex Idv), in termini di lista,
appunto, tiene. Sarà per questo che D’Alema va predicando la fine delle
leadership populiste e di certo, passata (se passerà) la paura dei
ballottaggi, Bersani penserà (forse a ragione) di potersi giovare per un
po’ dell’effetto-Hollande (segretario pacioso, senza grilli per la
testa, vince le elezioni mettendoci la faccia).
Ma c’è un ma. Quel famoso effetto ’94 non c’è alcuna ragione per cui
non debba ripresentarsi, con le stimmate dei giorni nostri. Non è che
gli elettori del Pdl e della Lega (bombardata ma non del tutto
affondata, anche se in via di mutazione grillina) siano scomparsi coi
loro partiti. E se, putacaso, possono bastonare gli odiati post
comunisti, magari votando una giovane faccia pulita senza partito,
perché non dovrebbero farlo? Per paura dell’antipolitica?
Oltre a Parma, dove il candidato è al ballottaggio con quello del
centrosinistra (Pdl quarto, tipo) in Emilia-Romagna la cartina politica
diventa interessante, se letta in controluce. Il Movimento 5 Stelle va
al ballottaggio a Budrio (in provincia di Bologna, roccaforte Pd) e a Comacchio
(in provincia di Ferrara) con risultati sopra il 20 per cento.
Tendenzialmente in regione non scende mai sotto il dieci e sfonda quando
ci sono questioni in grado di dividere la cittadinanza, sul merito
delle proposte politiche (inceneritore, centrale a biomasse, storici
cavalli di battaglia).
Come nel 1993 oggi il centrosinistra tira a festeggiare, occhieggia
speranzosa a Parigi e teme Atene come la peste, mentre Grillo sta
organizzando l’opposizione nelle sue roccaforti (di voti, potere, spina
dorsale), sui contenuti che scaldano davvero il cuore dei suoi, famosi,
militanti di base come fa contro Lega e Pdl dalle loro parti (rivolta
fiscale, nisba cittadinanza agli immigrati nati in Italia). Quando poi i
suoi candidati si dimostrano intelligenti e preparati e i vecchi ras
del villaggio sono troppo bolliti per correre (e/o per piazzare rampolli
presentabili) rischia pure di vincere.
A occhio, a Bersani converrebbe davvero mandare tutti a spendere e
andare a votare con questa legge elettorale. Tra un anno forse è troppo
tardi (anche per l’effetto-Hollande). E a chi, quando sarà il momento,
venisse in mente (Ferrara l’ha già esplicitato prima su Rai Tre, con
evidente sadismo) di proporre qualcosa che assomiglia al governo di
unità nazionale (non c’è bisogno di dichiararlo esplicitamente in via
preventiva, dopo aver approvato una legge elettorale proporzionale, la
gente capisce) perché “c’è bisogno di senso di responsabilità”, si tenga
bene a mente la lezione di Avigliana.
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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16 maggio 2011
MI ASSENTO
Per la prima volta in
vita mia oggi non vado a votare. Non per snobismo rancido o cinismo
disarmato, solo non sono più disponibile a subire il ricatto.
Dell’emergenza democratica, del momento storico delicato, della
chiamata alle armi, del richiamo della foresta. Sempre la stessa
storia, sempre lo stesso ricatto che pesa come un macigno su chi ha una
coscienza politica (o l’avatar spolpato che ne rimane) a cui rendere
conto. Oggi smetto.
Se vivessi a Milano sceglierei
Pisapia, se stessi a Torino Fassino, a Napoli sarei disperato e a
Bologna almeno mi rimarrebbe Willie. Invece dovrei andare a votare per
la Provincia di Ravenna e intendo illustrare qui le ragioni per cui non
ho intenzione di farlo. Non per espiazione anticipata né (spero) per
esibizionismo da blogger, è che mi pare giusto illuminare quella
parolina che chiude un po’ mestamente le tabelle della tv: astenuti.
Forse
tutti gli astenuti anonimi hanno una ragione valida per accettare di
buon grado di finire così in basso nella gerarchia civica, proprio il
giorno della festa della democrazia. Non più al calduccio di uno dei
loghetti colorati che ornano (contornati da numeri e percentuali) le
prime serate dell’Italia al voto, ma nel gelido e anaffettivo
“astenuti” esclamato dallo speaker in tono ospedaliero a margine dei
piatti forti del match politico di giornata. Chi legge penserà:
ecchissenefrega di che fa Orione domenica? Non ha tutti i torti, ma in
fondo leggere è come votare: si può smettere in ogni momento.
Dicevo:
Ravenna, provincia. Il paese dove vivo da qualche anno è piccolo e
privo di grossi problemi/opportunità. La dialettica politica di solito
si risolve in saghe strapaesane dove maggiorenti, rampanti e famiglie
che contano incrociano le lame per definire il perimetro del proprio
potere. Lo dico senza astio né alcuna sfumatura moralista, sia ben
chiaro, mi pare semplicemente la trasposizione contemporanea delle
disfide tra famiglie ai tempi dei Comuni, delle Signorie, del Papato
temporale e del Sacro Romano Impero. Nulla di male, niente di nuovo.
Il
tema politico locale che interessa me è la costruzione della centrale a
biomasse al posto dell’ex zuccherificio Eridania: un chilometro da
casa, mezzo dall’asilo di mio figlio. Non starò a tediare sui dettagli
(è tutto in Rete, come al solito), basti sapere che: a) in zona non ci
sono biomasse; b) non sono previsti risparmi economici per i residenti;
c) l’impatto ambientale mi preoccupa e le spiegazioni delle
amministrazioni di centrosinistra non mi hanno convinto; d) la
devastazione di Palazzo San Giacomo, perla del barocco italiano che ha
la sfiga di essere stato costruito (quasi quattro secoli fa) affianco, è
quasi certa; e) “riqualificare il territorio” a suon di camion e
asfalto mi pare una roba barbarica e antistorica.
Naturalmente
non c’è solo la centrale a biomasse di Russi nelle elezioni di
domenica ma nella mia lista di priorità è al primo posto. Quindi gli
sponsor, Pd, Pri (e mi sarebbe piaciuto votarla, l’Edera romagnola)
& company, sono out: tutta la parte sinistra della scheda.
Rimarrebbero quelli di Di Pietro (contrari e intruppati, come al
solito), ma piuttosto voto per Berlusconi. Poi, tolti Storace e Forza
Nuova, rimangono Lega-Pdl (contrari alla costruzione della moschea di
Ravenna, vero e proprio spartiacque ideologico tra buoni e cattivi),
Udc e Fli (pro-centrale) e l’appassita lista civica dei comitati
anti-centrale di cui ho rimosso il nome, crudelmente cacofonico.
Di
certo è colpa mia, non mi va mai bene niente / sono un bastian
contrario (o un anarchico bolognese in trasferta, come me la racconto
io), ma alla Provincia di Ravenna non so per chi votare. Quindi passo e
cito La profezia dei Celestini di Stefano Benni, per darmi un contegno (che non ho) e portare un po’ di conforto ai compagni dell’anonima astenuti “negli angoli delle città e della storia”.
“Il
Grande Bastardo disse ai suoi discepoli Pantamelo e Algopedante: ‘È
proprio dei giovani come voi essere affascinati da stregoni e
sortilegi, e pensare che a essi sia riservato il privilegio di donare la
fortuna e cambiare la vita. Ma esistono altre persone che compiono
miracoli e prodigi, nascoste negli angoli delle città e della storia. Se
vedi uno stregone con un copricapo di piume di orokoko che cammina
sopra i tetti, fa volare le edicole e fa cadere polvere d’oro sui
passanti, può darsi che la tua vita stia per cambiare, ma molto più
probabilmente stai vedendo un video musicale. Se vedi una
persona che non si rassegna alle cerimonie dei tempi, che prezioso e
invisibile aiuta gli altri anche se questo non verrà raccontato in
pubbliche manifestazioni, che non percorre i campi di battaglia sul
bianco cavallo dell’indignazione, ma con pietà e vergogna cammina tra i
feriti, ecco uno stregone. Quando non c’è più niente da imparare, vai
via dalla scuola. Quando non c’è più nulla da sentire, non ascoltare
più. Se ti dicono: è troppo facile starne fuori, vuol dire che ci sono
dentro fino al collo. Vai lontano, con un passo solo’.”
L'articolo è stato pubblicato su The FrontPage.
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